venerdì 21 marzo 2025

Toscana - Domus Romana Lucca, Casa del Fanciullo sul Delfino

 

La Domus Romana Lucca – Casa del Fanciullo sul Delfino è un sito archeologico con annesso museo situato a Lucca.
Il sito è accidentalmente riemerso durante alcuni lavori di ristrutturazione in centro storico, presso il seminterrato di palazzo Orsucci nei primi anni 2010. Risulta essere il primo e unico sito archeologico in Europa portato alla luce e aperto al pubblico con fondi prettamente privati. Gli scavi sono stati diretti dalla Soprintendenza dei Beni Archeologici della Toscana, mentre poi nel 2015 i reperti rinvenuti al suo interno sono stati riconosciuti patrimonio dei Beni Culturali dello Stato. In poco tempo il sito e il relativo museo hanno riscosso notevole successo. Uno dei suoi principali reperti è un muro, in cui sono evidenti sia l'influenza romana, sia quella medievale, che quella rinascimentale. Ciò che lo rende particolare è appunto il fatto di poter osservare in un singolo ambiente l'evoluzione degli stili edilizi adoperati nelle differenti epoche che si sono susseguite. Sono poi stati trovati manufatti quali un'antica fibula e una moneta. Entrambe in bronzo, la moneta fu coniata nel 14 d.C. e vi è raffigurato l'imperatore Augusto. Inoltre è stato rinvenuto un fregio in terracotta da cui prende il nome la Domus, raffigurante appunto due fanciulli che cavalcano altrettanti delfini ai lati della testa di una gorgone, di cui i bambini ne impugnano la capigliatura. Tale fregio simboleggia la vittoria del bene sul male e si ritiene che possa datarsi al 56 a.C. Infatti si trattava di opere che generalmente venivano collocate in corrispondenza di grandi eventi e quell'anno l'antica Lucca ospitò il Primo triumvirato, al quale partecipò il grande Giulio Cesare.


Toscana - Firenze, Pisside della Pania

 
La Pisside della Pania è un'opera in avorio della fine del VII secolo a.C., proveniente dalla tomba della Pania di Chiusi e conservata nel Museo archeologico nazionale di Firenze.
L'opera è uno degli esemplari più importanti della lavorazione dell'avorio da parte degli etruschi, assieme a soli due altri esemplari da Chiusi e uno da Cerveteri. Si tratta di un cilindro cavo (una sezione di una zanna di elefante), alto 22 cm, e decorato da fasce orizzontali, separate da fasce minori con motivi vegetali scolpiti (palmette e fiori di loto variamente intrecciati) e due fasce medie ai bordi con fiori di loto dritti e rovesci.
La fascia superiore presenta due miti dell'Odissea, inframezzati da una sfinge: la Nave di Ulisse e Scilla (un mostro pisciforme con tre lunghi colli con teste di cani) e la Fuga di Ulisse e i suoi compagni dall'antro di Polifemo. La seconda fascia presenta il motivo consueto della partenza e congedo del guerriero sul carro, seguito da opliti, che fanno un cenno di saluto e da donne piangenti (con lunghe trecce e le braccia al petto); seguono un guerriero senza scudo in atto di danza funebre e un cavaliere. La terza fascia è decorata da belve e mostri legati a motivi orientalizzanti, tra i quali si trovano un cavaliere e un centauro. Nell'ultima fascia ci sono altri animali vieti.
Lo stile della pisside è meno monumentale degli avori riferibili al periodo precedente, ma è più vivacemente narrativo.

Toscana - Sarcofagi delle donne Seianti (REGNO UNITO)

 


