Il
cratere P 473 della
"Gipsoteca di Arte Antica e Antiquarium" di Pisa è
un cratere a colonnette a figure nere proveniente
da Cerveteri, con ogni probabilità di produzione magnogreca,
databile tra l’ultimo quarto del VI secolo a.C. e il primo quarto
del secolo successivo. Tanto il nome del ceramista quanto quello del
ceramografo (ammesso che in questo caso fossero due figure distinte)
sono ignoti. È conservato presso la "Gipsoteca di Arte Antica e
Antiquarium" all'interno della Chiesa di San Paolo
all'Orto a Pisa. Il cratere P 473 è un tipico esempio di
cratere a colonnette, caratterizzato da un corpo globulare, un piede
a doppio gradino, un collo largo e un orlo piatto e sporgente.
Le dimensioni dell’oggetto sono
normali per un cratere di questa tipologia: 31 cm in altezza e
29,9 cm a livello di diametro della bocca (34,4 cm se si
prendono in considerazione anche le anse).
Il cratere è stato realizzato in
argilla rosata ed è impreziosito, come accade spesso per questa
categoria di oggetti, da numerose decorazioni e da una scena a figure
nere che si è conservata su un lato della pancia del vaso, mentre
sul lato opposto la decorazione pittorica è andata quasi
completamente perduta.
Le decorazioni accessorie si presentano
piuttosto standardizzate e includono:
- fogliette lanceolate unite tra di
loro da steli a decorare il piatto del labbro
- palmette tra girali a decorare il
piatto dell’ansa
- due file di foglioline di edera
speculari a decorare la parte verticale del labbro
- alcuni raggi che si dipartono dal
basso verso l’alto a decorare la fascia del cratere collocata
immediatamente sopra il piede e sottostante la pancia.
Inoltre, sulla pancia la raffigurazione
del motivo centrale è racchiusa all’interno di una metopa
inquadrata sui lati da due bande di foglioline di edera speculari
l’una rispetto all’altra e in alto da linguette nere e paonazze
(il colore paonazzo è quasi completamente scomparso, ma permane
visibile, seppure con una tonalità molto più chiara e sbiadita
rispetto a quella originale, in due linguette conservatesi sul lato
del cratere che ha perso la decorazione della pancia).
La scena raffigurata che si è
conservata su uno dei due lati della pancia del cratere presenta una
serie di personaggi che non sono identificati mediante nomi scritti a
fianco delle figure, come invece accade in molti crateri e altri vasi
cronologicamente e stilisticamente affini.
Procedendo da sinistra verso destra si
possono riconoscere:
- all’estrema sinistra della
rappresentazione un guerriero, stante, armato con elmo corinzio, che
regge due lance e un grande scudo rotondo; quest’ultimo risulta
decorato con un episema raffigurante un delfino, ancora oggi
piuttosto ben visibile nonostante lo stato di conservazione non
perfetto dell'oggetto
- al centro della pancia sono
raffigurati tre personaggi: al centro è un guerriero colto
nell’atto di infilare nella gamba sinistra uno schiniere, mentre
alla destra e alla sinistra del guerriero sono due figure femminili
stanti, completamente vestite, che gli reggono rispettivamente lo
scudo e la lancia e la sola lancia
- all’estrema destra della
rappresentazione è un altro guerriero stante, armato anch'egli di
elmo corinzio, che regge due lance (oggi non più chiaramente
visibili) e un grande scudo rotondo, anch’esso, come lo scudo
dell’altro guerriero, impreziosito da un episema, questa volta
raffigurante un aratro. Questo secondo guerriero è rivolto verso il
centro della scena, mentre il guerriero a sinistra della pancia dà
le spalle alla raffigurazione centrale, rivolgendo altrove il
proprio sguardo.
L'interpretazione della scena appena
descritta pone alcuni problemi piuttosto complessi, aventi
soprattutto a che fare con l'identificazione del mito che vi verrebbe
rappresentato. Innanzitutto, il cratere P 473 si può accostare a una
serie molto nutrita di vasi che sembravano recare, seppure con alcune
modifiche e variazioni, la rappresentazione pittorica della medesima
scena: la consegna di un nuovo corredo di armi da parte
di Teti ad Achille di cui si narra all’inizio
del XIX libro dell'Iliade. Secondo il poema, Achille aveva prestato
la propria armatura con la quale era giunto a combattere sotto Troia
all’amico Patroclo, il quale si era offerto di provare a
risollevare le sorti dell'esercito greco di fronte all'inarrestabile
avanzata dell'esercito troiano guidato da Ettore (Achille
si era da tempo ritirato dalla battaglia, offeso per il torto subito
da Agamennone: cfr. Iliade, I). Patroclo era però stato
abbattuto in battaglia da Ettore, il quale gli aveva anche sottratto
l’armatura (di Achille) che indossava.
