martedì 3 giugno 2025

GRECIA - Tempio di Afaia

 

Il tempio di Afaia nell'isola greca di Egina è un tempio dedicato alla dea locale dell'isola.
Il culto nel sito, testimoniato da numerose statuette femminili, risale probabilmente già al XIV secolo a.C., in epoca minoica e si sviluppò in particolare nella tarda età del bronzo sub-micenea.
Un altare datato a circa l'anno 700 a.C. e altre strutture di servizio indicano la presenza delle prime costruzioni nel santuario in epoca tardo-geometrica. In quest'epoca il tempio, probabilmente costruito su uno zoccolo (crepidoma) in pietra con muri in mattoni crudi e copertura in legno, poteva trovarsi sotto quello successivo e doveva essere di dimensioni inferiori.
Un primo tempio in pietra venne costruito intorno al 570 a.C. con un pronao a quattro colonne (prostilo tetrastilo) e un adyton sul retro. All'interno la cella era divisa in tre navate da colonnati dorici su due ordini.
Il tempio era circondato da un muro in mattoni crudi su uno zoccolo di pietra, dotato di un propileo di ingresso a sud-est e un'alta colonna coronata da una sfinge sul lato nord-est. Una terrazza pavimentata collegava il tempio al più antico altare.
Il tempio e il santuario vennero distrutti da un incendio intorno al 510 a.C. e i blocchi in pietra vennero riutilizzati come riempimento per realizzare un'ampia terrazza sopra la quale venne costruito il nuovo tempio.
Il nuovo edificio si presentava esastilo periptero, di ordine dorico, con 6 colonne sulla fronte e 12 sui lati lunghi. La cella presentava un ingresso (pronao) distilo in antis e, simmetricamente, un opistodomo sul retro; era come quella precedente divisa in navate da colonnati su due ordini. Le tegole del tetto e le antefisse erano in marmo e così gli acroteri: agli angoli delle sfingi e al centro un acroterio vegetale fiancheggiato da due figure femminili. Quasi tutti i fusti del colonnato esterno (peristasi) erano monolitici.
Il sito era menzionato nella Periegesi della Grecia del geografo Pausania nel II secolo d.C.. Nel 1811 le sculture frontonali, cadute a terra, furono rimosse da Charles Robert Cockerell e dal barone Otto Magnus von Stackelberg e, con la mediazione del barone Carl Haller von Hallerstein furono spedite per mare in Germania e vendute al principe ereditario di Baviera, che poi sarebbe divenuto il re Luigi I.
Scavi sistematici furono condotti nel sito agli inizi del XX secolo ad opera di Adolf Furtwängler e tra il 1966 e il 1979 ad opera di Dieter Ohly, continuati dopo la sua morte da Erns Ludwig Schwandner e da Martha Ohly fino al 1988: nel corso di questi scavi furono rinvenuti i resti del primo tempio in pietra, la cui trabeazione è stata in parte ricostruita nel locale museo.

