giovedì 10 luglio 2025

Sicilia - Catania, Museo di archeologia dell'Università


Il Museo di archeologia dell'Università di Catania è un ente didattico-museale, localizzato presso la sezione "Archeologia e scienze dell'antichità" del dipartimento di Scienze Umanistiche, al piano terra di palazzo Ingrassia.
Il museo custodisce reperti risalenti al periodo protostorico e preistorico fino all'età tardo antica e medioevale. Le origini della collezione risalgono al 1898, quando Paolo Orsi, direttore del Museo archeologico di Siracusa, donò dieci reperti provenienti dagli scavi di Megara Iblea al gabinetto di archeologia dell'Università di Catania. La collezione fu implementata da Guido Libertini (oggetti acquistati negli anni 1920, ventuno calchi in gesso di statuaria antica appartenuti a Giulio Emanuele Rizzo, ottenuti tra il 1948 e il 1950, e il recupero di una collezione numismatica donata nel 1783 da monsignor Salvatore Ventimiglia all'ateneo catanese). Dopo la morte di Libertini nel 1953 fu formalizzata la donazione di oggetti antichi e della sua biblioteca personale all'Università.

Sicilia - Catania, Antiquarium regionale del Teatro romano

 
L'Antiquarium regionale del Teatro romano è sito nel parco archeologico greco-romano di Catania. Nato su progetto dell'architetto Giuseppe Pagnano tra il 1999 e il 2001 si sviluppa in due diverse strutture: a sud-est, ricavato negli ambienti d'ingresso su via Vittorio Emanuele II, nell'ex Casa Pandolfo, e a nord-est, nei locali dell'ex Casa Liberti, su via Teatro Greco.
Negli ex locali di una palazzina settecentesca, Casa Pandolfo, a sua volta costruita sui resti della scena del teatro, sono esposti in tre ambienti i frammenti decorativi recuperati nelle campagne di scavo, che si succedono dal 1997 al 2007, per lo sgombero delle strutture originali dagli edifici sorti nei secoli su di esse. Qui un primo allestimento è dedicato ai fregi di maggior rilievo recuperati ed esposti momentaneamente, con l'apertura parziale del Teatro, in attesa dell'apertura totale del monumento.
Al di sotto del piano pavimentale degli ambienti si rinvennero i resti di una struttura medioevale, di cui rimangono visibili tracce del pavimento a mattonelle esagonali, una parete in senso est-ovest e lo stipite delle porte.
Tra i reperti diversi capitelli di II e III secolo, frammenti decorativi di edifici medioevali e barocchi, trabeazioni e colonne, incisioni lapidee e bassorilievi figurati, nonché frammenti statuari (notevoli una testa muliebre ed un piede con calzare). Tra tutti rimane di elevato interesse un guanciale di poltrona marmorea configurato a delfino. Di quest'ultimo esemplare era possibile seguirne le varie fasi di restauro avvenute sotto la direzione dell'allora sovrintendente Maria Grazia Branciforti.
Tra gli altri esemplari, tra cui teste marmoree di figure muliebri e di fanciulli, spicca una Leda col Cigno, copia Romana di un originale Greco attribuito a Timoteo (360 a.C.).
La Casa Libérti, donata alla memoria e alla custodia civica dal precedente proprietario cui deve il nome, occupa una porzione a nord della summa cavea ed è, insieme alla Casa del Terremoto, l'unico edificio risparmiato dall'opera di sbancamento e di liberazione del teatro avvenuta a iniziare dalla metà del XX secolo. Vi si accede mediante una pittoresca scalinata del XIX secolo attraverso un cortile comune con l'area espositiva denominata Casa dell'Androne e con una parte del teatro in cui vennero ricavate abitazioni del XVI secolo di cui rimangono due eleganti portali rinascimentali.
La Casa Libérti ospita i rinvenimenti effettuati dal 1980 al 2008, recuperati nell'area occupata dal Teatro e negli scavi effettuati nelle vicinanze, e si sviluppa su sei ambienti, organizzati secondo un criterio cronologico che abbraccia un arco temporale dalla Preistoria (asce e accette mesolitiche, facies di Malpasso e di Castelluccio[non chiaro]) all'età tardoantica (ambiente I), dall'epoca bizantina al Basso Medioevo (ambiente II), fino al XVIII (ambiente III) e al XIX secolo (ambiente V). L'ambiente IV ospita l'eccezionale rinvenimento del corredo proveniente dalla Casa del Terremoto, costituito da ceramiche di metà e fine del XVII secolo (in prevalenza piatti in maiolica), i piatti di un bilancino in bronzo e un'anfora medioevale. Infine l'ambiente VI conserva la cucina a legna di Casa Liberti, un antico lavatoio e vari elementi di interesse prettamente antropologico relativo alla vita domestica a cavallo tra Ottocento e Novecento.

