La
cultura di Bonu Ighinu è
una cultura prenuragica sviluppatasi in Sardegna durante
il IV millennio a.C. (4000-3400 a.C. o 4900-4400 a.C.).
Prende il nome da una località situata nel territorio del comune
di Mara, in provincia di Sassari, in cui si trova la grotta
di Sa Ucca de su Tintirriolu (la bocca del pipistrello), nella
quale furono osservate per la prima volta, da Renato Loria e David H.
Trump, nel 1971 testimonianze archeologiche riconducibili a
questa cultura.
È considerata la prima cultura
in Sardegna ad aver utilizzato le cavità naturali come
sepolcri, che costituirono poi piccole necropoli. I morti erano
sepolti in tombe a fossa ed in piccole grotte artificiali, di forma
ovale e con soffitto a volta.
Le popolazioni che svilupparono questa
cultura praticavano l'agricoltura e preferivano abitare vicino
alle coste. Sono stati fatti vari ritrovamenti, riconducibili a
questa cultura, anche in zone dell'interno, quando queste popolazioni
occuparono siti che furono abitati da culture precedenti. Si diffuse
poi nella pianura di Oristano, non lontano dai giacimenti
di ossidiana e dai porti di quelle coste. Le case erano
prevalentemente interrate, con armatura di pali e coperture
realizzate con erbe palustri.
Il versante occidentale
della Sardegna è caratterizzato da un alto numero di
testimonianze della cultura di Bonu Ighinu, in contrasto con quello
orientale nel quale le uniche attestazioni relative a questo periodo
ci giungono dalla "grotta rifugio" e dalla grotta Corbeddu,
entrambe situate nel territorio del comune di Oliena,
in provincia di Nuoro. La maggiore densità di insediamenti
nella parte occidentale dell'isola potrebbe essere stata determinata
anche dalle caratteristiche geografiche di questa zona, che
presenta stagni, lagune e spazi pianeggianti di un
certo rilievo che costituiscono una fonte di risorse naturali che
favorivano gli insediamenti.
I siti di insediamento sono costituiti
per la maggior parte da grotte naturali o da ripari posti
sotto le rocce. I siti all'aperto sono invece meno numerosi ed hanno
restituito solo reperti per lo più sporadici; probabilmente
costituivano agglomerati di capanne di forma circolare o
ellissoidale, dei quali però non è rimasta alcuna traccia. La
ripartizione degli insediamenti della cultura di Bonu Ighinu sovente
riproduce quella del Neolitico antico. Sono infatti
occupate zone pianeggianti, colline, altipiani e
la montagna. La maggior parte degli insediamenti sorge in
prossimità di corsi d'acqua, di stagni o del mare.
L'analisi dei reperti archeologici
della cultura materiale ha permesso di evidenziare i caratteri
peculiari di questa cultura e di evidenziare le analogie con la
successiva cultura di Ozieri.
Le testimonianze fittili relative
alla cultura di Bonu Ighinu provengono in prevalenza dai siti in
grotta o dai ripari sotto roccia. Una grande quantità di
ceramiche attribuibili al neolitico medio è stata restituita dalla
necropoli ipogeica di Cuccuru s'Arriu. In alcuni casi,
invece, reperti fittili sono stati rinvenuti in modo casuale e non
legati ad alcun tipo di contesto, ma per i caratteri generali della
struttura, per il tipo di impasto e soprattutto per la decorazione
possono essere riferiti all'orizzonte culturale di Bonu Ighinu.
Le varie classi di impasti
La produzione ceramica comprende tre
classi di impasti: grossolano, semi-fine, fine.
I vasi ad impasto grossolano
e semi-fine, di colore vivo e rosso, hanno le superfici poco
lisciate, e non sono decorati.
Le forme vascolari che prevalgono sono
molto semplici e consistono in scodelle emisferiche e vasi
a collo. Sono assenti le grandi anse e la presa è assicurata da
piccole anse con perforazione orizzontale.