Il tempio della seconda fase era dotato di una ricca decorazione frontonale: i gruppi scultorei di entrambi i lati est ed ovest sono conservati alla Gliptoteca di Monaco, dove sono stati restaurati e ricomposti dallo scultore neoclassico danese Bertel Thorvaldsen.
Entrambi i frontoni mostrano al centro la figura della dea Atena (alla quale Afaia era assimilata), e ai lati gruppi di combattenti, con gli angoli del frontone occupati da guerrieri caduti e armi abbandonate, rappresentanti le imprese troiane degli eroi locali: dalla ninfa Egina e da Zeus sarebbe nato infatti il primo re dell'isola, Eaco, padre di Telamone, da cui nacque l'eroe omerico Aiace Telamonio, e di Peleo, padre di Achille.
Le sculture conservano notevoli tracce di pittura, che hanno permesso di ricostruire il completamento pittorico nella scultura greca, e si presentano perfettamente rifinite anche sul lato rivolto verso l'interno del frontone, sebbene questo non fosse visibile.
In seguito allo studio delle tracce lasciate dalle cavità per i perni che dovevano fissare le sculture, si ritiene che fossero esistiti tre gruppi frontonali: sul lato est il gruppo originario e la cornice sovrastante sarebbero stati rimossi e sostituiti con un altro gruppo prima del completamento dell'edificio. Il frontone occidentale si data infatti intorno al 510-500 a.C.; il frontone est verso il 490-480 a.C. Non è chiaro perché quest'ultimo fosse stato sostituito. Altri frammenti di sculture frontonali, rinvenuti nel 1901, e poi ancora nel corso di ulteriori campagne di scavo, sono stati infatti attribuiti a due diversi gruppi scultorei, ugualmente datati al 510-500 a.C. che rappresentavano un'Amazzonomachia e il rapimento della ninfa Egina da parte di Zeus: è stata avanzata l’ipotesi[senza fonte] che essi facessero parte di composizioni create inizialmente per il frontone orientale del tempio, messe in opera solo parzialmente e poi smontate, per motivi che ci sfuggono, e rimontate successivamente presso l'altare, dove in effetti restano ancora due basi allungate.
Le sculture frontonali di Egina sono comunque frutto di un progetto unitario, opera di due scultori, o di due scuole, che riflettono una diversa sensibilità artistica. Lo scultore del frontone ovest e delle prime versioni del frontone est, che è probabilmente anche l'ideatore di tutto il ciclo scultoreo, continua la maniera arcaica, con tutti i suoi valori di perfezione astratta; una ventina d'anni dopo, lo scultore del frontone orientale ripropone lo stesso soggetto mettendo in atto la nuova estetica che sfocerà, di lì a poco, nello stile severo.
Il nuovo edificio si presentava esastilo periptero, di ordine dorico, con 6 colonne sulla fronte e 12 sui lati lunghi. La cella presentava un ingresso (pronao) distilo in antis e, simmetricamente, un opistodomo sul retro; era come quella precedente divisa in navate da colonnati su due ordini. Le tegole del tetto e le antefisse erano in marmo e così gli acroteri: agli angoli delle sfingi e al centro un acroterio vegetale fiancheggiato da due figure femminili. Quasi tutti i fusti del colonnato esterno (peristasi) erano monolitici.
Il sito era menzionato nella Periegesi della Grecia del geografo Pausania nel II secolo d.C.. Nel 1811 le sculture frontonali, cadute a terra, furono rimosse da Charles Robert Cockerell e dal barone Otto Magnus von Stackelberg e, con la mediazione del barone Carl Haller von Hallerstein furono spedite per mare in Germania e vendute al principe ereditario di Baviera, che poi sarebbe divenuto il re Luigi I.
Scavi sistematici furono condotti nel sito agli inizi del XX secolo ad opera di Adolf Furtwängler e tra il 1966 e il 1979 ad opera di Dieter Ohly, continuati dopo la sua morte da Erns Ludwig Schwandner e da Martha Ohly fino al 1988: nel corso di questi scavi furono rinvenuti i resti del primo tempio in pietra, la cui trabeazione è stata in parte ricostruita nel locale museo.
Il tempio della seconda fase era dotato di una ricca decorazione frontonale: i gruppi scultorei di entrambi i lati est ed ovest sono conservati alla Gliptoteca di Monaco, dove sono stati restaurati e ricomposti dallo scultore neoclassico danese Bertel Thorvaldsen.
Entrambi i frontoni mostrano al centro la figura della dea Atena (alla quale Afaia era assimilata), e ai lati gruppi di combattenti, con gli angoli del frontone occupati da guerrieri caduti e armi abbandonate, rappresentanti le imprese troiane degli eroi locali: dalla ninfa Egina e da Zeus sarebbe nato infatti il primo re dell'isola, Eaco, padre di Telamone, da cui nacque l'eroe omerico Aiace Telamonio, e di Peleo, padre di Achille.
Le sculture conservano notevoli tracce di pittura, che hanno permesso di ricostruire il completamento pittorico nella scultura greca, e si presentano perfettamente rifinite anche sul lato rivolto verso l'interno del frontone, sebbene questo non fosse visibile.
In seguito allo studio delle tracce lasciate dalle cavità per i perni che dovevano fissare le sculture, si ritiene che fossero esistiti tre gruppi frontonali: sul lato est il gruppo originario e la cornice sovrastante sarebbero stati rimossi e sostituiti con un altro gruppo prima del completamento dell'edificio. Il frontone occidentale si data infatti intorno al 510-500 a.C.; il frontone est verso il 490-480 a.C. Non è chiaro perché quest'ultimo fosse stato sostituito. Altri frammenti di sculture frontonali, rinvenuti nel 1901, e poi ancora nel corso di ulteriori campagne di scavo, sono stati infatti attribuiti a due diversi gruppi scultorei, ugualmente datati al 510-500 a.C. che rappresentavano un'Amazzonomachia e il rapimento della ninfa Egina da parte di Zeus: è stata avanzata l’ipotesi che essi facessero parte di composizioni create inizialmente per il frontone orientale del tempio, messe in opera solo parzialmente e poi smontate, per motivi che ci sfuggono, e rimontate successivamente presso l'altare, dove in effetti restano ancora due basi allungate.
Le sculture frontonali di Egina sono comunque frutto di un progetto unitario, opera di due scultori, o di due scuole, che riflettono una diversa sensibilità artistica. Lo scultore del frontone ovest e delle prime versioni del frontone est, che è probabilmente anche l'ideatore di tutto il ciclo scultoreo, continua la maniera arcaica, con tutti i suoi valori di perfezione astratta; una ventina d'anni dopo, lo scultore del frontone orientale ripropone lo stesso soggetto mettendo in atto la nuova estetica che sfocerà, di lì a poco, nello stile severo.




