martedì 15 luglio 2025

Calabria - Timpone della Motta

 
Il Timpone della Motta è un sito archeologico situato sulla collina omonima, a due chilometri a sud-ovest di Francavilla Marittima in Calabria. È indicato anche come Timpone Motta – Macchiabate, Parco archeologico didattico di Francavilla Marittima e Parco archeologico Timpone Motta e Antiquarium. Abitato fin dalla media età del bronzo, nell'età del ferro il colle fu sede di un insediamento enotrico. Nel corso del tempo l'insediamento si trasformò in un importante santuario, noto come sede dei primi templi greci antichi conosciuti nella penisola italiana. Gli Enotri furono influenzati dalla cultura dei coloni greci della vicina Sibari, che ne rilevò il sito nella seconda metà del VII secolo a.C. La collina fu abbandonata quando i Bruzi conquistarono la regione nel IV secolo a.C.
I repenti scavati in questo sito sono in larga parte nel Museo archeologico nazionale della Sibaritide, compresi quelli legati a scavi clandestini e rimpatriati dal Getty Museum, dalla Ny Carlsberg Glyptotek e dall'Università di Berna.
La collina ha un'altitudine di 280 metri sul livello del mare e domina la piana costiera di Sibari e il Golfo di Taranto. Si trova sulla sponda settentrionale del fiume stagionale Raganello. Vicino alla sommità della collina si trova l'acropoli, che era la sede di un santuario con tre templi. L'acropoli era circondata da una cinta muraria. Più a valle si trovano diversi terrazzamenti con testimonianze di insediamenti e ai piedi della collina si trova la necropoli di Macchiabate. L'antica città greca di Sibari era situata ad una distanza di 15 chilometri a sud-est.
Sul Timpone della Motta sono stati rinvenuti due tipi di reperti archeologici: un santuario sulla sommità del colle e resti di insediamento sui terrazzi inferiori.
Il santuario si trova sulla sommità pianeggiante del colle, sull'acropoli. L'edificio più antico qui è una capanna a forma di ferro di cavallo dell'età del bronzo medio, in cui non sono state trovate tracce di un luogo di culto. Nello stesso posto c'è un edificio absidale risalente all'VIII secolo a.C. Qui sono stati rinvenuti i resti di un grande telaio, costituito da una fila di pesi decorati da tessitura; insieme ai pesi di telai più piccoli e più di 300 bobine di filatura testimoniano un'intensa produzione tessile. Nel piazzale antistante l'edificio sono stati scoperti i resti di un altare. Le sue ceneri, originariamente ammucchiate contro il muro sud dell'edificio, contenevano ossa di animali incombuste e frammenti di ceramica. L'analisi di questo asse non ha evidenziato resti vegetali, rafforzando il sospetto che l'edificio svolgesse una funzione cultuale.
Dopo questa fase furono costruiti tre templi sul Timpone della Motta, quello più meridionale sopra l'edificio absidale; questi templi attestano influenze sia greche che indigene (720-650 a.C.). Anche questi edifici, costruiti con file di grossi pali posti in fori scavati nella roccia, furono sostituiti da quattro templi con fondamenta in pietra (650-610 a.C.).
La fase successiva non è ancora chiara: uno spesso strato di ghiaia sopra il tempio più meridionale fu probabilmente utilizzato come palcoscenico per un nuovo edificio, ma di questo non sono stati trovati resti. Un nuovo altare è stato ritrovato durante gli scavi del 2008, forse ad indicare che nel VI secolo a.C. si trovasse davvero un tempio.
Nel santuario è stata trovata un'iscrizione in cui un atleta dedica parte del suo premio alla dea Atena. Ciò porta a pensare che il santuario sul Timpone della Motta fosse dedicato a questa dea.
Il versante della collina contiene zone pianeggianti, i cosiddetti altipiani, nelle quali sono state rinvenute tracce di abitato. Sul plateau I la ricerca è stata effettuata con trincee e fosse di prova, che hanno dimostrato come l'abitazione sia esistita su quell'altopiano fin dalla media età del bronzo. Questa abitazione è presente anche nel periodo arcaico.


Calabria - Minervia Scolacium

 

