martedì 8 luglio 2025

Lombardia - Antiquarium di Milano

 


L'antiquarium di Milano è un antiquarium situato a Milano in via De Amicis dove sono conservati i resti delle fondazioni dell'anfiteatro romano di Milano unitamente ad un museo che illustra la storia del monumento sulla base delle ultime indagini archeologiche condotte in città.
Il museo è ospitato in un ex-convento di monache domenicane, fra la chiesa di Santa Maria della Vittoria e l'area archeologica. Antiquarium e parco sono visitabili, con ingresso libero e gratuito, grazie alla collaborazione dei volontari per Il Patrimonio Culturale del Touring Club Italiano. Nel parco sono conservati i resti delle fondazioni dell'anfiteatro romano di Milano.
L'antiquarium è dedicato all'archeologa Alda Levi che prestò la sua attività a Milano dal 1925 al 1939 quando fu esonerata dal servizio a causa delle leggi razziali del 1938 e la cui opera fu presto dimenticata fino ai nostri giorni. Si articola in due sale con materiale in parte proveniente dalla collezione Sambon, esposta in precedenza presso il Museo teatrale alla Scala.
La prima sala espositiva illustra principalmente, attraverso i materiali rinvenuti da recenti scavi archeologici dell'area sud-occidentale della città romana, la storia, la vita quotidiana e gli oggetti utilizzati dalla popolazione del periodo (compresa una piccola esposizione di epoca medioevale).
La seconda sala illustra principalmente come avvenivano gli spettacoli gladiatorii nel vicino anfiteatro romano con ricostruzioni e materiali rinvenuti da recenti scavi archeologici.
Dell'ex-convento di monache domenicane si conservano (restaurati) un piccolo chiostro all'ingresso e due lati del chiostro maggiore.

Lombardia - Civico museo archeologico di Milano

 


Il civico museo archeologico di Milano è un museo archeologico, con sede nell'ex-convento del Monastero maggiore di San Maurizio, dove si trovano le sezioni greca, etrusca, romana, barbarica e del Gandhara. La sezione preistorica ed egizia è ospitata presso il Castello Sforzesco. Il museo è l'erede del Museo patrio archeologico, fondato nel 1862, e del più antico Gabinetto numismatico di Brera fondato nel 1808. La fondazione del primo museo archeologico fu sancita con Regio Decreto del 13 novembre 1862 e promossa dall'allora Ministro della Pubblica Istruzione Carlo Matteucci.
Il concetto di un museo archeologico nella città di Milano era tuttavia nato molto tempo prima, allorquando il pittore milanese Giuseppe Bossi, allora presidente dell'Accademia di Brera, fin dal 1799 si era curato della raccolta di alcuni reperti sparsi in diversi luoghi della città e del loro trasferimento presso la chiesa di Brera, già dell'Ordine degli Umiliati, soppressa nell'anno 1808. L'attività di raccolta di reperti provenienti principalmente da alcune chiese soppresse fu incoraggiata dal Governo che costituì una Commissione incaricata di scegliere i più rappresentativi: della Commissione fecero parte lo storico e letterato Luigi Bossi, il numismatico Gaetano Cattaneo e, appunto il pittore Bossi a cui successe l'architetto Giuseppe Zanoja.
Fu quindi acquisito dalla nascente collezione il Monumento equestre a Bernabò Visconti proveniente dalla Cripta di San Giovanni in Conca, la cui cessione fu approvata nel 1808 ma il cui trasferimento a Brera fu attuato nel 1811 per difficoltà pratiche nel suo spostamento. Contemporaneamente furono acquisiti e trasferiti alla collezione alcuni marmi dalle chiese di San Salvatore in Xenodochio (demolita nel 1814), Sant'Ambrogio ad nemus e Santa Maria della Pace (sconsacrata nel 1806).
Seguì un lungo periodo di inattività determinata dai fatti milanesi del 1814, e la collezione rimase quasi abbandonata e non più accessibile al pubblico in una parte della chiesa di Brera venendo saltuariamente arricchita da pochi reperti provenienti da demolizioni di palazzi, monumenti e chiese. Fu solo nel 1858 che il Comune di Milano istituì una Commissione per la creazione di un vero Museo, la quale ebbe però vita breve: infatti nel 1862, un anno dopo l'Unità d'Italia, venne istituio con il succitato Regio Decreto il Museo patrio d'archeologia con sede a Brera. La consulta per la creazione del Museo era presieduta dal Senatore del Regno Antonio Beretta, allora sindaco di Milano.
L'area dell'ex-convento del Monastero maggiore sorge sopra un'area precedentemente occupata da una villa romana del I secolo, dalle mura massimianee e dal vicino circo romano prospiciente al palazzo imperiale della fine del III secolo. In particolare si conservano due torri delle mura massimianee, una delle quali, alta 14 m, che faceva parte dei carceres del circo, venne inglobata nel Monastero maggiore.
Nel cortile di palazzo Brun, edificio confinante con ingresso posto su corso Magenta 15a si possono osservare due capitelli di epoca romana del III secolo circa. Le cantine dello stesso edificio, poste sotto il livello stradale, contengono una parte in muratura della villa romana che sorgeva nella zona.
Nell'atrio d'ingresso del Museo, al centro della sala, è presente un grande plastico nel quale si sovrappongono l'attuale città di Milano con l'antica Mediolanum tardo imperiale, con i principali monumenti (tridimensionali) e strutture della città antica, come le mura massimiane, il circo, il teatro, l'anfiteatro, le terme, le antiche basiliche cristiane, il palazzo imperiale, le strade ed i corsi d'acqua. In questo primo settore del museo sono inoltre esposte, su due livelli, la sezione romana e una piccola sezione dedicata all'arte del Gandhara.
Nella sezione romana sono conservati numerosi esempi di ritratti scultorei, pittura, mosaici (tutti databili alla fine del III-inizi del IV secolo), epigrafi (più di 500, nonostante solo una parte siano esposte) oltre a ceramiche, coppa in vetro come la diatreta Trivulzio e argenteria come la patera di Parabiago.
Dalla sede di corso Magenta si accede al chiostro interno in cui sono esposte svariate stele funerarie romane e dal quale si possono ammirare i già sopracitati resti di un'antica villa romana così come le due torri d'epoca medioevale dell'ex-monastero. In particolare all'interno della torre poligonale è esposta una scultura di Domenico Paladino (donata dall'artista) la quale crea un particolare connubio tra moderno e antico con i vari affreschi, raffiguranti santi, risalenti alla fine del XIII-inizi XIV secolo. Lungo il percorso di visita si accede dal chiostro interno alla nuova palazzina di via Nirone che ospita le sezioni altomedioevale (al primo piano), etrusca (al secondo piano) e greca (al terzo piano). È inoltre presente anche uno spazio espositivo dedicato alle esposizioni temporanee.

