domenica 30 marzo 2025

LIBANO - Tiro

 

Tiro è un'antica città del Libano, quasi del tutto ricoperta dalla città moderna (anch'essa chiamata Tiro). I resti dell'antica città sono dal 1984 nella lista dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
Le origini di Tiro risalgono all'età del bronzo.
Secondo la testimonianza di Erodoto e di Filone di Biblo, la città sarebbe stata fondata intorno al 2750 a.C. da Usoos, inizialmente comprendendo solo un'isola e infatti chiamata Ṣūr, ossia scoglio in lingua fenicia.
Tra il XX secolo e il XVII secolo a.C. la città cadde in abbandono poiché a quel periodo corrisponde uno strato di sabbia.
Attorno al XIV secolo a.C. secondo le lettere di El-Amarna, il re di Tiro Abi-Milku chiese al faraone di dargli la terra davanti alla città poiché: «servono acqua, boschi, paglia e argilla e non vi è più posto dove mettere i morti» cosicché nacque Tiro continentale, chiamata Uzzu e Ushu.
L'insediamento fenicio cadde nella sfera di influenza egizia all'inizio del Nuovo Regno, in particolare sotto la XVIII e XIX dinastia, quando la città, aiutata dalla favorevole posizione geografica, prosperò grazie al commercio del vetro, del legno di cedro e soprattutto della porpora, un pigmento ricavato da molluschi marini che veniva utilizzato per tingere i tessuti riservati all'aristocrazia.
Nel 1200 a.C. secondo Giustino, a seguito dei Popoli del Mare i Sidonî fuggono in massa a Tiro.
Nel Viaggio di Unamon, il re di Tiro Mekmer offre 50 barche di legno al sacerdote Wenamon.
Nel 1100 a.C. uno tsunami catastrofico fece sprofondare la vecchia Tiro sotto al mare. Nel 969 a.C. fu fondata la nuova Tiro sulle coste più vicine che divenne un regno sotto il comando del re Hiram I che strinse solidi legami con il regno di Giuda e Israele. Secondo la narrazione biblica (1 Re 9, 10-12; Is 23, 1-18), legname e maestranze di Tiro furono utilizzati per la realizzazione del Tempio di Salomone a Gerusalemme. Hiram I modificò la morfologia urbana, collegando tra loro le due piccole isole dove inizialmente si era sviluppata la città.
Nei decenni successivi, pur in una situazione di crescente dissenso interno, gli abitanti di Tiro (ormai consacrata al culto del dio Melqart) espansero la propria rete commerciale in tutto il Mar Mediterraneo, e fondarono colonie in Sicilia (tra cui Palermo, la più antica Mozia e Solunto), Sardegna (tra cui Tharros) nella penisola iberica e in Nord Africa. La più importante di queste colonie fu senza dubbio Cartagine, fondata nell'814 a.C. da un gruppo di fuoriusciti guidati, secondo la letteratura greca, dalla regina Didone, anche nota come Elissa.
L'influenza dei Fenici fu grande al punto da rendere il fenicio lingua franca del Vicino Oriente nell'VIII secolo a.C., per cui il re aramaico Kilamuwa scriverà la sua stele in fenicio.
Nel VII secolo a.C. gli Assiri sottomettono Tiro e fanno pagare un tributo, mentre nel VI secolo con l'ascesa di Babilonia Tiro viene conquistata dopo 14 anni di assedio e viene posto un suffeta al governo della città, di cui il primo è Ecnibalo figlio del re Baal III.
Con la caduta di Babilonia nel 560 a.C. Tiro ritorna indipendente per poi passare sotto il dominio dei Persiani, con cui la città costituirà uno scalo dell'Impero verso la Grecia.
Sotto la dinastia di Eshmunazor I la città avrà una rinascita.
Fu proprio lo sviluppo di Cartagine a segnare il declino economico di Tiro, che finì col cadere sotto l'egemonia assira, venendo infine occupata da Assurbanipal nel 664 a.C. Dopo la caduta dell'Impero assiro, Tiro fu assediata dal re babilonese Nabucodonosor II per tredici anni, dal 586 a.C. al 573 a.C. Il re riuscì a conquistare la città ma non l'isolotto, adibito a magazzino, che sorgeva poco distante dalla città. Nabucodonosor non distrusse completamente Tiro ma, in cambio, la città fu costretta a pagare una specie di riscatto ai Babilonesi.
Un altro spettacolare assedio si verificò nel 332 a.C., quando Alessandro Magno entrò in città dopo sette mesi di accanita resistenza, ordinandone la distruzione. Il terrapieno che Alessandro Magno fece costruire durante l'assedio, utilizzando anche le macerie dell'antica città costiera, collegò definitivamente la città alla terraferma, trasformandola in una penisola.
Ripresasi sotto il dominio dei Seleucidi, la città divenne romana nel 64 a.C., all'interno della provincia romana di Siria. Fu in seguito eletta a colonia dall'imperatore Settimio Severo, divenendo centro di studi letterari e filosofici e sede di un importante arcivescovado cristiano.
Nel periodo bizantino, la città fu sede, tra il 513 e il 515, di un sinodo ecumenico delle confessioni cristiane monofisite, ossia delle Chiese che rifiutavano il Concilio di Calcedonia. La città passò sotto il controllo arabo nel 635. Sotto la dinastia omayyade, e in particolare durante il regno di Muʿāwiya ibn Abī Sufyān (661-680), vennero rafforzate le difese del porto e continuarono ad essere promosse le attività artigianali e il commercio.
Nel 1099 e nel 1111 la città evitò gli attacchi dei Crociati in marcia verso Gerusalemme, ma venne infine conquistata nel 1124. La città rimase sotto il controllo del Regno crociato di Gerusalemme per quasi due secoli, durante i quali si verificò un considerevole afflusso di nobili e mercanti europei, tra i quali si annovera l'ecclesiastico e storico Guglielmo di Tiro (1130-1186).
La conquista islamica di Gerusalemme portò alla guida della città il piemontese Corrado degli Aleramici, marchese del Monferrato, che riuscì validamente a resistere al potere di Saladino.
La riconquista islamica avvenne nel 1291 ad opera dei Sultani Mamelucchi. Nei secoli successivi la città entrò in una lunga fase di declino a causa del concomitante sviluppo delle vicine città portuali di Acri, in Palestina, di Sidone e di Beirut. Durante il periodo ottomano, Tiro fece parte dell'eyalet di Sidone, e poi, dopo il 1888, del vilayet di Beirut, fino all'incorporazione all'interno del nuovo Stato libanese, avvenuta il 1º settembre 1920.

