mercoledì 30 aprile 2025

FRANCIA - Ponte Ambroix

 

Il ponte Ambroix o ponte di Ambrussum è un ponte romano costruito nel I secolo (Dinastia giulio-claudia) sul fiume Vidourle ad Ambrussum nel sud della Francia, nella regione Languedoc-Roussillon . Si trova a cavallo tra i comuni di Gallargues-le-Montueux (nel Gard ) e Villetelle (nell'Hérault ).
Il ponte Ambroix attraversa il Vidourle, un piccolo fiume delle Cevenne, tra i comuni di Gallargues-le-Montueux nel Gard ad est e Villetelle nell'Hérault a ovest. Fu costruito sulla strada romana Via Domizia tra Nîmes e Montpellier. L'oppidum gallico di Ambrussum situato non molto lontano dalla riva occidentale. Il ponte sboccava sulla strada principale dell'insediamento gallo-romano in fondo all'oppidum.
È stato costruito nel I secolo e consentì alla principale strada romana della Narbonnaise, la Via Domiziana, di attraversare il Vidourle. Il ponte è stato utilizzato fino al 1299. Un disegno realizzato nel 1620 su richiesta di Anne de Rulman, avvocato del presidio di Nîmes, mostra il ponte ancora provvisto di quattro archi. Sappiamo da La Chronologiette di Pierre Prion (1744-1759) che il sesto arco fu spazzato via da un'esondazione nel 1745. Su Le Pont d'Ambrussum, dipinto di Gustave Courbet datato 1857, è visibile il quarto arco che crollò nel 1933 durante un'alluvione del Vidourle. Le macerie furono recuperate nel 1983 da una squadra di archeologi guidati da J.-C. Bessac e J.-L. Fiches e impilate sulla sponda sinistra in vista di una ipotetica ricostruzione dell'arco. Il ponte fa parte del sito archeologico e turistico di Ambrussum. L'autostrada La Languedocienne passa a un chilometro a nord (dall'uscita Gallargues).
Il ponte è parte della classificazione come monumento storico dal 1840 .
Il ponte è costruito con pietre di grandi dimensioni (blocchi di 1,40 m x 0,70 m x 0,50 m) assemblate senza malta con rinforzi di graffette di bronzo sigillate con piombo. Lungo 180 metri, in origine aveva undici archi, di cui solo il quinto rimane in mezzo al fiume, con una portata di 10 metri. Gli Archi (architettura) sono a tutto sesto. Sul retro della volta si nota la presenza di mensoloni in pietra che fungono da sostegno per le Centine. Le finestre di scarico sono modeste, il che spiega perché la pressione dell'acqua sia la causa del crollo del ponte nonostante la presenza di tagliacque.
Tuttavia, va aggiunto che questo ponte fu volutamente in parte demolito nel Medioevo al fine di costringere il traffico a spostarsi sul " nuovo » ponte a valle Lunel, il quale prevedeva al tempo un pedaggio. 


FRANCIA - Nimes, Maison Carrée

 


La Maison Carrée (lett. Casa Quadrata) è un tempio romano, uno dei templi antichi meglio conservati, che si trova a Nîmes (Nemausus), nella Francia meridionale. Dal 1840 è classificato monumento storico di Francia.
Venne costruito tra il 19 e il 16 a.C. da Marco Vipsanio Agrippa e venne dedicato ai figli dello stesso Agrippa e di Giulia, figlia di Augusto, Gaio e Lucio Cesare, adottati dal nonno come propri eredi e che morirono entrambi in giovane età. Il testo dell'iscrizione di dedica venne ricostruito dallo studioso locale Jean-François Séguier nel 1758 sulla base dei fori lasciati dalle originarie lettere in bronzo, asportate in epoca medioevale. La dedica era: «A Gaio Cesare, figlio di Augusto, console; a Lucio Cesare, figlio di Augusto, console designato; ai principi della gioventù». Marco Vipsanio Agrippa venne influenzato dalle opere già realizzate a Roma, come il tempio di Apollo sotto il Campidoglio.
Il tempio deve il suo ottimo stato di conservazione al fatto di essere stato riutilizzato come chiesa cristiana nel IV secolo. In seguito divenne sede di diverse istituzioni pubbliche cittadine, il che comportò pesanti trasformazioni. Durante la sua storia divenne persino una stalla, durante la Rivoluzione francese. Dal 1823 è divenuta un museo. Dal 2006 la Maison Carrée è gestita dalla società Culturespaces, la quale ha trasformato la sala interna in una sala di proiezioni cinematografiche. Attualmente viene trasmesso quotidianamente un film in stile docu-fiction dal titolo Nemausus sulla storia della città di Nîmes.
Nel maggio 1993 è stato inaugurato, nel piazzale antistante il tempio, il Carré d'Art, museo di arte contemporanea progettato dell'architetto britannico Norman Foster.
Eruditorum del 1760 relativa alla Dissertation sur l'ancienne inscription de la Maison-Carrée de Nismes.
Il 18 settembre 2023 è stata iscritta nella Lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO dalla quarantacinquesima sessione del Comitato del patrimonio mondiale riunito a Riad.
Il suo nome in francese (letteralmente "Casa quadrata") è dovuto all'utilizzo arcaico del termine carré con il significato di "quadrangolare", in questo caso "rettangolo", in riferimento alla pianta dell'edificio. Le dimensioni sono 26 m di lunghezza, 13 m di larghezza e 17 m di altezza.
Il tempio è innalzato su un podio di 2,85 m di altezza (26,42 x 13,54 m), dominando l'antica piazza del Foro cittadino. Al podio si accedeva per mezzo di una scalinata di 15 gradini, ricostituita con alcuni degli elementi antichi. È un tempio pseudoperiptero esastilo, con pronao particolarmente profondo (circa un terzo della lunghezza complessiva); presenta sei colonne in facciata e tre colonne libere sui fianchi, che proseguono con otto semicolonne sui lati e sul retro della cella.
Le colonne con fusti scanalati hanno capitelli corinzi, che sostengono una trabeazione riccamente decorata, comprendente una cornice con mensole e un fregio con girali d'acanto. Sulla facciata la cornice forma un frontone e l'iscrizione dedicatoria con lettere in bronzo occupava lo spazio di fregio e architrave. Un ampio portale (6,87 m di altezza e 3,27 m di larghezza), con mensole decorative sui lati, permette di accedere all'interno della cella, in origine rivestita da lastre di marmo.
L'edificio ha subito nel corso dei secoli ampie trasformazioni e fino al XIX secolo era inglobato in un più ampio complesso di edifici tra loro adiacenti, che furono demoliti quando il tempio venne trasformato in museo, ripristinando l'aspetto dell'edificio in epoca romana. Questo restauro venne ricordato in un'iscrizione incisa sul fianco ovest in latino. Il pronao venne restaurato agli inizi del secolo e venne rifatto il tetto; nel 1824 venne inoltre eseguita l'attuale porta.
Un ampio restauro venne condotto negli anni 1988-1992: in tale occasione venne nuovamente rifatto il tetto e la piazza antistante venne liberata dalle costruzioni successive, permettendo di rivelare i contorni della piazza del Foro. Sul lato della piazza venne costruita ad opera di Norman Foster una galleria d'arte, conosciuta come "Carré d'Art", in netto contrasto stilistico con l'edificio romano, ma riprendendone alcuni elementi, come il pronao e le colonne, realizzate tuttavia in vetro e acciaio.
In questo tempio si fondono in una concezione unitaria i modelli provenienti dalla grande architettura augustea di Roma con alcune particolarità dovute alle maestranze locali. L'edificio è concepito ad imitazione del tempio di Apollo in Circo, ma subisce anche l'influenza della decorazione del successivo tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto, nella quale si era tradotta simbolicamente l'ideologia del nuovo principato augusteo e che venne quindi esportata nelle realizzazioni delle province. Nei capitelli e nella trabeazione alcuni particolari testimoniando l'opera di maestranze locali.
La Maison Carrée ha ispirato la neoclassica Chiesa della Madeleine, a Parigi.