Lombardia - Museo Civico Archeologico "Giovanni Rambotti", Desenzano

 


Il Museo Civico Archeologico "Giovanni Rambotti" ha sede a Desenzano del Garda e raccoglie reperti archeologici rinvenuti nel territorio di Desenzano, risalenti a un periodo compreso tra il Paleolitico e il Medio Evo, con focus principale sulle palafitte del basso Garda bresciano. Dal 2011 il sito seriale transnazionale Siti palafitticoli preistorici dell'arco alpino è entrato a far parte del patrimonio dell'UNESCO.
Il Museo è dedicato a Giovanni Rambotti, eminente figura locale. Nato a Desenzano il 21 novembre 1817, laureato in legge all’Università di Pavia nel 1840, esercitò la professione di notaio a Desenzano, di cui divenne sindaco dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Nel 1872 iniziò a interessarsi di archeologia raccogliendo i materiali preistorici, che venivano alla luce nel corso dell’estrazione della torba presso il bacino di Polada (Lonato), sito che ha dato il nome a una delle culture dell'antica età del Bronzo dell'Italia settentrionale.
Il Museo è ospitato nel chiostro dell'ex convento di santa Maria del Carmine. Il chiostro principale, completato già almeno nel 1547, ha pianta quadrata, con cinque arcate per lato che poggiano su venti colonne di pietra con basamento e capitello a foglia. L'edificio, gravemente danneggiato dai bombardamenti dell’Aviazione Alleata nel 1944, è stato restaurato alla fine del XX secolo dal comune di Desenzano del Garda.
Il fenomeno delle palafitte ha caratterizzato l’area intorno alle Alpi
dal Neolitico all’età del Ferro (5300-500 a.C.). Si tratta di villaggi situati sulle rive di laghi, di fiumi o nelle torbiere, con capanne in legno costruite direttamente al suolo oppure sopraelevate. Lo straordinario stato di conservazione, grazie all’ambiente umido, fornisce un’enorme quantità di informazioni sulla vita delle prime comunità agricole d’Europa. Un intero piano del museo è dedicato alle palafitte, in particolare alla palafitta del Lavagnone.l bacino del Lavagnone, prima di essere occupato stabilmente, era coperto da una fitta vegetazione arborea, ricca di querce, carpini e ontani.
Il villaggio più antico, fondato intorno al 2077 a.C. (datazione dendrocronologica - BRONZO ANTICO 1), sorse in corrispondenza dell’antica riva del laghetto, in un’area periodicamente allagata; le case erano collocate su impalcati aerei (piattaforme sopraelevate) sorrette da alti pali in quercia conficcati in profondità nel terreno. Il villaggio fu distrutto da un incendio. Tra i pali di questa palafitta è stato scoperto l’aratro.
Dopo l’incendio, avvenuto sulla base delle datazioni dendrocronologiche nel 1984 a.C. circa, venne edificato un nuovo villaggio per il quale fu utilizzata una nuova tecnica edilizia che prevedeva l’utilizzo di plinti, ossia tavole rettangolari di varie dimensioni con uno o più fori attraverso i quali veniva fatto passare il palo, assottigliato verso la punta. In questo modo il peso della struttura era distribuito su una superficie più ampia conferendo stabilità maggiore alla struttura. Anche questo abitato fu distrutto da un incendio intorno al 1916 a.C. (datazione dendrocronologica - BRONZO ANTICO 1).
Il villaggio sorto dopo questo secondo incendio fu realizzato su una bonifica, per isolarlo dall'umidità del terreno (BRONZO ANTICO 2).
Gli scavi più recenti (2019) indicano la presenza, nella zona centrale del bacino, di strutture di tipo palafitticolo anche nel corso del BRONZO MEDIO. In questo periodo sulle sponde del laghetto sono invece state individuate capanne costruite ormai su terreno asciutto.
Sono stati rinvenuti diversi strumenti di pietra scheggiata il cui uso non è stato definito con precisione. Data la loro forma si pensa fossero utilizzati per tagliare la carne, lavorare il legno e dare forma alle pelli. Ci sono delle classificazioni comuni per gli strumenti del Paleolitico medio superiore, per il Mesolitico, per il Neolitico e in parte per l'età del Rame e del Bronzo. Le tipologie fondamentali degli strumenti sono le seguenti: bulini, grattatoi, lame a dorso, punte a dorso, troncature, perforatori, armature geometriche, punte e pezzi scagliati. Le lame e le punte a dorso avevano il bordo affilato e possono essere paragonate ai nostri coltelli taglienti. Possiamo paragonare i bulini agli scalpelli, in quanto servivano per scalfire il legno, osso e corno e per eseguire incisioni a scopo decorativo. I perforatori erano utili per forare il legno, l'osso e la pelle. Le lame denticolate servivano per decorticare e squadrare il legno e per preparare le frecce. Tra gli strumenti più facili da comprendere in relazione al loro uso ci sono le punte destinate a essere immanicate come cuspidi di freccia o come lame di pugnale.
Al museo Archeologico G. Rambotti di Desenzano del Garda, tra i numerosi reperti, sono presenti alcuni oggetti in legno come vasi, piatti e frammenti di travi, conservatisi perché immersi nella torba.
 

Nelle foto:
- Modello di Palafitta preistorica
- Collana di quarzo, madreperla e osso.
- Fermaglio di schema antropomorfo.
- Aratro del Lavagnone
- Vasi in legno

Lombardia - Museo civico Guido Sutermeister

 