sarcofagi delle donne Seianti sono una coppia di sarcofagi etruschi chiusini, databili al 150-130 a.C. circa. In terracotta policromata, sono conservati al British Museum di Londra (quello di Hanunia Seianti, h. 117 cm, foto in alto) e al Museo archeologico nazionale di Firenze (quello di Larthia Seianti, foto in basso). I due sarcofagi sono provenienti da Chiusi e sono considerati capolavori dell'arte plastica etrusca in terracotta, anche per la policromia ben conservata. Contengono iscrizioni che hanno permesso di leggere i nomi delle due donne effigiate, appartenenti alla stessa casata chiusina e forse sorelle, ma comunque parenti. Esse sono ritratte distese nell'atto di scostarsi il velo dalla testa, mentre con la mano sinistra tengono uno specchio: quello di Hanunia è aperto, quello di Larthia è chiuso.
La cassa del sarcofago di Hanunia ha le estremità ornate da pilastrini eolici, che invece in quello di Larthia compaiono anche al centro. Il singolare fregio dorico che si svolge sulle casse ha al centro rosette particolarmente ornate nel caso di Larthia, e che in quello di Hanunia sono separate al centro da triglifi con doppia serie di gocce (superiore e inferiore). I letti (klìnai) sono dotati di alti cuscini.
Le due donne, appartenenti a una delle più ricche famiglie chiusine, mostrano il loro status vestendo abiti dai complicati panneggi, che ricadono sinuosi, e sono adorne di armilla, diadema, orecchini e collana. Soprattutto nel sarcofago di Hanunia, raffigurata come una più matura matrona, il panneggio mostra un complesso studio, che evita ripetizioni o incertezze; il gesto di scostarsi il velo, sebbene tradizionale, appare sciolto, così come realisticamente sono rappresentate le parti nude del corpo.
I volti, come consueto nell'arte funeraria etrusca, sono idealizzati secondo le fattezze classicheggianti, in questo caso femminili, senza pretese di essere somiglianti ai defunti, e quindi non classificabili propriamente come ritratti. Abbondanti sono i resti della policromia, più sobria nel sarcofago di Hanunia, più sovraccarica nell'altro.




Toscana - Necropoli della Pedata



La necropoli della Pedata è un sito etrusco situato a Chianciano Terme, in provincia di Siena (Italia). Il sito prima della sua esplorazione sistematica negli anni '80, era già stato oggetto del ritrovamento nel 1846 della Mater Matuta etrusca, un cinerario antropomorfico del Periodo classico.
Gli scavi hanno portato alla luce una ventina di tombe, di cui una con soffitto particolarmente ornato, risparmiata dal saccheggio dei tombaroli nel XIX secolo.
La tomba Morelli, scoperta nel 1995, quella di un principe del periodo orientalizzante etrusco (VII secolo), ritrovata con i suoi corredi funerari intatti, è stata ricostruita nel museo cittadino con gli oggetti ricollocati nella configurazione del loro ritrovamento.
Alcuni degli arredi funerari delle tombe sono esposti nel Museo Archeologico delle Acque, altri sono stati trasferiti al museo archeologico nazionale di Firenze (un tipo Sarcofago degli sposi, della posa del banchetto etrusco).

Toscana - Area archeologica di Sovana

L'area archeologica di Sovana è un sito archeologico che si trova a Sovana, una frazione del comune di Sorano, in Provincia di Grosseto. Il paese è noto per essere stato un importante centro etrusco e medievale. Le testimonianze più note sono le necropoli etrusche che si sviluppano sui versanti collinari tutto intorno al paese moderno. La parte oggi visitabile si trova a ovest dell'abitato, lungo la strada che conduce a San Martino sul Fiora, ed è raggiunta anch'essa dalle spettacolari Vie Cave; le principali sono Il Cavone, la Via Cava di San Sebastiano e la Via Cava di Poggio Prisca che la collegano alle altre necropoli della zona, nel suggestivo scenario del Parco archeologico del Tufo.
Sovana, oltre ad aver fornito testimonianze eneolitiche, si sviluppò principalmente in epoca etrusca; come testimoniano le numerose tombe etrusche. Notevoli esempi sono:
- la tomba della Sirena, a edicola, in località Poggio di Sopraripa,
- la tomba del Tifone sul poggio Stanziale (a sinistra),
- la grotta Pola sul poggio Prisca
- la monumentale tomba Ildebranda sul poggio Felceto.
Lungo la strada che conduce dall'abitato di Sovana a San Martino sul Fiora, è inoltre possibile raggiungere i ruderi di un oratorio rupestre dalle origini storiche incerte che si presenta scavato nel tufo con una grande croce graffita sul soffitto.


