giovedì 17 luglio 2025

Lazio - Roma, Musei / Augusto di via Labicana, Palazzo Massimo

 
L'Augusto di via Labicana è una statua marmorea che ritrae Augusto a figura intera, a tutto tondo, nelle vesti di pontefice massimo. Alta 207 cm, deve il suo nome alla zona dove venne scavata alle pendici del colle Oppio, in via Labicana, a Roma.
La statua è conservata al Museo Nazionale Romano di palazzo Massimo.
La statua è in realtà una copia di età tiberiana di un ritratto dell'imperatore eseguito alla fine del I secolo a.C. o all'inizio del I secolo d.C.: i tratti somatici piuttosto emaciati infatti suggerirebbero la realizzazione negli ultimi anni di vita, con i segni già evidenti della malattia e della stanchezza. Si tratta del più importante ritratto augusteo di questo periodo «finale», tra i pochi trovati a Roma.
Il capite velato è dovuto alla funzione di pontifex maximus dell'imperatore: il braccio destro, spezzato, aveva probabilmente in mano una patera, piatto rituale per lo spargimento di vino durante un sacrificio. La testa venne scolpita a parte, da uno specialista.
Come in altre opere dell'arte augustea, la realizzazione è piuttosto fredda e «accademica»: l'effetto di stanchezza e lontananza psicologica di Augusto è per lo più dovuto all'opera di sublimazione verso la compassata arte greca classica, che ha come effetto una studiata immagine di distacco e spiritualità del princeps. La freddezza del volto ben si svela nel trattamento «metallico» dei capelli. Tuttavia il volto è composto con sapienza, con superfici lisce ampie, ma sufficientemente mosse per evitare uno sgradevole appiattimento.
Gli ampi sinus della toga sono molto curati, ma penalizzano la resa volumetrica del corpo, che appare in più punti svuotato a favore del mero effetto di superficie.

Lazio - Roma, Musei / Era Ludovisi, Palazzo Altemps

 

L'Era Ludovisi (o Giunone Ludovisi) è una testa femminile colossale in marmo pario del I secolo d.C., esposta a palazzo Altemps (una delle sedi del Museo Nazionale Romano) a Roma.
La testa apparteneva ad un acrolito ed è interpretata come una raffigurazione della dea Era, o, più recentemente, come un ritratto di Antonia minore (o anche di Livia) con gli attributi di Giunone.
La testa fu probabilmente rinvenuta a Roma e fece parte della collezione del cardinale Federico Cesi (1500-1565), da dove passò nel 1622 alla collezione del cardinale Ludovico Ludovisi (1595-1632). All'epoca fu identificata come parte di una colossale statua di culto della dea Era - Giunone.
Ebbe ampia fama nel Settecento, quando venne considerata un'incarnazione della bellezza ideale greca: la ammirarono o ne furono ispirati Winckelmann (che la considerava la più bella testa di Giunone), Goethe (che ne tenne nella sua casa romana una riproduzione in gesso e la paragonava a un canto di Omero), Schiller (che la descrive come esempio di bellezza ideale) e von Humboldt.
Dalla fine dell'Ottocento si cominciò a dubitare dell'identificazione della testa con Giunone e si propose che potesse essere stata invece un ritratto di Antonia minore (36 a.C. - 37 d.C.), nipote di Augusto, nonna di Caligola e madre di Claudio, rappresentata come Giunone, probabilmente dopo la sua morte, oppure Livia, la moglie di Augusto.
La testa è di dimensioni colossali e l'accolito al quale apparteneva doveva raggiungere, se la raffigurava in piedi, un'altezza di oltre 5 metri e mezzo. I lineamenti del viso sono idealizzati e poco personalizzati e il volto guarda direttamente l'osservatore. Il capo è coperto da un diadema decorato con palmette. La ricca acconciatura raccoglie i capelli sulla nuca, mentre delle ciocche di riccioli ricadono sulle spalle mescolandosi a delle bende sacerdotali.