GRECIA - Tomba di Galerio a Salonicco

 


La tomba di Galerio a Salonicco è un mausoleo romano di forma circolare, trasformato in chiesa, la cosiddetta "rotonda di San Giorgio", sotto Teodosio I. La rotonda (in greco Ροτόντα Rotónda) di Galerio a Salonicco, in seguito fu chiamata Hagios Geórgios (Άγιος Γεώργιος) in onore della cappella di San Giorgio di fronte, è una struttura a cupola di epoca romana costruita in connessione con l'Arco di Galerio. L'edificio situato a nord di via Egnatia, a est del centro città, noto anche come Georgsrotunda, è stato nominato dai viaggiatori nel XVIII e XIX secolo. In epoca turca si chiamava Eski Metropol. La rotonda fa parte del patrimonio culturale mondiale UNESCO dei monumenti paleocristiani e bizantini di Salonicco.
L'edificio appartiene ad un nucleo che comprende il palazzo e l'ippodromo, come riscontrato ad esempio a Spalato, Costantinopoli e Nicomedia. Non fu mai utilizzato: il corpo di Galerio infatti, ormai già decomposto a causa di una gangrena che lo portò alla morte, fu interrato in Dacia. Come nel caso della colonna di Traiano, che accoglieva nel basamento le ceneri di Traiano, la tomba imperiale fu collocata eccezionalmente all'interno delle mura cittadine.
L'edificio fu probabilmente convertito nel IV secolo sotto l'imperatore Costantino I o Teodosio I in una chiesa cristiana dedicata agli Incorporei (Asomaton; ναός των Ασωμάτων), che a volte fungeva da chiesa metropolitana ed era decorata con mosaici.
Nel 1590 la rotonda fu trasformata in moschea (Hortaç Efendi Camii) e all'edificio fu aggiunto un minareto. Gli oggetti di valore e le icone furono trasferiti nella piccola Cappella di San Giorgio a ovest della Rotonda.
Quando Salonicco passò sotto il dominio greco nel 1912, la rotonda divenne di nuovo una chiesa, ma nel 1917 divenne il Museo macedone. Il minareto era l'unico rimasto a Salonicco. Nel 1978 l'edificio fu danneggiato da un terremoto e da allora è stato restaurato. Nel 1999 la rotonda è stata riaperta come museo, anche se la Chiesa greco-ortodossa rivendica ancora l'edificio. Nell'abside orientale si trova ancora un altare consacrato.
La calotta centrale è decorata con mosaici raffiguranti teste di Cristo e angeli, mentre il tamburo ospita pannelli allusivi alla Gerusalemme celeste. Tra i particolari della complessa architettura interna, alcune edicole riferibili a parti absidali di altre chiese, con raffigurazioni di simboli e dogmi in discussione nei dibattiti teologici dell'epoca, tra cui una colomba con corona (Trinità, Dio, Impero), alcune pecore (fedeli) e l'agnello (Cristo).