Sicilia - Catania, Terme dell'Indirizzo


Le Terme dell'Indirizzo, insieme alle Terme della Rotonda, alle Terme Achilliane, alle Terme di Piazza Dante e alle Terme di Sant'Antonio (note anche come Bagni Sapuppo), sono uno dei tanti complessi termali romani della città di Catania. Situate in piazza Currò a poca distanza dalla Cattedrale e da Castello Ursino, esse risalgono probabilmente alla tarda età imperiale (III-V secolo d.C.), e sono spesso indicate come uno dei bagni romani meglio preservati in Europa.
Le Terme dell'Indirizzo prendono il nome dalla vicina chiesa di Santa Maria dell'Indirizzo e dall'annesso convento dell'Ordine dei Carmelitani dell'Antica Osservanza, oggi Istituto Comprensivo 'Amerigo Vespucci'. Chiesa e convento, a loro volta, devono il loro nome ad una nota leggenda secondo la quale, nel 1610, Don Pedro Téllez-Girón, duca di Osuna e Viceré di Sicilia, sarebbe riuscito a scampare ad una terribile tempesta grazie all'apparizione di una luce che l'avrebbe guidato verso un approdo sicuro.
Gli archeologi sono concordi nell’affermare che le Terme dell’Indirizzo vadano datate alla tarda età imperiale (III-V secolo d.C.). Adiacente al porto e situata in un quartiere a forte vocazione commerciale, la struttura potrebbe essere stata utilizzata in epoca medievale come bottega. All’inizio del XVII secolo, il terreno su cui insistono le terme fu affidato ai Padri Carmelitani Riformati (o Scalzi), fino a quel momento di stanza nella chiesa di Santa Maria in Mano Santa, nell’attuale zona di Piazza Dante. Fonti dell’epoca identificano erroneamente nella struttura un’ecclesia o “Palazzo di Città”, un luogo pubblico destinato a riunioni e consigli. Inglobati all’interno del monastero carmelitano ed utilizzati inizialmente come magazzino, i ruderi furono studiati nel ‘700 dal Principe di Biscari Ignazio Paternò Castello, che li interpretò correttamente come resti di un impianto termale, e che così ne parla nel suo celebre Viaggio per tutte le antichità di Sicilia:
Seguitando il Viaggiatore ordinatamente il suo giro per la Città, si porterà al Convento de’ PP. Carmelitani sotto il titolo di Monte Santo, volgarmente chiamato dell’Indirizzo. Qui gli sarà mostrato dalla cortesia di quei Religiosi una bellissima stanza ottagona coperta di maestevole cupola, formata di riquadrate pietre tutte d’uguale altezza; in maniera che sembra composta di tante regolari zone. Questo edifizio è certamente un Laconico, lo che non si potea con certezza affermare fino all’anno 1779., restandone allora la maggior parte sepolta, ed impiegati i siti adjacenti in varj Oratorj per uso di diverse Congregazioni di devote secolari Persone: ma per Regale volontà sloggiate quelle, e sgombrata la terra, porgeranno il piacere al Viaggiatore di osservare il luogo della fornace; il passaggio per andarvi a farne uso; porzione del sotterraneo, che ricevea il calore del fuoco, e come questo da per tutto si comunicava. Quindi passando gradatamente sotto il pavimento delle stanze collaterali, troverà un sito provvisto di tali circostanze, che gli fanno credere un luogo comune, il tutto in buono stato, e conservazione.
I resti delle terme tornarono ad essere pienamente visibili solo negli anni Trenta del secolo scorso, e furono oggetto di un primo restauro negli anni Ottanta. Ulteriori studi e restauri sono stati condotti tra il 2011 e il 2013.


Per quanto di piccole dimensioni, il complesso termale dell’Indirizzo è uno dei meglio conservati dell’intero Impero Romano. Oggi ne rimangono in piedi cinque vani e diversi ambienti secondari. L’ingresso avviene da un ambiente rettangolare normalmente identificato come apodyterium (spogliatoio). Sulla parete settentrionale (entrando sulla destra) si scorge una piccola nicchia che dovette servire da vespasiano. Un’apertura sulla parete ovest conduce ad un secondo ambiente rettangolare, probabilmente un frigidarium. Come l’apodyterium, anche il frigidarium è attraversato da un canale che dovette servire a garantire il deflusso delle acque. A sinistra del frigidarium si trova un ambiente trapezoidale che, al pari dell’annesso vano rettangolare a sud dell'apodyterium, dovette fungere da tepidarium. Le due aperture che collegano l’apodyterium al frigidarium e al secondo tepidarium sono entrambe sormontate da un architrave monolitico in pietra calcarea. Blocchi simili sono stati rinvenuti nella limitrofa via Zappalà Gemelli e fanno parte, probabilmente, dell’antica cinta muraria della città. Dal tepidarium rettangolare, attraverso un’apertura sulla parete meridionale, si accede alla sala principale della struttura, il calidarium. Tale ambiente, a pianta ottagonale, è sormontato da una cupola che sfiora i 10 metri d’altezza. L’illuminazione nel calidarium era assicurata da diverse aperture su due ordini – ma si noti l’assenza di aperture sui lati esposti a settentrione. Attorno al calidarium si aprono tre vasche rettangolari, in una delle quali è ancora possibile osservare le suspensurae che dovettero sorreggere il pavimento. Tra la vasca occidentale ed il tepidarium trapezoidale si trova infine un piccolo vano (laconicum) destinato alla sudorazione.

Sicilia - Catania, Anfiteatro romano

 

L'anfiteatro romano di Catania, di cui è visibile solo una piccola sezione nella parte occidentale della piazza Stesicoro, è una imponente struttura costruita in epoca imperiale romana, probabilmente nel II secolo, ai margini settentrionali della città antica, a ridosso della collina Montevergine che ospitava il nucleo principale dell'abitato. La zona dove sorge, ora parte del centro storico della città, in passato era adibita a necropoli. Esso fa parte del Parco archeologico greco-romano di Catania. Il monumento fu probabilmente costruito nel II secolo; la data precisa è incerta, ma il tipo di architettura fa propendere per l'epoca tra gli imperatori Adriano e Antonino Pio.
Appare evidente un ampliamento datato intorno al III secolo che ne triplicò di fatto le dimensioni.


