mercoledì 9 luglio 2025

GRECIA - Efebo biondo

 

L'Efebo biondo è una scultura del tipo del kouros in marmo pario di dimensioni inferiori al vero databile al 490-480 a.C. circa di cui sono rimasti soltanto la testa (Acropolis 689), conservata nel Museo dell'Acropoli di Atene, ed il bacino. Venne ritrovata nell’angolo sud-est dell’Acropoli di Atene insieme a muri di un antico edificio. Non è stata mai provata dal punto di vista archeologico la sua provenienza dai detriti dell’epoca della seconda guerra persiana. La datazione antecedente al 480 a.C. viene comunque accettata da molti studiosi per motivazioni stilistiche. Questa scultura è infatti spesso accostata ad opere coeve come l’Efebo di Crizio e la Kore di Euthydikos: quest’ultima, in particolare, potrebbe essere stata realizzata dallo stesso artista dell’Efebo biondo. Il suo nome attuale è dovuto alla presenza di tracce di colore giallo sui capelli al momento della scoperta.
Notevole è la forte torsione a destra a livello del collo, che sarebbe ripresa dal frammento, corrispondente al bacino, concordemente associato alla testa. Il corpo nel suo intero, secondo la ricostruzione, doveva avere il peso appoggiato sulla gamba sinistra. Se questo è un elemento già tipico della prima età classica, i capelli lunghi a riccioli chiusi da due trecce sono di tradizione arcaica: forte e innovativo è però il contrasto che si forma fra questi ed il volto levigato.

(nella foto a destra, Una copia della testa dell’Efebo biondo, con la ricostruzione dei colori presenti in origine sulla superficie, realizzata da Alfons Neubauer della Gliptoteca di Monaco di Baviera.)