Quando Achille sceglie di tornare a
combattere (Iliade, XVIII), la madre Teti chiede al dio Efesto di
procurare al figlio una nuova armatura, e la consegna di quest’ultima
viene appunto raccontata da Omero all’inizio del XIX libro
dell'Iliade:
«L’Aurora peplo di croco dalle
correnti d’Oceano
balzò a portare la luce agli immortali e ai
mortali,
e Teti giunse alle navi, portando i doni del dio.
Trovò
il suo caro figlio disteso su Patroclo,
e acuto piangeva; molti
compagni intorno
gemevano. S’avvicinò a loro la dea luminosa,
e
prese la mano del figlio, disse parola, diceva:
"Creatura
mia, per quanto straziati, lasciamo stare
Patroclo, poiché per
volere dei numi è stato abbattuto.
Ma tu, prendi l’inclite armi
d’Efesto,
bellissime, quale mai mortale portò sulle spalle."
balzò a portare la luce agli immortali e ai
mortali,
e Teti giunse alle navi, portando i doni del dio.
Trovò
il suo caro figlio disteso su Patroclo,
e acuto piangeva; molti
compagni intorno
gemevano. S’avvicinò a loro la dea luminosa,
e
prese la mano del figlio, disse parola, diceva:
"Creatura
mia, per quanto straziati, lasciamo stare
Patroclo, poiché per
volere dei numi è stato abbattuto.
Ma tu, prendi l’inclite armi
d’Efesto,
bellissime, quale mai mortale portò sulle spalle."»
(Iliade, XIX, 1-10, traduzione di Rosa
Calzecchi Onesti)Tra i numerosi
vasi su cui parrebbe raffigurato questo episodio si può citare per
esempio una hydria databile intorno alla metà del VI
secolo a.C., oggi conservata a Parigi al Museo del Louvre.
Essa presenta su un lato della pancia una decorazione a figure nere
in cui è raffigurata una serie di personaggi, tutti chiaramente
identificabili grazie ai relativi nomi dipinti a fianco di ciascuno
di essi. Al centro sono raffigurati Teti e Achille: la donna porge
uno scudo e una corona al figlio, il quale riceve questi doni e già
regge nella mano destra una lancia, anch’essa verosimilmente dono
della madre. Il fatto notevole è che in questa rappresentazione ad
accompagnare Teti sono raffigurate dietro a lei due figure femminili
che recano altri due doni ad Achille (una corazza e un elmo): esse
sono identificabili, sempre grazie ai nomi propri scritti a fianco,
come due Nereidi. A completare la scena, dietro ad Achille è un
guerriero armato con lancia e scudo, identificato dalla scritta
“Odisseo”. Se la scena raffigurata su questa hydria fosse,
come si è a lungo sostenuto sulla base del raffronto con un gran
numero di rappresentazioni simili, l’episodio della consegna delle
nuove armi da parte di Teti al figlio Achille raccontata all’inizio
del XIX libro dell'Iliade, alcuni elementi di incoerenza tra questa
raffigurazione pittorica e il racconto omerico risulterebbero
difficili da spiegare: innanzitutto, la presenza della corona tra i
doni portati da Teti ad Achille, poiché la corona non fa parte
dell'armatura di nessun guerriero omerico, ma soprattutto le due
Nereidi che accompagno la madre dell’eroe. Delle Nereidi, infatti,
Omero non fa alcuna menzione all'inizio del XIX libro. La presenza
di Odisseo potrebbe invece essere un riferimento sintetico
ai compagni che nel racconto omerico vengono esplicitamente detti
essere insieme ad Achille nel momento in cui questi viene raggiunto
dalla madre (vv. 5-6).