Una leggenda popolare infondata vuole che l'eruzione dell'Etna del 252 lo abbia raggiunto senza però distruggerlo. Tale tradizione si basa sulla vita di Sant'Agata riportata negli Acta Sanctorum del Bollando, dove è riportato che ad un anno esatto dalla morte della santa (251) un fiume di fuoco si diresse alle porte della città, e i villani - preoccupati per le loro campagne - giunsero alla tomba di Sant'Agata per prelevarne il velo mortuario, usandolo per arrestare l'avanzata della lava. Tale fonte, del tutto agiografica, indusse persino autorevoli vulcanologi come il Gemmellaro ad interpretare erroneamente l'anfiteatro (il quale si trovava alle porte della città) quale punto in cui si arrestò la lava. Recenti studi stratigrafici e di datazione hanno dimostrato chiaramente che la cosiddetta "colata lavica di Sant'Agata" del 252 ebbe origine dal cono del Monpeloso, e, riversandosi quasi per intero nel territorio di Nicolosi, si fermò nel territorio di Mascalucia, a 450 m s.l.m., in direzione di Catania, ma senza mai raggiungerla. L'unica traccia di una colata presso l'anfiteatro è una sporgenza lavica che si affaccia da uno dei fornici murati dell'edificio; quando però nel '900 fu compiuto un carotaggio sulle pareti dell'ambulacro interno per cercare di capire cosa vi fosse al di là, da esso fluirono liquami "a vagonate", segno evidente che il corridoio è vuoto: il frammento di roccia vulcanica sporgente è con tutta probabilità materiale di riempimento per la gittata delle fondazioni della facciata della sovrastante chiesa di San Biagio.
Secondo quanto riferisce Cassiodoro, nel V secolo Teodorico, re degli Ostrogoti, concesse agli abitanti della città di utilizzarlo quale cava di materiale da costruzione per l'edificazione di edifici in muratura a motivo dell'abbandono del monumento "per lunga vetustà". Secondo alcuni autori, nell'XI secolo anche Ruggero II di Sicilia ne trasse ulteriori strutture e materiali per la costruzione della cattedrale di Sant'Agata, tra cui le colonne in granito grigio che decorano il prospetto e le absidi, su cui si riconoscerebbero ancora le pietre perfettamente tagliate usate, forse, anche nel Castello Ursino in età federiciana.
Nel XIII secolo, secondo la tradizione, furono adoperati i suoi vomitoria (gli ingressi) da parte degli Angioini per accedere alla città durante la cosiddetta guerra dei Vespri. Nel secolo successivo gli ingressi furono murati e il rudere venne inglobato nella rete di fortificazioni Aragonese (1302). Nel 1505 il senato cittadino fece concessione a Giovanni Gioeni di usare le pietre del monumento per la costruzione di abitazioni e per usarne l'arena quale giardino. Una messa in sicurezza del rudere si ebbe con il piano di costruzione delle mura della città nel 1550; vennero abbattuti il primo e il secondo piano e con le stesse macerie avvenne il riempimento delle gallerie. Dopo il terremoto del 1693 fu definitivamente sepolto, per poi essere trasformato in piazza d'armi. In seguito vennero sfruttati gli estradossi delle gallerie superstiti come fondamenta per le nuove abitazioni, nonché per la facciata neoclassica della chiesa di San Biagio, nota anche come 'A Carcaredda, cioè la fornace.
Dalla seconda metà del XVIII secolo l'anfiteatro fu oggetto di scavi archeologici, che tuttavia non ne preservarono gli ambienti ormai ipogei: i fornici vennero murati e sfruttati come pozzi neri per i palazzi della ricostruenda città. Tale uso sembra essere la causa dell'indebolimento della struttura di cui nel 2014 è stato denunciato il pericolo di collasso in un'interrogazione parlamentare del 1º aprile di quell'anno[10], in cui venne ripreso ciò che già era stato portato all'attenzione dell'opinione pubblica a seguito di una videoinchiesta della testata giornalistica CTzen. Il 24 aprile dello stesso anno si è costituito un primo tavolo tecnico per stabilire un programma di recupero del monumento, mettendo contemporaneamente in sicurezza il quartiere sorto nei secoli sopra le sue strutture. In precedenza, solo nei primissimi anni del XX secolo si era operato un lavoro di ricostruzione atto all'apertura per le visite, con la realizzazione dello scavo di piazza Stesicoro e la creazione di un percorso poi sfruttato solo occasionalmente.
Nel 1943, durante il bombardamento degli Alleati che ridusse parte della città in cumuli di macerie, la struttura (tanto l'ambulacro interno quanto gli stessi pozzi neri) venne adoperata a mo' di rifugio. Successivamente si sono susseguiti periodi di interesse e di abbandono; per molti anni, i suoi cunicoli sotterranei sono rimasti chiusi per generici "problemi di sicurezza" a seguito di presunti episodi tragici legati alla curiosità di visitatori che provavano ad esplorarli. Ristrutturato nel 1997, fu aperto solo durante la stagione estiva e poi richiuso per infiltrazioni di reflui delle fognature delle case limitrofe all'interno dell'anfiteatro. Parzialmente risanato, nel luglio 1999 è stato riaperto al pubblico, per poi essere chiuso nuovamente poco tempo dopo a causa di peggioramenti delle sue condizioni. I suoi resti, rappresentanti quasi un decimo dell'intero anfiteatro, sono visitabili dall'ingresso di piazza Stesicoro e dal vico Anfiteatro, dove se ne vede l'altezza fino a parte del terzo piano. Fino al 2007 era possibile vederne una porzione del secondo piano da Via del Colosseo; oggi è interamente coperto dal nuovo terrazzo di villa Cerami. In quest'ultimo edificio, sede oggi della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Catania, è ancora possibile vedere parte del sistema d'archi che collegava l'Anfiteatro alla collina Montevergine (probabilmente l'antica acropoli della città). La restante parte dell'anfiteatro è ancora interrata sotto le zone di via Neve, via Manzoni e via Penninello.
«Siccome l'Anfiteatro è il testimonio più grande dell'antica Catanese grandezza, così fissi in esso il Forastiere i primi suoi sguardi.» (Ignazio Paternò Castello, in "Viaggio per tutte le antichità della Sicilia")