Minervia Scolacium, nota in greco come Skylletion (Σκυλλήτιον, per Stefano di Bisanzio e Strabone, o Σκυλάκιον, per Claudio Tolomeo), è un'antica città della Magna Grecia, situata nei pressi dell'odierna Catanzaro, in Calabria. Fu fondata dagli ateniesi fra VIII e VI secolo a.C. e poi rifondata dai romani per volontà di Gaio Sempronio Gracco. Corrisponde all'attuale Squillace, ma le sue rovine si trovano nel comune di Borgia, in località Roccelletta, dove vi è un importante parco archeologico ad essa dedicato. Dalla città, situata sulla costa del mar Ionio, prende il nome il Golfo di Squillace.
La colonia Minervia Scolacium rientra tra le fondazioni di Caio Gracco insieme con Taranto, Capua e Cartagine, nel sito dove probabilmente in epoca Magno Greca era situata la città di Skylletion, a nord di Caulonia.
Il centro greco è nominato da Strabone ed ha un mito di fondazione collegato alle vicende della guerra di Troia: sarebbe stata fondata da Ulisse, naufragato in quella terra o dall'ateniese Menesteo durante il ritorno da Troia.
Storicamente la fondazione di Skylletion si deve con ogni probabilità a Crotone, che si contendeva con Locri Epizefiri il controllo sull'attuale istmo di Catanzaro e dei traffici marittimi presenti in quel settore; il centro ebbe all'origine specificamente il carattere di presidio militare, presente dalla prima metà del VI secolo a.C.
Sembra sia passata sotto il controllo dell'ethnos italico dei Brettii nel corso del IV secolo a.C. e che abbia conosciuto un periodo di decadenza dal III secolo a.C., fino alla fondazione della colonia romana ad opera di Gaio Sempronio Gracco.
La Scolacium romana ebbe vita prospera nei secoli seguenti e conobbe una fase di notevole sviluppo economico, urbanistico e architettonico in età Giulio-Claudia. Vi fu fondata una nuova colonia sotto Nerva, nel 96-98, col nome appunto di Colonia Minerva Nervia Augusta Scolacium.
In età bizantina diede i natali a Cassiodoro (487-583), uno dei più grandi autori della tarda romanità a cui si deve una messe di opere di carattere teologico ed enciclopedico. Il declino cominciò con la guerra greco-gotica del VI secolo e le incursioni dei Saraceni dal 902 d.C., concludendosi con l'abbandono della città nell'VIII secolo. Gli abitanti, ripetendo una pratica comune in quell'epoca sul suolo italico, trasferirono il loro insediamento sulle alture circostanti, fondando altri insediamenti tra i quali quello sulla collina prospiciente l'attuale quartiere Santa Maria di Catanzaro. Successivamente questi centri provvisori furono riorganizzati in posizioni più difendibili e le popolazioni insediate intorno allo Zarapotamo come quelle della collina prospiciente l'attuale quartiere S. Maria di Catanzaro contribuirono alla fondazione della nuova città di Catanzaro.
Il Parco Archeologico di Scolacium si trova in località Roccelletta di Borgia. Dell'abitato preromano rimangono pochi resti, a differenza dell'impianto romano e tardo-antico, di cui spiccano i monumenti principali quali il Foro, il teatro e l'anfiteatro (unico esempio di anfiteatro romano rinvenuto in Calabria).
Tra essi vanno segnalati inoltre gli avanzi delle strade lastricate, degli acquedotti, dei mausolei, di altri impianti sepolcrali, della basilica di epoca Normanna e di un impianto termale. Il teatro poggia sul pendio naturale della collina e poteva ospitare circa 5000 spettatori. Fu costruito nel corso del I secolo e fu dotato di una nuova scena in occasione della fondazione della colonia da parte di Nerva, in concomitanza con il notevole sviluppo monumentale della città e con l'ampliamento dell'intero abitato; fu peraltro oggetto di numerosi rifacimenti successivi, fino al IV secolo. Dal teatro, da rilevare, proviene la maggior parte del materiale recuperato durante gli scavi, tra cui spiccano i pregevoli frammenti architettonici e gruppi scultorei. Poco distante dal teatro si trovano i resti dell'anfiteatro, la cui costruzione risale all'epoca dell'imperatore Nerva.
All'interno del parco è presente inoltre un museo archeologico e un piccolo museo di archeologia industriale del XX secolo.
 

Calabria - Mura greche di Hipponion


Le mura greche di Hipponion sono le mura ciclopiche che circondavano e proteggevano l’antica polis greca di Hipponion (oggi Vibo Valentia). In origine queste mura dovevano essere lunghe circa 6-7 kilometri, alte 10 metri e ad una distanza variabile tra i 25 e i 40 metri erano presenti delle torri. Le più imponenti di esse presentavano un diametro di 10 metri e raggiungevano i 15-17 metri di altezza. Oggi l’unico tratto portato alla luce misura circa 500 metri e presenta otto torri, la più alta di esse raggiunge i 4 metri di altezza. Questo tratto, ubicato nei pressi del cimitero cittadino venne descritto per la prima volta nel 1753 dai fratelli Pignatari, mentre nel 1832 Vito Capialbi pubblicò la pianta del tracciato. Gli scavi che lo portarono alla luce avvennero però tra il 1916 e il 1917 e tra il 1921 e il 1922, condotti dall’archeologo Paolo Orsi, il quale scoprì anche i basamenti di edifici e templi riconducibili alla polis greca.
In epoca contemporanea, le mura greche di Hipponion rappresentano la cinta muraria ellenica più imponente presente in Italia ed il sito archeologico potrebbe espandersi in futuro se verranno condotte nuove campagne di scavo in diverse aree della città in cui sono stati individuati altri tratti di questa fortificazione.


Calabria - Castiglione di Paludi


Castiglione di Paludi è un sito archeologico situato nel comune di Paludi, in provincia di Cosenza.
Il sito si trova su un colle a circa 8 km dal mar Ionio, tra le valli dei torrenti S. Elia e Scarmaci-S. Martino che confluiscono nel vicino torrente Coserie.
Comprende una necropoli dell'età del ferro (IX-VIII secolo a.C.) e un centro fortificato del IV-III secolo a.C.. La città della fase più recente è racchiusa da una notevole cinta muraria, costruita in opera quadrata di blocchi di arenaria, con una porta di accesso con cortile interno e due torri circolari sul lato orientale, postierle e torri circolari. All'interno dell'abitato gli scavi hanno restituito un teatro con sedili scavati nella roccia o costruiti nella parte bassa della cavea in blocchi di arenaria, che doveva costituire un luogo di riunione e diversi edifici di abitazione. Un deposito di terrecotte votive scavato fuori dalla porta principale testimonia l'esistenza di un piccolo luogo di culto.
Gli scavi sono stati condotti dal 1949 al 1956 e ripresi tra il 1978 e il 1993, mentre in seguito il sito è stato dapprima abbandonato e poi risistemato come parco archeologico, inaugurato nel 2016.
In seguito alla presenza di bolli con tegole in osco la città è supposta essere un centro brettio, identificata con Cossa, citata in un frammento di Ecateo di Mileto (VI secolo a.C.) e nel De bello civili di Cesare, che lo colloca nel territorio di Thurii.
In alternativa, in base al fatto che le fonti si riferiscono ad epoche per le quali gli scavi non hanno documentato resti archeologici, in base alla concezione avanzata della cinta difensiva e in base al ritrovamento nel sito anche di iscrizioni in greco, il centro è stato ipotizzato di fondazione greca e passato in seguito sotto il controllo brettio, e ipoteticamente identificato con una città fortificata voluta da Alessandro il Molosso nel territorio di Thurii, sul fiume Acalandros, di cui ci informa Strabone. Il centro sarebbe stato costruito come sede della lega italiota per sostituire la tarantina Eraclea.