FRANCIA - Nimes, Tempio di Diana


Il tempio di Diana è un monumento romano di Nîmes (Nemausus) nel dipartimento francese del Gard. Si trova nell'area di un santuario incentrato intorno ad un ninfeo dedicato ad Augusto ed è accessibile oggi dai Jardins de la Fontaine, parco pubblico che comprende anche la Tour Magne. L'originaria funzione dell'edificio, a pianta basilicale, è discussa. Si trattava forse di una biblioteca ed è datato all'epoca augustea, sebbene la facciata sia stata rimaneggiata nel corso del II secolo. In epoca medievale ospitò un monastero, che ne assicurò la conservazione. Nel XVIII secolo ispirò pittori del Romanticismo, in particolare Hubert Robert. Fu classificato monumento storico nel 1840.
L'edificio è in parte scavato sul fianco del monte Cavalier ed era originariamente circondato da altri ambienti. Restano oggi una sala coperta con volta a botte e affiancata da due corpi scala che permettevano di accedere al piano superiore (forse solo una terrazza). La sala misura 14,52 x 9,55 m. Sulla facciata si aprono una porta di ingresso tra due porte laterali, prive di qualsiasi chiusura, e, al livello superiore un'ampia finestra. All'interno sul muro nord sono conservate cinque nicchie a pianta rettangolare, sormontate da frontoni alternativamente triangolari e semicircolari, inquadrate da un ordine di colonne addossato a parete, con capitelli compositi. Sul lato di fondo sono presenti altre tre nicchie più profonde di quelle laterali e dotate di soffitti voltati decorati da cassettoni.
Il pavimento era in opus sectile di lastre di marmo colorato, visto negli scavi del 1745, delle quali rimangono solo le impronte sullo strato di preparazione.

FRANCIA - Nimes, Arena

 

L'Arena di Nîmes (in francese, Arènes de Nîmes, in occitano Arenas de Nimes) è un anfiteatro romano situato nella città francese di Nîmes, nel dipartimento del Gard. Il suo nome deriva dal latino ărēna, che indica la sabbia che ricopriva le platee degli anfiteatri romani. Si tratta di uno dei maggiori anfiteatri nel suo genere, e anche di uno tra i meglio conservati, tanto che in Francia è riconosciuto come monumento storico di Francia dal 1840 e viene ancora utilizzato regolarmente per spettacoli vari.
Similmente ad altri anfiteatri romani, si presenta come doppio teatro con sovrapposizione di due piani ad arcate. Strutturate a doppio ordine dorico, le arcate esterne sono ritmate al primo livello da pilastri ed al secondo da semicolonne.
L'edificio ha una pianta ellittica, lunga 133 m e larga 101. Raggiunge un'altezza di 21 metri ed ha una capienza di 13000 posti a sedere (con quattro meniani, originariamente riservati a diverse classi sociali). In epoca romana la capienza era molto maggiore.
Sul lato orientale, separato da un ampio piazzale, è stato recentemente (2018) edificato il Museo della Romanità di Nîmes, dal quale si ha una notevole vista dell'Arena.
Venne costruito verso la fine del secolo I per divertire la popolazione della città e dei suoi dintorni con gli spettacoli tipicamente romani come i combattimenti di gladiatori.
Ai tempi delle invasioni barbariche, l'anfiteatro fu trasformato in fortezza, assumendo il nome di Castrum arenae e offrendo rifugio alla popolazione che lo abitava. Dal medioevo al XIX secolo, fu oggetto di alcuni interventi edilizi ed ospitò esercizi commerciali. Sgomberato e riconvertito in teatro nel 1863, viene oggi usato come arena per le corride tipiche della tradizione locale (Courses camarguaises) e per quelle di scuola spagnola, ma vi si svolgono anche diverse manifestazioni culturali. Ospitò, tra l'altro, una puntata di Giochi senza frontiere nel 1976[5] e i campionati Mondiali di scherma nel 2001.

FRANCIA - Corsica, Museo dipartimentale di archeologia Jérôme Carcopino

 


Il Museo dipartimentale di archeologia Jérôme Carcopino è situato nel comune di Aleria in Corsica a circa 70 chilometri da Bastia e a 120 chilometri da Ajaccio. Il museo è intitolato allo storico francese di origine corsa Jérôme Carcopino.
Vi si trovano collezioni di archeologia, di arte religiosa e di etnografia. Il responsabile del museo è Ghjuvan Claudiu Ottaviani. Il museo si trova nel Forte di Matra (XIV secolo) situato nella parte vecchia di Aleria a circa due chilometri dal paese moderno.
Le collezioni presenti nel museo di Aleria concernono quindici secoli di storia della Corsica e della stessa Aleria, dal X secolo a.C. al V secolo.
Parecchi oggetti esposti sono d'una grande importanza archeologica, sia per quello che riguarda la conoscenza della Corsica, ma anche per quella del mondo mediterraneo.
Questa importanza deriva dal sito archeologico di Aleria, che fu non solo una delle capitali antiche della
Corsica, ma che è stata anche durante la sua storia, colonia dei Greci focesi, poi dei cartaginesi, poi dei romani e che infine è stata invasa e distrutta dai Vandali nel V secolo.
Fra gli oggetti rimarchevoli presenti nel museo si possono menzionare un piatto raffigurante uno degli elefanti di Annibale in marcia, due coppe greche per le libagioni (rhyton) dalla straordinaria e rara forma zoomorfa riproducenti una testa di cane e quella di un mulo o cavallo. Ci sono infine vasi e ceramiche greche, romane ed etrusche, armi di bronzo, anfore, monete e molti oggetti di vita quotidiana.
Il Museo di Aleria è ubicato nel Forte di Matra, un monumento classificato come monumento nazionale a partire dal 1962.
L'anno successivo alla sua classificazione come monumento nazionale, nel 1963, nel forte venne installato un deposito del materiale archeologico raccolto nel circondario e soprattutto durante gli scavi effettuati nell'Aleria antica, a qualche centinaio di metri di distanza. Dopo che nel 1979 il Forte di Matra fu acquistato dal Dipartimento dell'Alta Corsica, questo materiale divenne il nerbo del nuovo Museo.

le immagini, dall'alto
- Rhyton riproducente la testa di un cane
- Vasi etruschi
- Anfora in bronzo

FRANCIA - Corsica, Civiltà torreana


La civiltà torreana si sviluppò durante l'età del bronzo nella Corsica meridionale. Era strettamente collegata alla civiltà nuragica della vicina Sardegna, in particolare alla facies logudorese e gallurese.
Elemento simbolo di questa civiltà è la Torre, costruzione megalitica tronco conica simile ad un Nuraghe, da cui prende il nome.
Secondo le prime ricerche effettuate negli anni cinquanta dallo studioso francese Roger Grosjean la civiltà torreana ebbe inizio quando, sul finire del II millennio a.C., dei contingenti del popolo del mare noto come Shardana sbarcarono nell'isola corsa provenienti dal Mediterraneo orientale, sottomettendo la precedente popolazione autoctona costruttrice di megaliti. Gli Shardana, portatori della metallurgia, avrebbero successivamente edificato le costruzioni note come Torri, secondo il Grosjean templi dedicati al culto del fuoco e dei morti, e innalzato le statue stele rappresentanti i loro capi armati di spada ed elmo con corna che presenterebbero delle similitudini con gli Shardana immortalati nel tempio di Medinet Habu in Egitto.
Attualmente la civiltà torreana è considerata come una civiltà indigena, frutto di un'evoluzione locale iniziata sin dal neo-eneolitico con possibili influenze epicampaniformi sarde e nord italiche; in effetti secondo le moderne datazioni le prime Torri e i Castelli furono edificati addirittura un millennio prima di quanto supponeva Grosjean, ossia sul finire del III millennio a.C., contemporaneamente o addirittura in un periodo antecedente alla comparsa dei primi protonuraghi in Sardegna. Inoltre contrariamente a quanto pensava Grosjean la metallurgia in Corsica esisteva già da secoli prima del supposto "arrivo degli Shardana nei pressi di Porto Vecchio"; il sito di Terrina, nei pressi di Aleria, dimostra infatti che la lavorazione del rame si era diffusa sull'isola dai primi secoli del III millennio a.C..
Tuttavia il fatto che gli Shardana siano effettivamente giunti in Corsica non è escluso a priori da alcuni studiosi, i quali sono però più propensi a credere che queste genti non provenissero da Oriente ma da Occidente (dalla Sardegna) e che loro stessi si spinsero verso il mediterraneo orientale per compiere missioni di pirateria, forse al soldo dei principi micenei.
Durante l'età del Ferro prosegue senza rotture l'occupazione delle Torri e dei Castelli ma i rapporti con la Sardegna si fanno meno intensi (sono assenti in Corsica i caratteristici bronzetti nuragici), mentre nelle regioni settentrionali si moltiplicano i contatti con la Toscana e con la Liguria.
La civiltà torreana andò scomparendo a partire dalla metà del I millennio a.C. quando la Corsica entrò nell'orbita dei Greci di Focea, degli Etruschi, dei Punici e infine dei Romani. In epoca romana, Tolomeo nell'opera Geografia cita come popoli dimoranti nella Corsica del sud (che fu territorio torreano): i Tarabeni, i Subasani, i Belatoni e i Titiani, facenti parte del popolo dei Corsi.
Società