GRECIA - Olimpia, Nike di Peonio

 
La Nike di Peonio, conosciuta anche come Nike in volo, è una statua in marmo pario realizzata da Peonio di Mende, alta 216 cm e databile al 425-420 a.C. circa. È conservata nel Museo archeologico di Olimpia.
Come indicato dall’iscrizione ancora leggibile sulla base:
"Μεσσάνιοι καὶ Ναυπάκτιοι ἀνέθεν Διὶ / Ολυμπίωι δεκάταν ἀπὸ τῶν πολεμίων
Παιώνιος ἐποίησε Μενδαῖος / καὶ τἀκρωτήρια ποιῶν ἐπὶ τὸν ναὸν ἐνίκα"
“I Messeni ed i Naupatti dedicarono questa statua a Zeus Olimpio come decima del bottino di guerra. La realizzò Peonio di Mende, che vinse la competizione per scolpire gli acroteri sul tempio di Zeus”
L’opera, che si trovava di fronte al tempio di Zeus in cima ad un pilastro alto 9 metri, era infatti stata voluta da due dei popoli vincitori della battaglia di Sfacteria, combattuta contro gli Spartani. Per questo la scultura rappresenta Nike, la dea greca della vittoria. Sarebbe divenuta un modello per raffigurazioni analoghe, come la celebre Nike di Samotracia.
Venne ritrovata in occasione degli scavi condotti ad Olimpia nel 1875-1876. Dai tanti frammenti raccolti si riuscì a ricostruire gran parte dell’originale, anche se attualmente mancano ancora il volto, il collo, le ali, gli avambracci, parte della gamba sinistra, alcune dita dei piedi e diverse sezioni del vestito.
La dea viene colta nell’atto di planare a terra: in origine con la mano sinistra doveva tenere un lembo dell’himation gonfiato dal vento. Il rapido movimento schiaccia anche il peplo contro il corpo di cui si indovinano chiaramente le forme, esaltate dalla tecnica del cosiddetto “panneggio bagnato”, mentre gamba e seno sinistro sono lasciati nudi nell’impeto del volo. Questo stile di rappresentazione della veste ha fatto assegnare lo scultore all’ambito postfidiaco ed allo “stile ricco”.
La superficie della statua era dipinta e i colori originali dovevano accentuare l’effetto di chiaroscuro. Sotto i suoi piedi era visibile un’aquila (animale sacro a Zeus) in volo laterale.


GRECIA - Olimpia, Hermes con Dioniso

L'Hermes con Dioniso è una scultura in marmo pario (h. 215 cm) di Prassitele, databile al 350-330 a.C. circa e conservata nel Museo archeologico di Olimpia. La critica è divisa su chi la considera opera originale e chi la ritiene invece una copia ellenistica dell'originale perduto. Lo Stato greco firmò nel 1874 un accordo con l'Impero Tedesco per l'esplorazione archeologica di Olimpia. Gli scavi, condotti da un team tedesco, furono avviati nel 1875 sotto la direzione di Ernst Curtius. L'8 maggio 1877, tra le rovine dell'Heraion, venne rinvenuta la scultura di Hermes col fanciullo Dioniso, citata da Pausania proprio in quel sito. Protetta da uno strato di argilla, si presentò in ottime condizioni conservative, nonostante alcune parti lacunose. Altri frammenti vennero scoperti poco dopo, tra cui il tronco su cui la statua si appoggia, coperto da un ampio drappo, e del piedistallo.
Di non facile soluzione è il problema attributivo. Se l'uso del marmo pario distingue la statua dalle copie di epoca romana, alcuni dettagli tecnici, come l'uso del trapano nei capelli o i segni di particolari scalpelli sulla schiena e sul tronco (la sgorbia e la gradina), farebbero pensare a un'opera più tarda, ellenistica. Nonostante queste considerazioni non è possibile stabilire se tali espedienti fossero stati sperimentati magari da Prassitele stesso.
Potrebbe essere che la statua sia stata fatta da Prassitele stesso per due motivi:
- Pausania il Perigeta, un noto scrittore greco, disse di aver visto questa statua nel tempio di Zeus a Olimpia, dove è stata ritrovata dai tedeschi.
- Il marmo è scolpito così delicatamente da sembrare dipinto.
È quindi possibile che questa statua sia stata fatta dalle mani dello stesso Prassitele.
A Hermes mancano l'avambraccio destro, due dita della mano sinistra, entrambe le gambe dalle ginocchia alle caviglie, il piede sinistro e il pene; al neonato Dioniso mancano le braccia, a parte la mano destra appoggiata sulla spalla di Hermes, e la punta del piede destro.
Secondo la mitologia greca, Dioniso era il figlio di Zeus e di Semele, una mortale, figlia di Cadmo, re di Tebe. Spaventata da una dimostrazione di forza di Zeus, Semele morì di paura e il dio, sapendo che era incinta, le prese il bambino dal ventre e lo portò nella coscia; dopo sei mesi nacque Dioniso, che venne affidato alle cure del fratello Hermes. È probabile che la statua venne fatta come un'allegoria della pace tra gli abitanti di Elide, che aveva Hermes come patrono, e Arcadia, che aveva per patrono Dioniso.
Il tema del rapporto tra uomo e bambino era forse già stato trattato dal padre di Prassitele, Cefisodoto, come ricorda Plinio. Hermes, nudo, si sporge verso il fanciullo seduto sull'avambraccio sinistro, mentre il destro è sollevato, forse per distrarre il bambino con un grappolo d'uva. Le divinità sono calate in un contesto affettuoso e quotidiano, come nessuno prima di Prassitele aveva fatto, e la tradizionale verticalità della figura è abbandonata in favore di forme più sinuose e sbilanciate, tanto che in questo caso è necessaria la presenza del sostegno a sinistra.
Per la prima volta Prassitele si concentra sugli sguardi dei due personaggi, tanto da far risultare una scena intensa.
Grande attenzione è riservata alla psicologia dei personaggi, dagli sguardi lontani e malinconici.
Il sapiente trattamento del marmo genera un forte colorismo, soprattutto nei capelli e nella chioma del dio adulto, riprendendo una caratteristica di Fidia. Il panneggio appare morbido e leggero. La scultura rappresenta anche molta umanità ed un rapporto fraterno tra il dio e il fanciullo.