GRECIA - Efebo di Crizio - Museo dell'Acropoli di Atene

 
La statua frequentemente denominata Efebo di Crizio è un'opera in marmo alta 86 cm, realizzata e dedicata sull'acropoli di Atene intorno agli anni ottanta o settanta del V secolo a.C.; non è possibile allo stato delle conoscenze datare con sicurezza l'opera anteriormente o posteriormente al sacco perpetrato dai Persiani ai danni della cittadella nel 480-479 a.C. L'opera, fin dal suo rinvenimento, è stata accostata, su base stilistica, alla bottega di Crizio e Nesiote, e la sua importanza consiste nell'essere la più antica testimonianza (la sua posa non è attestata prima del 480 a.C.) del passaggio stilistico che determinò l'abbandono, nella scultura greca, degli stilemi arcaici in favore di una struttura maggiormente organica della figura umana, convenzionalmente indicato nel passaggio dal tardo arcaico allo stile severo, e che sarebbe giunto, nell'arco di qualche decennio, agli esiti canonici policletei.
L'Efebo di Crizio è conservato al Museo dell'acropoli di Atene con il numero di inventario 698.
Il torso e la testa furono trovati in siti differenti e in periodi differenti; nessuna delle due parti è collegabile con un deposito risalente alla colmata persiana, intesa come sepoltura immediata dei resti della distruzione operata dai persiani. È probabile che le due parti della statua non siano state sepolte fino al terzo quarto del V secolo a.C. all'epoca della ricostruzione della cittadella ad opera di Pericle, o più precisamente, fino ai lavori iniziati da Cimone nel 466 a.C., in un'area dell'acropoli, quella sud orientale in cui i ritrovamenti mostrano varietà cronologiche molto ampie, tardo arcaiche, protoclassiche e classiche.
Il torso fu rinvenuto in quest'area nella seconda metà del XIX secolo, in occasione degli scavi effettuati per la costruzione del museo destinato ad accogliere le opere rinvenute; fu in questa occasione che si rinvennero le fondamenta di un edificio, conosciuto come Edificio IV, che inglobava all'interno delle proprie mura alcune statue reimpiegate come materiale di riempimento. Gli scavi iniziarono nel 1863, si interruppero per un breve periodo dopo il ritrovamento dell'edificio e ripresero poco dopo, nel 1865-1866. La prima pubblicazione relativa a questa seconda fase degli scavi che menziona tra i ritrovamenti l'Efebo di Crizio è il Bullettino dell'Instituto di corrispondenza archeologica.
La testa Acropolis 699, in marmo pario e databile alla metà del V secolo a.C., rinvenuta contestualmente al torso, fu ritenuta inizialmente ad esso pertinente e la ricostruzione fu effettuata da Adolf Furtwängler tra il 1878 e il 1880. La testa che attualmente completa il torso dell'efebo fu rinvenuta nel 1888 durante i lavori e gli scavi condotti da Kavvadias e Kawerau, tra il museo e le mura meridionali dell'acropoli; riconosciuta subito come pertinente al torso 698, la testa fu sostituita alla precedente.
Humfry Payne fu il primo ad evidenziare le scheggiature presenti sulle parti combacianti del torso e della testa, che egli ritenne praticate in epoca antica, in occasione di una sostituzione. La statua subì un primo restauro negli anni cinquanta del XX secolo, o nei primi anni sessanta quando, sostituendo il tassello in ferro che teneva unite le due parti con un più sicuro tassello in bronzo, fu aggiunto un cuscinetto di stucco tra le due parti che portò ad un allungamento del collo di circa 1 centimetro e ad una posizione arbitraria della testa rispetto al corpo. Nel 1987 una seconda operazione di restauro portò alla luce le arbitrarietà della prima e permise di comprendere come le due superfici in realtà si adattassero in alcuni punti, soprattutto sulla parte frontale e sulla destra del collo, portando a riconoscerle come originariamente pertinenti, pertinenza confermata anche dall'osservazione della muscolatura che prosegue senza interruzione di continuità attraverso la frattura. Grandi scheggiature sono presenti sulla parte frontale del collo e sulla parte posteriore; il tipo di danneggiamento risulta incompatibile con una riparazione sistematica di epoca antica e le scheggiature ovali, osservabili sul davanti e sul retro del collo, sembrano coerenti con una decapitazione intenzionale.
La statua è priva degli avambracci, del piede e della caviglia sinistra, della gamba destra e degli occhi. Risultano danneggiati il naso, il mento, le guance e il collo. Il torso presenta segni di usura dovuta ad esposizione soprattutto nella parte posteriore. La gamba destra è avanzata e rilassata, il peso del corpo è caricato sulla gamba sinistra e sempre verso sinistra si inclinano le anche. La testa è girata verso destra e leggermente inclinata verso il basso. Tutto il corpo, come rivela l'osservazione del profilo sinistro, è impercettibilmente inclinato in avanti. Il ginocchio destro è leggermente inclinato verso l'interno e si può intuire come il piede corrispondente fosse a sua volta posizionato obliquamente e poco avanzato rispetto al sinistro. Entrambi i piedi avevano con ogni probabilità la pianta interamente appoggiata alla base, essendo il tallone rialzato nelle figure stanti innovazione testimoniata a partire dall'epoca policletea intorno al 450-440 a.C. La capigliatura dell'efebo, con i capelli corti e acconciati attorno ad un anello, presumibilmente metallico, appoggiato all'altezza delle tempie, non è comune prima del 480 a.C. e allontana la statua dalla precedente identificazione con un atleta (Dickins), avvicinandola alla rappresentazione di un dio o di un eroe (Hurwitt suggerisce la figura di Teseo).
Il ginocchio piegato, la torsione del torso e della testa sono caratteristiche che, singolarmente, è possibile rilevare in alcune opere tardo arcaiche, ma nell'insieme la posa dell'efebo, con la sua avanzata comprensione dell'organica correlazione tra le parti del corpo, non è rintracciabile in nessuna delle precedenti opere conosciute. Malgrado l'evidente allontanamento dell'efebo dall'impostazione del kouros arcaico, allo stato delle conoscenze resta impossibile chiarire se ciò che avviene nell'Efebo di Crizio derivi da un prototipo preesistente, o se l'opera sia la prima manifestazione di ciò che verrà reso sistematico attraverso il canone policleteo.
Le caratteristiche dell'Efebo di Crizio sono generalmente considerate attribuibili ad artisti abituati a lavorare con il bronzo: le dimensioni, comuni nei bronzi protoclassici, la superficie lucida e la resa fluida della muscolatura, assimilabili alla resa delle opere bronzee, gli occhi in pietra colorata o pasta vitrea, infine, il trattamento della capigliatura, che sembra derivare dall'arte della toreutica piuttosto che dalla scultura in marmo. Fu Furtwängler nell'articolo del 1880 in cui stabiliva la pertinenza della testa 699 al torso dell'efebo ad avvicinare la figura di quest'ultimo a quella dell'Armodio nella copia del gruppo dei Tirannicidi conservata a Napoli e tale attribuzione continuò ad essere l'unica, accettata o rifiutata, tramandata in letteratura. A seguito della sostituzione della testa, pur restando evidente l'impossibilità di attribuire in modo fondato l'opera alla mano di un artista individuabile, la quantità e qualità delle similitudini tra la nuova testa dell'efebo e la copia della testa di Armodio conservata a New York appaiono tali da allontanare la possibilità di una somiglianza stilistica più generale, dovuta a tendenze legate agli anni di esecuzione dell'opera, e da mantenere plausibile la possibilità di considerare l'Efebo di Crizio come l'opera di un autore educato nella bottega di Crizio e Nesiote, o influenzato dalla loro opera.


GRECIA - Efebo di Maratona

 
L'
Efebo di Maratona è una scultura greca bronzea datata all'incirca al 340-330 a.C (età classica); rinvenuta nel mar Egeo al largo della baia di Maratona nel 1925, da allora è conservata al museo archeologico nazionale di Atene.
Il soggetto ritratto potrebbe essere il vincitore di una gara di atletica leggera ai giochi olimpici antichi; grazie alla muscolatura alquanto morbida e all'esagerato contrapposto, il suo stile è stato immediatamente associato con la scuola di Prassitele. Il braccio alzato e la distribuzione del peso indicano che nel suo contesto originale questa raffigurazione di efebo doveva star appoggiata ad un supporto verticale, che poteva essere ad esempio una colonna andata perduta.
La statua è stata recuperata dal fondo marino nel mese di giugno 1925, dopo essersi impigliata tra le reti dei pescatori di spugne locali.
Un'esplorazione approfondita condotta nel 1976 da un team franco-britannico è riuscita a individuare la "nave relitto" sul luogo della scoperta. È possibile che la statua avesse appena decorato la villa di Erode Attico con vista sulla baia.
La scultura rappresenta un ragazzo nudo in piedi a grandezza leggermente inferiore a quella naturale, misurando un'altezza di 130 cm. Il suo atteggiamento risulta essere abbastanza complesso; appoggiato sulla gamba sinistra, il piede della gamba libera è posto dietro, sul bordo, secondo le regole del contrapposto di Policleto. L'ondeggiare delle anche è tuttavia più pronunciato che in quest'ultimo, e il design dei muscoli - sporgenti nel petto e nella parte inferiore del ventre - è invece meno marcato.