Il Museo civico Guido Sutermeister è un museo archeologico di Legnano, nella città metropolitana di Milano, in Lombardia, intitolato all'archeologo Guido Sutermeister, che ne volle la fondazione. È stato allestito nel 1929 grazie alla volontà di Guido Sutermeister, che fece un'assidua ricerca archeologica sul territorio tra il 1925 e il 1964. Le collezioni si sono poi arricchite con materiale giunto al museo da scavi della Soprintendenza Archeologica della Lombardia e da donazioni di privati.
Il Museo civico Guido Sutermeister conserva, in particolare, materiale proveniente dalla città e dal territorio circostante. La maggior parte dei reperti archeologici esposti al museo risale a un periodo compreso tra la preistoria e l'epoca medioevale longobarda, con particolare riferimento all'età romana imperiale. I ritrovamenti conservati testimoniano la frequentazione della zona fin dall'Età del rame e l'esistenza di una civiltà stanziale sin dall'Età del bronzo.
All'interno del museo, fino al 2012, erano presenti anche le tre grandi tele di Gaetano Previati, pittore ferrarese vissuto tra la seconda metà dell'Ottocento e i primi del Novecento, rappresentanti i tre momenti fondamentali della battaglia di Legnano: la Preghiera, la Battaglia e la Vittoria. Le opere sono state trasferite nella sezione "Spazio Castello" al castello di San Giorgio.
Nel 2004 il museo civico Sutermeister è diventato "sede museale certificata"; con questo riconoscimento, che è stato conferito dalla Regione Lombardia, il polo espositivo legnanese ha acquisito ufficialmente lo status di "museo". Ha una superficie espositiva di circa 250 m².
L'edificio che ospita il museo riprende lo stile architettonico del Maniero Lampugnani, dimora quattrocentesca di una delle nobili famiglie della zona, i Lampugnani. Questo palazzo gentilizio, che si trovava tra la moderna strada statale del Sempione e il fiume Olona, più o meno presso largo Franco Tosi, è stato demolito nel 1927.
Il museo, che sorge più a nord rispetto all'antico Maniero Lampugnani, è stato costruito nei pressi del convento di Sant'Angelo, ora non più esistente.
Per la costruzione del complesso museale sono stati utilizzati alcuni resti originali del Maniero Lampugnani recuperati durante la demolizione dell'edificio: soffitti lignei a cassettoni, colonne e camini. Dalla demolizione si è anche salvata una mensola in cotto raffigurante un putto. Questa mensola, che faceva parte di una finestra del Maniero Lampugnani e che riporta scolpito l'anno 1420, è ospitata all'interno del museo
Il complesso architettonico, che ha forma a "L" e che è stato costruito nel 1928, è diviso in due livelli ed è arricchito da una torretta quadrata che svetta sul secondo piano. Il primo piano comprende un porticato a cinque arcate che è formato da alcune colonne recuperate dal Maniero Lampugnani; questo spazio aperto occupa l'ala dell'edificio che si sviluppa verso l'ingresso di corso Garibaldi. La torretta è situata nel punto di intersezione delle due ali, dove sono state ricavate anche le scale che mettono in comunicazione i vari piani.
Il corpo dell'edificio è in mattoni, mentre i soffitti sono lignei a cassettoni. Alcuni solai lignei, come già accennato, appartenevano all'antica dimora gentilizia dei Lampugnani. I pavimenti interni, che sono in pietra, sono ricoperti da parquet e moquette. I motivi geometrici che sono incisi a graffito sulle pareti esterne del museo si ispirano agli affreschi un tempo presenti sulle pareti del Maniero Lampugnani; queste pitture, che si sono salvate dalla distruzione del palazzo che le ospitava, sono ora conservate presso la Torre Colombera, ovvero in un antico edificio rinascimentale legnanese che funge da sezione distaccata del museo. Il Museo civico Guido Sutermeister è inserito in un piccolo giardino; staccata dall'edificio espositivo è presente l'abitazione del custode, che è stata costruita con il medesimo stile architettonico dell'edificio principale.
Il complesso museale possiede cinque sale di esposizione interne: la saletta della torre, lo studiolo, il salone d'onore, la sala della loggetta e la sala delle esposizioni. Anche il portico è adibito a spazio espositivo.
Il porticato ospita i reperti in pietra trovati nella zona. La collezione è formata, tra l'altro, da are e steli funerari, macine, una sepoltura in cassa litica, ossuari e un'ancora in piombo, tutti risalenti all'età romana; d'epoca romana tardo imperiale sono invece alcuni sarcofagi.
Ai reperti dell'antichità classica si aggiungono, tra gli altri, i resti di alcuni camini che un tempo arricchivano le dimore rinascimentali legnanesi; queste ultime sono state demolite nei primi decenni del XX secolo, cioè nello stesso periodo in cui venne fondato il museo.
Per quanto concerne il materiale in pietra risalente all'antichità classica, sono di particolare importanza alcune iscrizioni: sulle are è riportata la loro intitolazione, mentre sulle sepolture è scolpito il nome delle gens romane a cui appartenevano le tombe.
Nel cosiddetto "studiolo" è conservata la collezione, un tempo privata, che appartenne a Emilio Sala, noto collezionista locale di reperti archeologici. Alla morte del possessore venne comperata dall'associazione locale Famiglia Legnanese, che la donò al museo. La collezione è formata da materiale archeologico che risale ai secoli precedenti alla conquista romana dell'Italia.
Più precisamente, i 57 reperti conservati nello studiolo risalgono alla civiltà greca dell'Italia meridionale, alla civiltà etrusca e alle civiltà preromane dell'Italia settentrionale; sono quindi ascrivibili a un periodo storico compreso tra il IX secolo a.C. e il III secolo a.C..
Degni di nota sono una fibula in bronzo del IX secolo a.C. trovata nel Lazio, un pettorale ornamentale in bronzo rinvenuto in Italia settentrionale e risalente a un periodo compreso tra il VII secolo a.C. e il VI secolo a.C., un alabastron prodotto in Attica nel VII secolo a.C. (ma appartenente a signori etruschi), una patera realizzata in Magna Grecia e risalente a un periodo compreso tra il IV secolo a.C. e il III secolo a.C. e una preziosa lekanis, prodotta a Centuripe, in Sicilia, che è caratterizzata da decorazioni plastiche e dipinte e che è databile al III secolo a.C. (nella foto a sinistra), La collezione è completata da ceramiche di pregio che risalgono a un periodo compreso tra il VII e il III secolo a.C.
Nella saletta della torre è conservata la collezione numismatica del museo. Questa raccolta comprende monete antiche (dall'antica Grecia all'epoca medioevale longobarda) e coni moderni (dal Medioevo all'Impero austriaco). La collezione è formata da monete d'oro, d'argento, di bronzo e di rame che sono state reperite nella zona.
Alcune monete sono frutto di donazioni di privati, mentre altre sono state trovate durante gli scavi archeologici effettuati sul territorio. Molto spesso le monete antiche trovate in zona durante gli scavi hanno permesso la datazione dell'intero sito archeologico.
Ciò è successo in particolar modo per le monete romane, che sono state principalmente trovate all'interno di necropoli: secondo le credenze dell'epoca, essendo sepolte insieme al defunto, ne consentivano il passaggio nell'oltretomba grazie al pagamento dell'"obolo di Caronte", ovvero del pedaggio da versare al traghettatore dell'Ade per trasportare l'anima nell'aldilà.
Di molte altre monete, principalmente quelle frutto di donazioni, non è invece conosciuta la provenienza.
All'interno della saletta delle esposizioni, del salone d'onore e della cosiddetta "loggetta" sono conservati i ritrovamenti archeologici rinvenuti a Legnano e nelle zone circostanti. La collezione di reperti comprende pezzi databili dall'età del rame all'epoca medioevale longobarda.
L'età del rame è rappresentata da un solo pezzo: un frammento di vaso campaniforme legato alla cultura di Remedello che risale al III millennio a.C. e che è il più antico reperto archeologico trovato nel Legnanese.
L'età del bronzo è rappresentata dai ritrovamenti legati alla cultura di Canegrate (nella foto a sinistra), che risalgono al XIII secolo a.C. Nel Legnanese, dello stesso periodo storico, sono stati trovati altri reperti, tra cui resti di abitazioni.
La prima età del ferro è invece rappresentata da ritrovamenti legati alla cultura di Golasecca recente (VI-V secolo a.C.), mentre alla seconda era del ferro (IV-I secolo a.C.) sono legati ritrovamenti ascrivibili alla cultura di La Tène. Di questa epoca è degno di nota il corredo denominato il "Guerriero di Pontevecchio"; è formato dagli armamenti di un soldato del I secolo a.C. che sono stati trovati nell'omonima frazione di Magenta (seconda foto dall'alto).
Ricchissima è la collezione di reperti d'epoca romana: la datazione parte dalla prima età imperiale (I secolo a.C.) e arriva all'epoca tardo imperiale (V secolo d.C.). Questa abbondanza di ritrovamenti dimostra un'assidua frequentazione della zona durante questo periodo storico, con una cospicua popolazione stanziale che abitava le sponde del fiume Olona.
Da un punto di vista cronologico, chiudono la collezione di queste sale i ritrovamenti databili all'epoca medioevale longobarda (568-774 d.C.). Tra i reperti longobardi conservati, degno di nota è un vaso a fiasca decorato a stampiglia che è stato scoperto a Inveruno e che risale ai primi decenni del VII secolo d.C., cioè all'inizio della dominazione longobarda.