GRECIA - Atene, Apollo del Pireo


L'Apollo del Pireo è una statua bronzea risalente al VI secolo a.C. (forse agli anni 530-520 circa), attualmente esposta al museo archeologico del Pireo ad Atene.
Questa statua è stata trovata in un magazzino al porto del Pireo, assieme ad altri due bronzi di Artemide e ad uno di Atena; erano con molta probabilità in attesa di venire esportate verso l'Italia. L'"Apollo" è realizzato in bronzo direttamente tramite fusione cava, sarebbe uno dei primi esempi ad essere stato fatto utilizzando questa tecnica (inventata intorno al 550 a.C.). L'Apollo presenta sulla sua coscia sinistra una fessura dovuta all'ossidazione causata dall'umidità nell'argilla che costituisce il nucleo della scultura.
Apollo era il dio dell'ordine ideale e dell'equilibrio; le raffigurazioni di giovani maschi nudi conosciuti come kouros si ritiene possano essere delle sue rappresentazioni-tipo. Questa scultura in bronzo sembra appartenere all'ultima fase dello sviluppo della tipologia molto formalistica e statica caratteristica dei kouroi, una sopravvivenza del periodo arcaico (640-580 a.C.)

GRECIA - Atene, Moscoforo

 
Il cosiddetto Moscoforo (in greco antico: μοσχοφόρος, moschophóros, da μόσχος, "vitello", e φέρω, "portare": "portatore di vitello") è una scultura greca in marmo dell'Imetto di età arcaica (570-560 a.C. circa), alta 162 cm e conservata nel Museo dell'Acropoli ad Atene. La statua fu rinvenuta sull'Acropoli di Atene nel 1863 negli scavi a sud-est dell'Acropoli nella cosiddetta colmata persiana, ovvero il terrapieno in cui erano stati sepolti tutti i resti dei monumenti distrutti dai Persiani nel 480 a.C. L'occasione della dedica fatta ad Atena è incerta: potrebbe trattarsi del vincitore di una gara che aveva come premio un vitello o di un sacrificio in onore della dea.
La figura originariamente era policroma, con occhi di pasta vitrea, avorio e osso. Il viso dell'uomo presenta il cosiddetto "sorriso arcaico" (utile per l'arrotondamento degli occhi e della bocca) e lo sguardo dritto, opposto allo sguardo abbassato del vitello. I muscoli sono ben torniti ed hanno una superficie fluida e levigata, collegata alle cadenze lineari del sottilissimo mantello che ricade con due lembi decorativi sul davanti. Da notare la disposizione chiastica delle braccia del giovane e delle zampe del vitello sulle sue spalle, che contribuisce a serrare il rapporto tra le due figure, le partiture orizzontali dell'addome e le forme corporee (specie delle spalle) ben definite, il mantello che addolcisce le linee e crea una continuità tra il gomito e il bacino in una morbida linea di contorno. Come osserva H. Payne, qui, la struttura prevalentemente cubica del kouros greco sembra per la prima volta smorzarsi in una maggiore volontà di lavorazione a tutto tondo.


GRECIA - Atene, MAN / Relitto di Anticitera

 