In ogni caso,
a questo episodio omerico sono state tradizionalmente ricondotte
molte altre raffigurazioni su vasi, e in alcune di esse la posa
dell’eroe Achille al centro della scena si presenta diversamente
rispetto a ciò che accade nella hydria considerata
poc’anzi: è il caso, per esempio, di un frammento di una tazza a
fascia, databile intorno al 560/550 a.C. e oggi conservata presso
i Musei Vaticani. In questa raffigurazione Achille, ritratto
al centro della scena, non è in piedi su due gambe come nel caso
della hydria sopra citata, colto nel momento di ricevere i
doni portatigli dalla madre Teti, ma si tiene in equilibrio sulla
gamba destra mentre infila uno schiniere nella gamba sinistra; nel
frattempo la madre gli regge la spada e lo scudo. Tale schema
compositivo sembra dunque essere molto vicino a quello del cratere P
473, dove pure il guerriero rappresentato al centro della scena è
raffigurato mentre infila lo schiniere nella gamba sinistra, mentre
una figura femminile di fronte a lui gli regge la lancia e lo scudo.
Anche in questo frammento di tazza a fascia Teti è accompagnata da
due Nereidi, una collocata dietro la ninfa e un’altra dietro ad
Achille: esse recano rispettivamente una corazza e una lancia,
anch’esse evidentemente facenti parte della nuova armatura di
Achille. La scena raffigurata in questo frammento è in realtà molto
più complessa e affollata rispetto ad altri vasi simili, dove i
limiti spaziali del supporto lasciavano all’artista meno spazio di
manovra: dietro a Teti e a una delle due Nereidi che l’accompagnano
sono due opliti e una figura di uomo anziano, mentre dietro ad
Achille e all’altra Nereide sono due uomini anziani e un ulteriore
gruppo di opliti che non sembra partecipare direttamente alla scena.
Anche in questo secondo caso si ha quindi a che fare con una serie di
figure che non sembrano direttamente collegate né collegabili con
l’episodio raccontato all’inizio di Iliade, XIX: oltre alle
Nereidi, in questo caso si hanno anche alcune figure di uomini
chiaramente anziani, mentre nel racconto omerico Achille è detto
circondato dai suoi compagni d'armi, che dunque saranno stati - si
può immaginare - più o meno suoi coetanei.
Questa presenza di figure (Nereidi e uomini anziani tra tutti) e di
oggetti (come ad esempio la corona recata da Teti nella hydria di
cui sopra) difficilmente conciliabili con il racconto omerico ha
indotto alcuni studiosi a valutare la possibilità che l’episodio
mitico che in tutti questi casi gli artisti antichi desideravano
raffigurare non sia in realtà quello raccontato da Omero all’inizio
del XIX libro dell'Iliade, bensì un altro, a esso per certi versi
affine. Tra gli altri, Johansen ha notato che in molte
rappresentazioni di questo episodio mitico compaiono alcuni elementi
per così dire “domestici”, che sembrano difficilmente
comprensibili immaginando un’ambientazione bellica per la scena
raffigurata:
- la corona: nella hydria considerata poco sopra Teti
porge al figlio una corona, mentre in un'anfora databile alla
metà del VI sec. a.C. (oggi conservata al British Museum di
Londra) Achille stesso compare al centro della scena già
incoronato. Che Achille venisse raggiunto dalla madre presso il
campo acheo già incoronato o sul punto di ricevere una corona è
difficile da credere, e del resto Omero non fa alcuna menzione di
questa presunta corona dell’eroe; piuttosto, Wrede[5] ha
dimostrato come nelle scene di partenza dei guerrieri da casa sia
tipico che la moglie o la madre porgano al proprio caro in partenza
una corona o una benda con cui cingersi il capo, quasi fosse un
sorta di amuleto portafortuna
- l’ariballo: sempre
nella hydria considerata sopra, una delle Nereidi che
segue Teti reca appeso al braccio un piccolo ariballo, anch’esso
molto difficile da immaginare nel contesto di un accampamento
- nell'anfora di Londra Achille è
addirittura raffigurato in abiti civili: egli non indossa alcun
armamento e veste piuttosto il tipico abbigliamento del buon
cittadino di epoca classica.