La società torreana non era organizzata in sistemi politici complessi con un forte potere centrale, i villaggi di capanne ai piedi dei Castelli indicano piuttosto che essa era strutturata in piccoli chiefdoms che dominavano sulle vallate. Le rappresentazioni antropomorfe delle statue stele riflettono una società gerarchizzata guidata da una classe guerriera che ostenta le proprie virtù militari. Alcune interpretazioni rivelerebbero inoltre l'esistenza di classi subalterne come commercianti e artigiani.
Religione e usanze funebri
Non sono note nella Corsica torreana costruzioni con funzioni specificamente religiose, rendendo difficile l'identificazione di una eventuale casta sacerdotale; la religiosità si traduceva, come in passato, nel mantenimento di luoghi quali i coffres (circoli tombali con cista litica) e i dolmen.
Come in Sardegna il rituale funerario prevedeva l'inumazione del defunto. Benché la Corsica ricevette, per molti aspetti, influssi culturali dall'Italia continentale, la cremazione non prese piede neanche nelle fasi finali dell'età del bronzo quando oramai prevaleva nella vicina Toscana (cultura protovillanoviana). Successive ricerche nel territorio di Sartena, hanno fatto ipotizzare una possibile introduzione parziale del rito incineratorio tra il 1250 e il 1150 a.C. dall'area nord italica .
I tafoni

Per quanto riguarda l'ambito funebre, la Corsica e la Sardegna nord-orientale sono accomunate dalla presenza dei "tafoni", delle insenature naturali delle rocce che, riadattate, fungevano da sepolcri; i valori staturali medi dei Corsi sepolti nel tafone di San Vincente di Sartena sono 164,6 cm negli uomini e 149,3 cm nelle donne.
In Corsica non compaiono, a differenza della Sardegna, compresa la Gallura, le più ricche tombe dei giganti; l'influenza sarda è invece osservabile nei corredi funebri che mostrano similitudini con oggetti di cultura Bonnanaro.
Economia
L'economia era basata principalmente sull'agricoltura e l'allevamento, in particolare di bovini, caprini e suini. Nella Corsica dell'età del bronzo ebbe un notevole sviluppo la metallurgia e il commercio con l'Oriente come dimostra il rinvenimento presso Borgo di un lingotto di rame a pelle di bue e di alcune perline di cobalto, merci provenienti rispettivamente da Cipro e dall'Egeo; d'altro canto non si registrano, se non sporadicamente, rinvenimenti di merci di produzione micenea, piuttosto comuni invece in Sardegna.
Lingua

Nel 1889 e nel 1894 lo studioso francese Henri d'Arbois de Jubainville espose la sua tesi secondo la quale la Corsica, la Sardegna, la Spagna orientale, il sud della Francia e l'Italia occidentale sarebbero un tempo state parte di un unico continuum linguistico pre-indoeuropeo di cui le lingue liguri e iberiche rappresenterebbero un lascito. Toponimi riscontrabili in questo vasto territorio sarebbero ad esempio quelli che hanno come suffisso: -asco -asca -usco -osco -osca (o modificazioni degli stessi).
Lucio Anneo Seneca, che visse otto anni in Corsica in esilio, riferì che la popolazione dell'isola era il risultato del mescolamento di varie etnie tra cui i Liguri e i Cantabri.
Architettura

Diffusi nella parte meridionale della Corsica, le Torri e i Castelli, similmente ai Nuraghi sardi e ai Talaiot balearici, sono delle costruzioni realizzate con blocchi di pietra posti a secco aventi una funzione difensiva, di controllo del territorio e di stoccaggio. Edificate principalmente tra il 1800 e il 1450 a.C., le più antiche vennero costruite tra la fine del III e gli inizi del II millennio a.C.. La loro imponenza e le loro dimensioni sono più ridotte rispetto ai Nuraghi.
In totale si contano 42 torri in territorio corso più altre 15 (3 di queste nel centro-nord) di cui si ha solo notizia senza una localizzazione certa. Il fatto che siano quasi completamente assenti nella parte centro-settentrionale e che siano concentrate nel sud dell'isola che dà verso la Sardegna ha fatto ipotizzare che esse siano state in costruite da genti migrate dall'isola maggiore, forse per via di fenomeni di sovrappopolamento o alla ricerca di fonti d'acqua durante i periodi di siccità. A sostegno di quest'ultima tesi si cita il ritrovamento in Corsica di corredi con affinità Bonnanaro in contesti databili alla prima età del bronzo.
I Castelli, più complessi, si compongono di un bastione, di una torre e di alcune capanne, inglobate o situate nei pressi del recinto megalitico.
Statuaria

Tra il 1600 a.C. ed il 1250 a.C. in Corsica non si ha una statuaria propriamente antropomorfa ma vengono rispettivamente raffigurati in rilievo attributi sessuali e armi. Successivamente, a partire dal 1250 a.C., le stele armate del bronzo medio si evolvono progressivamente nelle statue stele con la rappresentazione del volto e della testa ed un maggiore dettaglio della panoplia dei guerrieri.
Ceramiche
Nella prima fase torreana (2000-1650 a.C.) le ceramiche, pur conservando in parte lo stile e il repertorio terriniano, mostrano delle influenze epicampaniformi provenienti dalla Sardegna occidentale (cultura di Bonnanaro) e dall'Italia settentrionale (cultura di Polada). Nella seconda fase (1650-1200 a.C.) si nota invece una grande somiglianza con i materiali fittili appenninici dell'Italia centrale, specialmente nei siti costieri. L'ultima fase che va dal 1200 a.C. all'800 a.C., ormai in piena età del ferro, mostra invece una rottura con il periodo precedente: i contatti con il centro Italia si affievoliscono e si intensificano nuovamente i rapporti e le influenze stilistiche provenienti dalla Sardegna settentrionale e dall'Italia del nord.

Nelle foto, dall'alto in basso:
- Statue stele da Palaggiu
- Dolmen di Funtanaccia, Sartene
- Frammento di statua stele con spada da Aravina, Levie
- Tafone
- Casteddu d'Aranghju nei pressi di Porto Vecchio
- Rovine di Capula
- Menhir fallico di Santari


FRANCIA - Corsica, Renaggio

 

Renaggio (in corso U Rinaghju) è un sito archeologico in territorio del comune di Sartene in Corsica, dove si trova un allineamento di numerosi betili (60 pietre piccole e 70 grandi).
Non molto distante da questo sito, sempre all'interno del parco archeologico di Cauria si trova un'altra area con betili allineati chiamata I Stantari (parola corsa con la quale si indicano i betili) e il dolmen di Funtanaccia. Questo allineamento di pietre conficate nel terreno per la prima volta è stato censito da Prosper Mérimée Notes d'un voyage en Corse del 1840 e nei suoi Appunti di viaggio (1835-1840) pubblicati nel 1840.