Il relitto di Anticitera è quanto rimasto di un naufragio avvenuto dinnanzi all'isola di Anticitera, presso capo Glyphadia, nel secondo quarto del I secolo a.C.. Il relitto fu scoperto nel 1900 da un gruppo di pescatori di spugne e ne furono tratti numerosi importanti reperti archeologici, tra cui vari capolavori dell'arte greca.
Nell'ottobre del 1900 un gruppo di pescatori di spugne condotti dal capitano Dimitrios Kondos aveva deciso di attendere presso l'isola che passasse la violenta tempesta che aveva ostacolato il loro rientro in Grecia dall'Africa. Mentre aspettavano, decisero d'immergersi in cerca di spugne. A quel tempo i cercatori di spugne s'immergevano indossando scafandri da palombaro con interfodere ed elmetti di rame, che consentivano loro di immergersi più in profondità e più a lungo. Il primo a posare lo sguardo sul relitto, giacente ad una profondità di 60 m fu Elias Stadiatis, che chiese immediatamente di essere tirato su. Egli descrisse la scena come un cumulo di cadaveri decomposti di uomini e di cavalli, giacenti sul fondo marino. Pensando che la troppa anidride carbonica gli avesse dato alla testa, il comandante Kondos s'immerse personalmente, tornando in superficie poco dopo con il braccio di una statua di bronzo (foto in alto). In attesa che la tempesta calasse, i pescatori di spugne asportarono dal relitto quanti più manufatti di piccole dimensioni potevano.
In accordo con il Ministero greco della Cultura e la Marina militare greca, i pescatori di spugne trassero dalle acque numerosi manufatti. Verso la metà del 1901 I pescatori recuperarono statue, fra le quali la "testa di filosofo" (foto a sinistra), un lanciatore di disco, il bronzeo efebo di Anticitera, risalente a circa 340 anni a.C. (oggi conservato nel Museo archeologico nazionale di Atene - foto di apertura in alto), un Eracle, un toro marmoreo, una Lira e molti altri oggetti.
Il 17 maggio 1902, l'ex ministro della Cultura, Spyridon Stais, fece la scoperta più sensazionale: esaminando i manufatti portati presso il Museo archeologico nazionale di Atene, si accorse che numerosi pezzi di bronzo corrosi presentavano iscrizioni e ruote dentate. L'insieme prese il nome di Macchina di Anticitera (foto in basso a destra). All'inizio pensò che si trattasse di una delle prime forme di orologio meccanizzato o di un astrolabio, a quel tempo considerato il più antico elaboratore analogico noto, sebbene esso sia tecnicamente un'avanzata macchina calcolatrice.
In alcune recenti pubblicazioni che si occupano della meccanismo di Antikythera, il nome di Spyridon Stais è stato confuso con quello dell'archeologo Valerios Stais, lo scopritore di quel ritrovamento archeologico.
Il decesso di parecchi pescatori per malattia da decompressione pose fine al lavoro in loco nella prima parte del XX secolo. L'ufficiale di marina francese ed esploratore del mare Jacques Cousteau si sarebbe più tardi immerso per cercare altri manufatti antichi nel relitto.
Il recupero dei manufatti effettuato nel corso di due anni aveva avuto successo, ma la datazione del relitto si rivelò difficile e richiese molto più tempo.
Sulla base di opere analoghe di provenienza nota, alcune statue in bronzo poterono essere datate al IV secolo a.C., mentre le statue in marmo si rivelarono copie del I secolo a.C. di opere precedenti.
Alcuni studiosi hanno supposto che la nave stesse trasportando da Atene nell'86 a.C. in Italia parte del bottino del generale Lucio Cornelio Silla. Tale teoria ha avuto origine da un riferimento dello scrittore greco Luciano di Samosata ad una nave di Silla affondata in quella zona. A favore di una datazione nel I secolo a.C. sono stati utensili domestici e altri oggetti del relitto, simili ad altri ritrovamenti di quel periodo. Le anfore indicano una data fra l'80 ed il 70 a.C., le stoviglie ellenistiche sono databili fra il 75 ed il 50 a.C. e le ceramiche romane erano simili a quelle provenienti dalla metà del I secolo a.C. Le ultime monete ritrovate negli anni settanta da Jacques Cousteau sono databili tra il 76 ed il 67 a.C.. Si ritiene che la nave oneraria affondata stesse facendo rotta verso Roma con un tesoro, per arricchire una parata trionfale programmata per Gaio Giulio Cesare.
Resti di tavole dello scafo mostrarono che la nave era stata costruita in olmo, un legno spesso usato dagli antichi romani per le loro navi. Infine, nel 1964 un campione delle tavole di legno dello scafo fu sottoposto a datazione con il Carbonio-14, che indicò la data del 220 a.C.± 43 anni. Questa differenza emersa fra la datazione a radiocarbonio e quella attesa, basata sulle ceramiche e sulle monete, si spiega col fatto che la tavola dalla quale fu estratto il campione provenisse da un albero tagliato molto prima del naufragio della nave.
Ulteriori evidenze per una datazione del naufragio al I secolo a.C. emersero nel 1974, quando il professore dell'Università di Yale, Derek de Solla Price, pubblicò la sua interpretazione della Macchina di Anticitera. Egli sostenne che fosse un elaboratore calendariale. Dalla sistemazione degli ingranaggi e dalle scritte sul meccanismo, egli concluse che era stato costruito verso l'87 a.C. e perso solo pochi anni dopo.
Nel 2012 l'archeologo marino Brendan P. Foley della Woods Hole Oceanographic Institution, negli Stati Uniti d'America ottenne l'autorizzazione dal governo greco a condurre nuove ricerche in immersione intorno ai profondi fondali di Anticitera. I sommozzatori iniziarono un'attività preliminare di due settimane nell'ottobre 2012 utilizzando respiratori di tipo Rebreather che consentono di immergersi più a lungo a elevate profondità. Ciò ha permesso un esame completo del luogo ove giace il relitto di Anticitera. Inoltre i sommozzatori cercarono più in profondità, lungo i versanti adiacenti al luogo del naufragio per provare a localizzare altri reperti fuoriusciti dal relitto ad opera di correnti marine. Le ricerche di Foley sono condotte insieme ad altri archeologi, fra i quali Theotokis Theodoulou, dell'Agenzia greca per le ricerche archeologiche marine.
Ogni reperto nuovo può aiutare ad identificare la nave romana che affondò e fornire ulteriori chiarimenti sul suo viaggio; i ricercatori sperano di trovare altri piccoli pezzi della Macchina di Anticitera, ma le probabilità sono piuttosto basse. Inoltre sperano di localizzare ed ispezionare altri relitti di navi affondate sulle secche dell'isola, compresi quelli della nave da guerra britannica HMS Nautilus, che affondò nei paraggi nel 1807 e localizzata nel giugno 2012.
Nel 2013 i reperti trovati furono esposti al Museo archeologico nazionale di Atene.
L’esplorazione dell’area del naufragio è proseguita con diverse campagne nel 2014-2016 ed infine nel settembre del 2017 consentendo non solo il recupero di numerosi materiali relativi sia al carico che al relitto, ma anche di individuare alcuni resti ossei umani, tra cui una parte significativa dello scheletro di un individuo presumibilmente da riferire ad un membro dell’equipaggio. La campagna di ricerca del 2017, oltre che consentire il recupero di nuovi frammenti di statue, sia in bronzo che in marmo, e di numerosi altri reperti, ha permesso di individuare ulteriori porzioni significative della struttura della nave.