La terza categoria è caratterizzata da
un impasto duro, molto depurato, ben cotto, a superficie sempre molto
lisciata, quando non levigata e brillante, generalmente di colore
grigio, grigio-rosso o grigio bruno, a volte nero.
Le forme vascolari predominanti sono:
scodelle emisferiche a calotta bassa o profonda, aperte o ad orlo
rientrante; ciotole carenate, alte o basse, a spigolo
angolare o arrotondato, con innesto anche a gradino di colli sia
brevi che sviluppati, spesso estroversi; olle a collo fuso o
distinto; vasi globulari biansati, con corte spalle rientranti e
collo cilindrico. Sono inoltre presenti
microvasetti, mestoli e cucchiai.
Tutte le fogge hanno generalmente la
base convessa e recano anse modellate e decorate con piccole figure
umane o con protomi zoomorfe.
La decorazione costituisce il
carattere distintivo della cultura di Bonu Ighinu. Essa appare sulla
superficie esterna delle ceramiche ad impasto depurato (su due
esemplari provenienti da Sa Ucca de su Tintirriolu appare anche su
quella interna), predilige i bordi, la carena e le prese. Si possono
distinguere diversi tipi di tecniche decorative, che raramente sono
tra loro associate:
- l'impressione con bulino a
punta fine che lascia dei piccoli punti circolari o triangolari,
disposti in file orizzontali e parallele, sotto il bordo o alla base
del collo, o organizzati in forme di triangolo, d'arco e
di scacchiera;
- l'incisione a crudo di tacche
molto piccole e ravvicinate, poste sulla superficie esterna, sulla
carena dei vasi e alla base del collo dei vasi a collo;
- l'incisione a crudo di triangoli
riempiti da un fitto reticolo di rombi, di linee o di zig-zag;
- l'incisione a crudo di triangoli
riempiti da trattini;
- l'incisione sull'impasto cotto o
graffito, solamente sui vasi carenati o sui vasi a collo, di motivi
a stella (Sa Ucca de su Tintirriolu, grotta dell'Inferno);
- l'impressione di file di grossi
punti (monte Majore);
- bande incise e punzonate (monte
Majore);
- bande tratteggiate (sono molto
rare, si trovano a monte Majore ed a contatto di strati
epicardiali);
- piccoli bottoni a pastiglie,
cordoni impressi, file di unghiate.

Le prime due tecniche di esecuzione
sono quelle dominanti e caratteristiche della cultura.
Le notizie sull'industria litica sarda
riferibili alla cultura di Bonu Ighinu non sono abbondanti. Infatti i
ritrovamenti di oggetti in pietra scheggiata e levigata sono molto
poveri e limitati. Anche in questo caso, come per la ceramica, la
maggior parte delle informazioni in nostro possesso, giungono dagli
insediamenti in grotta o dai ripari.
L'industria litica scheggiata continua
la tradizione del Neolitico Antico. Essa presenta trapezi a ritocco
erto e piatto, semilune a ritocco erto e dorsale, bulini, grattatoi,
punte foliate. Un nucleo in selce ed uno in ossidiana
provengono dalla grotta di Sa Ucca de su Tintirriolu ed altri piccoli
nuclei in ossidiana sono stati rinvenuti a Cuccuru s'Arriu e nella
grotta rifugio di Oliena.
La materia prima che prevale è
l'ossidiana. In alcuni siti, come il riparo sotto roccia di Cala di
Villamarina e Su Carroppu, l'industria litica è esclusivamente in
ossidiana. Solo nella grotta di Filiestru la pietra di
gran lunga più usata era la selce, perché era più abbondante sul
posto.
In questo periodo si rivela una
crescita del commercio dell'ossidiana con ben documentate
esportazioni in Corsica, Italia
centrale e settentrionale e Francia meridionale.
L'industria su pietra levigata
annovera: asce e accette levigate, che hanno forma
trapezoidale nella grotta di monte Majore, macine e
macinelli ellissoidali, levigatoi, pestelli in porfido,
quarzo e granito.