La testa, rivolta verso sinistra, indossa una fascia che è attaccata ad una forma di foglia decorativa del tutto simile ad un corno. Il braccio con la mano sinistra sta a mezz'aria come galleggiando nello spazio, come spesso accade per le opere del secondo periodo classico. La stabilità dell'insieme è assicurata da una colata di piombo all'interno della gamba sinistra; il canale di entrata è ancora visibile nell'alluce. Le tracce di strappo sulla pianta del piede e le prime tre dita mostrano anche che il piombo è stato inserito solamente nella gamba sinistra. La punta del piede destro, mancante, è stato restaurato in tempi moderni.
Leggermente piegato il braccio destro è sollevato sopra la testa, mentre quello sinistro è bloccato lungo il torace, con l'avambraccio piegato ad angolo retto. Un attento esame del bronzo dimostra che la mano destra non teneva nulla in mano. Al contrario, il palmo (anatomia) della mano sinistra è montato a mortasa e il tenone restante conserva tracce di piombo. La superficie interna della parte più lunga e l'esterno dell'avambraccio sinistro presentano tracce che dimostrano come l'efebo fosse in possesso di un attributo di forma lunga e piatta di circa 20 centimetri il quale giungeva fino all'incavo del gomito.
Il lavoro col bronzo è stato eseguito particolarmente bene: la giunzione delle sezioni non è visibile, ad eccezione di quella delle braccia. Questi sono stati riportati a diversi livelli, il che ci fa pensare che entrambi avevano subito restauri antichi, o almeno alla parte inerente al braccio sinistro. Tuttavia, questo fatto di per sé non è incompatibile con le tecniche di fusione utilizzate al tempo: la differenza di altezza della giunzione potrebbe essere spiegato dalla differenza in posizione e peso di ciascun braccio. In mancanza di una approfondita analisi tecnica del bronzo, non è possibile concludere con certezza l'esatta opera di lavorazione.
Gli occhi sono in pietra bianca, mentre le iridi vengono rappresentate da un disco di pasta di vetro giallo chiaro; la pupilla è invece andata perduta. Sono stati inserite lunghe ciglia sotto le palpebre. I capezzoli sono intarsiati di rame puro.
La posizione del giovane non è ben compresa; non è dissimile da quella degli atleti che si stanno versando dell'olio sul corpo, ma in questo caso la posizione della mano destra non consente di vederla come gestualità appartenente ad un coppiere. Lo sfiorarsi del pollice e dell'indice potrebbe d'altronde significare anche uno schiocco delle dita.

Si è tentati inoltre di vedere un qualche collegamento tra i rispettivi gesti compiuti dalle mani sinistra e destra, il giovane in tal caso avrebbe potuto avere in braccio un neonato (così come accade nell'Hermes con Dioniso), oppure un gallo appena ricevuto in regalo dall'amante adulto (come accade nella tradizione antica della pederastia greca).
Se fosse una rappresentazione del dio Ermes da adolescente avrebbe potuto tenere in mano una tartaruga, suo attributo
Lo stile del giovane si riferisce senza dubbio al secondo classicismo. Il suo fascino e la grazia evocano più precisamente lo stile di Prassitele le cui composizioni maschili inclinano i fianchi in modo da effeminato, oltre alla modellazione dei muscoli, all'età poco più che adolescenziale del modello e l'inclinazione della testa; la statua sembra molto simile al tipo del Satiro versante o "Satiro coppiere" di Torre del Greco. La scelta del materiale in effetti non è incompatibile con l'assegnazione prassiteliana in quanto, anche se il maestro ateniese ha lavorato principalmente in marmo, le fonti antiche affermano che eccelleva anche con il bronzo.
Con l'avvento delle immersioni subacquee si è avuta la possibilità di cominciare a recuperare reperti di vario genere, tesori artistici ed archeologici che si erano fino a quel momento preservati dalla distruzione umana, proprio a causa del loto sprofondamento in mare.
Altre famose statue in bronzo sono state recuperate, generalmente da siti in cui si erano verificati antichi naufragi, in tutta l'area del mar Mediterraneo: con l'inizio del nuovo secolo nel 1900 nei pressi di Antikythera è stato rinvenuto, oltre alla cosiddetta macchina di Anticitera, anche l'Efebo di Anticitera; nel 1907 un satiro in bronzo, l'Efebo di Mahdia al largo della costa della Tunisia nei pressi della moderna città di Mahdia; nel 1926 al largo di capo Artemision nel nord dell'isola Eubea è stato ritrovato il Cronide di Capo Artemisio; l'Atleta di Fano è stato dragato al largo della costa di Fano in Italia; mentre i Bronzi di Riace sono stati ripescati nel 1972 in Calabria.
Ancora un esemplare di Apoxyómenos è stato recuperato dal mare della Croazia al largo dell'isola di Lussino nel 1999; infine il Satiro danzante di Mazara del Vallo del 2003 proviene direttamente dal canale di Sicilia.