Il primo a parlare della presenza di un anfiteatro romano a Catania è il Fazello, primo anche a stabilirne le dimensioni inferiori al solo Colosseo di Roma. In seguito, autori come Ottavio D'Arcangelo o Giovanni Battista de Grossis ne proposero fantasiose ricostruzioni che hanno comunque il valore di essere i primi rilievi dell'edificio.
Nel XVIII secolo il principe di Biscari, per fugare ogni possibile dubbio sulla sua reale esistenza a Catania nel passato, che alcuni visitatori stranieri avevano decisamente negato, impiegò consistenti somme del suo denaro per eseguire degli scavi e, in due anni, ne portò a giorno un intero corridoio e quattro grandi archi della galleria esterna. Nel XIX secolo gli scavi erano ancora visitabili dall'ingresso su via del Colosseo (che il popolino chiamava - e chiama tuttora - Catania Vecchia), e su di essi si ricamava ogni tipo di leggenda. Tra tutte, quella di una scolaresca che, insinuatasi nelle strutture per una visita, non ne era più uscita.
Nel 1904, durante l'amministrazione De Felice, si iniziarono i lavori per riportarlo alla luce, ad opera dell'architetto Filadelfo Fichera; questi vennero conclusi due anni più tardi. In questa occasione fu messa in luce una profonda e misteriosa precinzione, probabilmente ampliamento tardo dell'edificio, che impediva ai posti più prossimi all'arena di vedere bene lo spettacolo, riduceva le dimensioni dell'arena, ma permetteva una migliore prospettiva per un piano supplementare, verosimilmente quello aggiunto nel corso del III secolo. Nel 1907 si svolse la cerimonia di apertura, a cui fu presente anche il re Vittorio Emanuele III. In seguito, già nel primo dopoguerra, l'Anfiteatro venne lasciato decadere nuovamente, al punto che molti edifici soprastanti ne usarono i cunicoli come fognatura.
Nel corso degli ultimi anni ha subìto ancora chiusure e riaperture; tra la fine del 2007 e l'inizio del 2008 sono stati effettuati rilievi tecnici per appurare lo stato di conservazione delle strutture dei pilastri esterni. In questa occasione si è potuta verificare la presenza di un rifacimento e di un ampliamento della struttura in seconda fase e si è eseguito un nuovo rilievo che ha potuto condurre ad una ricostruzione virtuale dell'edificio maggiormente aderente alla realtà rispetto alle ardite elaborazioni del D'Arcangelo.
L'edificio presentava la pianta di forma ellittica, l'arena misurava un diametro maggiore di 70 m ed uno minore di circa 50 m. I diametri esterni erano di 125 x 105 m, mentre la circonferenza esterna era di 309 metri e la circonferenza dell'Arena di 192 metri, e si è calcolato che poteva contenere 15.000 spettatori seduti e quasi il doppio di quella cifra con l'aggiunta di impalcature lignee per gli spettatori in piedi. Addossato alla vicina collina ne era separato da un corridoio con grandi archi e volte che facevano da sostegno per le gradinate. Era probabilmente prevista anche una copertura con grandi teli per il riparo dal forte sole o nel caso di pioggia. La cavea presentava 14 gradoni. Venne costruito con la pietra lavica dell'Etna ricoperta da marmi ed aveva trentadue ordini di posti. Secondo una tradizione incerta e priva di riscontri si vuole vi si svolgessero anche le naumachie, vere battaglie navali con navi e combattenti dopo averlo riempito di acqua mediante l'antico acquedotto.
L'anfiteatro di Catania, strutturalmente il più complesso degli anfiteatri siciliani e il più grande in Sicilia, appartiene al gruppo delle grandi fabbriche quali il Colosseo, l'anfiteatro di Capua, l'Arena di Verona. Presenta una struttura realizzata con muri radiali e volte non addossata al terreno, dove la facciata non si appoggia direttamente ai muri radiali, bensì a una galleria di distribuzione periferica. La tecnica edilizia prevede l'uso dell'opera vittata per le parti interne e quadrata per l'esterno. Le testate dei pilastri sono in opera quadrata con piccoli blocchi di pietra lavica.
I paramenti denotano una certa trascuratezza: i blocchetti dell'opera quadrata sono a taglio irregolare e appaiono in buona parte di riporto. Gli archi sono realizzati esternamente con grossi mattoni rettangolari dal taglio regolare e uniti da malta di buona qualità, mentre internamente sono fatti in opera cementizia a grosse scaglie radiali.
Singolare, nonostante la complessiva sobrietà dell'edificio, doveva apparire il contrasto cromatico tra la scurissima pietra lavica dei paramenti e il rosso dei mattoni delle ghiere degli archi. Una nota di prestigio era rappresentata dall'utilizzo del marmo, non solo per il rivestimento del podio, ma anche per alcune decorazioni come le erme ai lati dell'ingresso principale dell'arena. Molto probabilmente le gradinate dovevano essere in pietra calcarea realizzando un forte gioco cromatico tra il bianco dei sedili e il nero delle scalette, così come supponibile dalle costruzioni coeve.
Allo scavo dell'Anfiteatro si accede mediante una porta di ferro decorata ad archetti traforati nel registro superiore e totalmente liscio nel registro inferiore. A decorazione del portone metallico vennero recuperati nel 1906 alcuni frammenti di colonne marmoree che in origine dovevano costituire parte del loggiato superiore, due capitelli ionici frammentari e parte di un architrave su cui fu incisa la scritta AMPHITHEATRVM INSIGNE. L'ingresso è così formato: al centro il portone metallico i cui stipiti sono le colonne con capitello, coronato dall'architrave; le restanti due colonne sono situate nelle due estremità laterali e inserite tra queste e quelle centrali vi sono due pareti in pietra recanti gli epitaffi simbolici di due illustri personaggi di epoca greca legati a questa zona - Caronda a sinistra, ricordato anche dall'omonima via; Stesicoro a destra, che diede nome in antico alla via Etnea - composti dal poeta Mario Rapisardi. La tradizione vuole che il sepolcro di costoro fosse propriamente nella zona prossima all'anfiteatro.


