giovedì 24 aprile 2025

KERAMOS - Eracle e Atena (Pittore di Andocide)

 
L'anfora di Eracle e Atena è un'anfora di tipo A (h 53,5 cm; diametro 22,5 cm) prodotta in Attica dal Pittore di Andocide, di cui rappresenta uno tra i lavori più noti, databile al 520-510 a.C. Nel 1831 il vaso fu acquistato da Martin von Wagner, un agente di Ludovico I di Baviera, insieme ad altri vasi dello scavo archeologico di Vulci, nell'attuale provincia di Viterbo; ciò significa che i lavori del pittore di Andocide venivano esportati in varie parti del Mediterraneo, tra cui appunto l'Etruria. È conservato a Monaco di Baviera presso lo Staatliche Antikensammlungen (numero di inventario 2301). Trattandosi di un vaso bilingue permette di confrontare i due differenti stili, la ceramica a figure nere e quella a figure rosse, per capire il passaggio avvenuto dall'una all'altra. Il lato a figure rosse fu dipinto dal pittore di Andocide, mentre il lato a figure nere viene da alcuni studiosi attribuito al pittore di Lisippide. Su entrambi i lati vengono rappresentati Eracle ed Atena ad un banchetto. Su quello a figure nere l'eroe è disteso in posizione simposiaca mentre tiene un kantharos (κάνθαρος, una coppa con anse che si estendono in altezza oltre l'orlo) nella mano destra.
Il suo sguardo è diretto ad Atena, che è posizionata di fronte a lui, con indosso l'armatura e l'elmo, e dietro di lei c'è Ermes, che veste i suoi abiti tradizionali, tra cui i sandali alati e il cappello; dietro Eracle c'è un giovane servitore nudo rappresentato nell'atto di utilizzare un dinos, vaso che serviva per mescolare acqua e vino. Di fronte al lettino su cui poggia Eracle è posizionato un piccolo tavolo, il trapeza, sul quale si trovano della carne, del pane e una kylix. Sullo sfondo è possibile osservare una vite che si interpone tra l'eroe e le divinità; le armi di Eracle (un arco, una faretra e una spada) sono rappresentate come appese sulla parete retrostante. Il collo dell'anfora è decorato con una fascia ornamentale a palmette. Questa pittura è caratterizzata da una grande minuzia e attenzione dei particolari, esattamente come nelle pittura di Exekias, maestro del pittore di Andocide.
Il pannello a figure rosse, pur rappresentando la stessa scena, presenta delle differenze, non solo stilistiche: il servo, Ermes e le armi sono assenti, e le viti crescono semplicemente dal terreno; Eracle non è disteso, ma ha il busto alzato dalla kline. La mano destra, invece di tenere il kantharos, che rispetto all'altro lato appare nella mano sinistra, è posata sul ginocchio. Con l'assenza di Ermes e del servo, le due figure sono più isolate. Così la composizione appare più calma e più appropriata per l'incontro dei due personaggi. Il kantharos è l'unico elemento a rimanere nero, e in questo modo risalta di più rispetto all'altra scena. Il kline è percorso in tutta la sua lunghezza da una fascia greca. Le due figure cambiano dal punto di vista anatomico, in particolare Eracle, che non appare più così massiccio come nell'altra versione. La scena è delimitata da cornici e il collo, proprio come nel lato a figure nere, ha un tipo di fascia a palmetta.


KERAMOS - Cratere del Ratto di Europa

 

Il ratto di Europa è uno dei più noti crateri realizzati da Assteas, artista pestano del IV secolo a.C. È stato definito "il vaso più bello del mondo".
L'attribuzione è certa, dato che il ceramografo incise sulla superficie del vaso sia la sua firma che i nomi delle figure dipinte.
Il cratere, appartenente alla tipologia detta "a calice", rientra nel filone della ceramica a figure rosse. È alto circa 70 cm e largo 60 all'apertura.
Sul lato anteriore è rappresentato il mito del ratto di Europa, mentre sul retro è possibile ammirare Dioniso seguito da alcune menadi, un sileno e il dio Pan (tale corteo prende il nome di tiaso).
Il cratere è stato rinvenuto nei primi anni '70 del Novecento a Sant'Agata de' Goti (in provincia di Benevento), città sorta sulle rovine dell'antica Saticula, da un operaio edile, durante dei lavori di scavo per la rete fognaria. Il carpentiere dapprima si appropriò illegalmente del reperto, poi lo portò a casa, fece alcuni autoscatti con una Polaroid a colori e infine lo vendette sul mercato nero per un milione di lire e un maialino.
Il cratere ha poi seguito la filiera di un'organizzazione criminale dedita al traffico internazionale di reperti storici, venendo depositato in Svizzera in attesa di un acquirente. Da qui, "il ratto di Europa" fu venduto al Getty Museum (Malibù, California). In questa sede fu esposto dal 1981 al 2005.
In seguito a lunghe e complesse indagini dell'Arma dei Carabinieri (Comando Tutela Patrimonio Culturale) è stato possibile riportare il cratere in Italia, grazie alla prova schiacciante di un'istantanea Polaroid ritraente il cratere e l'operaio che lo aveva ritrovato anni addietro.
A partire dal 2007 il vaso è stato esposto in diverse città europee: Roma, Montesarchio, Napoli, Paestum, Parigi, Sant'Agata de' Goti, Milano.
Attualmente il cratere è in esposizione presso il Castello di Montesarchio, sede insieme alla Torre del museo archeologico nazionale del Sannio Caudino (in provincia di Benevento), città situata sul territorio dell'antica Caudium.