Lazio - Roma, Musei / Testa 535 della Collezione Torlonia

La testa 535 della Collezione Torlonia, detta anche patrizio Torlonia o vecchio di Otricoli, ritrae un ignoto personaggio virile ed è il capolavoro del cosiddetto ritratto romano repubblicano, cruda effigie del patriziato romano durante il periodo di Silla. Si tratta di una copia di epoca tiberiana (I secolo d.C.) di un originale databile al decennio 80-70 a.C.
In una resa particolarmente secca e asciutta, il trattamento minuzioso dell'epidermide non risparmia nessuno dei segni della vecchiaia: anzi essi stanno a significare la dura vita contadina e militare del patrizio, la fierezza inflessibile della sua casta e un certo sdegno, eloquentemente rappresentato dal taglio duro della bocca e dall'espressione ferma e sprezzante dello sguardo. Il notevolissimo realismo veicola quindi un preciso messaggio politico e sociale.
In una resa particolarmente secca e asciutta, il trattamento minuzioso dell'epidermide non risparmia nessuno dei segni della vecchiaia: anzi essi stanno a significare la dura vita contadina e militare del patrizio, la fierezza inflessibile della sua casta e un certo sdegno, eloquentemente rappresentato dal taglio duro della bocca e dall'espressione ferma e sprezzante dello sguardo. Il notevolissimo realismo veicola quindi un preciso messaggio politico e sociale.
In quest'opera, che è stata formalmente identificata come il ritratto di Catone il Vecchio, sono ben evidenti tutte quelle caratteristiche che i patrizi dell'epoca volevano mettere in evidenza, in una dura epoca che vedeva finalmente trionfare le loro ambizioni dopo i momenti difficili della lotta ai Gracchi, dell'avanzata della plebe e delle guerre civili.

Lazio - Roma, Musei / Ritratto di Gordiano III, Palazzo Massimo

 
Il ritratto di Gordiano III, conservato al Museo nazionale romano, sezione terme di Diocleziano, è un ritratto-chiave della produzione ufficiale del III secolo. Tra i molti ritratti del principe, questi risale alla fine del suo regno, verso il 244, a giudicare dal confronto con le emissioni monetali.
In questa opera si nota un abbandono del plasticismo ellenistico in favore di una forma semplificata, stereometrica, con particolari quali i capelli e la barba inseriti con l'incisione (quasi a bulino, come nel ritratto di Alessandro Severo).
Evidenti sono le caratteristiche adolescenziali del ritratto, con un ovale carnoso del volto, col mento appuntito e con fossetta, gli occhi grandi e sporgenti, il naso robusto (oggi danneggiato), le labbra piccole, la calotta dei capelli cortissimi che proseguono nella peluria sulle guance, trattata come le folte sopracciglia e i baffi che spuntano. Il ritratto è caratterizzato da un rendimento metallico, con tagli netti e incisivi (soprattutto negli occhi e nell'insolito disegno delle labbra), come se derivasse da un originale bronzeo.
Notevole è l'attenzione al dettaglio minuto che inizia a lasciare il campo all'armonia dell'insieme, creando una figura idealizzata, dallo sguardo laconico (evidenziato dai grandi occhi), dove premeva esprimere il concetto della santità del potere, inteso come emanazione divina (come evidenzia anche lo sguardo assorto che guarda al cielo).

Lazio - Roma, Musei / Ritratto di Probo, Musei Capitolini

 

Il ritratto di Probo, conservato ai Musei Capitolini e alto 0,63 metri, è una testa colossale del III secolo, importante esempio del nuovo corso espressionistico nella ritrattistica romana, maturato negli anni centrali del III secolo. Probo, di origine pannonica, regnò dal 276 al 282. Il volto estremamente allungato è incorniciato dalla capigliatura e dalla barba, realizzate molto aderenti con piccole e regolari ciocchette, che sulla fronte creano una sorta di frangia. Il naso è lungo, le guance sono scavate, le mascelle robuste, gli occhi dal taglio lungo e dall'espressione fissa, le labbra sottili. Rughe profonde e regolari segnano la fronte e i lati della labbra.
La testa è concepita in maniera stereometrica, non realistica, e i confronti con le emissioni monetali confermano caratteristiche fisiognomiche meno accentuate, più compatte. Il cranio qui appare quasi come un parallelepipedo, con gli elementi somatici scarsamente caratterizzati e inseriti senza fondarsi tra loro.