GRECIA - Korai dell'acropoli di Atene


Le korai dell'acropoli di Atene sono un gruppo di statue femminili, ritrovate nella colmata persiana nell'ultimo quarto del XIX secolo, che formano una serie omogenea per tipologia e funzione, ovviamente votiva, e attraverso le quali è possibile seguire l'evoluzione stilistica della scultura attica per circa un secolo, tra il 570 e il 480 a.C. L'evoluzione delle korai dell'acropoli di Atene permette di seguire in particolare la nascita e lo sviluppo dell'influenza ionica sull'arte attica della seconda metà del VI secolo a.C. L'epoca è quella del primo apparire di elementi ionici nelle imprese architettoniche dei Pisistratidi e degli stretti rapporti tra la Ionia e Atene. Verso la fine VI secolo a.C. vi si nota il superamento, o meglio, l'assorbimento di tale influsso e la nascita di un nuovo stile, detto severo, favorito da una insorgente influenza peloponnesiaca. Tra le korai più antiche ritrovate sull'acropoli di Atene, appartenenti alla prima metà del VI secolo a.C., si situano la Acropolis 619 e Acropolis 677 di provenienza rispettivamente samia e nesiotica, mentre la Kore di Lione, datata alla metà del secolo, rappresenta il primo esempio dell'influsso ionico sulla scultura attica oltre che il primo impiego in attica del tipico costume ionico. Tra quest'ultima e le precedenti si pone la Acropolis 593.
La sostituzione del costume dorico con quello ionico ebbe come conseguenza un cambiamento dell'intero sistema formale. La mano che porgeva l'offerta si staccò dal busto sporgendosi in avanti mentre il braccio che aderiva al fianco venne impiegato per scostare di lato le pieghe del vestito, come accadeva nelle figure femminili ioniche del donario di Geneleos. Il cambiamento venne introdotto in un'epoca certamente precedente alla Kore col peplo (Acropolis 679), di circa 10 o 15 anni posteriore alla Kore di Lione.
Frequente è l'accostamento delle korai attiche del decennio 540-530 a.C. con la Leda dell'anfora al Museo Gregoriano Etrusco di Exekias; a questo gruppo appartengono la Kore col peplo e la Acropolis 678 la quale però manifesta tutt'altro temperamento rispetto alla precedente. La Acropolis 669 sembra al Payne una figura di passaggio; la kore ha una struttura corporea vicina a moduli più antichi, ma gli occhi hanno già una dimensione
ridotta e presentano i condotti lacrimali segnati, come in tutte le korai successive. A partire da questa kore il costume ionico assume una forma standardizzata basata sulla profondità e libertà delle pieghe dell'himation e sul gioco della rappresentazione della stoffa. Ernst Langlotz non vede nella commistione di elementi antichi e recenti giustificazione sufficiente per una datazione alta e data questa kore, come anche la Acropolis 678, alla fine del secolo.
Gli ultimi trent'anni del VI secolo a.C. sono caratterizzati da una maggiore attenzione alla modellazione del volto e alla decorazione di superficie, soprattutto visibile nel trattamento dei capelli e delle vesti. Ne è un esempio la Acropolis 682, avvicinabile alla cariatide del Tesoro dei Sifni, come anche la testa Acropolis 660. La Acropolis 594, databile al decennio 520-510 a.C., con l'epiblema indossato sull'himation, supera il dualismo tra panneggio e forma sottostante, come riuscirà a fare solo l'autore della Kore di Euthydikos. Vi è, in questa figura, una corrispondenza particolare tra le forme massicce delle vesti e quelle del corpo, che non annulla tuttavia la complessità del disegno di superficie.
La Kore di Antenor (Acropolis 681) è un'opera che può essere considerata come una interpretazione del tema da parte del suo autore. Il rapporto della statua con la base, e quindi l'identificazione di questo autore con lo scultore ateniese Antenor, è stato messo in dubbio, ma si tratta in ogni caso di un maestro: il trattamento della veste con le profonde scanalature verticali, alternate a scansioni orizzontali non si trova su nessun'altra figura proveniente dall'acropoli.
La kore Acropolis 674 è opera ricca di individualità nella struttura del corpo: collo lungo e sottile e spalle declinanti in contrasto con la testa un po' pesante. L'espressione del volto è sottolineata da un nuovo understatement nei dettagli della pettinatura e dell'abbigliamento. La modellazione del volto anticipa, ormai al volgere del secolo, la semplificazione che si troverà nella Kore di Euthydikos e nella scultura del periodo classico. È scomparso il sorriso arcaico e non lo si trova nemmeno sulla Acropolis 685 che ha una struttura simile, ma che segue uno schema insolito: tutte e due le mani erano protese con offerte e la veste dunque ricade, non scostata di lato, seguendo verticalmente la linea del corpo. Le ultime tre korai citate sono ricondotte da Ranuccio Bianchi Bandinelli ad un unico maestro la cui cifra stilistica sarebbe ravvisabile anche nella Kore di Euthydikos e nell'Efebo biondo.
Anche la Acropolis 670 ha una struttura insolita, indossa solo un chitone con cintura in vita che forma un pesante aggetto sul davanti e le pieghe formate dalla gonna sono insolite per il periodo pur corrispondendo ad un motivo ionico antico. La testa Acropolis 643 è uno dei capolavori della scultura attica, una delle pochissime teste femminili che eguagliano la Testa Rayet e la Testa Sabouroff,
dotata com'è di elementi necessariamente conseguenti e passaggi indefinibili.
Al principio del V secolo a.C. l'offerta votiva delle korai comincia a diminuire e vi sono poche figure di questo genere che appartengono a questo periodo. La più antica è la Acropolis 684, dotata di una struttura imponente e di un voluminoso panneggio. La particolare individualità della testa ricorda la Acropolis 674 ma è già più vicina alla Kore di Euthydikos; essa inoltre ha condotto, per la vicinanza con una testa di Atena in terracotta trovata ad Olimpia nel 1940, a considerare questa kore opera di un autore peloponnesiaco.
Fra la Acropolis 684 e la kore dedicata da Euthydikos sembra situarsi la frammentaria Acropolis 696. Il volto ha forme ampie e uniformi, la bocca si avvicina alla forma assunta nella Kore di Euthydikos e i capelli sono trattati in modo semplice. Gli scultori attici iniziano ad abbandonare le complessità superficiali alle quali si erano applicati nel periodo precedente .
La statua dedicata da Euthydikos presenta una plasticità nuova, la profondità cilindrica del corpo dona alla struttura una coerenza assente nelle figure femminili attiche in cui erano le spalle a reggere la copertura da parte della veste. Qui la concretezza del corpo emerge e domina. Un nuovo sistema di pensiero si sostituisce al vecchio e molte delle forme caratteristiche del nuovo stile sembrano emergere dai bronzi peloponnesiaci così come la Kore di Euthydikos, attraverso l'Efebo biondo, sembra stilisticamente vicina all'Apollo del frontone del tempio di Zeus a Olimpia.