Lombardia - Civico museo archeologico di Bergamo

 


Il Civico museo archeologico di Bergamo, che si trova in piazza Cittadella n. 9 a Bergamo, si compone di diverse sezioni: preistorica, egizia, romana, paleocristiana e longobarda.
Il museo venne fondato nel 1561 e ospitato nella loggia sotto il Palazzo della Ragione.
In seguito, nel 1770, la collezione venne trasferita in un edificio sopra il Fontanone.
Dopo l'arricchimento, dovuto alle collezioni del conte Paolo Vimercati Sozzi e di Gaetano Mantovani (che erano state riunite in un'unica sede, la Rocca), nel 1960 il museo venne riallestito nel palazzo Visconteo della Cittadella, sua sede attuale. Con questa sistemazione fu riorganizzato secondo criteri più moderni e con un'attenzione particolare verso la didattica, concretizzata in un più stretto rapporto con le scuole.
Nel 1981 è stato fondato il Centro Didattico-culturale, che si occupa di attività rivolte alle scuole e in questa azione collabora l'Associazione Amici del Museo istituita nel 1982.
Il Museo Archeologico assume una particolare importanza per la conoscenza storica di Bergamo e del suo territorio, testimoniandone, con i propri reperti, l'evoluzione e le influenze delle genti, che l'hanno attraversati, sullo sviluppo sociopolitico della comunità che vi si andava formando. Non deposito imbalsamato di muti reperti archeologici ma memoria parlante del percorso storico vissuto dal territorio.
Lo sviluppo espositivo descrive didascalicamente, secondo moderni principi museali, le avventure della storia che ha interessato la bergamasca dalle più lontane origini al Basso Medioevo.
Il museo pubblica anche la rivista Notizie Archeologiche Bergomensi.
Sezione preistorica
La sezione preistorica comprende:
Neolitico antico: Asce di pietra levigata rinvenute a Mozzanica
Età del Rame: ceramiche e oggetti ornamentali, tra cui una collana di denti e alcune perline di calcite, asce-martello di pietra levigata, trovate a Castione della Presolana e a Fornovo San Giovanni oltre a tre asce piatte del IV - III millennio a.C. rinvenute in altra parte del territorio bergamasco.
Età del Bronzo: asce di bronzo ritrovate a Lovere e a Costa di Monticelli; oggetti di uso comune o rituale, vasellame, armi (secoli X e VIII a.C.).
Cultura di Golasecca (I età del Ferro): lingotti di bronzo trovati a Parre (inizi V secolo a.C.);  oggetti di ornamento (VI-V secolo a.C.) rinvenuti a Verdello, a Zanica, a Osio Sopra e a Fornovo San Giovanni
ornamenti, vasellame bronzeo di produzione locale o di importazione dall'Etruria provenienti dalla necropoli di Brembate Sotto. Ceramiche e frammenti di oggetti ornamentali di bronzo, tra cui pendagli e fibule (V secolo a.C.)
II età del Ferro: Borraccia e brocca in bronzo, da una tomba di Calcinate, I secolo a.C. Balsamario di alabastro, frammento di specchio d'argento, un cottabo e degli strigili, provenienti da una sepoltura di Misano
Sezione egizia 
La sezione egizia (visitabile per carenza di spazi espositivi) comprende: Statuetta risalente alla XXII dinastia, X secolo a.C. circa; sarcofago da Luxor donato da Giovanni Venanzi nel 1885; sarcofago di Ankhekhonsu, del 900-800 a.C.
Sezione romana e paleocristiana 
Il lapidario - Il lapidario comprende epigrafi databili fra il I e il III secolo d.C. suddivise in tre categorie: iscrizioni sepolcrali, iscrizioni sacre e iscrizioni onorarie o relative a opere pubbliche.
Fanno parte delle iscrizioni sepolcrali:
Stele funeraria centinata di Publio Marcio (I secolo d.C.), rinvenuta a Clusone
Stele di San Paolo d'Argon, dedicata a Marco Sertorio Fausto e a Sertoria Benigna
Ara funeraria di Lucio Elio Tauro, trovata a Lurano
Lastra funeraria di Quinto Rustio Secondo, trovata ad Urgnano
Lastra funeraria con i ritratti di Cornelio Calvo e del fratello (inizio I secolo d.C.) (nella foto)
Lastra che ricorda Caio Loreio Filogene e la moglie Domestica
Fanno parte delle iscrizioni sacre:
Ara sacra dedicata al dio Silvano da Marziale Reburro, da Lemine (II secolo d.C.)
Ara sacra dedicata al dio Mitra del II-III secolo d.C., da via Arena sotto il monastero di Santa Grata
Ara sacra dedicata a Giove e a tutti gli dei e le dee, rinvenuta presso la Rocca
Fanno parte delle iscrizioni onorarie o relative a opere pubbliche:
Lastra proveniente da Scano, in onore di un quattuorviro
Frammento di blocco architettonico con un'iscrizione in cui si parla di un certo Tirso
Piccolo frammento proveniente da Stezzano, pertinente a un'epigrafe dedicata all'imperatore Antonino Pio
miliario di Verdello
Lastra con epigrafe che ricorda la spesa sostenuta da Crispus e dalla moglie Sedata per donare alla città di Bergamo due porte e il tratto di mura compreso tra esse, rinvenuto in via Porta dipinta, I-II secolo d.C.
Lapide onoraria di Publio Mario Luperciano, derivante dalla Basilica di S.Alessandro, fine I-inizio II secolo d.C., probabilmente appartenente al Foro romano che doveva trovarsi forse tra l'attuale piazza Vecchia e il Mercato del pesce.
Iscrizione in cui si ricorda che Lucio Cluvieno Aniense, donò alla città di Bergamo i bagni e la canalizzazione per portarvi le acque.
Altri reperti 

  • statua chiamata la Grande Ercolanese (fine del I e agli inizi del II secolo d.C.), proveniente probabilmente dall'area del foro
  • Frammento di parete affrescata con un pavone, (I secolo d.C.) dalla domus di via Arena, probabilmente edificata nel II-I secolo a.C. e abitata fino al IV-V secolo d.C.
  • Torso di efebo, copia romana del Kiniskos di Mantinea di Policleto (prima metà del I secolo a.C.
  • Statua femminile in veste di Afrodite, I secolo a.C. (nella foto)
  • Statua della cosiddetta Pudicitia, databile alla fine del II e ai primi del I secolo a.C.
  • Statua di un Palliato, prima metà del I secolo a.C.
  • Statua onoraria o funeraria di un personaggio maschile togato (75-50 a.C.)
  • Statua di Minerva, II secolo d.C.
Sezione paleocristiana e longobarda 

  • Fibula a staffa in argento, rinvenuta a Stezzano in una tomba ostrogota, V-VI secolo
  • Fibula a staffa in argento dorato, ago crinale in argento e due perle in pasta vitrea policroma, provenienti da una sepoltura di Fornovo San Giovanni
  • Croce in sottile lamina d'oro di origine longobarda, rinvenuta nella zona di Loreto
  • Spada in ferro, coltellaccio e umbone di scudo, da Fornovo San Giovanni
  • Sperone in ferro da una tomba longobarda di Zanica, fine VI-VII secolo
  • Guarnizioni per cintura dalla necropoli di Castelli Calepio
  • Tre crocette auree (nella foto) e una coppia di speroni (fine del VII secolo d.C.) trovati in una tomba a Zanica 
  • monili bronzei, tra cui una fibula cruciforme, due armille, due anelli e due orecchini provenienti da Onore


Lombardia - Museo di Archeologia dell’Università di Pavia

 