KERAMOS - Olpe Chigi


L'olpe Chigi è una ceramica greca policroma (h 26 cm) realizzata a Corinto da un anonimo artista intorno al 640 a.C. (tardo protocorinzio) e trovata in Etruria, presso Veio. Già nella collezione Chigi, è custodita presso il Museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma. Capolavoro della pittura policroma del VII secolo a.C. avanzato, l'olpe è un esempio della qualità cui giunse la ceramica del nord-est del Peloponneso convenzionalmente designata come protocorinzia. Quando questa olpe venne prodotta l'artigianato corinzio era in un momento di grande splendore, del quale l'olpe Chigi rappresenta un prodotto singolare e senza seguito: dopo questo vaso la tecnica a figure nere rimase la principale tecnica corinzia e il fregio continuo con animali il tema corinzio per eccellenza.
Corinto era guidata in questi anni dalla dinastia dei Cipselidi (Cipselo dal 657 al 627 a.C., il figlio Periandro dal 627 al 585 a.C.), tiranni che sostennero le arti e la prosperità artistica della città, attirando i migliori artigiani dalle altre poleis greche.
I personaggi della scena che rappresenta il giudizio di Paride sono identificati tramite iscrizioni in un alfabeto non corinzio. Le iscrizioni didascaliche sono un elemento nuovo nella ceramica protocorinzia, una pratica forse in uso nella grande pittura, insieme a policromia e spazialità. L'olpe Chigi fu creata in un periodo caratterizzato da nuove scoperte e sperimentazioni e rappresenta uno degli esperimenti meglio riusciti.
Ad alcuni studiosi è parso riconoscere la mano dell'anonimo artista in altri vasi di dimensioni minori appartenenti allo stesso ambito culturale. L'autore (chiamato convenzionalmente "Pittore dell'Olpe Chigi"), è noto anche con il nome di "Pittore di Ecfanto" (Ecfanto era il nome del pittore che secondo Plinio il Vecchio fu il creatore della pittura policroma, inventata, a suo dire, a Corinto o a Sicione ed è stato identificato anche con il "Pittore di MacMillan", autore di un ariballo a testa leonina della collezione MacMillan del British Museum di Londra.
L'olpe Chigi proviene da una tomba di Formello, vicino a Veio, dove fu ritrovata nel 1882. La tomba era formata da tre camere: la prima saccheggiata da scavi clandestini che ne avevano disperso il materiale, la seconda vuota e la terza, bloccata dal crollo della volta, mai aperta. Quest'ultima conteneva, oltre all'olpe, un'anfora di bucchero (anche questa conservata a Villa Giulia) importante per l'alfabeto etrusco inciso sui suoi fianchi. Altro materiale simile, con la stessa associazione di vasi protocorinzi, anfore di bucchero a spirali e grandi anfore etrusche orientalizzanti, decorate con animali fantastici, si trova in altre due tombe, scavate a Veio e appartenenti alla stessa epoca.
Il vaso sembra mostrare le attività nelle quali i giovani dell'aristocrazia corinzia potevano trovarsi ad essere impegnati e in questo modo indicare quali fossero le virtù che essi dovevano sviluppare.
Il fregio superiore (h 5 cm) rappresenta un combattimento oplitico, all'epoca dell'introduzione della nuova tecnica di combattimento e dell'istituzione della falange, schieramento serrato di opliti in battaglia, che era la forza delle poleis greche e la garanzia dell'integrità dello stato. Nella scena, guerrieri armati con scudi blasonati e lance procedono contro i nemici: la scena ha la stessa vivacità delle scene sottostanti; sulla sinistra, mentre un gruppo di soldati si sta ancora armando, un altro gruppo corre ad unirsi alla schiera già formata, con una asimmetria sottolineata dalla posizione del suonatore di doppio flauto (aulos), leggermente spostato rispetto al centro.
Il fregio centrale riporta scene all'interno di una fascia divisa a metà da una figura di doppia sfinge (o Ker) con unico volto di prospetto: entrambe le entità possiedono accezioni simili legate alla morte e alla liminalità, che ben si addicono alla scena di caccia in cui uno degli uomini viene azzannato dal leone; non è un caso che si realizzi un collegamento verticale con la gorgone – anch'essa legata alla morte – rappresentata nel fregio superiore. A sinistra vi è un corteo con un carro, cavalli e scudieri (hippostrophoi: identificazione proposta da Hurwit, Torelli, D'Acunto) che si sovrappongono.
A destra vi è una sanguinosa caccia al leone in cui sarebbero impegnati, secondo l'interpretazione di D'Acunto, gli uomini (quattro cavalieri ed un possessore del carro, quest'ultimo distinguibile per la cintura portata sul corpo nudo) assenti nella scena a sinistra. Al di sotto dell'ansa si incontra l'unico elemento mitico in un complesso di scene di vita reale: il pittore ha indicato i personaggi con i nomi di Alessandro (Paride), Atena, Afrodite, Era ed Ermes. Grazie alle didascalie a grandi lettere è possibile identificare la scena come la prima raffigurazione del giudizio di Paride.
Nel fregio inferiore, il tipico fregio orientalizzante, con gli animali che si susseguono staticamente, è stato trasformato in una movimentata scena di caccia alla lepre, in mezzo a cespugli che appaiono come agitati dal vento. Oltre alla lepre si scorge una volpe; un cacciatore inginocchiato dietro un cespuglio porta sulle spalle due lepri già catturate e trattiene un cane pronto a slanciarsi.
L'apparato decorativo prevede alcune aree a fondo nero, cui si aggiungono fasce figurate a tecnica policroma sul fondo costituito dall'ingobbio. La composizione è ottenuta con i quattro colori fondamentali (nero, rosso-bruno, bianco e giallo-bruno chiaro, quest'ultimo utilizzato per le carni maschili). Ai colori si aggiungono i particolari, resi mediante l'incisione, come è tipico per la ceramica a figure nere. L'insieme è di grande ricchezza e varietà tonale e vi appare evidente, nei due fregi maggiori, l'interesse precoce per la rappresentazione dello spazio e del movimento. La profondità è suggerita dalla tecnica della sovrapposizione, che indica la presenza di piani differenti: ciò appare particolarmente evidente nella zona che si apre intorno al flautista, determinata sia dalla sovrapposizione delle figure che lo circondano, sia dallo scarto cromatico tra la sua tunica scura e i colori circostanti.
L'olpe ripropone i principi decorativi che si trovano in tanti vasi di piccole dimensioni del protocorinzio medio-tardo: una fascia decorata con palmette e fiori di loto finemente incisi circonda la bocca del vaso chiudendo in alto il fregio figurato superiore, altre fasce decorative si trovano nelle zone intermedie, mentre una zona verniciata in nero e una decorazione a raggi chiudono il campo figurato presso il piede del vaso. La caccia alla lepre è tema frequente nella ceramica protocorinzia, mentre la caccia al leone è motivo assiro.
I guerrieri dell'olpe Chigi possiedono l'armonia di certa produzione in stile dedalico, ma sono scomparsi i capelli a ripiani e li si vedono invece scendere divisi in trecce sulle spalle; sono una versione evoluta dei guerrieri che decorano l'aryballos MacMillan, meno sottili e incorporei rispetto a questi ultimi. Cavalli e giovani cavalieri ricordano da vicino lo stile delle figure di Pegaso e Bellerofonte sulla più antica coppa del Pittore di Bellerofonte i cui frammenti sono conservati presso il Museo archeologico di Egina (inv. 1376, h 14,7 cm).
La posizione marginale della scena con il giudizio di Paride è l'emblema dell'indifferenza dell'arte corinzia orientalizzante nei riguardi del mito e della narrazione in genere.