 

Calabria - Thurii


Thurii (anche Turii, Turi o Thurio; in greco antico: Θούριοι, Thoúrioi, in latino: Thurium), attestata in età romana anche come Copia o Copiae, fu una città della Magna Grecia, situata nelle vicinanze dell'antica Sybaris, odierna Sibari in Calabria, nel territorio dell'odierno comune di Corigliano-Rossano oppure, più probabilmente, pressoché sullo stesso sito, sulla costa occidentale del Golfo di Taranto. Thurii sorse come colonia panellenica (ovvero formata da greci di tutte le provenienze) ma fu di fatto l'unica fondazione realizzata da Atene nel Mediterraneo occidentale. Perse sempre più importanza fino ad essere abbandonata nel corso del Medioevo.
L'originale nucleo della polis si fa risalire al 720 a.C. circa, anno in cui la mitica figura achea di Filottete la fondò; sempre secondo Pompeo Trogo nella città, durante la vita dello storico, si sarebbe potuta visitare la tomba di Filottete e le frecce di Ercole «che segnarono il destino di Troia».
In seguito alla distruzione della città di Sybari da parte di Crotone, i superstiti sibariti, sparsi nella regione, avevano più volte tentato di rifondare la città ma senza successo. Si rivolsero perciò ad Atene, dove Pericle, all'apogeo della sua potenza, si mostrò interessato a fondare una città che divenisse simbolo della civiltà ateniese in Magna Grecia e centro del panellenismo. Dopo un primo tentativo di fondare la nuova città sul sito della vecchia Sybari, sorsero presto dei contrasti tra i sibariti e gli ateniesi che indusse questi ultimi a spostarsi poco lontano e fondare nel 444/443 a.C. la nuova città con il nome di Thurii.
La scrittura della costituzione della nuova città fu affidata al sofista Protagora, il suo piano urbanistico ortogonale fu tracciato probabilmente dall'architetto Ippodamo di Mileto; Empedocle accorse da Agrigento per assistere alla fondazione. Lo statista ateniese offrì allo storiografo Erodoto, vicino al circolo culturale gravitante attorno alla sua figura, un ruolo nella fondazione della colonia. Il tragediografo Sofocle, in stretta amicizia con Erodoto, gli dedicò un epigramma all'atto del suo trasferimento a Thurii. Erodoto si stabilì per diverso tempo nella colonia, ne assunse la cittadinanza della quale andò sempre fierissimo ed i suoi legami con essa furono tanto stretti che in alcuni codici fu detto "di Turi". Il rapido deteriorarsi dei rapporti (che comunque si riaccese successivamente, durante la spedizione ateniese in Sicilia) tra Thurii ed Atene rende poco credibile un'antica notizia secondo cui Erodoto, che era legatissimo all'ambiente di Pericle, sarebbe morto in quella colonia della Magna Grecia, nella cui agorà avrebbe avuto sepoltura.
In quanto colonia ed alleata di Atene, Thurii ebbe inizialmente un sistema politico di tipo democratico con suddivisione del corpo civico molto simile a quella della madrepatria, anche se non più di dieci anni dopo pare che la città conobbe una parentesi di regime oligarchico in mano ai grandi proprietari terrieri. La democrazia ritornò in seguito ad alcune lotte civili al termine delle quali gli oppositori della politica filoateniese furono cacciati dalla città.
La costituzione cittadina era basata su quella di Caronda. Colonia di Sibari, Turi anelava fortemente la Sibaritide. Così si scontrò con i tarantini nel 433-32 e, siglato un accordo, questi ultimi vinsero la città conquistando la zona voluta dai turioti. Dopo la disfatta contro Taranto, la città cercò di espandersi verso il Tirreno, e anche qui venne a scontrarsi con la città di Terina e con i Lucani. Thurii sostenne anche la spedizione ateniese in Sicilia del 415 a.C. fornendo soldati e triremi alla stessa Atene. Il fallimento della spedizione ateniese causò nuovamente la caduta del regime democratico e il ritorno dell'oligarchia.
All'inizio del IV sec. faceva parte della Lega italiota assieme ad altre città per combattere la pressione fatta dai Lucani. Per tutto il secolo riuscì a resistere alle incursioni, fino a quando nel 282 a.C., vista l'impossibilità di fermare gli stessi Lucani, chiese a Roma un presidio nella città.
Durante la seconda guerra punica, Thurii è segnalata come una delle città che si ribellarono ai Cartaginesi all'indomani della battaglia di Canne. Lo storico romano Tito Livio colloca la sua rivolta nell'anno 212 a.C. Nel 194 a.C. la città divenne colonia latina col nome di Copia e divenne municipium. Nel 72 a.C., durante la terza guerra servile, la città fu presa e saccheggiata da Spartaco. Allo scoppio delle guerre civili, Giulio Cesare stanziò nella città una guarnigione di cavalieri gallici e ispanici, e fu qui che Marco Celio Rufo fu messo a morte dopo un vano tentativo di suscitare un'insurrezione dei Bruzi. Nel 40 a.C. fu attaccata anche da Sesto Pompeo che ne devastò il territorio ma non riuscì a superare le mura cittadine.
Nel corso del tempo l'accrescimento di sedimenti del fiume Crati fece sì che il suo delta si spostasse verso il mare ad un ritmo di un metro all'anno. Di conseguenza i successivi siti di Sybaris, Thurii e Copia rimasero senza sbocco sul mare e persero la loro importanza non avendo più facile accesso al mare per il commercio. La datazione della decadenza della città è incerta, ma sembra che sia stata abbandonata durante il Medioevo quando gli abitanti si rifugiarono in località Terranova (Terranova da Sibari), a circa 15 chilometri nell'entroterra, su un colle sulla sponda sinistra del Crati.