FRANCIA - Corsica, Mariana


La città romana di Mariana (Colonia Mariana a Caio Mario deducta, in greco Μαριανή Marianí) nell'antichità era una colonia romana di primo piano fondata in Corsica da Gaio Mario nel 93 a.C. Era parte della provincia romana Sardegna e Corsica.
Oggi, si trova nel comune di Lucciana a 1 km dall'aeroporto di Bastia-Poretta. Dipendeva da Aleria (fondata come Alalia dai greci di Focea).
Mariana poi venne cristianizzata e nel 300 circa, venne fondata la diocesi di Mariana che fu delle prime della Corsica (nella foto a sinistra, il battistero), immediatamente soggetta alla Santa Sede, nel 1092 divenne suffraganea dell'arcidiocesi di Pisa e nel 1130 suffraganea dell'arcidiocesi di Genova, poi a causa della malaria fu abbandonata nel '300.
Inoltre nel 302 a Mariana fu martirizzata santa Devota, santa patrona della Corsica e del Principato di Monaco.
I resti della città furono scoperti negli anni sessanta da Geneviève Moracchini-Mazel e venne riportato alla luce un complesso paleocristiano del IV secolo. Alla fine degli anni novanta una squadra di archeologi diretti da Philippe Pergola ha ripreso gli studi sul sito.
La cattedrale di Santa Maria Assunta detta La Canonica (nella foto a destra) fu costruita nell'anno 1119. Questo edificio presenta diverse analogie con un gruppo di chiese della Lucchesia, comprendenti fra le altre San Pietro di Valdottavo, Santa Maria Assunta a Piazza a Brancoli e due chiese del nord della Sardegna: San Nicola di Silanis di Sedini (ante 1122) e San Giovanni di Viddalba.
La chiesa di San Parteo (XII secolo) anch'essa con gli stessi caratteri delle chiese succitate.

FRANCIA - Corsica, Cuccuruzzu

 


Cucuruzzu è un sito archeologico preistorico in Corsica, scoperto nel 1959 e indagato con scavi archeologici nel 1963.
Un sentiero scende in lieve pendenza in un vallone e raggiunge il luogo dove si trovano i resti di una grande fortezza/villaggio da cui si ha una vista sulla regione verdeggiante delle Cime di Bavella.
Questo villaggio fortezza, risalente all'età del bronzo e che sarebbe stato abbandonato alla fine del terzo secolo prima di Cristo, integra gli elementi naturali quali i grandi blocchi di roccia granitica con pile di pietra realizzate dall'uomo a costituire dei muri a secco. Una scalinata dai blocchi rozzamente squadrati porta all'interno occupato da piccoli locali o rifugi disposti su di una superficie di circa 400 m².
Dopo l'interesse rivolto a Cucuruzzu a partire dal 1959 da Roger Grosjean, archeologo conosciuto per aver studiato Filitosa, e gli scavi ai quali procedette tra il 1963 e il 1964, il sito fu acquisito nel 1975 dallo Stato francese che lo classificò come Monument historique vale a dire monumento nazionale nel 1982. Attualmente è affidato alla Collectivité Territoriale de Corse, il Governo regionale corso.
Restaurato nel 1991 e sbarazzato della vegetazione che lo copriva, oggi il sito è accessibile al pubblico cercando di limitarne il degrado.
Raggiungendo l'altezza di circa 5 metri, è vietato l'accesso alla parte superiore dei muri perimetrali tramite cartelli di divieto d'accesso e di messa in guardia da cadute o danni al monumento. La visita del sito, insieme al vicino sito archeologico di Capula, è a pagamento e si compie con un biglietto plastificato con un registratore portatile che va restituito prima dell'uscita. Undici colonnine (colorate e numerate) fiancheggiano i sentieri e segnalano la disponibilità di un commento scritto o registrato.
Molto vicino si trova il sito di Capula (con altre sei colonnine/commento), un altro Castellu abitato questa volta fino al Medio evo come è attestato dagli scavi archeologici effettuati in quel luogo.
I reperti scoperti si trovano presso il Musée de l'Alta Rocca, a Levie.

FRANCIA - Corsica, Filitosa

 


Filitosa è un sito archeologico preistorico situato in Corsica, occupato tra la fine del Neolitico e l'inizio dell'Età del Bronzo. In questo sito sono stati ritrovati alcuni menhir antropomorfi risalenti al IV-II millennio a.C.. Il sito di Filitosa è situato nella valle del Taravo, sulla strada D57, nel comune di Sollacaro, a nord di Propriano. 
Il sito fu scoperto nel 1946 dal proprietario della terra, Charles-Antoine Cesari. I veri e propri scavi cominciarono nel 1954. Il ritrovamento di alcune punte di freccia e di oggetti in ceramica testimoniano che il sito era già abitato nel 3300 a.C. Intorno al 1500 a.C., furono eretti menhir di due, tre metri. Essi furono scolpiti con volti dalle sembianze umane, armature e armi. In totale si contano circa 20 statue nel sito di Filitosa, circa la metà di tutte le statue stele rinvenute in Corsica.

martedì 29 aprile 2025

FRANCIA - Glanum, Arco romano

 

L'arco di Glanum è un antico arco di trionfo situato presso le rovine di Glanum, vicino all'odierna Saint-Rémy-de-Provence, in Francia. Venne costruito in seguito alla vittoria romana sui popoli della Gallia nel 6 a.C., durante il principato di Augusto. È molto simile agli archi che si trovano nelle città di Orange e Carpentras, nella ragione di Vaucluse.
Ai lati dell'arco di trionfo, tra le colonne, si possono tuttora osservare due coppie di galli incatenati, simbolo del dominio romano su tali popolazioni. Anche il trofeo delle Alpi, situato a La Turbie, presentava sulla sommità l'imperatore Augusto e una coppia di barbari sottomessi. Il monumento si trova vicino al mausoleo di Glanum.
La costruzione di questo edificio non sembra essere tuttavia legata ad un evento militare particolare. Della struttura originaria rimane solamente la parte inferiore: l'attico in muratura è andato completamente distrutto, mentre si è conservata la volta a cassettoni dell'unico fornice presente, quello centrale. Le colonne addossate alla struttura (ora mutilate) sorreggevano probabilmente una trabeazione, andata perduta. Secondo alcuni esperti la parte superiore doveva essere abbastanza alta per equilibrarsi con la struttura sottostante, e presentava un frontone triangolare simile a quello dell'arco di Orange.

FRANCIA - Glanum, Mausoleo gallo-romano

 
Il mausoleo di Glanum è un monumento funerario gallo-romano situato nell'antica città di Glanum, vicino all'odierna città di Saint-Rémy-de-Provence, in Francia. Venne eretto tra il 30 a.C. e il 20 a.C., durante il principato di Augusto. È molto ben conservato sia per quanto riguarda la struttura sia per le decorazioni. L'iscrizione presente sul monumento recita:
SEX(tus) M(arcus) L(ucius) IVLIEI C(aii) •F(ilii) PARENTIBVS SVEIS
Sesto, Marco e Lucio Giulio, figli di Gaio, per i loro genitori.
Il nomen Giulio indica che i defunti sono Galli i cui antenati avevano ottenuto la cittadinanza romana combattendo nell'esercito romano, ai tempi di Giulio Cesare o di Augusto. Come di consueto questi antenati presero il cognome di coloro che li aveva liberati concedendogli la cittadinanza.
La forma del mausoleo è tipica di altri monumenti sepolcrali italiani e africani. La struttura, alta 16 metri, è divisa in tre parti:
- una parte inferiore, cubica e decorata con rilievi, come un sarcofago.
- una parte intermedia, a forma di arco quadrifronte.
- una parte superiore, a forma di tempio rotondo.
La parte inferiore non contiene una camera sepolcrale, il che rende il monumento un cenotafio. Quattro rilievi, decorati da festoni, occupano gran parte della base, e illustrano scene storiche e mitologiche:
Est: è ispirato alla lotta tra i Greci e le Amazzoni, si vede un combattente prendere un trofeo da un avversario morto.
Sud: è rappresentata la leggenda della caccia al cinghiale calidonio. Sono raffigurati Meleagro e i due Dioscuri, Castore e Polluce.
Ovest
: è rappresentata una scena della guerra di Troia e il combattimento per recuperare il corpo di Patroclo.
Nord: è rappresentata una battaglia senza chiari riferimenti mitologici. Rappresenta probabilmente una scena legata all'ottenimento da parte del defunto della cittadinanza romana.
Nella parte intermedia, quattro pilastri disposti lungo gli angoli di un quadrato e decorati con colonne corinzie addossate si intersecano tra di loro formando un arco quadrifronte (come l'arco di Giano del foro Boario). La sommità di questa struttura è decorata con creature marine che sorreggono un disco solare, presente su tutti i lati tranne che in quello nord.
Un piccolo tempio tondo (tholos) corona il monumento. Esso ospita la statua del defunto e probabilmente di suo figlio, entrambi raffigurati con indosso la toga, che poteva essere indossata solo da cittadini romani.