Nelle foto, dall'alto:
- la strada colonnata di Tiro
- l'Arco di Trionfo risalente al II secolo
- resti dell'arena rettangolare
- la palestra romana

LIBANO - Tell Arqa

 

Tell Arqa  è una città antica e un sito archeologico che si trova nel Nord del Libano, nel distretto di Akkar. La città era nota con il nome di Arca Caesarea o Cesarea del Libano al tempo dei Romani.
Il sito si trova nei pressi del moderno villaggio di 'Arqa, a circa 1 km a ovest della città di Miniara e a circa 20 km a nord-est del capoluogo Tripoli.
Il sito di Tell Arqua ha origini molto antiche. Il luogo è stato probabilmente abitato stabilmente già nel 6 ° millennio, anche se fino ad oggi i reperti più antichi rinvenuti sono attribuiti alla metà del 3 ° millennio. Infatti scavi condotti tra il 1978 e il 1981 e dal 1992 al 1998 hanno portato alla luce reperti risalenti all'età del Bronzo. I principali ritrovamenti sono datati al periodo del Bronzo antico (quartiere con abitazioni), al Bronzo medio ("tomba del guerriero", manufatti in ceramica, fortificazioni e tombe) e al Bronzo finale con ritrovamenti di case e tombe.
In antichità Arqa è stata chiamata anche Irqata, e i suoi abitanti, chiamati Arkites o Arqiens, sono citati nella Bibbia.
Il nome della città di Irqata compare anche nelle Lettere di Amarna, in quanto gli anziani della città avevano inviato una lettera al Faraone Akhenaton per richiedere il suo aiuto contro l'attacco degli Habiru.
In epoca romana, la città era conosciuta come Cesarea del Libano o Arca Caesarea. Qui nacque nel 208 l'imperatore Alessandro Severo.
Al tempo delle Crociate il luogo assunse una notevole importanza strategica, in quanto dalla sua posizione poteva controllare le strade che portavano da Tripoli a Tartus e Homs. Durante la prima crociata, Raimondo di Tolosa pose l'assedio della città nel 1099, ma non riuscì a conquistarla. Vi riuscì invece suo nipote Guglielmo Giordano di Cerdanya nel 1108 dopo tre settimane di assedio, annettendo quindi la città alla Contea di Tripoli. Dopo la conquista crociata viene edificato un castello fortificato di cui restano ancora parte delle mura.
Nel 1167, Norandino, approfittando della prigionia del Conte di Tripoli Raimondo III, cerca di prendere Arqa. Successivamente il re di Gerusalemme Amalrico I dona Arqa ai Cavalieri di Malta.
Nel 1171 la città viene nuovamente assediata dall'atabeg di Mosul, ma pur subendo pesanti danni resiste.
La città di Arqa viene definitivamente persa dai crociati nel 1266 (o 1265) sotto gli attacchi del Sultano mamelucco Baybars che portano al crollo della Contea di Tripoli.