Calabria - Locri Epizefiri

 


Locri Epizefiri (in greco antico: Λοκροὶ Επιζεφύριοι, Lokroi Epizephyrioi) fu una città della Magna Grecia, fondata sul mar Ionio, nel VII secolo a.C., da greci provenienti dalla Locride.
Locri Epizefiri fu l'ultima delle colonie greche fondate sul territorio dell'attuale Calabria. I coloni, giunti all'inizio del VII secolo a.C., si stabilirono inizialmente presso lo Zephyrion Acra (Capo Zefirio), oggi Capo Bruzzano, e solo più tardi si insediarono pochi chilometri a nord della città storica conservando però l'appellativo di Epizephyrioi, che significa appunto "attorno a Zephyrio".
La zona archeologica dell'antica Locri Epizefiri si trova nel comune di Portigliola, circa 3 km a sud dell'attuale centro abitato del comune di Locri, si estende nel territorio pianeggiante compreso tra la fiumara Portigliola, la fiumara Gerace, le basse colline di Castellace, Abbadessa e Manella, e il mare. Il fatto che tale area si trovi a distanza dagli odierni centri abitati ha preservato quasi integralmente la città antica: tuttavia, nel corso dei secoli, sono state usate pietre prelevate nell'area per edificare nuove case nei dintorni.
Gli scavi archeologici portati avanti da Paolo Orsi (tra il 1908 ed il 1912), da Paolo Enrico Arias (tra il 1940 ed il 1941) e da Giulio Jacopi (nel 1951), hanno rivelato che l'abitato, organizzato con un impianto urbanistico regolare, è attraversato da una grande arteria che ancora oggi conserva il nome greco di "dromo".
La città antica, che era difesa da una cinta muraria di 7 km, in molti tratti ancora visibile. All'esterno delle mura si estendono le necropoli, mentre la maggior parte delle aree sacre sono disposte in prossimità della cinta. I santuari all'interno delle mura sono dotati di edifici templari monumentali e risalgono al periodo arcaico, mentre quelli situati immediatamente all'esterno presentano un aspetto meno monumentale, pur essendovi state rinvenute abbondanti offerte votive.
Tra i monumenti ancora oggi visibili c'è il teatro, risalente al IV secolo a.C. con rifacimenti in età romana: è l'unico edificio pubblico non sacro riportato alla luce a Locri. Si tratta di una costruzione realizzata sfruttando una conca naturale situata ai piedi dell'altura di Casa Marafioti. Rimangono, oltre alle fondazioni dell'edificio scenico, parte dei gradoni in arenaria della cavea, che potevano accogliere circa 4 500 spettatori. In età romana imperiale l'edificio fu trasformato eliminando le file più basse delle gradinate e costruendo un alto muro semicircolare in blocchi di calcare, in modo da proteggere gli spettatori durante le lotte tra gladiatori o tra uomini e animali.
Per quel che concerne il periodo arcaico va menzionato il santuario di Zeus che nel corso del tempo ebbe un'articolazione sempre più ricca. In base alla scoperta a metà altezza della collina della Mannella di un deposito di iscrizioni, così importante per la più tarda amministrazione della città, si è congetturata la presenza dell'agorà ai suoi piedi.
E sempre all'interno della cinta di mura sulla collina della Mannella fu apprestato, con ogni probabilità nel VI secolo a.C., un luogo di culto per un'altra divinità olimpica, Atena. Altri luoghi di culto, sorti a mano a mano fuori dalla cinta muraria, come il santuario delle ninfe in Contrada Caruso o quello di Demetra in Contrada Paparezza (cf. infra), oltre a diverse installazioni domestiche vanno a completare e arricchire il quadro di una colonia, dove dalla molteplicità di costumanze religiose ben trapela anche la differenziazione della cultura cittadina.
L'area sacra di Afrodite si trova nei pressi dell'abitato di Centocamere, situato vicino alla costa, ed è un complesso formato da un tempietto, da una serie di ambienti con portico a "U" e da un cortile centrale; la sua costruzione, avvenuta in due tempi, è da collocarsi tra la fine del VII e la metà del VI secolo a.C., mentre il suo utilizzo si è protratto fino alla metà del IV secolo a.C. In località Marasà sud, immediatamente all'esterno delle mura, e a contatto con l'area delimitata dalla stoa ad U sorgono un sacello tardo arcaico (databile tra il 500 e il 480 a.C.) dedicato senza dubbio ad Afrodite e la cosiddetta casa dei leoni, dove avevano luogo celebrazioni private delle Adonie, improntate allo "stile" di culto ateniese, tenute da tiasi femminili.
La necropoli locrese più nota è quella di Lucifero, dove sono state rinvenute circa 1 700 tombe databili tra il VII e il II secolo a.C. e spesso segnalate da vasi di grandi dimensioni, di buona fattura e pregio, opera di ceramografi ateniesi di fama, oppure da "arule", piccoli altari in terracotta decorati con immagini del mondo dell'oltretomba.
Uno dei templi interni alla cinta muraria è il Tempio ionico di Marasà, una costruzione databile attorno al VI-V secolo a.C.
Tra i maggiori rinvenimenti statuari vi è il gruppo marmoreo dei Dioscuri a cavallo, esposto nel Museo nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria. Si tratta di una imponente scultura raffigurante un Dioscuro che scende da un cavallo impennato sorretto da un tritone con la barba, il busto umano coperto da un panno e il resto del corpo con sembianze di pesce. Nello stesso Museo, oltre ai numerosi reperti provenienti dagli scavi effettuati nella zona dell'antica colonia greca, sono esposte alcune antefisse a testa di sileno, che forse coronavano a scopo decorativo la scena del Teatro. Nella cella tesauraria del santuario della Mannella dedicato a Kore-Persefone sono state trovate numerose tavolette fittili (Pinakes), scolpite con la tecnica del bassorilievo e diverse decorazione in mosaico, raffiguranti scene mitologiche, risalenti per la maggior parte alla prima metà del V secolo a.C. Alcune fanno riferimento alla pratica della prostituzione sacra delle vergini, in uso presso la società locrese. Questo tempio era inoltre di piccole dimensioni, per questo si pensava che fosse un luogo di culto privato. Nonostante le sue limitate dimensioni erano presenti anche scuole e biblioteche, per l’apprendimento dei giovani. Un particolare che differenzia questo tempio dagli altri, dedicati a Persefone, era che per gli abitanti di questa città la dea simboleggiava saggezza e conoscenza, il tempio era luogo dove i devoti potevano cercare la sua guida.
Secondo molti studiosi, il celebre Trono Ludovisi proviene proprio dal tempio ionico di Afrodite di contrada Marasà dell'antica polis. Del resto un frammento di pínax, quadretto votivo in terracotta del 470-60 a. C.circa rinvenuto nel tempio di Persefone in contrada Mannella presso Locri e attualmente nel Museo della Magna Grecia a Reggio Calabria, mostra parte di una figura femminile pressoché identica a una delle due donne rappresentate sui lati del Trono Ludovisi.