Il Museo di Archeologia dell’Università di Pavia fu istituito nel 1819 ed è, insieme a quello di Padova, uno dei più antichi d’Italia. Il museo è situato all'interno dell'antico Ospedale San Matteo di Pavia.
Nel 1818 Pier Vittorio Aldini partecipò al concorso per la prima cattedra di Archeologia presso l'Università di Pavia, la più antica in Italia, vinto l'incarico l’anno seguente prese servizio. Il Museo di Archeologia dell’Università di Pavia nasce con il nome di “Gabinetto numismatico e antiquario” per iniziativa di Pier Vittorio Aldini, come parte integrante dell’Istituto di Archeologia fondato nel 1819, uno dei più antichi, insieme a quello di Padova, in Italia. La finalità prevalentemente didattica della raccolta, alimentata inizialmente da un’oculata politica di acquisti e concepita come campo di esercitazioni pratiche di archeologia e storia dell’arte classica, dà ragione del suo carattere non specialistico, ma articolato su una grande varietà di materiali, distribuiti su un arco cronologico molto esteso (dal II millennio a.C. fino alla tarda antichità).
Alle acquisizioni di Aldini risale in gran parte la serie delle sculture in marmo, tra cui va segnalato il pezzo di maggior pregio della collezione, la splendida testa femminile (nella foto a sinistra), replica romana dell’Afrodite Sosadra di Calamide. Sempre negli stessi la collezione fu arricchita un gruppo di statue in marmo di età romana provenienti da Velleia. Di notevole qualità è un ritratto femminile privato di età imperiale assegnato alla seconda metà del II secolo d.C. Interessante per la storia della circolazione dei falsi nel commercio antiquario è la presenza di alcuni pezzi di esecuzione moderna, tra cui una copia settecentesca di un ritratto del Museo Nazionale di Napoli, a lungo ritenuto originale ellenistico.
Il nucleo originario della raccolta comprende inoltre elementi architettonici, epigrafi (tra cui due iscrizioni su lamina bronzea con prescrizioni mediche rinvenute presso la Vernavola) e oggetti appartenenti a classi diverse di manufatti (ceramica, vetri, oggetti metallici, gemme e anelli), acquisiti, anche localmente, nell’intento di offrire agli studenti un’efficace campionatura della cultura materiale dell’antichità, modernamente intesa come fonte per la storia antica. La piccola bronzistica è rappresentata da una serie di statuette di divinità provenienti da aree culturali diverse (Egitto, Magna Grecia, Etruria, mondo romano): accanto a tipi derivati dalla grande statuaria della Grecia classica, sono rappresentate figure tipicamente romane, come le statuette dei Lari, espressione del culto domestico.
Dall’acquisto, nel 1831, della collezione dello scultore milanese Giovanni Battista Comolli provengono una serie di vasi dipinti di produzione apula (IV secolo a.C.) e un piccolo gruppo di ceramiche a vernice nera assegnabile a fabbriche etrusche e sud-italiche. Nel 1845 risulta già presente una piccola raccolta di materiale egizio e orientale.
Tra i meriti dell’Aldini va ricordata l’acquisizione di una delle maggiori numismatiche formatesi a Pavia tra XVII e XVIII secolo, quella dei marchesi Bellisomi, esponenti dell’aristocrazia pavese aperti alla cultura antiquaria e illuministica. Un incremento significativo dei materiali del museo universitario si ebbe in seguito, negli anni ’30 del Novecento, con l’acquisizione di una serie di terrecotte figurate etrusche, donate da papa Pio XI. Nel 1933 il museo ricevette dalla Soprintendenza alle Antichità di Napoli un complesso di vasellame bronzeo e un piccolo gruppo di terrecotte architettoniche da Pompei. Nel 1940 Carlo Albizzati acquistò per il Museo, con altri materiali, due esempi interessanti di ceramografia della fine del IV secolo a.C.: un cratere volterrano sovraddipinto e un’idra campana a figure rosse. Una delle donazioni più recenti, negli anni ’70 del Novecento (un gruppo di esemplari di ceramica aretina), è dovuto ad Arturo Stenico. Nello spazio del museo è attualmente conservata un’importante statua marmorea del XV secolo raffigurante un santo vescovo (forse Sant’Agostino), già collocata nel cortile del Leano dell’Università, estranea per cronologia alla raccolta archeologica, ma comunque meritevole di valorizzazione.
l Museo è diviso in diverse collezioni:
Le collezioni di monete e di gemme incise
Il patrimonio numismatico conta circa 8.000 pezzi divisi tra monete greche, romane repubblicane e imperiali, celtiche, tardoantiche e bizantine. La collezione di intagli (scarabei, gemme, paste vitree incise e cammei) e di anelli digitali annovera in tutto 66 esemplari di provenienza non nota. Un primo nucleo però fu acquisito dallo stesso fondatore del Museo, Pier Vittorio Aldini, mentre altri giunsero tramite donazioni, ricordiamo in particolare quella del rettore Arcangelo Spedalieri (1779- 1823) che volle lasciare nel 1820 al neonato “Gabinetto numismatico e antiquario” la sua piccola (29 monete d’oro, 300 d’argento e solo 76 di bronzo) ma ricca collezione di monete greche, romane, bizantine, medievali e moderne, quasi tutte di provenienza siciliana. Il collezionismo numismatico settecentesco a Pavia è rappresentato bene dalla raccolta di monete formata lungo tutto il Settecento da tre generazioni di rappresentanti della famiglia Bellisomi e infine donato all’Università nel 1821, essa è costituita prevalentemente da monete romane, sia repubblicane sia imperiali. Sempre tramite donazione giunse ad arricchire il patrimonio del museo anche la collezione del Marchese Stefano Bernardo Majnoni, originario di Intignano e probabilmente il più attivo e colto collezionista della prima metà dell’Ottocento in Lombardia. In particolare il Majnoni studiò e raccolse monete cufiche, sassanidi e delle zecche greche d’oriente e lasciò all’università un nucleo di monete arcaiche di Sibari, delle città greche d’Asia e romane provinciali.
Collezione di reperti preistorici
Si tratta di reperti provenienti da vari insediamenti lombardi: strumenti in pietra e osso, selci scheggiate e levigate, lame-raschiatoi, punte di freccia. La ceramica protostorica è di impasto grossolano e lavorata a mano. Sono poi conservati anche una punta di lancia e fibule, bracciali e anelli in bronzo, alcuni decorati a globetti. Questi reperti rappresentano il substrato di culture indigene dell'Italia settentrionale, poi soggette al processo di romanizzazione.
Collezione egizia e orientale
La collezione egizia, iniziata intorno al 1845, è formata da due mummie (una femminile integra e una maschile di cui si possiede solo la testa) e oggetti provenienti da contesti funerari: ushabti, un papiro dell'Amduat, che racconta il viaggio notturno del Sole e figure in legno dipinto ricomposte in fase di restauro in una mummy board lavorata a intaglio, quasi un unicum nelle collezioni egittologiche italiane. Estranea al mondo egizio è la figurina fittile, di provenienza siriana, databile tra il 2000 e il 1800 a.C.
Collezione di ceramica magnogreca, etrusca e romana
La collezione è formata da un gruppo di vasi apuli, di probabile provenienza funeraria, appartenuti allo scultore milanese Giovanni Battista Comolli e acquisiti nel 1831 e da due hydriai campane, giunte tra il 1929 e il 1948 grazie a Carlo Albizzati, docente di Archeologia nell’Ateneo pavese. Ma si conservano anche ceramica a vernice nera etrusco-italica e un grande cratere volterrano, senza dimenticare la produzione romana, testimoniata da ceramica da mensa, terra sigillata e anfore.
Collezione di ex-voto fittili etruschi
La civiltà dell'Italia peninsulare prima della conquista romana è testimoniata in Museo oltre che dalla ceramica, da un prezioso bronzetto umbro di guerriero (metà del V sec. a.C.) e dalla straordinaria serie di terrecotte votive, donata di papa Pio XI nel 1934 all’Università di Pavia, in forma di teste e parti anatomiche, databili in età ellenistica, provenienti da Caere, odierna Cerveteri. Tali reperti, originariamente depositati nei Musei Vaticani, giunsero a Pavia grazie all’impegno di Carlo Albizzati.
Gipsoteca
Appartiene al Museo Archeologico anche la Gipsoteca (una trentina di pezzi circa) che conserva calchi in gesso in scala 1:1 di opere famose della scultura classica, dall’età arcaica fino all’ellenismo, come il Discobolo, l’Apollo Sauroktònos, la Nike di Samotracia o l’Afrodite di Milo. I calchi, recentemente restaurati, furono acquistati nella prima metà del Novecento in Francia e presso il laboratorio milanese di Carlo Campi, che operò al servizio dell’Accademia di Brera.