Sicilia - Catania, Terme della Rotonda



 Le Terme della Rotonda sono uno dei numerosi complessi termali della Catania romana. Costruite tra il I ed il II secolo d.C., esse sorgono a poca distanza dal teatro romano e dall'odeon. In epoca bizantina, sui ruderi delle terme sorse la Chiesa di Santa Maria della Rotonda, che preserva ancora al proprio interno affreschi medievali e barocchi di pregevole fattura.
Il nome Rotonda deriva dalla singolare struttura architettonica della chiesa, formata da una grande cupola a tutto sesto circondata da contrafforti e posta su un edificio a perimetro quadrato all'interno del quale è ricavata un'aula circolare. L'edificio è spesso indicato col toponimo de La Rotonda (o La Ritonda) nelle vedute cittadine del Cinquecento e del Seicento. Diversi antiquari secenteschi (Giovanni Battista de Grossis e Ottavio D'Arcangelo, tra gli altri) si riferiscono all'edificio anche con il nome di Pantheon. Fino al XVIII secolo, in effetti, era diffusa l'opinione, in realtà infondata, che la cupola della Rotonda fosse servita da modello per il celebre edificio romano.
Secondo recenti studi, frutto di campagne di scavo condotte nel 2004-2008 e nel 2015, la struttura termale, sorta in un'area già frequentata nell'Eneolitico iniziale, risalirebbe nel suo primitivo impianto al I-II secolo d.C. Ingrandita nel corso del III secolo d.C. (epoca di notevole arricchimento per la città di Catania) la struttura venne poi abbandonata e trasformata in chiesa in epoca bizantina, verso la fine del VI d.C. Insieme alla Cappella Bonajuto, La Rotonda rappresenta dunque una delle pochissime tracce della Catania bizantina.
Probabilmente dedicato al culto della Madonna sin dal suo sorgere, l'edificio di culto venne orientato originariamente in senso nord-sud. Dal IX secolo, a ridosso della chiesa e tra le rovine delle terme, sorse un'ampia area cimiteriale destinata ad essere intensamente utilizzata fino al XVI secolo. Al terremoto del 1169, che danneggiò il presbiterio bizantino, risalgono il cambio di orientamento (da nord-sud a est-ovest), l'apertura dell'ingresso con portale ad ogiva e la realizzazione di un'abside ad esso contrapposta. La chiesa venne successivamente adeguata a cappella funebre per figure di rango elevato, ed è stato ipotizzato che possa provenire proprio dalla Rotonda il monumento funebre trecentesco di Federico Maletta oggi conservato al Museo Civico di Castello Ursino. Nel Cinquecento, con la realizzazione di un nuovo ingresso con portale rinascimentale, l'orientamento tornò ad essere nel senso nord-sud.
Una prima menzione dell'edificio si trova in alcuni frammenti dell'opera di Lorenzo Bolano sulle antichità di Catania riportati dal Carrera nelle sue Memorie historiche della città di Catania. Ottavio D'Arcangelo lo cita nei suoi manoscritti del 1633 e nota che «è a tutta volta fabbricata tanto la cupola maggiore quanto le otto in forma di cappellette che vi sono attorno in figura quadra». L'edificio fu a lungo ritenuto il più antico tempio cristiano di Catania, e comune era la credenza che l'edificio fosse già stato consacrato alla Madonna nel 44 d.C. In epoca moderna, come già accennato, molti storici lo credettero un Pantheon pagano 'a tutti i Numi consacrato'. Tale tradizione, seppur errata, mantenne per quasi tre secoli il suo fascino, almeno fino a D'Orville e agli studi del Principe di Biscari, che per primo identificò l'edificio quale ambiente termale di epoca romana. Come si evince da un passo del Viaggio per tutte le antichità della Sicilia, il Principe di Biscari credette, per la precisione, che le terme della Rotonda facessero parte di un vastissimo complesso comprendente anche le terme di Piazza Dante:
Trovandosi il Viaggiatore in questo sito poco lontano scoprirà un'antica robusta fabbrica, convertita in uso di Chiesa sotto titolo di S. Maria della Rotonda, prendendo tal nome dalla circolare sua figura. Si accorgerà facilmente il medesimo, che questo edificio era Ottagono nella sua pianta, che sostenea la cupola circolare; e che ne' lati era aperto con più archi, che oggi restano chiusi, riducendolo esternamente in figura quadrata. Dalla parte, dov'è oggi l'Altar Maggiore, era attaccato ad altra fabbrica di maggior estensione. La sua situazione fa credermi essere questo una parte delle vaste Terme; di cui rovinati residui restano sepolti la maggior parte nella Piazza avanti il Monasterio de' PP. Benedettini, ed altresì a queste credo appartenere una stanza a volta circondata da un acquedotto, che si osserva oggi attaccata alla Chiesa de' PP. Minoriti sotto il titolo della Concezione servendosene di Cappella dedicata a S. Cataldo.
I bombardamenti aerei del 1943 devastarono la vicina chiesa di Santa Maria della Cava, risalente al Settecento, e causarono numerosi danni anche alla Rotonda stessa (andarono perdute, ad esempio, le merlature del prospetto meridionale ancora visibili in diverse fotografie degli anni '30). Tra gli anni quaranta e cinquanta vennero quindi effettuati alcuni lavori di consolidamento delle strutture. La direzione dei lavori fu affidata a Guido Libertini, che non risparmiò però né le strutture ecclesiastiche né alcuni preziosi affreschi pur di mettere in luce le strutture romane. Libertini suggerì la seguente cronologia:
  • un livello ellenistico-romano con i resti delle sue costruzioni termali, oggi meglio identificato con le strutture del I secolo;
  • un rimaneggiamento di età imperiale che diede all'ambiente la forma circolare del calidarium - in realtà la struttura circolare risale all'epoca bizantina;
  • un altro rimaneggiamento di età romana più tarda;
  • il pavimento bizantino;
  • alcune trasformazioni di età medievale;
  • la sistemazione più recente che risale al XVII o al XVIII secolo.
Tra il 2004 e il 2008 l'edificio e l'area ad esso adiacente furono interessati da un nuovo ciclo di scavi volti a preservare e studiare la struttura e ad assicurarne la fruibilità. Durante questa campagna di scavo furono rinvenute numerose tombe, e fu possibile identificare con certezza nove ambienti termali ed ipotizzarne molti altri al di sotto delle vicine Via Rotonda e Via della Mecca. Vennero inoltre messi in luce l'abside di età sveva e diversi affreschi precedentemente coperti da un anonimo intonaco monocromo. Oltre a rivelare le diverse fasi di vita dell'edificio, i lavori hanno anche permesso il riconoscimento del ciclo di pitture che decoravano gli interni della chiesa, riconducendo a datazioni più corrette quelle più antiche. Nel 2015 è stato espropriato e sottoposto a scavi e restauri tutto l'isolato a nord della chiesa, anch'esso danneggiato dai bombardamenti del 1943. Durante questa campagna di lavori, che hanno liberato la visuale della cupola dal lato nord, permettendone la vista da via dei Gesuiti, sono stati messi in luce un imponente castellum aquae collegato ad un ramo dell'acquedotto romano di Catania e trasformato in edificio al servizio della chiesa verso la fine del VI secolo, ed una corte quadrangolare circondata da esedre che costituiva l'originario ingresso alla Rotonda di epoca romana.
Le terme romane
La struttura termale, sorta fra I e II secolo d.C. e più volte rimaneggiata fino alla tarda antichità, è costituita da un insieme di ambienti quadrangolari, circolari e misti, connessi tra loro. L'ambiente principale è rappresentato da una grande sala absidata orientata in direzione nord-sud (numero 1 nella planimetria a fianco). Riconducibile al primissimo impianto termale, tale ambiente fu usato probabilmente come frigidarium. Sul lato est si trova un grande ambiente ad ipocausto, caratterizzato da numerose suspensurae che, in origine, sorreggevano un pavimento a mosaico di cui si è rinvenuta qualche traccia. Identificato come calidarium, tale ambiente venne in un secondo momento suddiviso in più vani di minori dimensioni. Ad ovest della grande sala absidata si apre un vasto ambiente pavimentato con grandi lastre marmoree, su cui si rinvennero diverse tombe di epoca medievale, alcune realizzate distruggendo il pavimento stesso. A sud si aprono diversi altri ambienti appartenenti alla fase del II-III secolo: due piccole sale circolari (forse delle saune - numero 4 nell'immagine a destra) con pavimenti ad ipocausto, e un probabile tepidarium. Altri ambienti quadrangolari si trovano a nord, nell'area poi occupata dalla chiesa. Appartengono al complesso termale anche le strutture che si trovano a nord della chiesa, costituite da un imponente castellum aquae e da una corte circondata da esedre che fungeva da ingresso principale alle terme.
Santa Maria della Rotonda
La struttura più appariscente è tuttavia quella dell'ex Basilica di Santa Maria della Rotonda, ricavata riadattando il complesso verso la fine del VI secolo. L'edificio, a pianta quadrata, presenta due ingressi - uno a sud, con un portale in calcare del Cinquecento, l'altro a ovest, con portale di stile gotico in pietra lavica del Duecento - e due aree presbiterali ad essi corrispondenti: un presbiterio in forma di triclinium, circondato da angusti corridoi che fungono da deambulacro si apre verso nord, mentre a est si apriva un piccolo catino absidale di cui rimane una porzione dell'alzato. Al centro dell'edificio quadrato si apre un ambiente circolare, del diametro di 11 metri, coperto da una cupola a tutto sesto. L'ambiente circolare è circondato da grandi arcate che danno accesso a nicchie ed esedre che fungevano da cappelle. Sopra la cupola, un lucernaio ad archetto fungeva da campanile, mentre a decorazione dell'esterno si poteva osservare fino agli anni quaranta una merlatura tutto intorno al perimetro. A est della chiesa si aprivano alcuni ambienti, usati come sagrestia, danneggiati dai bombardamenti aerei e oggi usati come atrio d'ingresso al complesso monumentale.
Affreschi 