Secondo l'archeologa Margherita Guarducci, il Trono costituiva il parapetto del bothros; ipotesi avvalorata dal fatto che le dimensioni della scultura combaciano al centimetro con i tre lastroni di pietra superstiti, del rivestimento del bothros, ancora visibili nell'area archeologica del Tempio di contrada Marasà.
All'esterno della città vi sono diverse necropoli, presso le contrade Monaci, Russo, Faraone, Lucifero, dove sono state ritrovate oltre 1 700 tombe.
La Necropoli di contrada Lucifero, in uso dall'VIII secolo a.C. al III secolo a.C. comprende tombe di tre tipi: tomba a fossa, tomba alla cappuccina e tomba a semibotte.
Vi sono stati trovati oggetti di valore e pregiati, importati dalla Grecia o dalla Magna Grecia (IV secolo a.C.), tra cui vasi, specchi, ornamenti di bronzo e monili in metallo prezioso.
Gli oggetti da toletta per donna erano per la cosmesi personale (pissidi e lekànai, dal greco λεκάνη, vassoio).
Nella necropoli di Lucifero sono stati trovati specchi in bronzo (prodotti da artigiani locali), e fibule (spille di bronzo per abiti, prodotti locali del VI e V secolo a.C.).
In tutte le tombe sono state trovate delle lekythoi, al sing. lekythos, ovvero vasi per contenere oli profumati per toeletta, usati anche dagli atleti prima degli esercizi sportivi e per i rituali funebri.
Gli specchi, produzione tipica locrese, esportati in Magna Grecia ed in Sicilia, erano fabbricati in bronzo con manici a figura maschile o femminile.
La Necropoli di contrada Parapezza, a sud-ovest di Lucifero, comprende oltre 200 tombe. Fu usata intensamente in età arcaica (VI secolo a.C.) e in età ellenistica (III e II secolo a.C.).
In una tomba ad inumazione sono stati trovati piccoli contenitori importati da Corinto, dall'oriente greco (Asia Minore) e dall'Attica.
Nel VI secolo a.C. erano usati grandi contenitori di ceramica (anfore per il trasporto del vino e dell'olio), molte delle quali erano state importate da Corinto o da Atene. Vi sono inoltre delle anfore importate dalla Laconia; questo tipo di ceramiche fu prodotto nel VII e VI secolo a.C. La ceramica laconica, diffusa in tutto il Mediterraneo, veniva fabbricata usando un'argilla rosata, coperta da ingubbiatura giallina, sulla quale si dipingevano figure in nero.
Sono state ritrovate delle hydriai, vasi a tre anse per attingere e trasportare acqua. I vasi più grossi venivano usati per contenere i corpi senza vita di piccoli bambini. Altri vasi venivano usati per le ceneri dei defunti.
I giardini di Adone (IV secolo a.C.) erano realizzati nelle anfore da trasporto, opportunamente spezzate e capovolte. Venivano coltivati finocchi e lattughe, innaffiati con acqua calda per accelerarne la crescita.
La Necropoli di contrada Faraone è posizionata nel nord-est dell'area urbana. Durante gli scavi è stato trovato un piccolo frontone in calcare con fregi dorici (frontone del naiskos), datato tra il IV e III secolo a.C.
Il celebre Santuario di Persefone situato a mezza costa del colle della Mannella è stato definito da Diodoro Siculo come "il più famoso tra i santuari dell'Italia meridionale" (ma escludeva la Sicilia). Non è ancora stato compreso quale culto si praticasse in questo santuario, ma sembra si tratti delle divinità dell'oltretomba, principalmente Persefone. Le ricchezze del Persephoneion locrese furono depredate da Dionisio II (360 a.C.), Pirro (276 a.C.) e dal comandante romano Pleminio luogotenente di Scipione dopo la cacciata da Locri Epizefiri durante la seconda guerra punica (205 a.C.). Gli oggetti votivi rinvenuti nel complesso architettonico (terrecotte figurate, frammenti di vasi, arule, pinakes, specchi e iscrizioni con dedica alla dea) si datano tra il VII e il II secolo a.C.
Riguardo al Tempio Ionico in contrada Marasà si sa che nella prima metà del V secolo a.C. i locresi abbatterono il tempio arcaico e lo sostituirono con uno più grande in stile ionico in calcare. Orsi pensa che il tempio sia stato importato da Siracusa.
Il tempio di Marasà fu realizzato da architetti e maestranze siracusane operanti a Locri Epizefiri nel 470 a.C. su iniziativa del tiranno Ierone di Siracusa (alleato e protettore dei locresi). Il nuovo tempio ha la stessa ubicazione ma è orientato diversamente.
Il tempio è stato distrutto nel XIX secolo ed i ruderi mostrano oggi un solo rostro di colonna.
La dimensione del tempio era di 45,5 m per 19,8 m. La cella, libera da sostegni sull'asse centrale, era preceduta da un pronaos (vestibolo) con due colonne fra le ante, che si ripetevano anche fra le ante dell'opistodomo, il vano retrostante la cella, non comunicante con questo. Nello spessore dei muri tra pronaos e cella erano inserite le scale di servizio, per accedere al tetto, come in alcuni templi agrigentini.
Al centro della cella tre grandi lastre di calcare, infisse verticalmente nel terreno, rivestivano un bothros (fossa sotto il livello del pavimento), che doveva essere di notevole importanza per il culto.
Il tempio aveva 17 colonne ioniche sui lati lunghi, e 6 colonne sulla fronte. Le colonne dovevano essere di circa 12 m di altezza, con base a capitello ionico a volute. L'epistilio (blocchi sulle colonne) con architrave a tre fasce e dentelli in sostituzione del fregio, non era molto sviluppato in altezza, così come i frontoni dall'inclinazione assai poco accentuata.
Questo tempio era molto più alto dei templi dorici (rapporto altezza e larghezza 1:1), ed è uno dei pochi templi ionici della Magna Grecia.
Da un esame preliminare risulta che a Locri Epizefiri vi fosse un Tesmophorion, un Iatreion di Demetra (Grotta Caruso), e un Persephoneion che apparentemente veniva adibito a Telesterion per i Misteri "Eleusini".
La connessione di Locri con il culto occidentale di Afrodite e Adone è stata evidenziata dall'analisi di Torelli che ha identificato il bothos del tempio di Marasà con la cassa-tomba del giovane dio. Si tenga conto che nella stoà ad U sono stati rinvenuti 356 bothroi con resti di pasti, evidentemente destinati alla celebrazione di banchetti sacri. La casa dei leoni che sorge in zona limitrofa a questo complesso è un luogo destinato all'omaggio rituale privato nei confronti di Adone. Di questo culto locrese ci dà notizia anche la poetessa Nosside, che forse faceva parte di uno dei thiasi femminili che onoravano il dio.
Identificato nel XX secolo da P. E. Arias, il teatro greco di contrada Pirettina sfrutta una concavità naturale ai piedi del pianoro Cusemi ed è stato scavato tagliando i gradini nell'arenaria tenerissima. La prima fase del teatro risale alla metà del IV secolo a.C.
L'edificio conteneva fino a 4 500 spettatori. Dalla cavea (koilon) costituita da gradoni tagliati in parte nella roccia ed in parte sistemati con lastre della stessa arenaria, si godeva un notevole panorama della città e del mare.
La gradinata era divisa in sette cunei (kerkìs, in greco κερκίς) mediante 6 scalette (climax, in greco κλῖμαξ). Una partizione orizzontale (diazoma) separava le gradinate da altre (epitheatron) oggi rovinate. Si pensa che il teatro servisse anche per riunioni politiche.