FRANCIA - Parigi, Louvre / Vaso Borghese

Il vaso Borghese è un monumentale cratere, scolpito ad Atene in marmo pentelico da un'officina neoattica nella seconda metà del I secolo a.C. come ornamento da giardino.
Fu rinvenuto nel Cinquecento a Roma, negli Horti Sallustiani e fece parte della collezione Borghese. Oggi è esposto al museo del Louvre a Parigi.
Il cratere è di dimensioni monumentali (alto 1,72 m e con un diametro di 1,35 m) e presenta una forma "a campana". Nella parte superiore concava del vaso presenta un fregio figurato a bassorilievo sormontate da due tralci di vite intrecciati sotto l'orlo rovesciato in fuori e decorato con un piatto kyma ionico e un astragalo. La parte inferiore convessa del vaso e il piede sono decorati con baccellature convesse e concave. Il piede poggia sopra un basso plinto ottagonale. Tra la parte concava e quella convessa del vaso si trovano coppie di teste di satiro, da cui si dipartivano le anse, oggi scomparse.
Il fregio raffigura un tiaso dionisiaco: con Dioniso, Arianna, satiri e, menadi che suonano strumenti e danzano. Uno dei satiri sorregge Sileno ubriaco.
Il vaso appartiene alla produzione della scultura neoattica di Atene del I secolo a.C., realizzata per la ricca clientela romana ed è datato al 60-40 a.C.. Alla medesima produzione appartengono il più piccolo vaso Medici e due esemplari più antichi, rinvenuti frammentari tra i materiali trasportati da una nave naufragata a Mahdia.
Il vaso venne alla luce prima del 1569 nel giardino di Carlo Muti, che occupava gli antichi Horti Sallustiani ed entrò a far parte della collezione Borghese nel 1645, quando fu esposto nella villa Pinciana della famiglia.
Fu ampiamente ammirato e riprodotto in stampe e copie in vari materiali tra il Seicento e il Settecento. Copie del vaso Borghese vennero realizzate in marmo come decorazione dei giardini di Versailles presso la fontana di Latona, in alabastro per Houghton Hall e in bronzo per Osterley Park. Calchi furono realizzati dallo scultore John Flaxman e per il ceramista Josiah Wedgwood.
Napoleone I lo acquistò nel 1807 insieme alla maggior parte della collezione Borghese dal cognato Camillo Borghese e alle altre opere oggetto di spoliazioni napoleoniche, in base ad una selezione operata da Ennio Quirino Visconti. A causa del blocco navale britannico le opere viaggiarono da Roma a Parigi via terra e poterono essere esposte nel Museo del Louvre solo a partire dal 1811.

FRANCIA - Parigi, Louvre / Diana di Gabi

 


La Diana di Gabi è una statua del IV secolo a.C. Alta 1,65 metri raffigurante una donna avvolta in un drappeggio; con molta probabilità rappresenta la dea Artemide, ed è tradizionalmente attribuita a Prassitele. In passato era parte della collezione Borghese ed è conservata presso il Museo del Louvre. La statua fu scoperta nel 1792 da Gavin Hamilton, nelle proprietà del principe Marcantonio IV Borghese nei pressi di Roma, dove in antichità sorgeva la città di Gabi, e fu immediatamente inserita nella collezione del principe. Nel 1807, a causa di difficoltà finanziarie, il principe Camillo II Borghese, figlio di Marcantonio, fu costretto da Napoleone a vendere alla Francia 344 opere provenienti dalla collezione Borghese. Dal 1820 la Diana di Gabi è quindi in mostra al Louvre.
La statua divenne molto popolare nel XIX secolo: un calco in gesso fu collocato al Club Athenaeum di Londra; una copia marmorea era presente tra le riproduzioni di statue antiche volte a decorare la Cour Carrée, la Corte Quadrata del Louvre, e una sua copia decorava una fontana nel comune francese di Grancey-le-Château-Neuvelle, nella Côte-d'Or. Inoltre, riproduzioni in scala ridotta venivano realizzate e poi vendute agli appassionati d'arte.
La giovane donna è rappresentata a grandezza maggiore di quella naturale. Il peso del corpo è scaricato sulla gamba destra, rinforzata con un ceppo d'albero; la gamba sinistra, invece, non contribuisce in alcun modo a sostenere la figura: il piede sinistro, infatti, ha il tallone rialzato e le dita rivolte verso l'esterno.
La statua è generalmente identificata come Artemide, dea della verginità, della caccia e delle selve, esclusivamente per via delle sue vesti. Indossa, difatti, un chitone non particolarmente lungo con ampie maniche, tipico della dea. Il chitone è legato da due cinturini, uno visibile attorno alla sua vita, l'altro invece nascosto, i quali trattengono parte del tessuto, accorciando il chitone e mostrando le ginocchia. La dea è rappresentata nell'atto di fissare con una spilla il suo mantello: la mano destra stringe una fibula e tiene sollevata una piega del vestito sulla spalla destra, mentre quella sinistra trattiene un'altra piega del vestito all'altezza del petto. Il movimento fa cadere il colletto del chitone, lasciando scoperta la spalla sinistra.
La testa è lievemente rivolta a destra, ma la dea non presa attenzione su ciò che sta facendo. Al contrario, il suo sguardo volge all'ambiente che la circonda, caratteristica tipica delle statue classiche. La sua chioma fluente è tirata indietro da una fascia legata al di sopra del collo, poi raccolti in una crocchia contenuta da un secondo nastro non visibile.
Stando a quanto scrive Pausania, Prassitele creò la statua di Artemide Brauronia per l'Acropoli di Atene. Gli inventari del tempio, datati al 347-346 a.C., fanno menzione di una "statua dedicata", descrivendola come raffigurante la dea in un chitoniskos. È anche noto che il culto di Artemide Brauronia prevedesse anche la consacrazione di capi offerte dalle fanciulle.
La statua di Prassitele è stata a lungo associata alla Diana di Gabi: la dea appare nell'atto di indossare il dono dei suoi devoti. In aggiunta, la testa ricorda molto quelle dell'Afrodite cnidia e dell'Apollo sauroctono, entrambi attribuiti a Prassitele. D'altro canto, l'identificazione della statua è stata messa in discussione per diversi aspetti. Innanzitutto, per quanto riguarda gli inventari scoperti ad Atene, è stato dimostrato si tratti di copie di quelli riguardanti il santuario principale a Braurone e non è quindi certo che il culto ad Atene includesse anche la consacrazione delle vesti. Inoltre, il chitone corto è anacronistico per il IV secolo a.C., suggerendo quindi una collocazione ellenistica. Infine, una recente ipotesi mette in relazione la statua di Artemide Brauronia con una testa presente al Museo dell'agorà antica di Atene, nota come Testa Despinis.
La Diana di Gabi è nondimeno considerata un'opera di impressionante qualità e si adegua a quello che è comunemente considerato lo stile prassitelico, portando alcuni studiosi a continuare a reputare la statua opera di Prassitele o uno dei suoi figli.