KERAMOS - Vasi canosini

 
vasi canosini sono una classe vascolare di epoca ellenistica e a scopo funerario, caratterizzata da decorazione plastica aggiunta e decorazione pittorica policroma, con colori a tempera aggiunti dopo la cottura. Si sviluppa dalla fase tarda della ceramica apula a partire dal tardo IV secolo a.C. e viene prodotta fino alla metà del II secolo a.C. I ritrovamenti (a partire dagli scavi del 1844 nelle tombe a ipogeo del territorio dell'antica Canusium) sono limitati all'Apulia; qualche esemplare è stato ritrovato a Cuma. La funzione funeraria era esclusivamente d'apparato e a testimonianza della posizione sociale del defunto. Le forme più diffuse sono le anfore e gli askoi di grandi dimensioni, seguite da oinochoai e kantharoi. La decorazione plastica è costituita da figurine che riproducono la figura della lamentatrice, o da protomi equine, o teste di Gorgone, eroti e nikai, con una iconografia che sembra riferirsi a modelli importati.
Il fondo bianco, che non sempre raggiungeva la base del vaso, era aggiunto dopo la cottura; la decorazione pittorica tipica era costituita da figure umane e animali affiancate da una decorazione secondaria fitomorfa e da festoni; il disegno era a contorno e in stile lineare, privo di modellazione, con ampie zone riempite di giallo e dettagli colorati in rosa, rosso e blu.

Nella foto: Lekythos a forma di testa femminile con altre due testoline, 270-200 a.c., Canosa