Calabria - Stele di Horo sui coccodrilli

 

La Stele di Horo sui coccodrilli (nota anche come Cippo di Horo sui coccodrilli) è un piccolo portafortuna realizzato in basalto, risalente alla Tarda Epoca Egizia ( 378 a.C., XXX Dinastia), rinvenuto a Crotone tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80.
Questa piccola stele venne ritrovata durante degli scavi archeologici nei pressi dell'Ospedale San Giovanni di Dio, intorno alla fine degli anni '70 (1977 - 1978). Una storia certa di come questo oggetto sia arrivato fino a Crotone non si conosce, sebbene ci siano delle teorie e delle leggende al riguardo.
Un operaio che lavorava allo scavo, visto il reperto sicuramente insolito per una zona caratteristica della Magna Grecia, decise di appropriarsene e conservarlo, cosa che avvenne per diversi anni. In seguito, questo reperto gli sarebbe stato rubato, per poi essere venduto in Lombardia, da ignoti e ad una cifra sconosciuta, al Castello Sforzesco di Milano, dove la stele rimase esposta sino al 2011.
Solo nel gennaio 2010, grazie ad un articolo comparso sul quotidiano Il Crotonese, l'interesse per questo antico e prezioso reperto si riaccese. Si avviò così un'inchiesta da parte dei Carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico di Cosenza, e a distanza di un anno (a gennaio 2011), avvenne il sequestro dell'oggetto.
Dopo circa 35 anni, la stele si trova nuovamente a Crotone, esposta nel Museo Archeologico Nazionale.
La piccola stele, realizzata interamente in basalto scuro, è alta 8,7 cm e larga 5.1 cm. Sono presenti delle incisioni sul fronte, sul retro e sui lati della stele, anche se la facciata è composta quasi esclusivamente da bassorilievi.
Nonostante il tempo passato, e la storia di questa tavoletta, è giunta sino ad oggi in buone condizioni. Sono presenti dei segni di abrasione solo sulla facciata anteriore, precisamente sul volto di Horo, al quale manca il naso. Il resto della stele è in ottime condizioni, tant'è che le figure sono ancora perfettamente distinguibili, e i geroglifici leggibili.
Questa stele aveva una funzione apotropaica, e forniva protezione dall'attacco di animali pericolosi. In questo caso, forniva protezione da serpenti, coccodrilli e scorpioni.
Fronte 
La facciata della stele è caratterizzata dal bassorilievo del dio Horo, raffigurato come un bambino, in piedi sopra dei coccodrilli. Il capo è interamente rasato, e viene raffigurato con il tipico copricapo dei fanciulli. Nella mano destra, Horo impugna due serpenti, uno scorpione e un orice, nella mano sinistra invece impugna due serpenti, uno scorpione ed un leone.
Subito sopra la figura di Horo, è rappresentata la maschera di Bes. Alla destra della maschera, è raffigurato Onuri che colpisce un serpente con un bastone, mentre alla sinistra della maschera è raffigurata la dea Selkis.
L'intera scena è delimitata da due esili colonne. La colonna destra presenta un capitello papiriforme, sopra il quale è presente un falco, mentre la colonna sinistra presenta un capitello lotiforme, adornato con due piume.
Retro
 