nelle foto, dall'alto in basso
- Acropolis 619
- Acropolis 677
- Acropolis 670
- Acropolis 674
- Acropolis 685

GRECIA - Kore con il peplo

 


La Kore con il peplo è una statua greca arcaica in marmo, alta 120 cm e conservata nel Museo dell'Acropoli ad Atene (n. 679). La kore venne rinvenuta nel febbraio del 1886 assieme ad altre fra le maggiormente conservate korai dell'acropoli di Atene, nella cosiddetta colmata persiana - un terrapieno in cui erano stati sepolti i resti dei monumenti del VI secolo a.C. distrutti dai Persiani nel 480 a.C. - in un momento di grande progresso delle scoperte nel sito, che si verificò tra il 1884 e il 1888 durante le campagne di scavo di P. Kavvadias con l'assistenza tecnica di Wilhelm Dörpfeld.
Come le altre korai dedicate nell'acropoli di Atene mostra una figura femminile, con i piedi uniti e con il braccio destro vicino al corpo, mentre quello sinistro, era levato in avanti, in un gesto offerente. Il braccio sinistro sporgente, essendo stato lavorato a parte, è oggi perduto. Rispetto alle altre korai attiche la Kore con il peplo mostra una modulazione dei piani più raffinata, che danno al corpo una consistenza più morbida e levigata. A differenza delle statue della scultura ionica con le loro superfici elaborate, l'astrazione iconica è qui sciolta in una naturalezza più reale, come si vede nella resa del volto e nella definizione più armoniosa di glutei e seno. La ricercata semplicità della struttura è ottenuta attraverso la scelta del peplo dorico benché da più di dieci anni imperasse in attica la moda ionica del chitone e dell'himation, la quale sarebbe durata fino alla fine del VI secolo a.C.; questa scelta rivela che l'interesse dello scultore era rivolto al corpo più che al panneggio, infatti, così, il corpo domina il panneggio e non viceversa. La semplicità della struttura inoltre sembra funzionale all'accentuazione, quasi per contrasto, della vivacità del volto (ottenuta anche attraverso una leggera asimmetria), dotato di una certa individualità. L'espressività era rafforzata dalla policromia, della quale restano evidenti tracce (nero, verde e rosso) nelle pupille e nei capelli.
Humfry Payne, seguito da molti altri studiosi, ha ricondotto questa kore alla stessa mano dello scultore attico che ha scolpito il Cavaliere Rampin.