GRECIA - Atene, Apollo dell'Omphalos

 
L'Apollo dell'Omphalos (in greco antico Ἀπόλλων ἐπὶ τοῦ Ὀμφαλού) è una statua romana in marmo e datata al II secolo, copia di un originale greco bronzeo del 460-450 a.C..[1] L'opera raffigura Apollo, dio della musica, della medicina e della profezia, ed è caratterizzata dallo stile tipico della scultura greca arcaica. Attualmente si trova al Museo archeologico nazionale di Atene.
La scultura fu rinvenuta nel teatro di Dioniso, all'interno dell'Acropoli di Atene, nel 1862. Fu denominata Apollo dell'Omphalos poiché si riteneva poggiasse su una base a forma di onfalo. Non fu ritrovata intera, ma in numerosi frammenti, successivamente ricomposti; presenta, inoltre numerosi segni di danneggiamenti.
Si ritiene possa essere stata scolpita da Calamide o da Onata di Egina. Fu anche ipotizzata l'attribuzione a Pitagora di Reggio, ma è stata ampiamente rigettata.
La statua è realizzata in marmo pentelico ed è alta circa 176 centimetri. Apollo è rappresentato nudo, in posizione eretta saldamente appoggiato sulla gamba destra, mentre la sinistra appare rilassata e leggermente piegata all'altezza del ginocchio. La posizione chiastica che assume porta anche le natiche a curvarsi verso destra. I suoi capelli sono composti da ciocche spesse e pesanti riccioli, raccolti parzialmente da due trecce legate attorno alla testa.
L'Apollo si rifà all'arte greca arcaica, deducendo ciò dall'acconciatura, dalla posa rigida, dalle spalle ampie, dalla testa più piccola e dall'espressione piuttosto vacua; ciononostante, la composizione del corpo evidenzia la grande conoscenza e percezione della natura che caratterizzava lo scultore.
La statua è stata ritrovata in vari frammenti, come nel caso dei piedi dalle caviglie in giù e delle braccia al di sotto dei gomiti. Il naso e la bocca sono mancanti, mentre parti delle cosce e della parte superiore del braccio sinistro necessitarono di un restauro.