LIBANO - Tempio di Eshmun

 

Il tempio di Eshmun  è un antico luogo di culto dedicato a Eshmun, la divinità fenicia della guarigione. Il tempio è situato vicino al fiume Awali, 2 km a nordest di Sidone, nel Libano sudoccidentale.
Il sito fu occupato dal VII secolo a.C. fino all'VIII secolo d.C., indicando una relazione stretta con la vicina città di Sidone.
Anche se fu costruito in origine dal re di Sidone Eshmunazar II in età achemenide (529–333 a.C.) per celebrare la ricchezza e l'importanza della città nuovamente riguadagnate, il complesso del tempio fu notevolmente ampliato da Bodastarte, Yatan-milk e altri monarchi successivi.
A causa dell'espansione prolungata per molti secoli in cui si alternarono momenti di indipendenza e di egemonia straniera, il santuario è caratterizzato dalla presenza di molteplici stili ed influenze architettoniche e decorative. Il santuario è costituito da una spianata e da un ampio cortile limitato da un enorme muro di terrazzamento in calcare sostenente un podio monumentale, su cui un tempo sorgeva il tempio marmoreo di Eshmun in stile greco-persiano.
Nel santuario si trovano alcuni bacini per abluzioni rituali, alimentati da canali che adducono acqua dal fiume Asclepius (moderno Awali) e dalla fonte sacra "Ydll"; questi erano utilizzati per scopi terapeutici e purificatori che caratterizzavano il culto di Eshmun. Il sito del santuario ha restituito molti reperti di valore, in particolare quelli iscritti con testi fenici, fornendo informazioni preziose sulla storia del sito e dell'antica Sidone.
Il tempio di Eshmun andò in declino e cadde nell'oblio quando il Cristianesimo sostituì il Paganesimo e i suoi grandi blocchi calcarei furono reimpiegati per edificare strutture più tarde.
Il sito del tempio fu scoperto nel 1900 da cacciatori di tesori della zona, che attirarono la curiosità di studiosi internazionali. Maurice Dunand, un archeologo francese, scavò intensamente il sito dal 1963 fino all'inizio della guerra civile nel 1975. Dopo la fine delle ostilità e il ritiro di Israele dal Libano meridionale, il sito è stato riconsiderato e inserito nella lista dei siti candidati a essere Patrimonio dell'umanità.
Eshmun era il dio fenicio della guarigione e del rinnovamento della vita. Era una fra le più importanti divinità del pantheon fenicio e la principale divinità maschile di Sidone. Una divinità della natura, in origine, e un dio della vegetazione primaverile, Eshmun fu equiparato alla divinità babilonese Dumuzi.
In seguito, il suo ruolo nel pantheon fenicio fu ampliato, ottenendo attributi celesti e cosmici.
Il mito di Eshmun fu narrato dal filosofo neoplatonico siriano del VI secolo d.C. Damascio e dal patriarca di Costantinopoli del IX secolo d.C. Fozio. Essi riportano che Eshmun, un giovane uomo di Beirut, stava cacciando nei boschi quando Astarte lo vide e rimase colpita dalla sua bellezza. La dea invaghita lo molestò inseguendolo fino a quando Eshmun si evirò con una scure e morì. La dea addolorata fece rivivere Eshmun e lo trasportò nei cieli, dove lo rese un dio uranico.
Dal punto di vista storico, la prima citazione scritta di Eshmun risale al 754 a.C., quando fu stipulato il trattato tra il re assiro Assur-nirari V e Mati'el, re di Arpad; Eshmun compare nel testo come patrono del trattato.
Più tardi, Eshmun fu identificato con Asclepio a seguito dell'influenza ellenistica sulla Fenicia; la più antica testimonianza di questa corrispondenza è data da monete del III secolo a.C. provenienti da Amrit e Acri. Esempio di questa influenza è anche l'ellenizzazione dei nomi: il fiume Awali fu soprannominato Asclepius fluvius e i boschetti circostanti al tempio di Eshmun divennero noti come boschetti di Asclepio.
Nel IX secolo a.C., il re assiro Assurnasirpal II conquistò l'area montuosa libanese e le sue città costiere. I nuovi sovrani imposero il versamento di tributi a Sidone, così come alle altre città fenicie. Questi versamenti fecero sì che Sidone fosse stimolata a cercare nuovi mezzi di approvvigionamento e favorirono l'emigrazione e l'espansione fenicia, che raggiunsero il massimo nell'VIII secolo a.C..