GRECIA - Kore 675


 La Kore 675, conosciuta anche come Kore di Chio, è una statua votiva in marmo insulare, forse di Chio, alta 55 cm e databile al 520-510 a.C. circa. Dell’originale è rimasta la parte superiore, fino all’altezza delle ginocchia. È conservata nel Museo dell'Acropoli di Atene. Venne ritrovata sull’Acropoli di Atene: mentre la scoperta della testa ad est del Partenone risale al 1886, il corpo venne alla luce a sud dello stesso nel 1888. Si trattava di una delle numerose korai che a quell’epoca venivano dedicate, probabilmente, ad Atena. L’elemento più notevole dell’opera è la rappresentazione elaborata delle vesti, ovvero un chitone blu sul quale è appoggiato in senso diagonale un himation, con decorazioni rosse e blu sull’orlo. 
Emerge dunque una particolare attenzione ai dettagli, siano essi incisi nel marmo oppure dipinti, anche per quanto riguarda la raffinata acconciatura dei capelli, che scendono sul busto raccolti in trecce, o la corona decorata da meandri. La gamba sinistra è leggermente avanzata, il braccio destro proteso in avanti mentre quello sinistro tira leggermente la veste: questa iconografia era tipica della statuaria femminile arcaica.
Lo stile virtuosistico e gli abiti di tradizione ionica erano ormai caratteristiche diffuse in questa tipologia scultorea dell’Acropoli, ma la Kore 675 sembra essere stata realizzata da un artista proveniente dalla Grecia orientale. Come testimoniato dal marmo originario di Chio, si crede che questa opera possa essere stata creata da Archermos o, meglio, dalla sua scuola (Plinio il Vecchio riporta che la sua famiglia diede scultori per più generazioni). Il suo volto è stato infatti accostato a quello della Nike di Delo (o “di Archermos”), più antica di circa 50 anni. Archermos di Chio (lo stesso della Nike oppure un ipotetico nipote omonimo) era inoltre rappresentato sull’Acropoli da una dedica su un fusto di colonna.

GRECIA - Kore di Euthydikos

 
La Kore di Euthydikos (a volte italianizzata in "Eutidico") è una scultura votiva in marmo pario, di dimensioni inferiori al vero, databile al 490-480 a.C. circa e conservata nel Museo dell'acropoli di Atene. Venne distrutta in occasione della Seconda guerra persiana nel 480 a.C. Fu una delle tante statue scoperte nella colmata persiana: dell’originale rimangono il busto dalla vita in su insieme alla testa e, separatamente, le gambe al di sotto delle ginocchia insieme ai piedi e alla base. La porzione superiore (Acropolis 686) fu ritrovata nel 1882 sull’acropoli di Atene, ad est del Partenone. Nel 1886-1887 venne alla luce la parte inferiore nei pressi dell’Eretteo. La kore di Euthydikos è una testimonianza del passaggio dallo stile tardo arcaico allo stile severo, del quale anticipa alcuni elementi pur appartenendo cronologicamente all’età arcaica. Alla tradizione precedente appartiene il genere stesso dell’opera, nonché la postura frontale con il braccio destro allungato ad offrire un dono ed il sinistro che tira la gonna sul fianco. Tra le novità, invece, fin da subito si notò che il volto mancava del caratteristico sorriso arcaico, tanto che la kore ricevette il soprannome di imbronciata.
Le vesti (un himation sopra al chitone) sono di tradizione ionica e contraddistinte da un certo manierismo. Esse rivelano però i volumi del corpo sottostante, come si può vedere nella parte inferiore: anche questa attenzione rende la scultura un precoce esempio della statuaria di prima età classica. Sopra le vesti vennero aggiunte decorazioni dipinte, come il fregio rappresentante una corsa di carri sul chitone. Sopra i capelli, che ricadono in tre trecce sopra ciascuna spalla, la fanciulla indossa una tenia.
Per la somiglianza con l’Efebo biondo è stato proposto che le due opere siano state scolpite dallo stesso autore.
Sulla base in marmo pentelico è riportata la seguente iscrizione:

ΕΥΘΥΔΙΚΟΣ Ο ΘΑΛΙΑΡΧΟ ΑΝΕΘΕΚΕΝ
«Euthydicos, figlio di Thaliarchos, ha dedicato (questa statua)».