KERAMOS - Vaso di Aristonothos, Roma

 Il vaso di Aristonothos o cratere di Aristonothos è una delle prime ceramiche greche che riporti la firma dell'autore; è esposto nel Palazzo dei Conservatori del Musei Capitolini. Il cratere fu rinvenuto in una sepoltura a Caere nell'Etruria meridionale. Non risultano altre informazioni sul ritrovamento.Il vaso fu acquisito da Alfredo Castellani; ereditato dal figlio Augusto passò nel 1919 ai musei Capitolini con tutta la collezione dell'orafo e antiquario.
Eccezionalmente integro risulta realizzato con argille della zona di ritrovamento da un artigiano che si suppone di origine greca che passando attraverso la colonia di Siracusa si installò in Etruria.
La firma è una delle prime firme di ceramisti rinvenute, assieme a quella di Kalkleas su di un manufatto Itacense probabilmente usato come candeliere, a quella di Pyrros (forse beota) in un frammento di coppa e quella parziale su un altro frammento rinvenuto a Milo. Non sono noti altri vasi attribuibili o firmati allo stesso artigiano, ceramista o ceramografo che fosse (o forse ambedue). Certamente la complessità dell'impianto iconografico rese l'autore tanto orgoglioso da voler apporre la propria firma in una posizione evidente.
La scritta è in grafia euboica e in dialetto ionico e, scritta nel modo bustrofedico in parte da destra a sinistra in part dall'alto verso il basso, recita Ἀριστόνοθος ἐποίσεν (Aristonothos epoisen), cioè «Aristonothos mi fece». È stata posta una certa attenzione sul fatto che il nome sia composto da due lemmi: Aristo- (il migliore) e -nothos (figlio illegittimo), quindi il nome he potrebbe significare «il migliore dei bastardi». Anche se è da notare che la condizione di nothos; di illegittimità, interessava soltanto le classi aristocratiche e certo non quelle artigiane.
Oltre a sottolineare l'irregolarità di epoisen rispetto al classico epoiesen sono state tentate letture diverse per la firma vera e propria come Aristovophos oppure Aristomphos sostituendo la theta con una phi a causa della particolare grafia. Tuttavia entrambe le particolarità vengono associate al dialetto ionico fra l'altro comunemente utilizzato anche nelle colonie greche siceliote o campane.
Il cratere ha una forma primitiva e anse orizzontali non rientrando negli schemi canonizzati; potrebbe essere un modello originale del suo autore. Risulta anche simile ad alcuni crateri dell'Argolide del VII secolo a.C.,; e, sebbene Argo non avesse né colonie né commerci in Italia, è possibile che qualche ceramista argivo abbia viaggiato e trasmesso i suoi modelli anche In Etruria.
Il vaso presenta una ingobbiatura pallida sia all'interno sia all'esterno ed è dipinto con un colore bruno scuro e qualche ritocco in bianco: La decorazione figurata è principalmente a silohuette e parzialmente a linea di contorno nella parte bassa e sul piede è completato con una decorazione geometrica.
Sulla faccia considerata principale è rappresentata la scena dell'accecamento di Polifemo, sull'altra faccia è una scena di combattimento tra due navi mentre ai lati, sotto ciascuna ansa, è dipinto un granchio.
L'accostamento delle due scene, una sull'inganno l'altra sullo scontro armato, ha sollecitato gli storici a dibatterne alla ricerca del senso ricercato dall'artigiano e dal committente. Talvolta mettendole in stretta relazione talvolta viste come separate pur mantenendo una qualche connessione. Si tratta comunque di tematiche presumibilmente ben comprensibili nell'ambito allora piuttosto cosmopolita dell'antica Cerveteri.
La scena dell'accecamento, oltre a fornire un'ulteriore data ante quem per la composizione del poema, presenta una relativamente precisa corrispondenza con il racconto nell'Odissea: si vedono cinque uomini barbuti nella foggia greca, Ulisse e i quattro suoi compagni come narrato da Omero, aiutarsi a spingere il palo che hanno conficcato nell'occhio del mostro; Ulisse, il quinto della fila, con il corpo girato, spinge con una gamba sulla linea che definisce la parte della grotta (… su l’altro capo io premevo, lo roteavo …).
Polifemo ubriaco e sdraiato tenta disperatamente di estrarre il palo di ulivo. Le dimensioni di questo essere sono rappresentate simili a quelle degli umani ne altri particolari lo identificano come mostro, cosa che si ravvisa anche nel pithos etrusco leggermente più recente del Getty (96.AE.135) mentre in altre ceramiche contemporanee è rappresentato come un gigante. 
La scena insiste comunque sulla agriotes (grettezza animalesca) di Polifemo ben intuibile in alcuni dettagli: da una parte nel suo agitarsi viene ad assumere assumere una posizione caratteristica di un satiro, altra figura tipicamente "selvatica" della mitologia, dall'atra parte la rastrelliera per il formaggio alle sue spalle e così pure la coppa appoggiata li sotto sottolineano il fatto che stesse mangiando e bevendo da solo, incurante degli stranieri e ignaro dagli usi dell'ospitalità comuni alle civiltà mediterranee che pure Ulisse stesso aveva implorato.
La scena dipinta sull'altro lato non ha una fonte mitologica. Presenta i preparativi allo scontro tra due navi. I vascelli sono difficilmente identificabili forse si tratta di una greca e l'altra potrebbe essere etrusca o quanto meno non greca.
La nave sulla sinistra, probabilmente greca o greco-italiota e attrezzata per il combattimento, è caratterizzata da un'alta e arcuata poppa e dalla prua a testa di cinghiale con un grande occhio dipinto. Non ha un albero ed è spinta dai remi di alcuni vogatori. Sul ponte tre guerrieri attrezzati con elmi, lance e tondi scudi dal disegno geometrico, uno anzi tiene l'asta in modo minaccioso. Forse un quarto protetto dal suo scudo è al timone con altre lance di riserva.
La nave sulla destra, un più pesante vascello commerciale etrusco o italico, più grande presenta un grande rostro puntato verso il basso sulla prua ed ha egualmente una alta poppa arcuata. Non ha vogatori e sulla cima dell'albero senza vele è arrampicata una piccola figura. Sul ponte tre guerrieri mostrano già le lance in resta. Su due degli scudi sono oggi sufficientemente leggibili della figure emblematiche: una testa di toro e un granchio.
Sebbene esistesse una reciprocità nei commerci tra etruschi e greci la possibilità di uno scontro navale o di atti di pirateria era sempre possibile. Il combattimento tra navi era comunque a quel tempo un soggetto frequente nella pittura vascolare ed in genere nelle arti figurative: è interessante che una scena simile con tipologie di natanti simili sia rappresentata su di una fibula spartana dell'ottavo secolo.
Il granchio rappresentato sia sotto le due anse sia sullo scudo del primo guerriero a destra sulla nave più grande ricorda le pitture vascolari di Eretria, dov'era spesso presente. Cosa che suggerisce anche una conferma all'origine euboica di Aristonathos, Allo stesso tempo il granchio con la sua andatura obliqua e le zampe storte richiama la figura deforme del dio artigiano Efesto e potrebbe voler evocare un simbolo dell'abilità artigiana.