La tomba Ildebranda (III-II secolo a.C.), completamente scavata nel tufo, si presenta come un tempio monumentale con porticato a sei colonne che poggiano su un podio con due scalinate laterali; la camera funeraria, nella quale è stata intagliata una sola banchina di deposizione per i defunti, è raggiungibile attraverso un lungo corridoio centrale in discesa. La camera fu ritrovata completamente vuota, conseguenza di un antico saccheggio o dell'azione di tombaroli. Il nome fu dato in onore di Ildebrando di Soana, meglio noto come papa Gregorio VII.
La tomba fu resa nota da Gino Rosi nel 1925, il quale ne pubblicò un primo resoconto. Il Mercklin, alcuni anni prima, aveva probabilmente notato l'emergere di qualche struttura, ma le indagini non erano proseguite. Pochi anni dopo le necropoli vennero studiate dall'archeologo Bianchi Bandinelli, il quale dedicò particolare attenzione alla tomba Ildebranda, eseguendo anche degli scavi archeologici. Bandinelli propose una ricostruzione più precisa del sepolcro e della decorazione, ciò fu permesso grazie proprio alle indagini archeologiche che condussero al ritrovamento di diversi elementi decorativi che integrarono ciò che restava della tomba.
Negli anni settanta furono eseguiti nuovi studi sulle necropoli che portarono alla realizzazione di una cartografia più precisa e a una nuova proposta per la ricostruzione dell'alzato della tomba Ildebranda[3], la quale, nel 1974, venne sottoposta ad alcuni interventi di restauro. Più recentemente la tomba è stata musealizzata, in quanto parte integrante del parco archeologico e sottoposta a nuovi interventi di restauro e conservazione.


La tomba della Sirena (III-II a.C.), una volta nota anche come "tomba della Fontana", è una tomba a edicola interamente scavata nel tufo, collocata all'interno della necropoli di Sopraripa. La facciata riproduce una falsa porta, all'interno della quale vi è scolpita l'immagine del defunto rappresentato come simposiasta, la porta è guardata ai lati da due demoni, probabilmente Charun a sinistra e Vanth a destra. Il nome deriva dal fregio nel quale non si rappresenta una sirena, come comunemente noto, ma il mostro marino Scilla colto nell'atto di affondare una nave. Sopra l'immagine del defunto è ben leggibile la scritta "Vel Nulina", ossia "figlio di Vel".
Un dromos particolarmente stretto conduce alla camera sepolcrale, la quale è disassata rispetto all'edicola. Le piccole dimensioni della camera fanno pensare a una sepoltura per un singolo individuo.
La tomba fu descritta per la prima volta dal pittore inglese Samuel Aisnley il quale vi fu indirizzato dai locali che già conoscevano il luogo. Recentemente la tomba, assieme a una vasta zona della necropoli di Sopraripa, è stata sottoposta ad un esteso restauro, durante il quale sono state scoperte altre sepolture arcaiche che giacevano a un livello appena sottostante quello della Sirena.

Toscana - Saturnia, Porta Romana

 

La Porta Romana di Saturnia è un'antica porta di accesso all'omonimo borgo fortificato del comune di Manciano, che si apre sul lato meridionale delle Mura di Saturnia lungo l'antico tracciato della Via Clodia ancora ben visibile.
La porta fa parte della porzione più antica delle mura, che risalgono ai tempi dei Romani (II secolo a.C.), che ivi fondarono un insediamento, non lontano da preesistenti necropoli etrusche. È l'unica rimasta delle 4 originarie porte di accesso romane.
Porta Romana fu parzialmente modificata già nell'82 a.C. durante l'ampliamento delle mura romane. Tuttavia, il suo aspetto attuale è dovuto principalmente alla ricostruzione effettuata dagli Aldobrandeschi in epoca medievale e al successivo restauro dei Senesi durante il Quattrocento.
La porta è costituita da strutture murarie in pietra e si caratterizza per l'apertura a doppio arco a tutto sesto sul lato interno che differisce da quella ad arco semplice sul lato esterno; presso la porta sono ravvisabili gli elementi stilistici riconducibili alle varie fasi storiche.