Quando il re assiro Sargon II morì nel 705 a.C., il re di Sidone Luli si alleò con Egiziani e Giudei in una ribellione fallimentare contro il dominio assiro, trovandosi obbligato a rifugiarsi a Kition (moderna Larnaca a Cipro) all'arrivo dell'esercito assiro condotto da Sennacherib, figlio e successore di Sargon II. Sennacherib pose Ittobaal sul trono di Sidone e impose nuovamente il tributo annuale.
Anche Abdi-Milkutti, quando ascese al trono di Sidone nel 680 a.C., si ribellò contro gli Assiri. In risposta alla ribellione, il re assiro Esarhaddon pose sotto assedio la città. Abdi-Milkutti fu catturato e decapitato nel 677 a.C., dopo un assedio durato tre anni, mentre la sua città fu distrutta e rinominata Kar-Ashur-aha-iddina (il porto di Esarhaddon). Sidone fu privata del suo territorio, che fu donato a Baal I, re della rivale Tiro e leale vassallo di Esarhaddon. Baal I ed Esarhaddon sottoscrissero un trattato nel 675 in cui il nome di Eshmun compare come una delle divinità invocate come garanti del patto.
Sidone riacquistò il precedente livello di prosperità nei 13 anni (586–573 a.C.) in cui Tiro era posta sotto assedio dal re caldeo Nabucodonosor II. Nonostante ciò, il re di Sidone era ancora trattenuto in esilio presso la corte di Babilonia. Sidone reclamava il suo ruolo precedente di città principale della Fenicia nel periodo achemenide (circa 529–333 a.C.). In questo periodo, Serse I donò al re Eshmunazar II la pianura di Sharon per aver impiegato la flotta di Sidone nel corso delle sue operazioni durante le guerre greco–persiane. Eshmunazar II mise in mostra la nuova ricchezza costruendo numerosi templi dedicati alle divinità sidonie. Iscrizioni scoperte sul sarcofago del re rivelano che egli e sua madre, Amashtarte, edificarono templi agli dei di Sidone[6], incluso il tempio di Eshmun presso la fonte "Ydll vicino alla cisterna".
Come attestato da due serie di iscrizioni poste sulle fondazioni del podio monumentale, la costruzione del podio del santuario non fu avviata prima del regno di Bodastarte. Il primo gruppo di iscrizioni reca il nome del solo Bodastarte, il secondo gruppo reca insieme il suo nome e quello del principe ereditario Yatan-milk. Un'iscrizione fenicia ubicata 3 km a monte rispetto al tempio, datata al XIV anno di regno di Bodastarte, fa riferimento a lavori di adduzione di acqua dal fiume Awali alla fonte "Ydll", posta presso il tempio e utilizzata per le abluzioni rituali.
I primi danni al santuario di Eshmun furono prodotti da un terremoto avvenuto nel IV secolo a.C., che demolì il tempio marmoreo posto sul podio; questa struttura non fu riedificata, ma in seguito molte cappelle e molti templi furono edificati alla base del podio.
Il sito del tempio restò attivo come luogo di pellegrinaggio del mondo antico fino all'avvento del Cristianesimo, quando il culto di Eshmun fu bandito e nel sito del tempio, a cavallo della strada romana che portava al podio, fu edificata una chiesa cristiana. Ruderi e pavimenti mosaicati della chiesa bizantina sono ancora visibili.
Un altro terremoto colpì Sidone nel 570 d.C.; Antonino di Piacenza, un pellegrino cristiano italiano, descrisse la città come parzialmente in rovina. Per molti anni, dopo la cessazione del culto di Eshmun, il santuario fu utilizzato come cava di materiale edile; nel XVII secolo, l'emiro Fakhr al-Din II utilizzò i suoi blocchi massicci per costruire un ponte sul fiume Awali. Successivamente il sito fu dimenticato fino alla riscoperta.
Tra il 1737 e il 1742, Richard Pococke, un antropologo inglese, viaggiò nel Medio Oriente e scrisse a proposito di quelle che egli pensava fossero rovine di mura difensive, edificate con blocchi di pietra misuranti 3,7 m, poste vicino al fiume Awali. Quando l'orientalista francese Ernest Renan visitò l'area nel 1860, notò che le spalle del ponte sull'Awali erano realizzate con blocchi finemente bugnati che provenivano da una struttura precedente. Osservò anche nella sua relazione, Mission de Phénicie, che un cacciatore di tesori locale gli raccontò di un ampio edificio posto in prossimità del ponte.