KERAMOS - Vaso François 

 

Vaso François è il nome convenzionale attribuito, dal nome dell'archeologo che lo scoprì nel 1844-45 a Chiusi. Si tratta di un cratere a volute a figure nere di produzione attica, capolavoro della ceramografia arcaica, datato intorno al 570/565 a.C. Si tratta del più antico cratere a volute attico conosciuto (ma esistono precedenti vicini ad esso). Le sue dimensioni si sviluppano su un'altezza di 66 cm e un diametro massimo di 57 cm.
I numerosi frammenti del vaso furono rinvenuti nella necropoli etrusca di "Fonte Rotella" a Chiusi nel 1844 e 1845, da parte di Alessandro François, lo scopritore della celebre Tomba François di Vulci, dispersi in due tumuli funerari saccheggiati già in antico. I cocci del vaso che, nonostante ripetute ricerche, non sono mai stati interamente ritrovati, furono inviati a Firenze dove un accurato restauro, per opera del restauratore Vincenzo Monni, permise un'ottima ricostruzione dell'oggetto che fu acquisito ed esposto presso il Museo archeologico nazionale di Firenze (inv. 4209).
Dopo la prima ricomposizione, il 9 settembre 1900 il vaso fu vittima della collera di un custode del museo che lo disintegrò proditoriamente in 638 pezzi; si rese necessario quindi un secondo restauro. L'opera non fu interessata dalla disastrosa alluvione dell'Arno del 1966.
Un'iscrizione dipinta sullo stesso vaso ne riporta gli autori: il ceramista Ergotimos e il ceramografo Clizia (Kleitías). L'iscrizione è riportata due volte: una prima con due frasi verticali inserite nella scena delle nozze di Peleo e Teti, e una seconda, non interamente conservata, sopra la nave di Teseo raffigurata sull'orlo.
La forma del vaso è nota come cratere a volute, cioè un cratere con anse a volute. Si tratta di uno dei primi crateri a volute attici. Più tardi i ceramisti amplieranno le volute, aggiungeranno un labbro all'apertura, cambieranno la forma del piede, la forma diverrà complessivamente più alta, ma il modello di Ergotimos rimase esempio insuperabile.

La decorazione comprende la raffigurazione di scene mitologiche o decorative, i cui temi sono incentrati sul ciclo narrativo del personaggio di Achille (e di suo padre Peleo). Le scene si dispiegano su sette registri sovrapposti. Sono presenti 270 figure e 131 iscrizioni esplicative. La dimensione verticale dei registri decorativi è variabile per adattarsi con maestria alla tettonica del vaso e contribuendo così a conferire movimento alla decorazione. La narrazione si dipana linearmente su ciascuna banda, senza contrapposizioni antitetiche, fluida e narrativa, priva di ogni rigidità.
Collo

Teseo fa da collegamento tra la scena con la danza degli ateniesi a Creta, nella fascia superiore, e la Centauromachia sotto di essa.
Registro superiore:
- Sul lato posteriore troviamo i 14 giovani ateniesi che erano stati inviati a Creta come sacrificio per il Minotauro, i quali danzano al cospetto di Teseo che li ha salvati e che conduce la danza suonando la lira; di fronte a Teseo si trova Arianna. A sinistra la scena narra l'arrivo della nave che li riporterà in patria. Si tratta di un soggetto molto raro, gli unici altri esempi giunti sino a noi appartengono a Kleitias stesso. Piccoli frammenti di due vasi trovati sull'Acropoli di Atene provengono da immagini di danza più grandi di quelle del vaso François: parti dei ballerini su Acropolis 1.596, il volto di una donna e il retro di una testa con l'iscrizione [Eur]ysthenes, il nome del quinto danzatore a partire dalla sinistra del vaso François, su Acropolis 1.598.
- Sul lato anteriore (quello che corrisponde alla sottostante processione degli dei verso la casa di Peleo e Teti) troviamo l'episodio della caccia al cinghiale calidonio, alla quale partecipano Meleagro e Peleo.

Registro inferiore:

- Su un lato vi è la corsa dei carri, evento principale ai giochi funebri tenuti da Achille in onore di Patroclo, descritti nel XXIII libro dell'Iliade. In linea con una vecchia convenzione i premi, tripodi e lebeti di bronzo, vengono utilizzati nella composizione per riempire i vuoti sotto i cavalli. I cinque concorrenti indossano la lunga veste prescritta dal regolamento e tengono, oltre alle redini, il pungolo. In questo caso Kleitias si discosta molto dal racconto omerico, inoltre c'è poca varietà nella rappresentazione, come se fosse poco interessato alla narrazione e descrizione e maggiormente rivolto alla resa del movimento, in contrasto con la lenta processione della zona sottostante.
- Sul lato opposto la scena della Centauromachia è una delle prime in cui il protagonista non è Eracle, ma sono i lapiti che combattono i centauri in Tessaglia. L'immagine di Kleitias è composta da sette gruppi (ora frammentari) con molte sovrapposizioni. Teseo, pur non essendo un lapita, partecipa alla battaglia come amico di Peirithoös, uno dei grandi guerrieri lapiti.