GRECIA - Atene, Ermes di Aigio

 
L'Ermes di Aigio (in greco Ερμής του Αιγίου) è una statua in marmo a grandezza naturale, raffigurante il dio greco Ermes, messaggero degli dei. Fu rinvenuta nella cittadina di Aigio, in Acaia, intorno alla metà del XIX secolo ed è attualmente conservata presso il Museo archeologico nazionale di Atene. La particolarità si riscontra nel suo stato di conservazione, date le condizioni pressoché intatte nelle quali è stata ritrovata.
L'Ermes fu realizzato durante l'età augustea, pertanto si qualifica come scultura romana databile tra la fine del I secolo a.C. e i primi tempi del I secolo d.C., all'epoca dell'impero di Augusto. Presumibilmente si trattava di una scultura funeraria. Nel 1860 fu rinvenuta presso Aigio (antica Aegium), da cui trae il suo nome; fu successivamente acquistata dall'istituzione archeologica per 12 000 dracme.
La statua, scolpita nel marmo pentelico, si presenta a grandezza naturale, essendo alta ben 171 centimetri. Sebbene si tratti di una produzione di epoca romana, mostra delle caratteristiche chiaramente riconducibili all'area di influenza lisippea.
Ermes si mostra in posizione eretta, con un evidente contrapposto: il peso, infatti, è scaricato sulla gamba sinistra, mentre la destra è rilassata e piegata all'altezza del ginocchio, portata leggermente di lato e dietro. Una clamide cade dalla sua spalla sinistra, si avvolge intorno al braccio sinistro e resta sospesa sul supporto in marmo situato accanto alla figura, che in questo caso viene scolpito con sembianze di tronco d'albero. Nella mano destra Ermes stringe un sacchetto, la cui parte superiore è andata perduta; nella sinistra impugna il caduceo, completamente mancante. La sua testa, dalla forma ideale, mostra un volto dai lineamenti duri, ed è inclinata a sinistra; le ciocche dei capelli, corti e arruffati, sono scolpite a forma di mezzaluna e incorniciano il suo viso piuttosto in basso, sulla fronte.
La figura presente delle affinità con l'Ermes di Atalanti e con l'Ermes di Andro, sebbene sia considerata di qualità inferiore.


GRECIA - Atene, Ermes di Atalanti

 
L'Ermes di Atalanti (in greco Ερμής της Αταλάντης) è una statua funeraria in marmo, avente come soggetto un giovane rappresentato come Ermes, messaggero degli dèi e psicopompo presso gli antichi Greci. Fu rinvenuta nella città greca di Atalanti, nella Ftiotide, ed è attualmente conservata presso il Museo archeologico nazionale di Atene.
La statua fu concepita come scultura funeraria e posizionata nella tomba di un giovane - perciò si scelse la raffigurazione di Ermes, che è una divinità ctonia - datata al II secolo, anche se presumibilmente si tratta di una copia di una precedente statua risalente al IV secolo a.C. (o quantomeno di un'opera che richiama fortemente lo stile di quell'epoca). Fu scoperta nella piccola cittadina di Atalanti, da cui trae il suo nome, e trasferita ad Atene negli anni sessanta del XIX secolo.
L'Ermes è conservato in maniera pressoché integra, risultando mancanti soltanto le dita della mano sinistra e l'indice della destra. La posizione della statua è chiastica e il peso viene scaricato prevalentemente sulla gamba sinistra, mentre la destra si presenta rilassata. Sul lato sinistro del corpo trattiene una clamide, che dalla spalla cade indietro, poi sul braccio e infine resta sospesa sopra al tronco d'albero, che funge da supporto; per i movimenti da cui è connotato il tessuto, la divinità resta conseguentemente nuda. Il braccio sinistro risulta piegato all'altezza del gomito, mentre quello destro pende liberamente sul lato. Probabilmente teneva degli oggetti in entrambe le mani, ma non si sono conservati (la sinistra impugnava il caduceo, il simbolo più identificativo di Ermes, e la destra un sacchetto).
La testa, leggermente rivolta a destra, presenta una folta capigliatura dalle ciocche corte e arruffate. Sebbene si tratti di una produzione del II secolo, sono visibili alcune chiare caratteristiche lisippee, perciò si può ritenere deliberatamente scolpita seguendo quello stile oppure si tratta proprio di una copia di un originale del IV secolo a.C. La statua, inoltre, ha delle affinità con altre sculture similari rinvenute ad Andro (l'Ermes di Andro) ed Aigio (l'Ermes di Aigio); nella versione di Atalanti si tratta di un'opera considerata precisa, ma eccessivamente severa e formale, priva della naturalezza, della delicatezza e della grazia che contraddistinguono la versione di Andro (sebbene, al contempo, la prima venga comunque ritenuta superiore all'Ermes di Egio).


ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...