Lazio - Roma, Musei / Ritratto di Gaio Ottavio, Palazzo Massimo

 
Il ritratto di Gaio Ottavio è un'opera scultorea del I secolo a.C. che raffigura probabilmente Gaio Ottavio, padre naturale dell'imperatore Augusto. Realizzato in marmo bianco, il ritratto misura 30 cm in altezza, 22 cm in larghezza e 24 in profondità, ed è attualmente conservato nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, a Roma. La statua rappresenta il volto di un uomo di età adulta, dai connotati vigorosi, virili e decisi; in un primo momento si pensò che raffigurasse l'imperatore Traiano, successivamente che fosse invece il ritratto di un privato cittadino vissuto nel periodo del principato adottivo.
Il particolare realismo che denota la figura, sottolineato dalla precisione con cui sono rappresentate rughe, asimmetrie, muscolatura e capigliatura, permette invece di ricondurre il ritratto allo stile scultoreo della bassa repubblica: in base al confronto dell'opera con altre raffigurazioni similari, si è arrivati a collocare la realizzazione della statua nel I secolo a.C., con grande probabilità tra il 30 e il 25 a.C. La forma e il modo in cui sono rappresentati gli occhi e il volto riconducono infatti ad una serie di ritratti giovanili di Augusto realizzati negli anni immediatamente successivi alla battaglia di Azio. Risulta dunque probabile che Augusto abbia ordinato anche la realizzazione di questa statua per celebrare il padre defunto.
Nello stesso periodo, inoltre, fu realizzato presso il tempio di Apollo sul colle palatino un arco dedicato dallo stesso Augusto al padre Gaio Ottavio. È dunque probabile che il ritratto di Gaio Ottavio fu realizzato in concomitanza con l'arco, sebbene dalle fonti sembri che il ritratto non fosse posizionato presso l'arco stesso; non è tuttavia impossibile che il ritratto giunto fino a noi, o l'originale di cui esso può essere la copia, fosse esposto nelle vicinanze dell'arco.


Lazio - Roma, Musei / Bruto capitolino, Musei Capitolini

 
Il cosiddetto Bruto capitolino è una statua bronzea con occhi in avorio e pasta vitrea, conservata nei Musei Capitolini a Roma. Solo la testa è antica.
La statua è conosciuta fin dal Cinquecento e l'identificazione con Lucio Giunio Bruto, il mitico fondatore della Repubblica romana, venne condotta tramite i confronti con i ritratti sulle monete del 59 e 43 a.C. fatte coniare dal presunto suo discendente Marco Giunio Bruto, l'assassino di Cesare. Oggi viene accolta come ipotesi suggestiva e non del tutto impossibile. Durante la campagna napoleonica in Italia, nel 1797, fu portata a Parigi per volontà del generale Napoleone, insieme alle altre opere prelevate per mezzo del Trattato di Tolentino, quali il Galata morente, la Venere Capitolina, e lo Spinario, nel contesto delle spoliazioni napoleoniche. La statua ritornò poi a Roma nel 1815 e fu da quel momento esposta presso i Musei Capitolini, dove è a tutt'oggi conservata, grazie all'intervento del Canova successivamente al Congresso di Vienna.
La parte originaria doveva far parte di una statua più grande andata perduta. La testa, a parte una risarcitura nella calotta, ci è giunta integra, ed è uno straordinario esempio di ritrattistica romana di epoca medio repubblicana.
La raffigurazione del personaggio è caratterizzata dalla barba, resa in ciocchette diseguali, e da una capigliatura che ricade senza un ordine stereotipato sulla fronte.
I caratteri indicano una ricerca fisiognomica verso un ritratto, con connotazioni psicologiche come la gravitas e l'ideale tensione tipica del patriziato romano.
Il ritratto, se confrontabile davvero con quello sulle monete, è però ideale, non eseguito al tempo della persona, quindi più che altro si tratta di una ricostruzione dell'aspetto e delle qualità psicologiche del personaggio.
Messo in confronto con altre teste statuarie di produzione medio-italica (come la testa fiesolana al Louvre o l'Arringatore di Firenze), si nota in comune una certa sensibilità alle proporzioni e all'anatomia generale. È diversa invece la resa dei particolari, che nel caso del Bruto, sono un elemento tutt'altro che accessorio, anzi la loro resa minuta e secca indica un rapporto con la ritrattistica ellenistica dell'inizio del III secolo a.C.
Da questi paragoni si è giunti a ipotizzare una datazione risalente al primo quarto del III secolo a.C., che coincide nella storia romana con un momento di grande espansione culturale e politica. In quello stesso periodo, quando la città si era avviata ormai al predominio di tutta la penisola, si è infatti riscontrato anche un particolare entusiasmo nella spinta alla ricerca di documenti del passato a sostegno della politica imperialista ormai avviata.