(le foto sono di Davide Barbieri)

Lombardia - Collezione di vetri di età romana dei Musei Civici di Pavia

 


La collezione di vetri di età romana dei Musei Civici di Pavia è una delle principali dell’Italia settentrionale e si caratterizza, oltre che per l’alto numero di pezzi conservati, soprattutto per la varietà e l’importanza dei manufatti.
Gran parte dei reperti confluirono ai Musei tramite donazione tra Otto e Novecento ed erano parte di nuclei collezionistici locali formati da reperti archeologici rinvenuti nell’area urbana di Pavia e nel suo territorio. Della quasi totalità dei vetri non disponiamo, purtroppo, di indicazioni precise sul contesto di provenienza, anche se è verosimile che la maggior parte degli esemplari provengano da necropoli, dato che sono quasi tutti integri o presentano solo lievi danneggiamenti o mancanze.
A partire dalla fine del I secolo a.C. e, soprattutto, nel corso del I secolo d.C., si diffusero in ambito romano contenitori in vetro soffiato per unguenti e profumi. Tali manufatti, e in particolare le ampolle vitree, a partire dall’età augustea, furono prodotti in grande quantità nell’area che, lungo il Ticino e il lago Maggiore, si estendeva dal Canton Ticino alla città di Pavia. Le stesse officine, sempre nel medesimo periodo, si specializzarono inoltre nella produzione di balsamari (foto in alto) a corpo sferico, in vetro multicolore, e dalla caratteristica forma di colomba, come testimoniato da alcuni esemplari conservati nella collezione
dei Musei Civici. Nella stessa sono presenti anche balsamari tubolari, a corpo tronco-conico o olliformi e bacchette in vetro colorato (utilizzate per mescolare le essenze o per il trucco), risalenti alla seconda metà del I secolo d.C. e prodotti nella medesima area.
Al II secolo d.C. risalgono invece i balsamari troncoconici a forma di bottiglia e a corpo bulbiforme, mentre al secolo successivo risalgono le bottiglie, a sezione quadrangolare, dette “mercuriali” e utilizzate per contenere farmaci, tali contenitori presentano spesso, come gli esemplari presenti nella raccolta, marchi di fabbrica.
Accanto ai contenitori per unguenti, trucchi o farmaci, la collezione conserva anche numeroso vasellame vitreo da mensa, come coppe, brocche, bicchieri o bottiglie. Alcuni erano realizzati per prodotti particolari, come amphoriskos con beccuccio versatoio utilizzato per il garum, ma molto più comuni erano le brocche, prodotte in varie fogge.
Molto spesso i contenitori in vetro traevano ispirazione dai contemporanei servizi in ceramica o da quelli metallici, come i piatti,
le coppe o le patere in terra sigillata, con prodotti in vetro azzurro o verde, spesso accompagnati da piccoli contenitori di forma emisferica per salse o bicchieri. Nel corso del II secolo d.C., alcuni centri renani, e in particolare Colonia, cominciarono a produrre manufatti vitrei su larga scala, esportati anche in Italia, come provato da diversi esemplari conservati nella collezione. Tra il III e il IV secolo d.C., la presenza di manufatti in vetro si fece meno frequente e le forme si ridussero sensibilmente, dato che conserviamo principalmente bottiglie e bicchieri. A tale epoca risale infatti una rara brocca, di produzione renana, in vetro colorato e decorata da filamenti in vetro bianco, che imita, nelle forme e nella resa cromatica, gli analoghi contenitori metallici[4].
Accanto a esemplari in vetro soffiato, la collezione conserva pezzi realizzati mediante la colatura del vetro entro stampi, produzione di tradizione ellenistica, molta diffusa tra il I e il II secolo d.C. Si tratta molto spesso di manufatti di pregio, spesso arricchiti da nastri d’oro, come una coppa della collezione. Più comuni sono invece le coppe costolate, quasi tutte prodotte in vetro verde o azzurro, prodotte
nell’Italia settentrionale e testimoniate da diversi esemplari esposti nel museo. Alcuni di questi contenitori, analogamente a quelli soffiati, imitavano le forme dei recipienti metallici, e in particolare i vasi potori, come lo skyphos presente nella collezione e risalente al I secolo d.C..
Sono poi esposti alcuni rari esemplari di vetri soffiati a stampo provenienti dall’area siro-palestinese, manufatti di lusso ed esportati in Occidente, e in particolare nell’Italia settentrionale, nel corso del I secolo d.C. Uno degli esemplari più rappresentativi è la coppa cilindrica carenata realizzata a Sidone dal vetraio Ennion, uno dei pochi maestri dell’epoca che firmava i suoi prodotti, decorata con tranci di vite e di edera e con tabula ansata centrale iscritta in caratteri greci. Probabilmente, sempre di produzione orientale è il raro kantharos in vetro blu arricchito da una doppia fascia di baccellature, rinvenuto nell’Ottocento a Frascarolo ed esposto nella collezione, come pure il balsamario in vetro azzurro opaco a sezione esagonale decorato con pigne e grappoli d’uva.
Tipici delle necropoli dell’Italia nord-occidentale e in particolare
delle aree poste lungo il Ticino sono i balsamari soffiati a stampo a forma di pigna, di cui la collezione conserva alcuni esemplari. Si tratta di modelli, verosimilmente, prodotti di officine locali che, nel corso del I secolo d.C. imitarono i processi di produzione dei maestri vetrai mediorientali. Probabilmente, ad alcune di queste officine appartengono diverse bottiglie con marchio a rilievo sul fondo e che imitano i recipienti metallici. In particolare la collezione conserva alcuni esemplari con il bollo di Caius Salvius Gratus, del quale disponiamo di solo 30 esemplari ritrovati quasi tutti nell’Italia settentrionale, e di Caius Cesidius Cerdon, attestato solo da cinque pezzi in tutto il mondo romano compreso quello pavese.
Tra la fine del I secolo e il II secolo d.C. si diffuse il vetro incolore inciso, vetro diatreto, che permetteva all’intagliatore di sfruttare le proprietà e la trasparenza del vetro. I motivi decorativi furono, ancora una volta, spesso derivati dai contemporanei oggetti metallici, come gli sbalzi o il motivo a favo d’ape, come nel bicchiere intagliato decorato con ondulazioni presente nella collezione.
Riferita a un ambito cronologico differente è, invece, la bottiglia in vetro azzurro decorato con motivi a rilievo bianchi e dall’imboccatura imbutiforme rinvenuta, probabilmente, all’interno di una sepoltura urbana di età longobarda e che richiama nelle forme simili modelli di età tardo imperiale.