Nel 1900, un cacciatore di tesori clandestino del luogo, scavando presso il sito del tempio di Eshmun, scoprì casualmente delle iscrizioni incise sulle pareti del tempio. Questa scoperta attirò l'attenzione di Theodore Macridy, curatore del Museo di Costantinopoli, che liberò le rovine del tempio tra il 1901 e il 1903. Anche Wilhelm Von Landau compiì scavi tra il 1903 e il 1904. Nel 1920, Gaston Contenau fu a capo di un gruppo di archeologi che indagarono il complesso del tempio. La prima campagna estensiva di scavi archeologici, che portò alla luce i resti del tempio di Eshmun, fu condotta da Maurice Dunand tra il 1963 e il 1975. Le testimonianze archeologiche dimostrano che il sito fu occupato dal VII secolo a.C. fino all'VIII secolo d.C..
Durante la guerra civile libanese e l'occupazione israeliana del Libano meridionale, il sito del tempio fu trascurato e fu invaso dalla vegetazione spontanea molto rigogliosa; dopo il ritiro degli Israeliani, il sito fu pulito e riportato alla condizione precedente. Oggi, il santuario di Eshmun può essere visitato durante tutto l'anno e gratuitamente. Vi si accede tramite una rampa di uscita dalla principale autostrada del Libano meridionale posta nei pressi dell'accesso settentrionale a Sidone.
Il sito è di notevole importanza archeologica in quanto, nel Libano, è il sito fenicio meglio conservato. Il 1 luglio 1996, il sito è stato inserito nella categoria culturale della lista dei siti candidati a patrimonio dell'umanità dell'UNESCO.
In letteratura, il tempio di Eshmun compare nel racconto del 2009 di Nabil Saleh The Curse of Ezekiel come luogo dove Bomilcare si innamora e salva la principessa Chiboulet dal progetto malvagio di uno dei sacerdoti del tempio.
Numerosi testi antichi menzionano il tempio di Eshmun e la sua ubicazione. Le iscrizioni fenicie sul sarcofago di Eshmunazar II, un re di Sidone, commemorano la costruzione di una "dimora" per il "sacro principe" Eshmun da parte del re e di sua madre, la regina Amashtarte, presso la "fonte Ydll vicino alla cisterna". Dionigi il Periegeta, un antico narratore di viaggi greco, riportò che il tempio di Eshmun era presso il fiume Bostrenos e Antonino di Piacenza, pellegrino italiano del VI secolo d.C., scrisse che il tempio sorgeva presso il fiume Asclepius.
Strabone e altre fonti sidonie descrivono il santuario e le circostanti "sacre foreste" di Asclepio, la forma ellenizzata di Eshmun.
Ubicato circa 40 km a sud di Beirut e 4 km a nordest di Sidone, il tempio di Eshmun si trova sulla sponda meridionale del moderno fiume Awali, nei testi antichi chiamato Bostrenos o Asclepius fluvius.
Gli agrumeti noti come Bustan el-Sheikh (il boschetto dello sceicco) occupano le antiche "foreste sacre" di Asclepio e sono uno dei luoghi preferiti dalla gente del luogo per i picnic estivi.
Edificato sotto il dominio babilonese (605-539 a.C.), il più antico monumento del sito è un edificio piramidale che ricorda nella forma una ziggurat e che incorpora una rampa di accesso a una cisterna per l'acqua. Anche frammenti di basi di colonne marmoree con modanature toroidali e colonne facettate rinvenute a est del podio sono attribuite al periodo babilonese. Durante la dominazione persiana, alla struttura piramidale fu sovrapposto un massiccio podio ashlar, costruito con blocchi calcarei con marcate bugnature, che misuravano oltre 3 m di lunghezza per 1 m di spessore e che furono collocati in file alte 1 m. Il podio si eleva per 22 m, si prolunga per 50 m nel fianco della collina e possiede un'ampia facciata larga 70 m. La terrazza sopra il podio era un tempo coperta da un tempio marmoreo in stile greco-persiano, probabilmente edificato da artigiani ionici attorno al 500 a.C.. A causa dei furti, del tempio marmoreo rimangono solo alcuni frammenti di pietra.