I "restauri" effettuati da Guido Libertini intorno alla metà del secolo scorso hanno sfortunatamente causato la distruzione di buona parte degli affreschi che ricoprivano un tempo le pareti interne della Chiesa di Santa Maria della Rotonda. Ciononostante, il presbiterio conserva ancora pregevoli affreschi medievali. Nell'arco d'accesso all'abside occidentale (a sinistra, entrando nel presbiterio) sono conservati due affreschi. Il primo, a destra, rappresenta con tutta probabilità San Nicola e risale al XII secolo. Altri studi lo identificano invece, ma l'interpretazione sembra meno probabile, con San Gregorio Taumaturgo, vescovo di Neocesarea. Il secondo affresco, sulla sinistra, è certamente più tardo (XIII secolo) e rappresenta San Leone Taumaturgo, vescovo di Catania - la didascalia Ο ΑΓΙΟΣ ΛΕΟΝ, in caratteri greci, è chiaramente leggibile sulla sinistra. Sulla parete orientale del presbiterio sono invece visibili tracce di una Vergine Annunciata anch'essa del XIII secolo e frammenti di decorazioni bizantine. Nei triangoli d'imposta della cupola sono visibili affreschi barocchi (secolo XVIII) rappresentanti i Santi Pietro, Paolo, Agata, Lucia e gli Evangelisti Luca, Matteo, Marco, Giovanni. Sulle pareti che chiudevano le arcate pure vi erano diverse figure, rimosse durante i restauri degli anni '40-'50 del Novecento, delle quali sopravvive ancora l'immagine di Sant'Omobono. Alla base della cupola una lunga iscrizione anulare in latino
«Ciò che la pietà dei Catanesi aveva eretto all'inutile superstiziosa venerazione di tutti gli dei questo stesso tolto l'errore della falsa religione negli stessi primordi della nascente fede San Pietro Principe degli Apostoli consacrò nell'anno di grazia 44 a Dio Ottimo Massimo e alla sua genitrice ancora vivente nell'anno II di Claudio Imperatore»