Toscana - Grotte del Leone

 
La Grotte del Leone (nella foto, una ricostruzione al Museo di Storia Natuale di Pisa) è una grotta carsica che si trova sui Monti Pisani, in località Agnano, comune di San Giuliano Terme in provincia di Pisa. La Grotta, che deve il suo nome ad una formazione stalagmitica la cui forma ricorda quella di un leone, è formata da un ampio salone di crollo che scende verso est dove è presente un piccolo lago, probabilmente collegato a quello della vicina Buca dei ladri.
La grotta è stata oggetto di frequentazioni umane dal Paleolitico superiore sin a tempi storici, anche se le attività più significative sono avvenute durante il paleolitico superiore, il neolitico e l'età del rame. Tali frequentazioni sono state studiate in tre campagne archeologiche di scavo principali. La prima di queste si tenne dal 1947 al 1950 ad opera del gruppo guidato da Ezio Tongiorgi; la seconda, dal 1970 al 1974, fu guidata dal professore Antonio Mario Radmilli e l'ultima campagna, guidata dalla professoressa Giovanna Radi si è aperta nel 2015 ed è ancora aperta.
Sebbene la Grotta sia stata sporadicamente frequentata anche in epoca etrusca, romana e rinascimentale, le attività umane storicamente più significative sono avvenute al suo interno in epoca preistorica e in particolare durante il paleolitico superiore, il neolitico e l'età dei metalli.
Paleolitico superiore

Le prime tracce di umane all'interno della Grotta sono datate tra i 18.000 e 15.000 anni fa, quando gruppi di cacciatori la usavano come riparo. In essa sono stati infatti ritrovati manufatti in pietra scheggiata di cultura epigravettiana, tra cui delle lame e punte a dorso molto probabilmente montate su di una lancia che veniva usata in associazione con un propulsore. Oltre alle industrie litiche sono stati ritrovati anche canini atrofici di cervo con la radice forata, usati con ogni probabilità come ornamento.
I resti faunistici, associati ai livelli paleolitici, rinvenuti nella grotta sono principalmente di Bos taurus primigenius, Equus e Cervus
Neolitico

Durante il Neolitico, tra i 6000 e i 5000 anni fa, la grotta era visitata da gruppi di agricoltori come luogo di culto. In essa sono state infatti trovate grandi quantità di cereali carbonizzati, principalmente orzo e frumenti nudi, e in quantità minori di leguminose, interpretati come resti di riti propiziatori. Oltre a questi sono state ritrovate anche industrie litiche e lame di falci in ossidiana, che dall'analisi chimica e microfisica si è stabilito provenire da Lipari, Monte Arci e Palmarola.
Negli stessi strati neolitici sono stati ritrovati anche resti di manufatti in argilla di cultura di Fiorano e di Cultura di Chassey. Di quest'ultima cultura sono stati ritrovati diversi vasi, strumenti in osso e scodelle per le offerte votive.

Toscana - Gonfienti

 

Gonfienti è un sito archeologico nell'omonima frazione di Prato, con i resti di un'antica città etrusca estesa per circa 17 ettari fra il fiume Bisenzio, il torrente Marinella e i monti della Calvana, ai margini del bacino lacustre-fluviale Firenze-Prato-Pistoia. Gli scavi sono stati avviati tra il 1996 e il 1997.
Risalente alla fine del VII secolo a.C., la città etrusca presso Gonfienti costituiva il baricentro dell'importante via di comunicazione tra l'Etruria centrale e l'Etruria padana ed aveva pianificato l'intera piana tra Firenze e Agliana. Abbandonata intorno alla fine del V secolo a.C. per ragioni ancora ignote, viene riconosciuta come una delle principali città etrusche dell'epoca arcaica, testimoniata dall'importanza dei reperti finora riemersi da scavi ancora nella sua fase iniziale, come le ceramiche attiche di grande pregio recuperate, fra le quali la kylix attribuita a Douris, artista greco attivo ad Atene, tra il 500 e il 475 a.C.
La città, anche se intuibile solo parzialmente per la rapida urbanizzazione nella sua area, era quasi certamente collegata commercialmente a Kainua-Marzabotto al fine di favorire gli scambi attraverso l'Appennino, lungo la direttrice che collegava le città di Spina e Pisa nel corso del VI-V secolo a.C. fino a decadere quasi improvvisamente al termine del V secolo a.C., per circostanze ancora non chiare. A seguito della sua scomparsa non si hanno tracce documentarie ma possiamo ipotizzare con buona probabilità che gli stessi abitanti abbiano provveduto a spostarsi in aree più protette, dove la difesa da attacchi esterni (i celti dal nord) sarebbe stata maggiormente garantita. In effetti la città, che non disponeva di mura, si sviluppò partendo da un progetto di pianificazione che sembrerebbe anticipare la struttura delle città ippodamee, fattore reso possibile per la stabilità che si era venuta a creare nell'Etruria Settentrionale nell'arco temporale che separa la battaglia contro i greci focesi (540 a.C.) e la conquista di Veio (396 a.C.) da parte di Roma, ed il conseguente spostamento verso nord del tradizionale baricentro etrusco dell'area meridionale della Toscana. Le aree in questione potevano essere state Artimino, Fiesole e, anche se parzialmente perché più lontana, ma sulla stessa direttrice geografica, Volterra, che nel secolo successivo ampliarono o costruirono la loro cerchia muraria a seguito di un imponente sviluppo demografico.
Infine la piana fu abitata dai Romani (vi passava la via Cassia, nel tratto che collegava Firenze con Pistoia, sulla via per Luni). Gli storici hanno collocato nei pressi dell'antica città etrusca la mansione "Ad Solaria" della antica Via Cassia, e riportata nella celebre Tavola Peutingeriana.
Recentemente è stata avanzata l'ipotesi (basandosi su alcuni toponimi della zona) che questa possa essere la mitica Camars , che spesso invece è identificata con la latina Clusium, patria del re Porsenna, ovvero Chiusi.