Nella fase ellenistica, il santuario fu ampliato dalla base del podio verso la valle. Lungo il lato orientale della base del podio si erge un sacello, che misura 10,5 x 11.5 m, datato al IV secolo a.C..
Il sacello era decorato con una vasca pavimentata e grande trono di pietra realizzato con un singolo blocco di granito in stile egizio; il trono è affiancato da due figure di sfinge e sorretto da due sculture raffiguranti leoni. Il trono, attribuito alla dea sidonia Astarte, è addossato alla parete del sacello, che è abbellita da sculture a rilievo con scene di caccia. Il bacino di Astarte, un tempo importante, perse la sua funzione nel II secolo d.C. e fu colmato con terra e frammenti di statue.
Lungo il lato occidentale della base del podio si trova un altro sacello del IV secolo a.C., realizzato attorno a una protome taurina sormontata da un capitello, conservata presso il Museo Nazionale di Beirut.
Molto noto come la "tribuna di Eshmun" a causa della sua forma, l'altare di Eshmun è una struttura di marmo bianco datata al IV secolo a.C. Misura 2,15 m di lunghezza per 2,26 m di larghezza e 2,17 m di altezza. Scoperto nel 1963 da Maurice Dunand, poggia su uno zoccolo calcareo con blocchi marmorei che si addossano a un muro di contenimento.
L'altare è decorato con sculture in bassorilievo in stile ellenistico ed è incorniciato da modanature decorative, una delle quali divide l'altare in due registri separati di composizione simmetrica. Il registro superiore ritrae 18 divinità greche, inclusi due conduttori di carro che attorniano il dio greco Apollo, il quale è raffigurato mentre suona una cithara (un tipo di lira). Il registro inferiore onora Dioniso, che conduce il suo thiasos (il suo corteo estatico) in una danza alla musica di suonatori di flauto e di cetra. La tribuna è esposta presso il Museo Nazionale di Beirut.
A nordest del sito, in posizione adiacente al sacello di Astarte, sorge un altro tempio del III secolo a.C.; la sua facciata, che misura 22 m, è realizzata con grandi blocchi calcarei ed è decorata da una decorazione a rilievo a due registri, che illustra un Baccanale in onore di Dioniso, il dio greco del vino. Tra i rilievi del tempio, uno mostra un uomo che tenta di catturare un grande gallo, che era il comune animale per sacrifici in favore di Eshmun-Asclepio.
Il complesso templare di Eshmun comprende un'elaborata rete idraulica, che parte dalla fonte "Ydll" ed è composta da un intricato sistema di canali, una serie di bacini di accumulo, bacini per le abluzioni sacre e piscine pavimentate. Questo sistema dimostra l'importanza delle abluzioni rituali nei culti terapeutici fenici.
Vestigia più tarde datano all'epoca romana. Fra queste vi è una strada colonnata affiancata da botteghe. Delle grandi colonne marmoree che costeggiavano la strada romana rimangono solo frammenti e basi. I Romani edificarono anche una scalinata monumentale decorata a mosaico, che conduce alla sommità del podio. Alla destra della strada romana, vicino all'ingresso al sito, sorge un ninfeo con nicchie in cui un tempo si trovavano le statue delle ninfe. Il pavimento del ninfeo è ricoperto da un mosaico che raffigura le Menadi. Dalla parte opposta della via colonnata, prospiciente al ninfeo, si trovano le rovine di una villa romana; solo il cortile della villa si è conservato con i resti di un mosaico che raffigura le quattro stagioni. Alla destra della scalinata cerimoniale romana si trova un altare di forma cubica anch'esso romano. Altre strutture del periodo romano sono due colonne di un grande porticato che conduceva alle piscine e altri edifici per il culto.