GRECIA - Kore di Nikandre

 
La kore di Nikandre è una statua votiva greca di stile dedalico (altezza 180 cm; profondità 17 cm) scolpita in marmo di Nasso probabilmente da uno scultore del luogo ed eretta nel santuario di Artemide a Delo (Cicladi) intorno al 650 a.C. Ritrovata durante gli scavi del santuario nel 1878 è conservata nel Museo archeologico nazionale di Atene (inv. 1).
La datazione è stata assegnata in base allo stile e alla paleografia dell'epigrafe scolpita nella parte inferiore sinistra del peplo. Nel momento del ritrovamento la statua era divisa in due pezzi all'altezza della vita, entrambe le braccia erano spezzate vicino al gomito, lungo la stessa linea di rottura. L'avambraccio sinistro è mancante; porzioni di entrambe le mani sono conservate nei punti in cui sono aderenti ai fianchi. La superficie presenta macchie e incrostazioni di colore variabile dal rosso bruno al grigio chiaro, ed è fortemente erosa e graffiata. L'iscrizione dedicatoria invece è bene conservata.
Di questa statua, la più antica in marmo a dimensioni naturali che ci sia pervenuta, fornisce alcune informazioni l'epigrafe a caratteri arcaici scolpita sulla statua stessa: la dedicataria è Nikandre «figlia di Deinodikes di Naxos, sorella di Deinomenes e moglie di Phraxos». Si pensa che Nikandre fosse stata una sacerdotessa di Artemide presso il santuario di Delo e che la statua sia stata dedicata nel momento del suo matrimonio, per prendere congedo dal servizio. La statua raffigura una donna in piedi, forse Artemide, forse la stessa Nikandre o forse ancora una offerente senza alcun riferimento individuale; entrambe le mani presentano buchi da trapano, per una profondità di 6 mm, i quali contenevano probabilmente aggiunte in metallo, forse doni per gli dei o attributi che avrebbero aiutato, se conservati, nell'identificazione.
La statua ha i capelli in stile dedalico che si dividono in due grandi masse e che si diffondono sulle spalle; le trecce sono articolate su tutti i lati con solchi verticali e orizzontali. Alta quanto un essere umano o poco più, ha uno spessore di soli 17 cm; è una composizione sbozzata sui quattro lati, ma i lati stretti sono così sottili che rendono la figura praticamente bidimensionale; la si potrebbe considerare un rilievo se la parte posteriore non avesse la stessa definizione formale di quella anteriore. Le braccia ed i piedi sono attaccati al busto e i piedi sono visibili sotto la gonna ma non ne fuoriescono. La sottigliezza e la grave erosione rendono i tratti del viso a malapena riconoscibili. E. Paribeni ricorda come questa «plasticità attenuata ed esangue» sia carattere costante nella produzione artistica di Nasso e di Thera. Altri, sulla base della planarità e della scultura grezza, sono arrivati a considerare Nikandre come un esempio di xoanon, statua di culto scavata nei tronchi di legno. È probabile infatti che una lunga tradizione di grandi sculture in legno si trovi dietro alla statua in marmo di Nikandre. Lo stesso tenone che serve a fissare la statua alla base sembra derivare da tecniche costruttive in legno. Le proporzioni sono conformi al canone maschile egiziano ed è probabile che sia stato l'intensificarsi dei contatti con la cultura egiziana, a partire dal 664 a.C. circa (ascesa al trono egiziano di Psammetico I), a provocare l'impulso di trasporre gli xoana in legno nel marmo locale; già precedentemente del resto, durante il periodo geometrico, i greci avevano modellato vasi funerari a misura d'uomo (Vaso del Dipylon) e non è difficile pensare che l'immagine di Era che doveva trovarsi sulla base in fondo all'Heraion di Samo fosse a grandezza naturale o più. La tradizione delle statue di culto in legno, quelle cui fanno riferimento le fonti letterarie, continuò per tutto il VII secolo a.C. I termini che venivano usati dai greci per questo tipo di statue erano xoanon, bretas o kolossos, termini non connessi originariamente alle dimensioni, ma alla forma, simile ad un pilastro, una colonna o un tronco di legno.



GRECIA - Kore di Antenor

 
La Kore di Antenor è una statua attica arcaica in marmo insulare, alta 215 cm e conservata nel Museo dell'acropoli ad Atene (n. 681). La base che le è probabilmente associata reca incisi il nome del committente e dello scultore ateniese Antenor. Fa parte della serie di statue votive femminili che fu in uso dedicare sull'acropoli di Atene all'incirca tra il 570 e il 490 a.C. Gli artisti che vissero ad Atene sotto la tirannia dei Pisistratidi godettero di un periodo di grandi e frequenti commissioni pubbliche e private; verso il 530-520 a.C. un vasaio di nome Nearchos (difficilmente, per ragioni cronologiche, identificabile con il Nearchos del kantharos al Museo archeologico nazionale di Atene, Acr. 611) poté, se la statua e la base sono pertinenti, commissionare ad un artista ateniese di nome Antenor, la più grande tra le korai dedicate ad Atene sull'acropoli.
La kore fu rinvenuta nella cosiddetta "colmata persiana", un terrapieno in cui erano stati sepolti i resti dei monumenti del VI secolo a.C. distrutti dai Persiani nel 480 a.C. La parte superiore della statua, insieme alla base con dedica, è stata trovata nel febbraio del 1886 a nord-ovest dell'Eretteo; i piedi e il plinto erano stati scavati precedentemente al nuovo rinvenimento e sono stati riuniti alla parte superiore in seguito al rinvenimento delle parti di raccordo nel 1887.
Il rapporto della statua con la base è stato messo in dubbio subito dopo il rinvenimento e la connessione dei frammenti tra loro; alcuni studiosi, tra gli altri Humfry Payne, hanno continuato a non ritenere pertinenti le due parti. Le motivazioni principali sono le seguenti: ad un foro sul fondo della statua non corrisponde alcun altro foro sulla base, il plinto è troppo piccolo rispetto alla cavità della base e una volta inserito rimane rialzato rispetto al livello di questa.
La statua è frammentata perché mancano il naso, il braccio destro inferiore, la punta delle dita della mano sinistra, frammenti degli arti inferiori, la parte anteriore dei piedi e l'occhio destro. La posa è quella comune per questo tipo di scultura; si erge su un piccolo plinto destinato all'inserimento nella cavità della base. Quest'ultima misura 60,5 cm x 30 cm; è alta 40 cm ed è decorata con linguette verdi e rosse alternate su tutti e quattro i lati.
Il costume è composto da un chitone ionico e un himation. Un braccialetto verde intagliato decora il braccio sinistro al quale sembra essere collegato il lembo del chitone. Due strisce rosse con un meandro verde decoravano il bordo inferiore dell'himation. I capelli sono lisci nella parte superiore del cranio, mentre sulla fronte sono acconciati in riccioli ordinati su tre linee. Sul diadema restano tracce di decorazione a meandri dipinta. I capelli che recano tracce di rosso scendono divisi in quattro ciocche su ogni spalla nella zona anteriore e cadono posteriormente in una massa semicircolare suddivisa in venti ciocche. Piccole tracce di cristallo di rocca o pasta vitrea viola restano all'interno degli occhi, il castone di metallo si è conservato nell'occhio sinistro.
Gli occhi e la bocca sono orizzontali. Le palpebre inferiori sono dritte, quelle superiori arcuate in stile attico come la forma del viso e delle orecchie. Il mento è solido e quadrato. Le spalle sono larghe e alte mentre la parte inferiore manca di profondità; tutte e due le braccia sono insolitamente staccate dal corpo e il braccio sinistro non è modellato a parte, come solitamente veniva fatto, ma unito al resto della statua.
Il Dickins sottolinea la sostanziale struttura attica della statua, il Payne ne evidenzia l'isolamento stilistico all'interno della sequenza delle korai dell'acropoli. I modi ionici (anche nella foggia delle vesti) sembrano perfettamente compresi e assorbiti, l'insistenza nella resa della stoffa e del panneggio è segno dei tempi. La kore, come si è detto, è la più grande tra quelle rinvenute sull'acropoli, ma non si tratta, come nota il Payne, dell'ingrandimento di una comune kore: la monumentalità che caratterizza quest'opera è dovuta ad una interpretazione dell'artista. Lo scultore insiste sugli elementi verticali del disegno, posti a scansione regolare come le scanalature di una colonna; allo stesso tempo la verticalità è ridimensionata dalla linea dell'himation che diviene quasi orizzontale così come le increspature del chitone sulla spalla sinistra. Questo modo di concepire la figura la avvicina al senso di presenza e stabilità che caratterizza le dee ioniche del tempo di Cheramyes, ma non per un atteggiamento superficialmente ionizzante, piuttosto per una rinnovata attenzione verso elementi antichi e semplici che avvicinano quest'opera allo spirito dello stile severo, come espressione di pacata moralità e dignità e che la rendono allo stesso tempo un riflesso della possibile cifra stilistica che potrebbe essere appartenuta al perduto primo monumento ai tirannicidi.