Pianta del complesso. Legenda: verde: ruderi del primitivo impianto (I-II secolo d.C.); blu: struttura delle Terme romane di epoca antonina (monumentalizzazione del II-III secolo d.C.). 1= grande sala absidata con vasca (frigidarium) 2= grande sala ad ipocausto (calidarium) 3= ambienti (vasche?) 4= piccolo ambiente a doppio circolo ad ipocausto 5= grande area pavimentata in opus sectile arancio: rifacimento e riduzione delle strutture in età tardoantica; nero: ambienti della chiesa di Santa Maria della Rotonda; bianco: sagrestia di fine XVIII secolo ricavata in un ambiente forse rinascimentale, oggi ingresso e area di accoglienza visitatori.  

Sicilia - Catania, Odéon

 

L'Odéon di Catania è situato nel centro storico della città etnea, accanto al Teatro Greco. Risalente al II secolo d.C., vi venivano rappresentati spettacoli musicali e di danza, oltre a svolgersi le prove degli spettacoli che si tenevano nel vicino teatro. Ancora oggi è utilizzato per spettacoli estivi.
La costruzione semicircolare, avente una capacità di circa 1500 spettatori, è caratterizzata da diciotto muri che formano cunei stretti e lunghi all'interno dei quali ci sono diciassette (ne restano sedici) vani coperti; l’orchestra è pavimentata in marmo.


Sicilia - Selinunte, Tempio E



Il Tempio E o tempio di Era a Selinunte, in Sicilia, è un tempio greco di ordine dorico.
Fu realizzato verso la prima metà del V secolo a.C. sulle fondamenta di edifici più antichi. Si tratta del tempio meglio conservato di Selinunte, anche se il suo attuale aspetto si deve all'anastilosi (ricostruzione) effettuata, tra le polemiche, nel 1959. Consacrato ad Era, si trova sulla collina ad est dell'acropoli della città.
Il tempio, periptero, appartiene al periodo di transizione tra dorico arcaico e periodo classico e presenta un peristilio con sei colonne sul fronte (esastilo) e quindici sui lati lunghi, avendo per conseguenza una disposizione planimetrica insolitamente allungata. La conformazione planimetrica comprende il naos, piuttosto stretto e senza colonnato interno, il pronao, l'adyton con il pavimento rialzato, ed anche l'opistodomo.
Sono presenti diversi accorgimenti ottici, tipici dell'ordine dorico: la forte rastremazione delle colonne, la contrazione angolare, l'ampliamento delle ultime metope.
Il fregio presenta metope figurate databili intorno al 470 a.C. che mostrano l'evoluzione verso lo stile classico, in particolare quelle che rappresentano Zeus ed Era e Artemide ed Atteone.

(foto di Matthias Süßen)


Sicilia - Selinunte, Tempio C

 


Il Tempio C a Selinunte, Castelvetrano (Sicilia), è un tempio greco di ordine dorico, uno dei più antichi di Selinunte, realizzato, all'interno dell'acropoli, probabilmente poco dopo la metà del VI secolo a.C., anche se la datazione è controversa. Il tempio fu oggetto di ricerche archeologiche nel XIX secolo, e all'inizio del XX secolo, e dopo l'anastilosi (ricostruzione fedele) del 1929, rimane in piedi un lungo tratto di colonnato nord. Dopo un lungo restauro durato 12 anni, nel 2011 il colonnato è stato liberato dalle impalcature e reso nuovamente visibile.
Pur presentando aspetti arcaicizzanti, riprende modelli della madrepatria, come il tempio di Apollo a Corinto, in un periodo in cui si va formando il canone che caratterizza le proporzioni dei templi dorici. L'edificio presenta un peristilio intorno alla cella (periptero) con sei colonne sul fronte (esastilo) e diciassette sui lati lunghi, dando luogo a proporzioni molto allungate in pianta, lontane dalle proporzioni canoniche di 2:1, ma analoghe a quelle dei templi arcaici come l'Heraion di Olimpia. Una rampa di otto gradini occupava tutta la larghezza della facciata, mentre il resto del basamento, a quattro gradini come a Corinto, seguiva una regola che in Sicilia rimase costante. Dalla parte del pronao presentava una doppia fila di colonne non in relazione con le dimensioni della cella. L'opistodomo era trasformato in un vano posteriore alla cella (adyton), come divenne comune per i templi dorici della Magna Grecia. Le colonne erano piuttosto slanciate (altezza 8,65 metri), e gli intercolumni larghi e luminosi in facciata mentre sui lati lunghi si assiste ad una diminuzione molto sensibile delle campate; anche i diametri delle colonne variano moltissimo seguendo un ritmo elastico poco ligio all'uniformità rispetto alle regole dell'ordine dorico già allora rigide nella Grecia continentale. Stesso vigore ed esuberanza si riscontra nelle parti alte: la trabeazione era insolitamente alta con un cornicione fatto di due filari di blocchi in pietra sormontati da una grondaia (sima) in terracotta decorata e colorata, di cui sono stati rinvenuti alcuni tratti, conservati al Museo archeologico regionale Antonio Salinas, così come alcune metope del fregio, molto note. Gli scavi iniziarono nel 1823 quando due architetti inglesi, Samuel Angell e William Harris, iniziarono a scavare a Selinunte nel corso del loro tour in Sicilia e si imbatterono in diversi frammenti delle metope dal tempio arcaico oggi chiamato come “Tempio C.” Benché le autorità borboniche avessero cercato di fermarli, costoro continuarono il loro lavoro e cercarono di spedire i loro reperti in Inghilterra, per il British Museum. Nell'ombra delle attività di Lord Elgin, le spedizioni di Angell e Harris furono bloccate e dirottate a Palermo dove da allora si conservano nel Museo archeologico di Palermo.
Le 10 metope della facciata scolpite ad altorilievo erano incorniciate in alto e in basso da lastre piatte che ne facevano risaltare il vigore plastico ed erano separate da triglifi fortemente aggettanti rispetto al piano delle metope stesse. Ne sopravvivono integralmente tre dove la presentazione dei soggetti (quadriga trattata arditamente di fronte, Perseo e Medusa che scaturiscono dal fondo della metopa - nella foto -, Eracle e i Cercopi che passano come su una scena) fa appello a effetti teatrali che si accordano alla struttura architettonica del fregio. Al centro del timpano in facciata era applicata una maschera di Gorgone in terracotta.