Il culto di Eshmun ebbe particolare importanza a Sidone, poiché a partire dal V secolo a.C. egli fu la principale divinità della città. Oltre al santuario extramurale di Bustan el-Sheikh, Eshmun ebbe un tempio a lui dedicato anche all'interno della città. Il tempio extramurale era associato alla purificazione e alla guarigione; le abluzioni rituali lustrali erano svolte nei bacini sacri del santuario, che sfruttavano l'acqua corrente del fiume Asclepius e della fonte "Ydll", che si considerava avesse in carattere sacro e proprietà terapeutiche. Le caratteristiche curative di Eshmun furono associate con i poteri legati alla fertilità della sua consorte divina Astarte; a questa era dedicato un sacello all'interno del santuario di Eshmun, con una piscina sacra pavimentata. Pellegrini provenienti da tutto il mondo antico giungevano al tempio di Eshmun lasciando offerte votive come segno della loro devozione e testimonianza della loro guarigione. Vi sono evidenze relativamente al fatto che a partire dal III secolo a.C. vi sono stati tentativi di ellenizzare il culto di Eshmun e di associarlo al dio greco Asclepio, ma il santuario mantenne la sua funzione curativa.
Oltre a elementi decorativi di notevoli dimensioni, fregi scolpiti e mosaici che sono stati lasciati in situ, molti reperti sono stati recuperati e trasferiti dal tempio di Eshmun al Museo Nazionale, al Museo del Louvre oppure sono in possesso del Direttorato generale delle antichità del Libano. Tra questi reperti minori, vi è una raccolta di ostraca scritti, scavati da Dunand, che forniscono rari esempi della scrittura fenicia corsiva nella madrepatria fenicia.
Uno degli ostraca recuperati riporta il nome fenicio teoforico "grtnt", che indica che a Sidone la dea lunare Tanit era venerata.
Presso il sito del tempio, furono rinvenuti anche frammenti di sculture votive a dimensioni naturali di piccoli bambini disposti sul fianco che tengono un animale domestico o un piccolo oggetto; la più nota fra queste è la scultura di un bambino reale che tiene una colomba con la mano destra; la testa del bambino è rasata, il suo torso è nudo e la parte inferiore del corpo è avvolta in un ampio tessuto. Lo zoccolo di questa scultura è iscritto con una dedica da parte di Baalshillem, il figlio di un re di Sidone, a Eshmun, che illustra l'importanza del sito per la monarchia sidonia.
Queste sculture votive sembrano essere state volutamente rotte dopo la dedica a Eshmun e poi cerimonialmente gettate nel canale sacro, probabilmente simulando il sacrificio del bambino malato. Tutte queste sculture rappresentano ragazzi[3]. Anche un busto calcareo raffigurante un kouros, che misura 31,5x27 cm ed è datato al VI secolo a.C., fu rinvenuto nel sito, ma, a differenza dei kouroi greci arcaici, questa figura non è nuda.
Tra i reperti più notevoli vi sono una placca aurea raffigurante un serpente arrotolato su un bastone, un simbolo ellenistico di Eshmun, e un altare in granito recante il nome del faraone egizio Hakor, scoperto nel santuario di Eshmun. Questo dono attesta le buone relazioni tra il faraone e i re di Sidone.
La fama del santuario giungeva molto lontano. Pellegrini ciprioti provenienti da Pafo lasciarono segni della loro devozione per Astarte su una stele marmorea iscritta sia in greco sia in cipriota presso il sacello di Astarte; questa stele è ora custodita dal Direttorato generale delle antichità del Libano.
I cacciatori di tesori hanno saccheggiato il tempio di Eshmun sin dall'antichità; attorno al 1900 reperti recanti iscrizioni fenicie provenienti dal sito del tempio raggiunsero i mercati antiquari di Beirut, dove attirarono l'attenzione delle autorità ottomane che eseguirono alcuni scavi archeologici. Nel corso della guerra civile, su richiesta del direttore generale delle antichità del Libano Maurice Chehab, Maurice Dunand trasferì oltre 2000 reperti da Sidone ad una camera sotterranea del castello crociato di Biblo, 30 km a nord di Beirut. Nel 1981, il deposito fu depredato e circa 600 sculture e elementi architettonici furono rubati e contrabbandate fuori dal Libano. Nel corso di una conferenza tenutasi a Beirut nel dicembre 2009, Rolf Stucky, ex direttore dell'Istituto di Archeologia Classica di Basilea, annunciò l'identificazione sicura e il ritorno di otto sculture al museo nazionale libanese.