La parte posteriore della stele, completamente piatta rispetto alla parte anteriore, è composto unicamente da incisioni. È capeggiata da una raffigurazione dell'adorazione del un sole nascente. Il sole viene raffigurato come un bambino seduto, con due teste di ariete, con una corona di Atef.
Subito sotto l'incisione, seguono 14 righe in geroglifico, che raccontano la venuta di Horo ed il corretto comportamento che ognuno deve assumere. La traduzione in Italiano è la seguente:
«O anziano che ringiovanisce al suo tempo, o vecchio che ridiventa giovane! Concedi che venga a me Thot alla mia invocazione e che respinga per me Nehaher. Osiri è sull’acqua, l’Occhio di Horo è presso di lui. Il grande scarabeo si libra su di lui, potente per il pugno, che generò gli dei quando era giovane se si avvicina a colui che sofferente, ci si avvicina similmente all’occhio di Horo che lacrima. Indietro voi esseri che state nell’acqua, o nemico, o morto, morta, o avversario – possa tu perire! – di Ankhmnevis, figlio di Imhotep, o avversaria e simili! Non sollevate la vostra faccia o voi che siete nell'acqua finché Osiri passa su di voi. Eccolo! Fermate, bloccate le vostre gole. Indietro tu o nemico! Non sollevare la faccia e il tuo sguardo verso coloro che sono sofferenti: essi sono Osiri il Signore. Quando Ra sale sulla barca per visitare l’Enneade di Kher’aha, i signori della Duat si alzano per tagliarti a pezzi. Quando Nehaher si muove contro Osiri, mentre è sull’acqua l’Occhio di Horo sta su di lui.»
Lati 
Sui lati della stele è presente un'altra iscrizione, sempre in geroglifico. Questa iscrizione parte dal lato destro, passa da sotto la base della stele e termina sul lato sinistro della tavoletta. L'iscrizione recita:
«Salute a te, o dio, figlio di un dio! Salute a te erede, figlio di un erede! Salute a te, o toro, nato da una vacca divina! Salute a te, o Horo uscito, nato da Isi la divina! Io parlo in tuo nome. Io recito le tu formule magiche. Io parlo grazie al tuo potere magico.»

Esistono diverse possibili spiegazioni alla presenza di questo reperto in una zona come quella di Crotone. La più accreditata sembrerebbe essere la "Teoria del viaggiatore", dunque di un antico viaggiatore che, passando per l'antica Kroton per andare chissà dove, abbia perso o lasciato volontariamente questa piccola stele. In secondo luogo, vi sono anche delle voci, molto più fantasiose, che vorrebbero in un lontano passato l'esistenza di un tempio egizio nei pressi del Neto. Per tanto, questo portafortuna sarebbe stato lasciato nel tempio in segno di buon auspicio.
Infine, non si sa neppure come sia arrivata fino ai giorni nostri, ne tanto meno come sia arrivata nei pressi dell'Ospedale Civile. La stele potrebbe essere stata tramandata come cimelio, oppure esposta già in passato.
La stele si troverebbe nella città da un periodo compreso tra il 378 e il 341 a.C..


Calabria - Teatro greco-romano di Marina di Gioiosa Ionica

 

Il Teatro greco-romano di Marina di Gioiosa Ionica rappresenta uno dei più significativi esempi di transizione fra il teatro greco e il teatro romano. L'edificio, infatti, offre la testimonianza del passaggio graduale tra il tipo del teatro greco tradizionale e le forme evolute di quello romano non più addossato o scavato in una collina, ma edificato in costruzioni. L'edificio, risalente a II secolo a.C., fu scoperto nel 1883 e portato alla luce dagli scavi della Soprintendenza del Bruzio e della Lucania conclusi nel 1925.
Il teatro, costruito in pietra calcarea e laterizio, ha forma semicircolare e presenta il koilon aperto in direzione del mare. In origine la cavea conteneva probabilmente venti file di posti, delle quali se ne sono conservate solo dieci, costituite da bassi muretti su cui poggiano lastre di pietra e terracotta, che portavano la capienza totale a circa 1200 posti. La parete del pulpitum, che sorreggeva l'antico palcoscenico, presenta un alternarsi di cavità semicircolari e rettangolari, ed ai suoi fianchi si trovano due piccole scale in vista.
Il teatro, sorgendo su un terreno pianeggiante, è stato costruito su un "aggestus" di terra e sabbia. Al suo esterno l'aggestus, più sollevato rispetto al piano di costruzione, ha subito un cedimento strutturale che ha causato il crollo della parte superiore della cavea. Al crollo è sopravvissuta solo una porzione dell'angolo inferiore del muro esterno che aveva, oltre alla funzione di analemma, anche quella di contenere la terra lungo il perimetro del pendio artificiale.