Questi elementi, come potenzialmente anche altri, per così dire
“domestici”, che compaiono nelle raffigurazioni di questo tema,
unitamente alla presenza di figure come quelle delle Nereidi o degli
uomini anziani, hanno fatto dubitare Johansen che in tutti questi
casi si possa effettivamente avere a che fare con la raffigurazione
dell’episodio omerico raccontato all’inizio del XIX libro
dell'Iliade: “
these minor traits lend a domestic touch to our
representations which is difficult to reconcile […] with the
assumption that is, after all, near Troy that the incident is
supposed to take place”.
Nella versione omerica del mito Achille
si era recato a Troia con l’armatura che gli aveva donato
il padre Peleo, il quale l'aveva a sua volta ricevuta come dono
di nozze da parte degli dèi in occasione della sua unione con la
ninfa Teti (Iliade, XVII, 192-198; XVIII, 82-85). Tale armatura era
poi stata prestata da Achille a Patroclo (Iliade, XVI) e, dopo la
morte di questo in battaglia, era caduta nella mani di Ettore
(Iliade, XVI-XVII). In occasione del ritorno di Achille in battaglia
(Iliade, XVIII-XIX), si era resa necessaria la fabbricazione di un
nuovo set di armi per permettere all'eroe di tornare a combattere:
questo secondo corredo di armi fu realizzato da Efesto su richiesta
di Teti e fu donato ad Achille – come si è visto sopra – da Teti
stessa.
Un’altra versione del mito, però,
decisamente meno attestata, voleva che Achille si fosse recato a
Troia non con l’armatura donatagli da Peleo, bensì con un set di
armi realizzato fin da subito da Efesto e donato all’eroe dalla
stessa madre Teti prima che egli partisse da casa per la guerra.
Secondo questa variante del mito, Teti avrebbe raggiunto Achille
presso Ftia (o presso l’antro del centauro Chirone,
dove il giovane eroe stava seguendo la propria educazione)
accompagnata dalle sorelle Nereidi, che l’avrebbero aiutata a
recare tutti pezzi dell’armatura del figlio. Di questa variante del
mito, per così dire secondaria rispetto a quella omerica, si hanno
due sole attestazioni sicure, entrambe da Euripide ed
entrambe da brani lirici: si tratta di Elettra, 442-451 e
di Ifigenia in Aulide, 1067-1075. Se fosse dunque questa seconda
variante del mito, e non quella dell'Iliade, a venire rappresentata
nella serie di vasi di cui si è parlato sopra, si spiegherebbe la
presenza fissa delle Nereidi come accompagnatrici di Teti, nonché di
alcuni personaggi anziani che avrebbero potuto tranquillamente
trovarsi presso la dimora di Achille al momento della visita della
madre, sebbene i due passi di Euripide non possano fornire alcuna
conferma certa in merito.
Ora che si è individuato il probabile
episodio mitico alla base del gran numero di raffigurazioni
pittoriche di cui si è parlato sopra, occorrerà notare che,
probabilmente già molto presto, il legame stretto di queste
decorazioni pittoriche con l’episodio mitico in questione sia
andato progressivamente indebolendosi, fino a perdersi del tutto: il
gruppo Achille-Teti, con annesse Nereidi e potenzialmente altri
personaggi, iniziò quindi a essere reinterpretato come generica
scena di congedo di un guerriero in partenza da casa (onde i molti
elementi domestici di cui si è parlato sopra), tipicamente alla
presenza della madre, della moglie, del padre e/o dei compagni.
Questo progressivo indebolimento del legame tra queste raffigurazioni
e il loro episodio mitico di riferimento è chiaramente testimoniato
anche dal frammento di tazza a fascia considerato sopra, dove i
personaggi attorno al gruppo centrale di Teti e Achille tendono a
moltiplicarsi e a disporsi talvolta in gruppi del tutto autonomi
rispetto all’evento focale della rappresentazione. Anche nel
cratere P 473 il nesso della scena raffigurata con l'episodio mitico
della consegna da parte di Teti ad Achille dell'armatura con il quale
l'eroe si recherà a combattere sotto Troia andrà immaginato come
decisamente sfumato nella mente dell'artista: l'intento di
quest'ultimo sarà stato quello di riprodurre sul proprio pezzo non
tanto Achille, Teti e una Nereide nello specifico, quanto piuttosto
una generica scena di vestizione di un guerriero in partenza dalla
propria patria, assistito da due donne di casa (forse la madre o la
moglie e una serva) e accompagnato, presumibilmente, da due compagni
opliti già vestiti e già pronti a partire.