FRANCIA - Parigi, Louvre / Antinoo Mondragone

 
L'Antinoo Mondragone è la scultura (del II secolo d.C.) di una testa alta 95 cm e largo 37 costituita da un unico blocco di marmo bianco; rappresenta l'iconografia di Antinoo, il ragazzo amato dall'imperatore romano Adriano e da questi portato in apoteosi dopo la sua morte, avvenuta nel 130 d.C. per annegamento sul fiume Nilo. È conservata nel Louvre.
Il soggetto può essere facilmente identificato dalle peculiari caratteristiche di tutte le sue raffigurazioni: sopracciglia striate, labbra carnose, espressione accigliata e quasi cupa con torsione della testa in basso verso destra, il che ricorda molto la statua di Athena Lemnia; mentre la pelle liscia e fortemente elaborata e l'acconciatura dei capelli è del tutto simile alle immagini ellenistiche di Dioniso e Apollo.
Faceva originariamente parte di un'immagine di culto o idolo, oppure di un acrolito colossale, utilizzato per il culto rivolto al ragazzo-dio; 31 fori di tre differenti dimensioni servivano probabilmente per il fissaggio di un oggetto sul suo capo, forse una corona dionisiaca o un ureo di metallo, avorio o pietra colorata. Negli occhi dovevano essere inserite delle pupille di marmo e pietre dure.
I resti sono stati ritrovati a Frascati tra il 1713 e il 1729 e subito inseriti come parte della collezione Borghese a Villa Mondragone. Johann Joachim Winckelmann ne fece presto conoscere la testa al grande pubblico, lodandola nella sua "Storia dell'arte antica", definendola gloria e corona dell'arte di quest'età, di una freschezza immacolata che pare provenire direttamente dalle mani dell'artista.
«La testa colossale di Mondragone è sì intera che sembra ora uscita dalle mani dello scultore, e sì bella che io non credo di troppo dire, se la chiamo, dopo l’Apollo di Belvedere e ’l Laocoonte, il più bel monumento dell’arte che siaci rimasto. Se fosse permesso averne copia in gesso, dovrebbe l’artista studiarlo come uno de’ più sublimi modelli di beltà; poiché le forme colossali, richiedendo un grande artefice, il quale sappia per dir così oltrepassare i limiti della natura, ci danno una prova dell’abilità del disegnatore, senza tuttavia perdere ne’ grandi contorni la morbidezza e ’l dolce passaggio da una all’altra forma. Oltre la bellezza delle sembianze i capelli sono in tal maniera lavorati, che nulla v’è di simile in tutti gli avanzi dell’antichità. Ho parlato altrove degli occhi incastrativi» (Winckelmann, Storia delle Arti del Disegno presso gli Antichi)
Nel 1807 è stato acquisito dall'imperatore dei francesi Napoleone Bonaparte, assieme a gran parte delle collezioni appartenenti alla famiglia Borghese e alle altre opere oggetto di spoliazioni napoleoniche. Ne venne in seguito aggiunto provvisoriamente uno strato di cera marrone per darne una finitura opaca, assieme ad un nuovo strato di gesso attorno alla base del collo per darne l'apparenza di un busto completo; entrambi furono poi rimossi durante i lavori di restauro e pulizia.

FRANCIA - Parigi, Louvre / Dama di Auxerre

 
La Dama di Auxerre è una scultura greca in calcare conchiglifero del VII secolo a.C. conservata nel Museo del Louvre di Parigi. La sua provenienza originaria è sconosciuta: fu acquistata nel 1895 da un impresario teatrale di Auxerre, che la cedette in seguito al locale museo. Venne ritrovata nei depositi del museo nel 1907 da Maxime Collignon, curatore del Museo del Louvre, al quale venne ceduta nel 1909.
Fu in seguito attribuita alla scuola dedalica cretese e datata tra il 650 e il 625 a.C.
La scultura rappresenta una figura femminile nella posizione dell'offerente (kore, dal greco, significa "ragazza" in italiano), è raffigurata in piedi, con i piedi uniti e con la mano destra al petto in un gesto di preghiera e la sinistra distesa lungo il fianco. Indossa il peplo, stretto in vita da un'alta cintura e con le spalle coperte da una mantellina. La veste era in origine decorata in policromia (tracce di colore rosso sono ancora presenti sul busto), sulla base di un disegno reso con sottili incisioni sulla superficie della pietra.
Secondo lo stile della scultura (scultura dedalica), segue uno schema rigidamente frontale e la struttura corporea scompare nascosta dalla pesante veste. Il volto si presenta di forma triangolare, incorniciato dai due simmetrici triangoli della capigliatura, con grandi occhi spalancati. Conserva la vita sottile delle sculture minoiche, mentre la forma della capigliatura rivela influssi della scultura egizia.
Negli anni novanta alcuni frammenti analoghi scoperti negli scavi di Eleutherna (necropoli di Orthi Petra) hanno contribuito a definirne l'originario luogo di provenienza.


(a destra, un calco con la ricostruzione dell'originaria policromia della scultura presso l'Università di Cambridge)

FRANCIA - Parigi, Louvre / Hera di Samo

 
L'Hera di Samo è una scultura in marmo (h. 192 cm), databile al secondo quarto del VI secolo a.C. e conservata nel Museo del Louvre a Parigi. Si tratta di una delle sculture greche più antiche, dedicata alla dea Hera nel santuario di Samo, da un membro dell'aristocrazia ionica di nome Cheramyes, come indicato dall'iscrizione incisa lungo il bordo del velo (epiblema). Dal 1881 è conservata al Museo del Louvre dove è registrata con il numero di inventario Ma 686.
È una statua acefala, cioè senza testa.
La statua riassume in sé tutte le caratteristiche della scultura ionica: la forma quasi cilindrica della figura viene enfatizzata dalle pieghe verticali e dritte del chitone ionico, mentre il mantello obliquo è animato dal movimento del braccio che viene portato al petto, attributo della dea. Forse anticamente la mano sollevata teneva una melagrana. Nonostante la forma cilindrica, simile a una colonna, i volumi suggeriti dalle vesti eliminano l'idea di immobilità, conferendo alla figura un'aria di ieratica maestà. la struttura compatta è ingentilita dalla sinuosità della linea di contorno.
La mano sinistra, scomparsa, probabilmente teneva un dono votivo, in questo caso si pensa una melagrana.
La κόρη (kòre), che rappresenta la dea Era o una giovane sacerdotessa che reca offerte al tempio della dea, è formata da una base cilindrica sulla quale si posa il busto nascosto da un himation dal quale esce solo un braccio (è pervenuta acefala e senza il braccio sinistro). Le scanalature sul chitone e quelle sull'himation, da cui nasce l'idea della colonna scanalata del tempio greco, mostrano come la luce si identifichi con la materia nel momento del contatto con questa.

FRANCIA - Parigi, Louvre / Vecchio pescatore

 

Il Vecchio pescatore, anche noto come Seneca morente, è una statua realizzata in marmo nero ed alabastro, copia romana del II secolo di un originale ellenistico; la figura è posizionata su di un supporto, di età moderna, a forma di bacino, in breccia purpurea.
L'insieme della statua e del bacino raggiungono l'altezza di 1,83 metri. Rinvenuta a Roma, l'opera è inizialmente menzionata nel 1599 all'interno della collezione della famiglia Altemps; successivamente viene acquistata dal cardinale Scipione Borghese, per poi far parte della collezione Borghese fino al 1807, quando Camillo II Borghese vendette la statua a Napoleone Bonaparte, che la collocò al Museo del Louvre (attualmente si trova nella Salle du Manège).
Il soggetto della statua è identificato come Seneca, precettore dell'imperatore Nerone e costretto al suicidio, anche se con buone probabilità si tratta della rappresentazione di un pescatore, soggetto tipico della statuaria di epoca ellenistica.
L'opera, ampiamente restaurata, fu posizionata su di una superficie color rosso sangue di un catino realizzato in breccia purpurea.
Nel corso del tempo ha conosciuto grande notorietà: Rubens, ad esempio, la considerò riferimento per diverse versioni - con diversi gradi di somiglianza alla scultura - per la realizzazione della sua Morte di Seneca, di cui se ne conservano una al Museo del Prado di Madrid ed un'altra presso l'Alte Pinakothek di Monaco di Baviera. Al Louvre, inoltre, si trova una tela di Luca Giordano del 1684 che riprende lo stesso tema, elaborandolo tuttavia attraverso uno schema differente e posizionando Seneca di profilo.