KERAMOS - Brocchetta di Gurnià

 
La brocchetta di Gurnià è un vaso cretese risalente al XVI secolo a.C. circa ritraente un polpo. Il vaso venne scoperto nei resti archeologici di Paleocastro e oggi è conservato al museo archeologico di Candia.
I vasi cretesi dell'epoca rappresentavano quasi sempre figure naturalistiche (come piante, foglie, animali marini e terrestri) scure su sfondo chiaro. Il fatto che sia immerso nei suoi elementi naturali gli dona un senso di profondità e di continuo movimento.


KERAMOS - Sarcofagi clazomeni

 


sarcofagi clazomeni sono sarcofagi fittili, solitamente di forma trapezoidale, con decorazione dipinta, databili tra la metà del VI secolo e il 450 a.C., rinvenuti in gran parte nella necropoli di Clazomene, luogo di origine di questa produzione, o nei dintorni (Smirne, Rodi, Samo, Lesbo e Efeso); il peso notevole di questi oggetti funerari ne limitava la diffusione. La decorazione, a figure nere o a risparmio, è eseguita prevalentemente nel tardo stile delle capre selvatiche tipico della Ionia settentrionale, ma presenta alcune similitudini con la ceramica clazomenia e con lo stile attico.
L'argilla usata per la fabbricazione dei sarcofagi tende al rosso ed è simile a quella usata per i mattoni, l'ingubbio è color crema e la pittura di un marrone scuro; i colori bianco e porpora aggiunti generalmente non sono sopravvissuti al tempo. La tecnica a risparmio è impiegata per le figure di animali dipinte in composizioni simmetriche; i soggetti preferiti a figure nere sono scene di guerra o corse di carri dove l'azione è comunque scarsa e si bada prevalentemente alla simmetria compositiva, mentre sono rare le scene mitologiche. Frequentemente le figure nere sono solo imitative e le linee incise sono sostituite da linee di bianco aggiunto. Su alcuni esemplari più tardi si trovano esperimenti con le figure rosse, o meglio, "figure bianche", risparmiate su fondo color crema.
I sarcofagi di terracotta erano largamente utilizzati nell'oriente greco del VI secolo a.C. e avevano generalmente forma semplice e non decorata; a partire da alcuni esemplari con il bordo più ampio sul quale sono stati dipinti motivi decorativi lineari, una versione più elaborata si è sviluppata intorno alla metà del VI secolo a.C. 
La parte decorata era il bordo superiore della cassa che aveva forma rettangolare negli esemplari più antichi e forma trapezoidale in quelli più recenti con il pannello della testata più ampio, un mutamento avvenuto nel terzo quarto del secolo. Gli esemplari più antichi avevano i listelli corti decorati con figure di animali dipinte con tecnica a risparmio, in seguito vennero introdotte le figure umane dipinte a figure nere, il pannello di testata assunse un'importanza maggiore e si ingrandì fino a far assumere all'intero sarcofago una forma trapezoidale. 
I lati lunghi erano decorati con intrecci e palmette e terminavano alle estremità con due pannelli decorati con figure o motivi ornamentali. I sarcofagi dipinti clazomeni sono gli unici reperti fittili della Grecia orientale sui quali si continuò ad impiegare il tardo stile delle capre selvatiche, tipico della Ionia settentrionale, che altrimenti si sarebbe creduto estinto alla metà del VI secolo a.C.
A partire dall'evoluzione in forma trapezoidale sono state individuate e distinte le mani di alcuni pittori. Il Pittore di Borelli è stilisticamente affine al Pittore di Petrie (→ Ceramica clazomenia), i suoi lavori sono databili al 530 a.C. ed è quindi uno dei più antichi tra gli autori individuati. 
Il gruppo dell'Albertinum è più recente e sembra aver stabilito una sorta di monopolio sull'attività di decorazione dei sarcofagi, infine il Pittore di Hopkinson semplifica la decorazione fino ad evitare l'uso delle figure nere. La datazione di questi autori è difficoltosa e basata quasi esclusivamente su confronti stilistici; i sarcofagi decorati erano sufficientemente costosi da non richiedere ulteriori offerte funerarie, di conseguenza sono scarse le testimonianze vascolari utili per la datazione delle tombe.

KERAMOS - Hydriai ceretane

 