Una svolta rispetto al Neolitico Antico
avviene nella produzione di oggetti ornamentali in pietra, che
sembrerebbe essere la conseguenza dell'aumentata domanda rispetto al
periodo precedente. Il rinvenimento nel livello 5 della trincea D
nella grotta di Filiestru (uno strato sicuro di cultura di Bonu
Ighinu) di un frammento di un anellone in pietra grigio scura di
sezione ellittica ha permesso di riferire al Neolitico medio anche
altri anelloni litici, ben levigati, rinvenuti casualmente, in altre
zone della Sardegna: Monte d'Accoddi, Sa Binza Manna, monte
Majore, grotta Bariles ed altri. Gli esemplari di grotta Bariles e di
Sa Binza Manna erano in associazione con altri materiali ben
inquadrabili nell'orizzonte culturale di Bonu Ighinu.
Interessante è la tecnica di
esecuzione degli anelloni. Tutti i tipi presuppongono un disco
cilindrico in pietra, di forma non necessariamente regolare, levigato
in modo più o meno accurato. Su di esso veniva eseguito un foro in
posizione centrica oppure eccentrica. Gli strumenti e le tecniche per
eseguire il foro sono varie: si pensa che in alcuni casi si usasse
un trapano cavo, con il quale si realizzava un unico foro,
oppure diversi fori tangenti tra loro e disposti in forma circolare
in modo da ottenere così un foro unico ed ampio. Un altro sistema
usato era quello di incidere il disco cilindrico con bulino su una
sagoma circolare approfondendone poi l'incisione fino ad ottenere il
foro. Una volta ottenuto il foro in alcuni casi la superficie esterna
veniva lasciata intatta, altre volte invece veniva modificata e
tagliata in vari modi. Infine l'anellone veniva levigato in modo più
o meno accurato. Le ipotesi sull'uso degli anelloni sono numerose.
Gli studiosi che si sono occupati di questi particolari reperti hanno
indicato queste funzioni:
- arma da getto
- oggetto ornamentale: bracciale,
pendaglio, anello da naso
- oggetto simbolico, segno di
comando
- oggetto che serviva per tagliare
Per i frammenti viene inoltre
ipotizzata la possibilità di un riuso come spianatoio delle cuciture
o lisciatoio delle superfici interne dei vasi. Tra queste ipotesi la
2 e la 3 sembrano le più accreditate; la 2 si riferirebbe all'uso
degli anelloni più piccoli, mentre la 3 a quelli di maggiori
dimensioni.
Oltre che in Sardegna, anelloni litici
sono stati rinvenuti anche in zone dell'Italia, specialmente in
Italia settentrionale. Gli anelloni litici, rinvenuti in queste zone,
in tempi relativi al Neolitico antico, vengono attribuiti alle
varie facies culturali proprie dell'area padana: ceramica
impressa ligure, facies del Vhò, gruppi friulani, cultura
di Fiorano. Anelloni litici sono presenti in alcune culture del
neolitico medio della penisola, per esempio nella cultura di Ripoli.
Sempre nel livello 5 della trincea D della grotta di Filiestru sono
stati rinvenuti anche vasi in pietra di varia forma, decorati e
lisci. Un esemplare di vaso in pietra proviene anche da Sa Ucca de Su
Tintirriolu ed è stato rinvenuto in uno strato puro di cultura di
Bonu Ighinu; questo vaso è completamente decorato da file graffitte
di nastri a zig-zag. Vasi in pietra che trovano confronti con questi
sono stati rinvenuti anche in altre zone della Sardegna. Si pensa che
questi oggetti fossero di uso domestico riservati alla mensa in
particolari occasioni e per ceti distinti, oppure che servissero per
atti di culto. La materia prima di cui sono fatti
(marna, calcare e trachite) proviene dalle zone in cui
sono stati ritrovati.
Sono state inoltre trovate numerose
statuette di figura femminile adiposa, sicuramente raffiguranti
la Dea Madre ed il cui culto era diffuso in gran parte
dell'Europa neolitica.
Le ricerche archeologiche hanno
evidenziato la presenza di un originale culto dei defunti, con un
corredo funerario costituito da materiale litico, ceramico od osseo.