FRANCIA - Parigi, Louvre / Apollo di Piombino


L'Apollo di Piombino o Kouros di Piombino è una statua in bronzo e rame greco antica alta 115 cm; in stile tardo arcaico, raffigura il dio Apollo come giovane uomo-"kouros", ma potrebbe anche rappresentare un suo devoto mentre sta portando un'offerta. Il bronzo è intarsiato con rame per le labbra, le sopracciglia e i capezzoli del ragazzo. Gli occhi, che mancano, erano di un altro materiale, forse osso o avorio.
È stato rinvenuto nel 1832 a Piombino (per la precisione l'antica "Populonia" romana in Etruria), nella zona portuale appena fuori il punto di sud-ovest ed è stato acquistato per il Museo del Louvre nel 1834. Il suo stile arcaico ha condotto certi studiosi come Reinhard Lullies e Max Hirmer a datarlo almeno al V secolo a.C. e ad ipotizzarne la fattura in Magna Grecia, l'area cultura ellenica del sud Italia.
Kenneth Clark lo ha illustrato in "The Nude" (1956), Karl Schefold lo ha incluso nel suo "Meisterwerke Griechischer Kunst" (1960) e calchi di esso si trovano in sedi universitarie e nelle collezioni museali per motivi di studio. Invece, BS Ridgeway (Ridgeway 1967) ha proposto invece che sia semplicemente una scultura arcaizzante del I secolo a.C., del genere di quelle progettate per rivolgersi ad un pubblico romano con gusti raffinati; un consapevole falso fabbricato in epoca romana, con una falsa iscrizione intarsiata di argento in caratteri arcaici sulla gamba sinistra.
L'iscrizione dedica questo Apollo alla Dea Atena, e ciò risulta essere un'anomalia. I due scultori responsabili non hanno potuto resistere dall'inserire i propri nomi all'interno della scultura, incisi nel piombo; essi sono stati scoperti quando la scultura è stata sottoposta al primo approfondito studio nel 1842. Uno era un certo Tiro emigrato a Rodi. Il sito web del Louvre aggiunge che un lavoro simile è stato rinvenuto nel 1977 a Pompei antica nella villa di C. Giulio Polibio; ciò verrebbe a corroborare l'ipotesi di un pastiche arcaizzante, realizzato per un cliente romano nel I secolo a.C.
Lo studio della scultura greca arcaica negli ultimi decenni si è allontanato dalla pratica tradizionale di identificare le opere sulla base di brevi descrizioni letterarie o di riconoscere il modo caratteristico di alcuni nomi famosi, come risultato di riproduzioni del loro lavoro e di varianti in base al loro stile, per concentrarsi invece sul mondo sociopolitico in cui la scultura è stata creata ed altri criteri meno soggettivi.

FRANCIA - Parigi, Louvre / Tesoro di Boscoreale

 


Il tesoro di Boscoreale è un insieme di 108 pezzi di oreficeria, soprattutto in argento, del I secolo d.C. Fu rinvenuto nel 1895 negli scavi di una villa romana della Pisanella, in contrada Pisanella-Settermini a Boscoreale, attualmente conservato presso il museo del Louvre di Parigi.
Il tesoro è costituito da 108 pezzi e comprende un servizio da tavola quasi completo e tre specchi in argento, più alcuni monili d'oro. Venne rinvenuto il 9 aprile del 1895 presso il lacus del torcularium (ambiente che ospitava il torchio per la spremitura dell'uva) della villa.
Gli scavi della villa erano iniziati nel 1876 ad opera del proprietario del terreno in cui si trovava parte della villa, Modestino Pulzella, ma dovettero essere interrotti in corrispondenza dell'appezzamento confinante, di proprietà di Angelandrea De Prisco. Alla morte di questi nel 1894 i figli vennero autorizzati a riprendere gli scavi nel loro terreno, nei quali rinvennero i preziosi pezzi. Nel maggio successivo alla scoperta i pezzi, esportati clandestinamente [dagli interrogatori effettuati dopo la ricomparsa del tesoro in Francia, risulta che i fratelli De Prisco, aiutati dall'operaio Michele Finelli, avessero eluso la vigilanza durante gli sterri, nascondendo gli oggetti più preziosi man mano che li rinvenivano] in Francia dai fratelli Canessa, antiquari napoletani, furono donati al museo del Louvre dal barone Edmond James de Rothschild, che li aveva acquistati per mezzo milione di franchi. Il barone acquistò nel settembre dello stesso anno altri cinquantaquattro oggetti del servizio da tavola, donandoli ancora al museo, e venne in seguito imitato da altri collezionisti che avevano acquistato altri pezzi del tesoro, mentre i monili d'oro vennero acquistati dall'amministrazione dei musei nazionali. Con la realizzazione di una copia della testa di Agrippina, conservata al British Museum di Londra, l'intero tesoro venne ricomposto ed esposto nella "sala dei gioielli antichi al Museo del Louvre.
Gli scavi della villa furono poi ripresi nel maggio 1896 sotto la vigilanza dell'archeologo Angiolo Pasqui, rimettendo in luce tutto il fabbricato: si trattava di una villa rustica, composta da una pars urbana, cioè la residenza padronale, a nord-ovest, e da una pars rustica, gli ambienti produttivi e di servizio, nella zona orientale. Vi si praticava l'allevamento di animali da cortile nell'aia e la maggior parte degli ambienti al piano terreno erano dedicati alla lavorazione e alla conservazione di olio, vino e cereali. Il tesoro era stato rinvenuto nel torcularium, che al momento dell'eruzione del Vesuvio nel 79, era uno degli ambienti più sicuri della villa: probabilmente il proprietario diede ordine a un uomo di fiducia di occultarlo in attesa di tempi migliori.
Gli oggetti facenti parte del servizio da tavola erano costituiti da molti utensili adatti a mescere e versare il vino, bevanda che doveva essere filtrata dalle spezie prima di essere consumata (mestoli, cucchiai, colini, oinochoi); sono presenti inoltre alcuni vassoi, utilizzati per portare le vivande in tavola, e saliere e recipienti per salse.
Gli oggetti più raffinati sono le coppe per bere, accoppiate generalmente a due a due per tematica decorativa: sono presenti motivi del mondo animale e vegetale, della mitologia, ma anche temi politici (come per le coppe dette "di Augusto" e "di Tiberio") e ironici, come la coppa degli scheletri, che invita il commensale a godersi la vita data la sua brevità. La decorazione di coppe e skyphoi era, nell'ambito del banchetto, un argomento di conversazione. Altri tipi di coppe probabilmente non servivano per bere, ma erano oggetti da esibizione, come la "coppa d'Africa" e due coppe con al centro applicato un busto in rilievo, i ritratti di un uomo e di una donna sconosciuti con un'acconciatura di moda nel 20-40, interpretati come i genitori dell'ultimo proprietario del tesoro, dal nome ignoto.
I tre specchi d'argento, insieme ai gioielli aurei, dovevano appartenere alla moglie del proprietario: tutti e tre presentano tematiche afferenti al mondo della sensualità femminile. Il cosiddetto "specchio di Leda" presenta al centro un medaglione in cui è raffigurata Leda che abbevera il cigno (Giove); il secondo presenta al centro l'immagine di Dioniso con sguardo patetico, e l'ultimo, nonostante il disco sia vuoto, ha il manico a forma di clava che termina in una pelle di leone, chiaro riferimento ad Omphale.