Le hydriai ceretane sono un gruppo di ceramiche datate, in base al confronto dei drappeggi dipinti con quelli della ceramica attica, all'ultimo terzo del VI secolo a.C. Le circa quaranta hydriai che compongono questa serie sono state restituite in gran parte dagli scavi della necropoli etrusca di Caere.
Si tratta del prodotto di un'unica officina che è stata variamente situata sulle coste dell'Asia Minore o in una colonia greca del sud Italia. È probabile che l'origine delle hydriai ceretane sia da porre a Caere, ma ad opera di maestri di origini greco-orientali e più precisamente provenienti dalla Ionia settentrionale o dall'Eolide: lo stile, i soggetti, e l'alfabeto ionico sull'hydria di Odios al Museo del Louvre, epigraficamente databile al 530 a.C., sembrano essere indicazioni sufficienti al riguardo. Le influenze ioniche sul mondo attico erano state facilitate in questo stesso periodo dalla migrazione degli artisti ionici che sfuggivano alla dominazione persiana; alcuni di questi artisti devono essersi stabiliti in occidente.
Le hydriai ceretane sono alte circa 40 cm e hanno una forma che sembra derivare da prototipi metallici. L'ampia spalla è divisa dal collo tramite un filetto rialzato, il colore dell'argilla varia dal giallo scuro al marrone, tendente al rosa o all'arancio, un tipo di colorazione più usuale in Etruria che in Grecia. L'interno del collo e le anse sono verniciati di nero. Il labbro è internamente decorato
con linguette di colore alternato bianco e porpora steso su base nera; l'esterno invece presenta un meandro, una spina di pesce o altri motivi astratti. Sul collo si trovano motivi decorativi come svastiche o fiori di loto intrecciati con stellette.
Solitamente, la spalla è separata dal corpo tramite una linea di vernice nera ed è decorata con foglie d'edera o altro ornamento fitomorfo stilizzato, come le rosette protocorinzie. La parte posteriore è divisa in due campi dal manico verticale che reca
una palmetta policroma all'attaccatura inferiore. I campi di questa zona posteriore ospitano solitamente figure in posizione simmetrica, piccole scene a soggetto animalistico, cavalli e cavalieri, raramente una seconda narrazione mitologica affianca quella principale che si trova sul lato anteriore del vaso. La decorazione a linguette policrome si ripete presso l'attaccatura delle anse orizzontali e sul piede. Il ventre è diviso in zone da altre due linee di vernice nera: nella zona superiore trova posto la scena figurata principale, nella zona mediana si trova un fregio fitomorfo e in quella inferiore una fascia di raggi.
Lo stile è vivace e colorato, con inserti decorativi contenuti e controllati; le aggiunte bianche e rosse sono solitamente poste su un fondo di vernice nera di preparazione. I contorni e i dettagli interni delle figure sono incisi accuratamente. Una grande capacità di
osservazione diretta si mostra nel trattamento delle figure, solitamente solide e carnose. I dettagli paesistici e l'attenzione alla rappresentazione della natura ricordano il gusto che informa certe produzioni ioniche (si pensi alla Coppa dell'uccellatore, Louvre F68). L'aspetto narrativo è ispirato ai maestri attici; oltre alle scene a contenuto dionisiaco o alle scene di caccia, si trovano narrazioni mitologiche, spesso ispirate alla figura di Eracle, ma trattate con originalità e animazione e con intento umoristico, evidente anche nella esagerazione dei gesti delle figure; ne sono esempio, oltre alla già citata hydria con Eracle e Busiride, l'hydria del Louvre E701 con Euristeo che, spaventato da Cerbero condotto da Eracle, si nasconde in un pithos, e la E702 sempre al Louvre con il furto delle mandrie di Apollo da parte di un Ermes fanciullo.
Jaap M. Hemelrijk ha ricondotto l'intera produzione a due pittori,
distinti in base a particolarità grafiche: il Pittore dell'aquila, forse il più anziano, e il Pittore di Busiride la cui attività non sembra poter essere anteriore al 525 a.C. e il cui vaso eponimo è la nota hydria del Kunsthistorisches Museum di Vienna (n. inv. 3576). Con la presenza nella bottega di alcuni discepoli si spiega la presenza all'interno del gruppo di esemplari di qualità inferiore come l'hydria del Museo dei Conservatori con il ritorno di Efesto sull'Olimpo.
La cronologia relativa delle hydriai si basa sull'analisi dell'evoluzione di alcuni elementi decorativi e in particolare delle palmette alla base dell'ansa verticale. La datazione assoluta per l'inizio della produzione è posta, come già accennato, al 530 a.C. Sulle ultime opere del gruppo è rintracciabile una dipendenza dai Pionieri delle figure rosse attiche nel trattamento dei panneggi, il che pone queste creazioni al 510 a.C. circa. L'aderenza alla contemporanea moda ateniese si mostra anche nella diminuzione della vivace policromia,
tipicamente ionica, nelle opere dell'ultimo periodo.

KERAMOS - Ceramica corinzia


La ceramica corinzia definisce per convenzione una classe di oggetti ceramici prodotti a Corinto a partire dal 625 a.C., cioè a partire dalla fine della ceramica protocorinzia, nei confronti della quale mantiene una certa continuità qualitativa dal punto di vista tecnico. La cronologia relativa usata per la descrizione della ceramica corinzia è in gran parte quella stabilita negli anni trenta del XX secolo da Humfry Payne, mentre la cronologia assoluta è discussa e basata prevalentemente su elementi stilistici. Si tratta di una produzione per lo più anonima che ebbe vasta diffusione commerciale ed entro la quale con difficoltà è stato possibile distinguere stili e botteghe; rarissimi ed eccezionali sono i vasi firmati (il nome di Timonidas è tra i più noti). La decorazione caratterizzata da ripetizione ed evoluzione di schemi prefissati distingue questa classe ceramica rispetto ad altre, ma la rende particolarmente uniforme. La larga esportazione in tutto il Mediterraneo della ceramica corinzia, in gran parte pixides, ariballoi e alabastra, forme alle quali si aggiunge un gran numero di kotylai, subì un brusco declino alla metà del VI secolo a.C., alcuni esemplari continueranno ad essere esportati ancora nel V secolo a.C. finché il commercio si limiterà alle anfore da trasporto.