Lazio - Roma, Musei / Ritratto di Gallieno, Antiquarium del Palatino

 
Il ritratto di Gallieno del Museo nazionale romano (Antiquarium del Palatino) di Roma è una delle effigi più note dell'imperatore romano che regnò dal 253 al 268.
La testa marmorea, alta 38 cm, raffigura l'imperatore in età matura ed è particolarmente significativa delle tendenze espressive in voga a quel tempo a Roma, sotto l'influenza della singolare personalità di Gallieno. La testa è infatti ispirata all'antica testa di Alessandro Magno di Lisippo, sia nella folta capigliatura a ciocche, sia nella leggera torsione del collo, che nell'espressione rivolta al cielo, che sottintende un'ispirazione divina del sovrano e un contatto diretto, privilegiato col sacro.
Della testa, forse eseguita per il decennale di potere, si conoscono altre repliche a Roma e in Portogallo.
La barba, attributo tipico del filosofo (a differenza del soldato, che è glabro), è corta e trattata a fitti ricci aderenti, di forma globulare. La ricerca di effetti di chiaroscuro è ricca e sapiente, con i morbidi passaggi di luce del volto dominato dalle profonde cavità orbitali e con le labbra sottili e sporgenti.

Lazio - Roma, Musei / Patrizio Torlonia

 

La testa 535 della Collezione Torlonia, detta anche patrizio Torlonia o vecchio di Otricoli, ritrae un ignoto personaggio virile ed è il capolavoro del cosiddetto ritratto romano repubblicano, cruda effigie del patriziato romano durante il periodo di Silla. Si tratta di una copia di epoca tiberiana (I secolo d.C.) di un originale databile al decennio 80-70 a.C. E' esposta presso la Collezione Torlonia, Roma.
In quest'opera, che è stata formalmente identificata come il ritratto di Catone il Vecchio, sono ben evidenti tutte quelle caratteristiche che i patrizi dell'epoca volevano mettere in evidenza, in una dura epoca che vedeva finalmente trionfare le loro ambizioni dopo i momenti difficili della lotta ai Gracchi, dell'avanzata della plebe e delle guerre civili.
In una resa particolarmente secca e asciutta, il trattamento minuzioso dell'epidermide non risparmia nessuno dei segni della vecchiaia: anzi essi stanno a significare la dura vita contadina e militare del patrizio, la fierezza inflessibile della sua casta e un certo sdegno, eloquentemente rappresentato dal taglio duro della bocca e dall'espressione ferma e sprezzante dello sguardo. Il notevolissimo realismo veicola quindi un preciso messaggio politico e sociale.

Lazio - Roma, Musei / Statua del Generale da Tivoli, Palazzo Massimo

 


La statua del Generale da Tivoli è una scultura romana in marmo (h. 118 cm) datata tra il 90 ed il 70 a.C., oggi conservata al Museo nazionale romano di palazzo Massimo di Roma. La statua fu rinvenuta nel 1925 tra le rovine del Tempio di Ercole a Tivoli. Mancano la parte superiore della testa, la spalla e il braccio destro, oltre alla gamba destra del ginocchio in giù.
Questa statua appartiene al filone realista italico di epoca repubblicana, dove viene rappresentata l'immagine di un uomo maturo, sul cui volto appaiono profonde rughe, in nudità eroica.
Qui è rappresentato un generale dell'esercito romano, avvolto nel suo mantello che scende dalla spalla sinistra fino a cingere i fianchi. La statua è sorretta da una corazza, posta ai suoi piedi, con un bel Gorgoneion al centro. È probabile che la statua fosse appoggiata ad una lancia, tenuta nella destra, secondo uno schema tipologico ellenistico.
La testa risulta leggermente inclinata verso la spalla destra, le rughe profonde sulla fronte, gli occhi piccoli e infossati, la bocca dischiusa, danno idea di un carattere estremamente forte e volitivo. Questi tratti sono però in contrasto con la poderosa muscolatura del corpo, in uno schema tipicamente ellenistico di figura eroizzata. In questa scultura si fondono pertanto la corrente verista italica e quella tardo-ellenistica.


ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...