GRECIA - Kore Phrasikleia

 
La Kore Phrasikleia è una statua arcaica dell'artista Aristion di Paros creata tra il 550 e il 540 a.C. circa. Si trovava su una tomba presso l'antica città di Myrrhinous in Attica, sotterrata in conformità al "seppellimento rituale di oggetti votivi, carichi di valenze religiose e quindi degni di essere sottratti al deterioramento". A causa del suo stato di conservazione eccezionale, è una delle più importanti opere d'arte arcaiche.
Michel Fourmont, che visitò la Grecia nel periodo 1729–1730, descrisse un blocco di marmo con un'epigrafe, che si trovava nella chiesa di Panagia (Ognissanti) di Merenda. La scritta era stata resa illeggibile prima di essere usata nella chiesa, ma Fourmont poté ricostruirla.
«Tomba di Phrasikleia
Kore (ragazza) devo esser chiamata
sempre. Invece del matrimonio,
dagli Dei questo
nome diventò il mio destino.»
«Aristion di Paros mi ha fatto»

Nel 1968, il blocco viene rimosso e collocato nel Museo epigrafico di Atene. Quattro anni dopo, l'archeologo E. Mastrokostas scoprì nelle tombe a Myrrhinous due statue in marmo, un kouros e una kore, che ovviamente appartenevano alla stessa installazione. Hanno immediatamente ricordato la base con l'iscrizione che si trovava solo a 200 metri, nella chiesa. Nella parte inferiore delle statue furono trovati pezzi di piombo, che una volta le avevano collegate alla loro base. Basandosi su questa massa di piombo, che si adatta esattamente al blocco di marmo con l'iscrizione, fu chiaramente dimostrata la pertinenza. La statua si trova nel Museo archeologico nazionale di Atene ed è esposta nella Sala 11, col numero di catalogo 4889.
La statua di marmo pario, ha un'altezza di 211 cm e sorge su un piedistallo alto 26 centimetri. Come suggerisce l'iscrizione, raffigura una giovane donna che morì nubile e quindi dovrebbe essere conosciuta per sempre come una ragazza.
È in posizione eretta e indossa un lungo chitone, decorato con fiori e meandri. Attorno alla vita indossa una cintura. La parte anteriore dei piedi e sandali sono visibili. Il braccio destro ricade in basso e tiene saldamente con la mano il chitone. Il braccio sinistro è piegato davanti al corpo e in mano tiene un fior di loto ancora chiuso. Sulla testa indossa una ghirlanda di fiori, intorno al collo una collana e un braccialetto su ogni braccio.
È possibile vedere resti della cromia originaria. In occasione della mostra Bunte Götter (Dei colorati), che era prodotta dalla Gliptoteca di Monaco di Baviera nel 2003 e che da allora ha visitato vari musei d'Europa e d'America, è stata presentata una ricostruzione dei colori della Kore.

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...