All'inizio del VI secolo a.C. soprattutto sui vasi di grandi dimensioni come i crateri (ma anche su kotylai e tazze) si trova una decorazione figurata di qualità solitamente superiore allo stile orientalizzante più tipicamente corinzio. Sono frequenti le scene di caccia, le battaglie e i banchetti dove la policromia è sostituita abilmente dalle figure nere, ma dove il gusto narrativo, tipicamente attico, si dimostra poco adatto alla produzione corinzia nella difficoltà, o indifferenza, a rendere espliciti i soggetti mitologici, che solo raramente vengono individuati grazie alle iscrizioni. Nel Cratere di Eurito (il nome tradizionale deriva dalla scena sul lato principale con il banchetto di Eracle in casa di Eurito, Museo del Louvre, E635) permane il disegno a contorno, il quale, come già nel protocorinzio, è tecnica raramente usata, e l'unico colore aggiunto è il rosso, che si alterna al nero in modo equilibrato sul fondo chiaro dell'argilla. Il Cratere di Eurito è un capolavoro della ceramica corinzia, ma più frequentemente in questo periodo i vasi corinzi di grandi dimensioni presentano figure circondate da decorazioni sovrabbondanti o oggetti atti a riempire il vuoto lasciato sul fondo. Il Cratere di Eurito è anche uno dei primi esempi di utilizzo del colore per differenziare il sesso delle figure.
Nella produzione del corinzio medio (600/590-570 a.C. circa) si distingue lo skyphos con la scena di Ercole presso l'antro del centauro Folo (Museo del Louvre MNC677). L'autore di questo vaso vi ha disegnato sul fondo la testa policroma di un guerriero, ma la fascia che decora i fianchi esterni (alta appena 4 cm) è a figure nere e in un vivace stile narrativo, raro nella ceramica corinzia, capace di sfruttare la forma del vaso. Si mantiene all'interno della tradizione invece uno dei pochi esemplari corinzi firmati (in questo caso da Timonidas), una bottiglia con la scena dell'agguato a Troilo da parte di Achille, il primo esempio conosciuto, (Museo archeologico nazionale di Atene A277) che pur condividendo con il precedente l'attenzione all'ambientazione dei personaggi svolge la narrazione come su di un piano pittorico. La compresenza su uno stesso vaso di figure nere per le scene narrative e della linea di contorno per i gorgoneia e alcuni particolari come le teste femminili rivela spesso la presenza di mani diverse, il che non stupisce nell'ambito di una produzione sempre più attenta alla quantità e quindi facilmente indotta alla parcellizzazione dei compiti.
Il disegno in grande scala non appartiene alla tradizione corinzia e verso la fine del corinzio medio anche le scene narrative vengono eseguite in larga parte sulle coppe e sulle kotylai, una produzione che avrà grande influenza sulle Coppe dei comasti ateniesi. Nello stesso periodo viene introdotta la tecnica del fondo rosso (Red ground style); questo ingubbio aranciato diviene una norma nel secondo quarto del VI secolo a.C. sui grandi vasi, ma viene usato solo per le zone principali della decorazione per evidenziarle tramite il contrasto con il giallo pallido delle altre parti del vaso. L'origine di questa tendenza stava nella volontà di emulare i vasi attici (e il Vaso François in particolare), ma l'esito mostra lo spirito pienamente corinzio che privilegia il colore aggiunto rispetto alle scure figure nere, fino al punto di convertire le regole e gli schemi del colore stesso usando il bianco anche per le carni maschili. Il disegno dimostra che vi erano anche in questo campo numerosi progressi, ma le vesti continuavano ad essere rappresentate come superfici piane colorate e senza pieghe. 


Mentre ad Atene si produceva un capolavoro come il Vaso François a Corinto il Cratere di Anfiarao ne possedeva la monumentalità, il tema epico, la disposizione sulla fascia di numerosi personaggi con gli edifici in secondo piano, se ne differenziava tuttavia per l'animazione dovuta alle grandi superfici colorate più che alla sapienza del disegno, le stesse superfici che sul cratere del Museo gregoriano etrusco (Pittore delle tre fanciulle, n. inv. 126, cratere a colonnette a figure nere, corinzio recente, 560 a.C. circa, terracotta, h 42.5 cm. Su una faccia: corteo nuziale. Sull'altra faccia: cavalieri) decorano un soggetto anonimo e privo di carattere narrativo. Dotata invece di una animazione emotiva anch'essa rara a Corinto è l'hydria con il lamento funebre delle Nereidi sul corpo di Achille (Louvre E643), che si pone ormai al termine del corinzio tardo I (570-550 a.C. circa).
Come in Attica intorno alla metà del VI secolo a.C. anche a Corinto alcuni vasi dimostrano la ricerca di un nuovo tipo di rappresentazione con scene drammatiche all'interno di riquadri ristretti: lo vediamo nell'anfora del Louvre con Tideo che uccide Ismene (E640), dove si vede un esempio di applicazione del bianco per il corpo maschile dell'amante che fugge.


Nelle immagini, dall'alto
Pittore di Damon, hydria, corinzio recente, 550 a.C. circa, Museo del Louvre E643
Pittore di Tideo, anfora a collo separato, corinzio recente, 560-550 a.C., Museo del Louvre E640.
Aryballos con due leoni a confronto. Etruria, prima metà del VI sec. a.C.Lyon MBA, X 482-54
Pisside corinzia senza manici, con lati convessi e coperchio a figure nere; danzatori attorno a un cratere, donne che si tengono per mano. Corinto,corinzio medio, ca. 600-575 a.C., non attribuito 

ARGENTINA - Cueva de las Manos

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