Lombardia - Museo Archeologico e Sala Longobarda, Pavia

 


I Musei Civici di Pavia, detti anche Musei del Castello visconteo, sono un'istituizione che raggruppa i vari musei comunali della città di Paviaː la sezione archeologica e altomedievale con reperti romani, goti e longobardi, la sezione Romanica e Rinascimentale, la Pinacoteca Malaspina, con la Sala del Modello ligneo del Duomo e la sezione del '600-'700, il Museo del Risorgimento, la Gipsoteca, la Quadreria dell'Ottocento, la Civica Scuola di pittura, la Collezione Morone, la sezione del Novecento. I Musei Civici sono ospitati all'interno del Castello visconteo.

Museo Archeologico e Sala Longobarda
La collezione archeologica comprende materiali rinvenuti fortuitamente durante lavori agrari o edilizi; al museo sono pervenuti soprattutto dal collezionismo privato (raccolta Giuletti, Reale ecc.). I portici del piano terra del castello ospitano il Lapidarium costituito da stele, sarcofagi, are funerarie e votive, epigrafi, capitelli, colonne e miliari di età romana.
La prima sala è dedicata al territorio di Ticinum (questo era l’antico nome di Pavia) in età romana e, tra gli altri reperti, in essa è esposta una area sepolcrale, formata da tombe a cremazione in mattoni e un cippo sepolcrale, del I d.C. rinvenuta a Casteggio. La sala ospita anche i reperti provenienti dalla necropoli celtica rinvenuta nel 1957 a Santa Cristina e Bissone, i cui corredi, datati al II secolo a.C. si caratterizzano per la presenza di oggetti stilisticamente di tradizione gallica (come i vasi cinerari) abbinati a prodotti tipicamente romani, quali le ceramiche a vernice nera. Non diversamente, il corredo esposto della tomba del I secolo a.C. rinvenuta nel contesto urbano di Pavia è contemporaneamente celtica (nelle ceramiche e nelle fibule) e romana (negli elementi laterizi della cassetta e nel balsamario fittile). Si tratta di testimonianze delle progressiva penetrazione delle cultura romana nel mondo celtico cisalpino. Sempre al medesimo periodo risale un pezzo di grande interesse: una ciotola in argento che sull'orlo reca incisa una iscrizione formata da un nome ligure seguito da una indicazione di misure ponderali romane rinvenuta presso Zerbo in un gruppo di tombe "gallo-romane" ad incinerazione e datata al II secolo a.C.
Nella II° sala è esposta la collezione egizia, donata dal marchese Malaspina di Sannazzaro (che l’acquistò da Giuseppe Nizzoli cancelliere del consolato austriaco ad Alessandria d’Egitto tra il 1818 e il 1828), formata da circa 150 reperti tra papiri, vasi canopi, amuleti e bronzetti. La collezione egizia non è l’unica sezione del museo contenente materiali non provenienti dal territorio pavese: ricordiamo solo la collezione di ceramiche fenicio-puniche (nella foto a sinistra, raramente presenti nei musei italiani al di fuori della Sardegna) lasciate da Francesco Reale nel 1892 o la raccolta di vasi italioti (tra cui un grande cratere a campana attribuibile al Pittore di Iris) proveniente dai “vecchi fondi” del museo.
Sempre nella stessa sala è conservata anche la raccolta di vetri di età romana, probabilmente la più importante del nord Italia, all’interno della quale si trovano pezzi di grandissima qualità e rarità, come il kantharos in vetro blu scuro proveniente da Frascarolo e la coppa di Ennion. I vetri romani del museo si segnalano per qualità e varietà tipologica. Nella raccolta, ascrivibile nella maggioranza dei pezzi al I e al II secolo d.C., sono infatti testimoniate le più diverse tecniche di lavorazione (vetro fuso entro stampo, soffiato entro stampo, a pareti lisce e con decorazioni in rilievo, soffiato a mano libera, naturale e colorato) e una ampia gamma di forme (bottiglie, coppe, olpi e balsamari). La frequenza dei rinvenimenti in città e nel suo territorio ha consentito di ipotizzare la presenza di officine vetrarie nella zona nel I secolo d.C.
Accanto ai vetri, si trovano alcune sculture di età romana rinvenute in città e nel suo territorio, tra le quali spicca un busto in marmo greco raffigurante Artemide Soteira di Cefisodoto il Vecchio (nella foto a sinistra), copia romana del I- II secolo d.C. Le sale III° e IV° espongono reperti di età romana rinvenuti localmente: ceramica comune (tra cui anche dei vasi "antropoprosopi, cioè che riproducono sul corpo le fattezze umane, molto diffusi nella prima età imperiale nel nord Italia e nelle regioni transalpine), bronzi, terra sigillata, ceramiche fini da mensa, altri vetri romani e grandi reperti architettonici e scultorei, tra cui la statua di togato, nota con il nome di Muto dall’accia al collo, risalente al I- II secolo d.C. e proveniente dalla porta occidentale della città (porta Marenga). Tra le sculture di età romana vi è anche un ritratto femminile, in marmo greco, pertinente ad una statua funeraria, che rappresenta una donna in età matura con occhi profondamente incavati e cappelli raccolti sulla nuca e quindi riportati in avanti con una "stuoia" di treccioline, testimonianza della plastica "colta" di Pavia sul finire del III secolo. Sempre da un monumento sepolcrale proviene anche un cippo in marmo con l'immagine di Attis, risalente al I secolo d.C. Vi sono reperti celtici del periodo di La Tène e ceramica invetriata (con riferimento al rivestimento in pasta di vetro fluido con cui è ricoperta l'argilla) di I secolo d.C., anche a forma di uccello.
Sempre legata alle vicende di Pavia e del suo territorio è la Sala Longobarda, dove sono esposti argenti paleocristiani (tra cui un cucchiaio liturgico, una ciotola ed un nodo di calice ritrovati fra il presbiterio e la navata laterale della basilica di San Michele Maggiore nel 1968), oreficerie tardo romane e gote (tra le quali alcune notevoli fibule a staffa) e reperti di età longobarda (tra cui un raro bronzetto di età longobarda raffigurante un guerriero), testimonianza del importanza e splendore di Pavia, allora capitale del regno (nella foto di copertina si può osservare una fibbia ostrogota da Torre del Mangano). Molti sono i reperti di grande interesse (anche storico) conservati: la fronte di un sarcofago del II secolo d.C. contiene un'epigrafe che commemora i lavori del re goto Atalarico all’anfiteatro di Pavia tra il 528 e il 529. Alla stessa epoca risalgono anche un'epigrafe funeraria in marmo e scritta in greco di una famiglia siriaca, proveniente dalla chiesa di San Giovanni in Borgo e alcuni frammenti di tegoloni con il bollo del vescovo Crispino II (521- 541), prova della presenza di fornaci in città anche dopo la fine del mondo romano. 
La sala ospita anche la grande lastra tombale marmorea, rinvenuta a Villaregio nell’Ottocento, del filosofo Severino Boezio (480 circa - 524 o 526, nella foto a sinistra), e le lastre tombali di re Cuniperto, della figlia Cuniperga, della regina Ragintruda e del duca Audoald. Testimoni della rinascenza liutprandea sono i noti plutei di San Maria Teodote, che raffigurano l’albero della vita tra draghi alati e un calice affiancato da pavoni, e il frammento di pluteo con testa di agnello dall'ex palazzo Reale di Corteolona, mentre sempre legato al passato regio di Pavia è l'iscrizione del sarcofago delle regina Ada (moglie del re Ugo di Provenza, morta nel 931 e sepolta nella chiesa di San Gervasio e Protasio) e la sella plicatilis, sedia pieghevole di arte carolingia o ottoniana, esemplare raro (pochissimi museo europei conservano arredi di quell’epoca e quasi nessuno di essi raggiunge la qualità dell’esemplare pavese) per la complessità tecnica e il raffinato decoro.