Calabria - Area archeologica di Capo Colonna

 

L'area archeologica di Capo Colonna è un sito archeologico statale situato in località Capo Colonna, vicino a Crotone, raggiungibile tramite una strada costiera dal capoluogo oltre che dalla statale 106 in loc. S.Anna proseguendo sulla S.P. 50. È inclusa nella lista dei monumenti nazionali.
Gli elementi archeologici presenti non si limitano al solo più noto Santuario dorico dedicato ad Hera, di maggiore frequentazione durante l'età classica ed ellenistica, ma si tratta di un sito con stratificazioni di diverse epoche, da quella preistorica, con frequentazioni italiche fino alla fondazione della colonia di Kroton. Numerosi resti risalgono all'età romana: dapprima in età repubblicana, un decennnio dopo la fine della seconda guerra punica, qui venne costituito il primo insediamento della colonia romana di Croto, e poi la statio di Lacenium in età imperiale.
Il santuario di Hera Lacinia di Capo Colonna, dipendente dalla città di Crotone antica, fu uno dei santuari più importanti della Magna Grecia dall'età arcaica fino al IV secolo a.C., finché cioè fu sede della lega Italiota prima che si trasferisse a Taranto.
Il sito del santuario era in una posizione strategica lungo le rotte costiere che univano Taranto allo stretto di Messina, su un promontorio chiamato anticamente Lacinion, che diede anche l'epiteto alla dea venerata, Hera Lacinia. Il nome odierno invece ricorda le rovine del tempio (con l'ultima "colonna" in piedi), mentre il nome usato fino all'epoca moderna, "Capo Nao", altro non è che una contrazione del greco naos, che significa appunto tempio.
Il santuario era stato edificato alla fine del VI secolo a.C. ed era anche chiamato di Hera Eleytheria, come resta testimoniato da un'iscrizione sul cippo del Lacinion, al Museo archeologico nazionale di Crotone.
Tra il XVI ed il XIX secolo fu quasi completamente saccheggiato per riutilizzare i materiali da costruzione per importanti opere pubbliche: quali il Castello di Carlo V e le mura difensive della città, e poi per la costruzione del Porto.
Il complesso del Santuario era composto da più edifici, dei quali sono oggi visibili alcuni resti. Il tempio vero e proprio, di ordine dorico, con sei colonne sulla facciata (esastilo) e quattordici sui lati lunghi, era proteso verso il mare e aveva la classica forma dei templi greci: un imponente complesso di 48 colonne in stile dorico alte oltre 8 metri e costituite da otto rocchi scanalati. Il tetto era di lastre di marmo e tegole in marmo pario. Nulla si sa delle decorazioni che, però, erano certo presenti, come si può dedurre dal ritrovamento di una testa femminile in marmo della Grecia e pochi altri frammenti. La colonna, in stile dorico, fino al 1638 era affiancata da un'altra caduta per un terremoto e poggia sui pochi resti del possente stilobate.
Nelle adiacenze è tracciata una "Via Sacra" di una sessantina di metri e larga oltre 8 metri.
Al complesso del tempio appartengono anche almeno tre altri edifici chiamati "Edificio B", "Edificio H", "Edificio K":
l'Edificio B
, che presenta una pianta rettangolare, è ritenuto poter essere il tempio originario. Questa tesi è sostenuta dal ritrovamento di reperti che sarebbero datati già dall'VIII secolo a.C.;
l'Edificio H, di pianta quadrata, chiamato anche Hestiatorion, è suddiviso in vari locali. Il ritrovamento di suppellettili tipiche dei locali dedicati ai pasti può far dedurre che si trattasse dell'edificio-mensa e ristoro dei viaggiatori oltre che dei sacerdoti. In ogni caso la datazione di questo "Edificio H" viene posta al IV secolo a.C. quando il tempio già aveva assunto grande celebrità.
l'Edificio K, o Katagogion, risale anch'esso al IV secolo a.C., presenta una pianta a "elle" e ne rimangono solo i basamenti. Si presume trattarsi di un loggiato di colonne, sempre in stile dorico, che univa una serie di locali e un cortile. Probabilmente era la foresteria dove potevano trovare alloggio importanti visitatori, mentre i loro accompagnatori si dovevano accontentare di costruzioni molto meno raffinate e resistenti.
Gli scavi hanno riscoperto una parte delle decorazioni architettoniche originali, in marmo greco e databili a una fase di costruzione del V secolo a.C., che oggi si trovano a Crotone. Nel capoluogo si trovano anche i resti della copertura in marmo pario, successiva alla vittoria di Crotone su Sibari, e delle offerte votive, spesso con iscrizioni.

Calabria - Testa del Filosofo

 
La cosiddetta Testa del Filosofo è ciò che rimane di una scultura bronzea, verosimilmente di provenienza magnogreca e databile alla seconda metà del V secolo a.C.. La testa fu ritrovata nel 1969  in un relitto trovato in mare davanti alla spiaggia di Porticello, presso Cannitello, frazione a nord di Villa San Giovanni (RC). L'opera è conservata al Museo nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria.
La scultura è in parte danneggiata: manca l'occhio sinistro e parte dei capelli sulla nuca, dove vi è traccia di un cordone che doveva cingere la testa. Insieme alla statua sono stati ritrovati lacerti costituiti dallo stesso materiale di fusione appartenenti ad una mano e ad un mantello, la cui presenza ha indotto a ritenere che l'opera rappresentasse un filosofo o un letterato dell'antica Grecia.
Secondo gli studi più recenti, la testa sarebbe parte di una statua raffigurante Pitagora di Samo simbolo per la città di Reggio di una indipendenza e fermento culturale ritrovati; e faceva parte del bottino con cui Dionisio di Siracusa avrebbe pagato i mercenari dopo la presa di Reggio del 386 a.C. Risultano infatti tra le altre cose evidenti segni che la testa indossasse un turbante, elemento iconografico ricorrente nella tradizionale raffigurazione del celebre filosofo e matematico. Inoltre altre parti della statua custodite sempre al museo di Reggio attestano la posa tipica con cui veniva raffigurato Pitagora.

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...