In effetti la città aveva assi viari ben pianificati (indicanti quindi una presenza costante nel territorio di genti etrusche), con una strada di oltre dieci metri di larghezza e un'estensione notevole (sono circa 30 gli ettari sottoposti a vincolo dalla soprintendenza). All'interno di essa è stata rinvenuta una "domus" di circa 1440 m² (la più grande dell'Italia antica, prima della Roma Imperiale), sviluppata sul modello delle ville pompeiane (ma di alcuni secoli precedente) con una rete di canali idrici ancora in parte funzionanti e un'eccezionale quantità di ceramiche greche a figure rosse e nere, su cui spicca una kylix (foto qui sopra) attribuita a uno dei più importanti artisti greci del V secolo, Douris e delle pregevoli antefisse a figure femminili. Indizi sull'esistenza in loco di una città etrusca erano già stati ipotizzati nel corso del XVIII secolo, quando vennero raccolti svariati reperti di quell'epoca (tra cui il cosiddetto
"offerente" esposto al "British Museum" - foto a destra), suggerendo per essa il nome di Bisenzia, una mitica città etrusca scomparsa secoli fa e citata da locali letterati rinascimentali.
Una forte presenza etrusca nel territorio della piana pratese è testimoniata dai tanti reperti trovati in aree limitrofe di Prato: Carmignano, Comeana e nei territori comunali di Sesto Fiorentino e di Calenzano sui monti della Calvana. Già nel 1735, a pochi chilometri da Gonfienti, fu rinvenuto l'offerente bronzeo di Pizzidimonte, oggi conservato presso il British Museum di Londra.
Inoltre, non molto distanti da Gonfienti sorgevano le città etrusche di Artimino, Fiesole, nota dal IV secolo a.C. come Vipsul e, sulla via per Felsina, quella di Kainua, nel comune di Marzabotto, probabilmente fondata da coloni provenienti da Gonfienti.

(foto in alto di Massimiliano Galardi)

Toscana - Tumulo di Montefortini

 