(da Wikipedia, l'enciclopedia libera)

lunedì 28 aprile 2025

FRANCIA - Parigi, Louvre - Stele di Mesha (Giordania)

 
La stele di Mesha (nota nel XIX secolo come pietra moabita) è una pietra in basalto nero, situata in Giordania, che riporta un'iscrizione effettuata nel IX secolo a.C. da re Mesha dei Moabiti.
L'iscrizione, risalente all'840 a.C., ricorda le vittorie di Mesha su "Omri re di Israele" e sul figlio, che aveva oppresso i Moabiti. È la più lunga iscrizione mai rinvenuta tra quelle che si riferiscono all'antico Israele (la "Casa di Omri"). Riporta quello che è generalmente considerato come il più antico riferimento semitico extra-biblico al nome Yahweh (YHWH), i cui beni del tempio furono saccheggiati da Mesha e consegnati al proprio dio Chemosh. Lo studioso francese André Lemaire ha ricostruito una parte della riga 31 della stele, affermando che si tratta di un riferimento alla "Casa di Davide".
La pietra è alta 124 cm e larga e profonda 71 cm, arrotondata in alto. Fu scoperta sul sito dell'antica Dibone (oggi Dhiban), nell'agosto del 1868 dal reverendo Frederick Augustus Klein (1827–1903), un missionario tedesco della Church Mission Society. Gli abitanti locali la ruppero durante un litigio riguardo alla sua proprietà, ma uno schizzo (un calco in cartapesta) era stato ottenuto da Charles Simon Clermont-Ganneau, e molti dei frammenti sono stati in seguito recuperati ed uniti dallo stesso Clermont-Ganneau. Lo schizzo (mai pubblicato) e la stele riassemblata sono ora esposte presso il Museo del Louvre.
La stele misura 124 per 71 cm. Le sue 34 righe descrivono:
Come i Moabiti furono oppressi da "Omri re di Israele", come risultato della rabbia del dio Chemosh
La vittoria di Mesha sul figlio di Omri (non citato) e sugli uomini di Gad ad Ataroth, ed a Nebo e Jehaz
I suoi progetti per gli edifici, il restauro delle fortificazioni della sua roccaforte e la costruzione di un palazzo e di una cisterna per l'acqua
Le sue guerre contro gli Horonaim.
È scritta in lingua moabita, con l'antico alfabeto fenicio, ed è "molto simile" all'ebraico biblico standard.
L'iscrizione è coerente con gli eventi storici riportati nella Bibbia. Eventi, nomi e luoghi citati nella stele di Mesha corrispondono a quelli citati nella Bibbia. Ad esempio, Mesha viene descritto come re di Moab nel secondo libro dei Re (3:4: "Mesa re di Moab era un allevatore di pecore. Egli inviava al re di Israele "centomila agnelli e la lana di centomila arieti" e Chemosh viene citato in molti passi della Bibbia come dio locale di Moab (primo libro dei re 11:33, 21:29, ecc.). Il regno di Omri, re di Israele, è descritto nel primo libro dei Re (16), e l'iscrizione cita numerosi territori (Nebo, Gad, ecc.) che appaiono anche nella Bibbia. Infine, il secondo libro dei Re (3) parla di una rivolta di Mesha nei confronti di Israele, a cui Israele rispose alleandosi con Giuda ed Edom per sedarla.
Secondo alcuni studiosi ci sarebbe un'incongruenza nei tempi della rivolta tra la stele di Mesha e la Bibbia. L'ipotesi si basa sul presupposto che la successiva frase della stele faccia riferimento al figlio di Omri, Acab.
«Omri era re di Israele, ed oppresse Moab per molti giorni, perché Chemosh era furioso con la sua terra. E suo figlio lo sostituì; ed egli disse, "Anche io opprimerò Moab"... E Omri prese possesso dell'intera terra di Madaba; e vi visse nei suoi giorni e metà dei giorni del figlio: quaranta anni: e Chemosh lo restaurò nei miei giorni»
In altre parole, secondo questi studiosi l'iscrizione afferma che la rivolta di Mesha avvenne durante il regno del figlio di Omri, Acab. Dato che la Bibbia parla di rivolta avvenuta durante il regno di Jehoram (nipote di Omri), questi studiosi affermano che i due racconti siano inconsistenti.
Altri studiosi hanno fatto notare che l'iscrizione non fa esplicito riferimento ad Acab. Nell'italiano moderno, il termine "figlio" fa riferimento ad un figlio maschio discendenza diretta dei genitori. Nell'antico vicino Oriente, però, il termine veniva utilizzato per indicare qualsiasi discendente maschio. Inoltre, "figlio di Omri" era un titolo comune per ogni discendente maschio di Omri e potrebbe anche fare riferimento a Jehoram. Supponendo che "figlio" significhi "discendente", i due racconti sarebbero consistenti. Ai tempi la definizione di "discendente di Omri" era "bît Humri", come confermato dai registri assiri.
Nel 1994, dopo aver esaminato sia la stele di Mesha che la cartapesta del Louvre, lo studioso francese André Lemaire disse che la riga 31 della stele di Mesha riportava la frase "la casa di Davide". Lemaire dovette immaginare una lettera distrutta, la prima "D" di [D]VD ("di [D]avide") per ricostruire la frase. La frase completa della riga 31 sarebbe quindi "Riguardo a Horonen, qui vi visse la casa di [D]avid", וחורננ. ישב. בה. בת[ד]וד. (le parentesi quadre [ ] racchiudono le lettere o le parole inserite dove furono distrutte e dove i frammenti sono tuttora irreperibili). Baruch Margalit ha tentato di utilizzare una lettera diversa, la "m", trasformandola in: "Ora Horoneyn fu occupata alla fin[e] del [regno del mio pre]decessore dagli [Edom]iti". Nel 2001 un altro francese, Pierre Bordreuil, scrisse che egli ed altri studiosi non potevano confermare l'ipotesi di Lemaire. Se Lemaire avesse ragione, esisterebbero due antichi riferimenti alla dinastia di Davide, uno sulla stele di Mesha (metà del IX secolo a.C.) e l'altra sulla stele di Tel Dan (metà del IX secolo a.C. - metà dell'VIII secolo a.C.).
Nel 1998 un altro studioso, Anson Rainey, tradusse una difficile coppia di parole nella riga 12 della stele di Mesha, אראל. דודה, come ulteriore riferimento a Davide. La riga in questione recita: "Io (Mesha) portai da qui (la città di Ataroth) l'ariel del suo DVD (o: il suo ariel di DVD) ed io lo trascinai davanti a Chemosh a Qeriot". Il significato di "ariel" e "DWDH" non è chiaro. "Ariel" potrebbe derivare etimologicamente da "leone d'oro" o "altare-cuore"; "DWDH" significa letteralmente "il suo amato", ma può anche significare "il suo (X) di Davide". L'oggetto preso da Mesha nella città israelita potrebbe quindi essere "l'immagine leonina del loro amato (dio)", identificando "ariel" con il culto del leone associato all'amato dio Ataroth; o, secondo la lettura di Rainey, "il suo altare-cuore davidico".
Nel 2019 gli studiosi Israel Finkelstein, Nadav Na'aman e Thomas Römer pubblicarono uno studio nel quale sostennero invece che la riga 31 non si riferisse a Davide, bensì a Balak, leggendario re di Moab menzionato nel Libro dei Numeri. Rispondendo a tale proposta, lo studioso di epigrafi Michel Langlois ha invece pubblicato un suo studio, nel quale ha sostenuto la originaria teoria di Lemaire.
Charles Montagu Doughty, nel suo studio pubblicato nel 1888, dice che gli fu detto che lo sceicco di Kerak, Mohammed Mejelly, aveva venduto la pietra ai crociati Franchi a Gerusalemme, e che il Beni Haneydy, il clan sulla cui terra si trovava Dibone, chiesero a Mejeely una quota del ricavato. Quando la richiesta fu rifiutata, i Beni Haneydy attaccarono la spedizione che stava trasportando la pietra a Gerusalemme, uccidendo cinque componenti della scorta e perdendo tre dei loro uomini. Riportarono la pietra a casa loro. A Doughty fu anche detto che i Franchi pagarono 40 sterline per la morte dei cinque uomini.
Sei anni dopo il reverendo Archibald Henry Sayce disse che il consolato francese di Gerusalemme aveva saputo della scoperta del reverendo F. Klein e che, l'anno successivo, il loro dragomanno Clemont-Ganneau inviò Selim el-Qari a fare un calco in cartapesta e ad offrire 375 sterline per la pietra. Sfortunatamente era già stato raggiunto un accordo con i Prussiani per 80 sterline. Sentendo che la pietra era aumentata di valore, il governatore di Nablus minacciò di riprenderne il possesso. Piuttosto che non avere niente, la pietra fu scaldata e poi distrutta bagnandola con acqua fredda. I vari pezzi finirono in famiglie diverse, che le nascosero nei granai per "fungere da talismani per proteggere il grano dal degrado".
Nel 1958 i resti di un'iscrizione simile furono trovati nei pressi di Al-Karak.

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...