Sicilia - Selinunte, Tempio F

 

Il Tempio F a Selinunte, in Sicilia, è un tempio greco di ordine dorico.
Era probabilmente dedicato a Dioniso o ad Atena ed è il più meridionale della collina orientale, che accoglie alcuni dei templi dell'antica città greca.
La datazione è piuttosto incerta e risale probabilmente alla metà del V secolo a.C.
Il tempio presentava 6 colonne sul fronte e 14 colonne sui fianchi e rappresentava una evoluzione dagli schemi arcaici molto allungati alle proporzioni più equilibrate che si stavano affermando allora in madrepatria, e che prevedevano il rapporto di 2:1 tra lato corto e lato lungo. Il colonnato conteneva un pteroma molto ampio, come era comune nei templi costruiti in Sicilia, ed una cella piuttosto stretta con un adyton sul retro e pronao sul davanti preceduto da 4 colonne.
Gli intercolumni della peristasi erano chiusi con alte transenne in muratura. La transenna, alta oltre metà dell'altezza delle colonne, forse fu realizzata in una seconda fase costruttiva, forse allo scopo di trasformare la peristasi in vero e proprio luogo di culto.
Se si eccettua le colonne della facciata, ai fusti delle colonne manca l'entasi.
Nel 1823, durante gli scavi, vi furono rinvenute due mezze metope in tufo raffiguranti rispettivamente Dioniso e Atena oggi conservate nel Museo archeologico regionale di Palermo.

Sicilia - Selinunte, Tempio G

 

Il Tempio G a Selinunte, in Sicilia, è un tempio greco di ordine dorico, il più grande dell'occidente greco dopo il Tempio di Zeus Olimpio di Akragas, l'odierna Agrigento (dimensioni 45,97x109,12).
Posto sulla collina orientale che accoglie i resti di alcuni dei templi dell'antica città greca, era probabilmente dedicato ad Apollo. La datazione è piuttosto incerta tra il VI ed il V secolo a.C. La costruzione fu probabilmente effettuata in periodi diversi andando incontro anche a modifiche estetiche passando dalla facciata ad est, più arcaica, a quella ovest, di ispirazione più classica. Non è mai stato ultimato e oggi è completamente in rovina se si eccettua una colonna ricostruita denominata, per la sua forma, "fuso della vecchia".
Il tempio presentava 8 colonne sul fronte e 17 sui fianchi. Il peristilio circondava un naos suddiviso in 3 navate. Viene ipotizzato anche a causa delle dimensioni che si trattasse di un tempio ipetrale, cioè non coperto.
Per anni fra gli archeologi è stato intenso il dibattito sulla cosiddetta anastilosi del Tempio G, cioè la sua ricostruzione con elementi integralmente originali. Tale ipotesi, avversata da alcune personalità dell'archeologia, era stata invece caldeggiata in passato dall'archeologo Sebastiano Tusa. Le indagini iniziano nel 2010, dirette dell'archeologo Mario Luni e con la collaborazione di Valerio Massimo Manfredi: è di quel periodo un primo modello virtuale di anastilosi dell'intero edificio. Successivamente anche Vittorio Sgarbi, da assessore dei Beni Culturali della Sicilia, aveva ipotizzato l’anastilosi del Tempio G con un finanziamento interamente affidato a sponsor privati. Tuttavia, anche a seguito delle polemiche, questo non prese mai corpo. Nel 2022 la Regione Siciliana, su impulso di Alberto Samonà, assessore regionale dei Beni culturali, annuncia che da oltre un anno è all'opera un gruppo di lavoro di archeologi composto da Valerio Massimo Manfredi, Claudio Parisi Presicce e Oscar Mei, e di avere finanziato il progetto, che prevede il restauro e la ricomposizione di 3 gigantesche colonne del lato meridionale del tempio, di cui sarebbero individuati gli elementi strutturali. Colonne che nel progetto della Regione Siciliana saranno rialzate e ricollocate con i relativi capitelli. 

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...