Lombardia - Museo archeologico nazionale di Mantova

 

Il Museo archeologico nazionale di Mantova è un museo archeologico situato a Mantova, nel quale è raccolto materiale recuperato in vari scavi e ricerche nel territorio della provincia omonima.
L'area dove sorge ora il museo, all'interno del perimetro del Palazzo Ducale di Mantova, dalla metà del ‘500 alla fine del '800 ospitava la sede del teatro di Corte dei Gonzaga. Divenuta di proprietà comunale nel 1896, vi fu edificato il "Mercato dei bozzoli" dei bachi da seta, poi destinato al commercio ortofrutticolo ed infine donato dal comune di Mantova al Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo affinché se ne cominciasse la ristrutturazione e la trasformazione in museo archeologico destinato a raccogliere i numerosi reperti provenienti dagli scavi nella provincia di Mantova.
Il progetto del restauro si è posto l'obiettivo di conservare le caratteristiche ambientali e architettoniche di un notevole esempio di architettura paleoindustriale di fine '800, mantenendone l'aspetto esterno originario, la struttura interna del tetto a capriate sorretto da pilastri disposti su due file. L'enorme edificio originario è ora tagliato da tre solai allo scopo di un utilizzo razionale dello spazio interno.
Pur utilizzando solo parzialmente l'edificio restaurato, nel museo è già proposta l'esposizione di collezioni di reperti che spaziano dal neolitico e dall'età del bronzo, all'epoca etrusca, celtica, romana, medievale e rinascimentale, materiali tutti rinvenuti nel territorio mantovano. Dall'11 aprile 2014 sono definitivamente esposti all'interno di una teca in cristallo gli Amanti di Valdaro, due scheletri del neolitico ritrovati presso Valdaro in prossimità di Mantova nel 2007, così denominati perché i due scheletri, un uomo e una donna, furono rinvenuti abbracciati.


Nelle foto:
- statuette acefale di Demetra ed Esculapio del 1° secolo a. C. rinvenute negli scavi di Dosso Prati a Bigarello (MN).
- collana in oro con cammeo raffigurante la dea Minerva, della metà del III secolo d.C. proviente da una necropoli sulla via Postumia nei pressi di Goito (Mantova).

Lombardia - Civico museo archeologico di Angera

 

Il Civico museo archeologico di Angera è situato nel centro di Angera (provincia di Varese) e ospitato al primo piano del Palazzo del pretorio, una palazzina risalente alla fine del XV secolo.
La collezione raccoglie numerosi reperti emersi dagli scavi effettuati nel territorio di Angera fin dal XIX secolo, le due sale che ospitano i reperti sono divise in tre sezioni, preistoria, area abitativa in epoca romana e necropoli romana. Sotto il portico del pianterreno è stato allestito un lapidario con statue, altari e frammenti di monumenti funebri.
La prima sala è completamente dedicata alla preistoria: sono esposti reperti che coprono un arco temporale che va dall'epigravettiano finale fino all'età del rame.
Tra i reperti più antichi vi sono quelli individuati in una grotta naturale chiamata "Tana del Lupo" (o "Antro di Mitra"), posta ai piedi della parete sud-occidentale del rilievo su cui si trova la rocca Borromea, che comprendono numerosi manufatti litici epigravettiani.
Diversi manufatti in selce risalgono al mesolitico tra i quali punte e attrezzi usati per la caccia e la pesca.
I ritrovamenti neolitici, avvenuti nell'entroterra angerese testimoniano del progressivo passaggio dalla caccia e raccolta ad insediamenti basati su pastorizia e agricoltura. Di quest'epoca è presente un frammento di fondo di vaso databile al neolitico medio.
Dell'età del rame è presente un frammento di vaso campaniforme con decorazione puntiforme.
Oltre ai reperti originali è stato allestito un tavolo tattile che permette ai visitatori di toccare con mano, annusare, provare alcune tecniche preistoriche attestate nel territorio.
Nella seconda sala si passa ad illustrare l'area abitativa di Angera in età romana. L'antica Staciona (e in seguito Stazzona) era un importante snodo nei traffici fra la pianura e i passi alpini, ne sono testimonianza i rinvenimenti di frammenti di ceramiche celtiche e di contenitori di origine gallica e ispanica.
L'abitato romano era situato in corrispondenza di quello attuale, la presenza di marmi e strutture architettoniche di epoca romana era nota fin dal Rinascimento confermata da rinvenimenti del XIX secolo e campagne di scavo compiute alla fine del XX secolo e nel 2005-06 durante le quali sono emerse fondazioni di edifici, assi stradali e un pozzo.
I reperti più antichi sono databili ad un periodo a cavallo tra il II e il I secolo a.C. corrispondente alla romanizzazione della Gallia Cisalpina. I ritrovamenti più importanti dell'area sono quello di un'ara, detta ara di Angera ora ospitata presso il Civico museo archeologico di Milano.
Angera, insieme a Milano e Cremona è la località che ha restituito il maggior numero di iscrizioni religiose e funerarie che attestano la presenza di vari culti, tra quelli di Giove, Eracle e delle Matrone. Il rinvenimento di un'iscrizione riconducibile al culto di Mitra ha fatto ipotizzare che la già citata grotta fosse un antro mitraico.
Scavi effettuati a partire dal XIX secolo hanno portato alla luce una rilevante necropoli romana, con diverse centinaia di sepolture a cremazione, a inumazione e con tombe alla cappuccina. La necropoli venne utilizzata per diversi secoli, durante gli scavi sono stati rinvenuti vasellame, ceramiche, contenitori in vetro, monete, gioielli e altri ornamenti. Diversi sono i corredi esposti nelle vetrine di questa sezione del museo.
Nel 2017 il patrimonio museale si è arricchito con un'importante donazione da parte di un cittadino, Ugo Violini, comprendente diversi reperti archeologici e lettere autografe del celebre archeologo e paletnologo Luigi Pigorini che soleva trascorrere dei periodi di villeggiatura presso lo zio, omonimo, medico condotto di Angera e antenato del Violini. I manufatti acquisiti sono ora di proprietà comunale e provengono da scavi effettuati nella Necropoli romana di Angera, scoperta nel 1879, quando fu costruito il cimitero. La maggior parte dei corredi funebri andò dispersa, tranne alcuni reperti trasferiti all’epoca al Museo Archeologico di Como. La donazione ha permesso di individuare nuovi reperti degli antichi scavi angeresi, nuove pagine della biografia di Luigi Pigorini, grazie alle sue lettere, e di arricchire il museo con oggetti provenienti da ambito etrusco tosco emiliano. Tutto il materiale è stato restaurato grazie all’intervento della Soprintendenza ed è esposto in Museo..

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...