Il Tumulo di Montefortini è una tomba etrusca scoperta nel 1965, situata a Comeana, nel comune di Carmignano. Fu scoperta il 21 febbraio 1965 da quattro giovani pratesi (Mario Franco Gori, N. Coppini, M. Mariotti, G. Guarducci) che scavando su una piccola collinetta nei pressi del cimitero di Comeana, arrivati ad 80 cm, cominciarono ad estrarre pezzetti di cotto e lastroni, appartenenti ad un impianto tombale etrusco. I ragazzi consegnarono i pezzi ai carabinieri di Poggio a Caiano. La tomba rinvenuta dai quattro ragazzi è quella di Boschetti, la più antica delle tombe di Comeana.
Il Tumulo di Montefortini è costituito da una monumentale collina artificiale dal diametro di 70 metri e alta 12, circondata da un tamburo in pietra arenaria, interrotto ad Nord-Ovest da una piattaforma che si suppone accogliesse l'ara sacrificale. La monumentalità del luogo è accentuata dal bosco di querce e lecci che sovrasta il tumulo.
La struttura ospita due camere sepolcrali.
Tomba di Montefortini I
La prima tomba è composta da una tomba a camera scavata e restaurata a partire dal 1966. L'accesso è dato da un ampio dromos, lungo 13 metri, che conduce al vestibolo quadrangolare, lungo 2,10 m e largo 2,50 m che probabilmente in origine era coperto con una falsa volta di lastroni aggettanti. Attraverso un portale trilitico costituito da due ante mobili sovrastate da un architrave si lascia il vestibolo e si entra nella camera sepolcrale. La camera perfettamente rettangolare, lunga 4,50 m e larga 2,55 m, costituisce uno dei più begli esempi dell'architettura etrusca del periodo orientalizzante. Lungo le pareti corre una mensola per depositarvi le urne cinerarie dei defunti.
La tomba fu saccheggiata probabilmente già a partire dal 200 a.C., epoca in cui presumibilmente crollò la volta del vestibolo, e poi in altre occasioni. Nonostante ciò la tomba ha restituito un numero sufficiente di reperti per consentirne la datazione tra l'ultimo venticinquennio del VII ed il primo del VI secolo a.C. (625-575). Sono infatti emersi lavori scolpiti e finemente incisi, urne cinerarie in ceramica grezza, coppe in bucchero e resti di vasi in pasta vitrea egizia. Tutti i reperti sono stati esposti nel Museo di Artimino.
Tomba di Montefortini II
La seconda camera sepolcrale che si trova al centro del tumulo e la cui presenza era stata ipotizzata da tempo, è stata scavata solo a partire dal 1982. Si tratta di una grande tomba a thòlos la cui struttura risulta in parte crollata, (forse a causa di un sisma) e manomessa già in epoca antica. Tutta la struttura ha un diametro di circa sette metri, è realizzata in pietra arenaria e presenta un pilastro centrale. Tra i ritrovamenti si segnalano una fibula in ferro, frammenti di avorio, gusci di uova di struzzo decorati, vetri blu egizi, ambre e frammenti di bucchero.

Toscana - Firenze, Torso Gaddi

 

Il 
Torso Gaddi è una scultura frammentaria in marmo (h 84,4 cm) di ambito ellenistico, databile al II secolo a.C. e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. L'opera, probabilmente un frammento di centauro, fu in tutta probabilità scavata a Roma e, stando a una possibile menzione di Vasari, appartenuta a Lorenzo Ghiberti, i cui discendenti la cedettero poi a Giovanni Gaddi, Cherico di Camera del papa.
Opera ben nota nel Cinquecento, fu amata dagli artisti, che ne copiarono spesso la possente muscolatura e la posa "inclinata"; la citarono ad esempio lo stesso Ghiberti nel suo Sacrificio di Isacco, il Rosso Fiorentino nel Cristo morto compianto da quattro angeli, o da Amico Aspertini nell'Adorazione dei pastori, ma dovette ispirare anche il giovane Michelangelo Buonarroti e, più tardi, Rubens. All'epoca si credeva che rappresentasse il torso di un satiro. Similmente al torso di Belvedere, l'opera non fu mai integrata da aggiunte e restauri successivi.
Nel 1778 fu acquistato dal Granduca Pietro Leopoldo che lo destinò alle Gallerie fiorentine.
L'opera è di solito riferita copia vicina a un prototipo del II secolo a.C., raffigurante un centauro con le braccia legate dietro la schiena e facente parte di un gruppo con un centauro giovane, libero ed esuberante, e uno anziano, martoriato da un amorino che lo cavalcava colpendolo con la frusta. Il gruppo formava una metafora erotica legata alle diverse conseguenze dell'amore in età giovanile o avanzata. Inoltre la presenza dell'amorino simboleggiava il potere di Eros, capace di domare anche gli orgogliosi centauri.
Per la tensione dinamica e il modellato molto rifinito l'opera è stata messa in relazione con la scuola di Pergamo.



ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...