Nelle foto, dall'alto:
- Trono di Astarte presso il tempio di Eshmun
- Statua marmorea votiva di un bambino reale, con iscrizione fenicia, dal santuario di Eshmun, circa IV secolo a.C.
- Mosaico
- marmo dalla Tribuna del santuario, circa 350 a.C.; il livello superiore raffigura Apollo con una cetra e Atena con un elmo. Dietro Atena è Zeus, ed Era dietro di lui. Dietro Apollo, Leto affronta Artemide. Il livello inferiore raffigura danzatori e musicisti.
- Il podio bugnato (ashlar) del tempio di Eshmun - Bustan el-Sheikh 
- Testa marmorea votiva di un fanciullo rinvenuta nel sito del tempio di Eshmun; Museo Nazionale di Beirut, principio del IV secolo a.C.
- Protome taurina dal santuario di Eshmun
- Frammenti di colonne

 





LIBANO - Ksar Akil

 

Ksar Akil è un sito archeologico in Libano. Si crede che sia uno dei primi siti noti contenenti tecnologie tipiche del Paleolitico Superiore tra cui Aurignaziano, circa 3000 anni prima che apparissero in Europa.
I Manufatti recuperati dal sito indicano che gli abitanti furono tra i primi in Eurasia occidentale (e forse al mondo) che usavano ornamenti personali. I risultati della datazione al radiocarbonio indicano che i primi umani possono avere vissuto nel sito circa 42.000 anni fa o prima ancora.
La presenza di ornamenti personali a Ksar 'Akil è indicativa di comportamento umano moderno. I ritrovamenti di ornamenti nel sito sono pressoché contemporanei con altri ritrovamenti di monili in altri siti anche notevolmente distanti del Paleolitico medio come Enkapune ya Muto in Kenya.

LIBANO - Anjar

 

Anjar,
nota anche come Haouch Moussa è un villaggio situato in Libano, nella valle della Beqa', non molto distante dalla strada che collega Damasco e Beirut. La cittadina è nota soprattutto per essere un centro archeologico di notevole importanza. La grande maggioranza degli abitanti è costituita da armeni.
Il moderno villaggio venne fondato da immigrati armeni originari del Mussa Dagh; la comunità migrò in Libano nel 1939, in seguito alla cessione del Sangiaccato di Alessandretta alla Turchia da parte del mandato francese. A partire dagli anni della guerra civile in Libano Anjar divenne quartier generale delle forze armate siriane di stanza in Libano.
Dal punto di vista storico e culturale la cittadina deve la sua importanza al complesso architettonico di epoca omayyade, che si ritiene sia stato edificato dal califfo Walīd I. Si tratta di un insediamento fortificato e cinto da mura che riprende il modello urbanistico ellenistico-romano: il cardo maximus e il decumanus maximus dividono infatti l'area urbana in quattro settori identici. L'incrocio tra i due assi è segnato da un tetrapilo in stile tardo romano-bizantino. La città comprendeva anche terme e botteghe, ma i resti più importanti sono quelli relativi all'edilizia residenziale e in particolare i due palazzi con arcate e fregi in pietra.


Con la fine della dinastia omayyade e l'avvento della dinastia abbaside nel 750, la città venne abbandonata e cadde in rovina. Fu riscoperta in maniera pressoché casuale intorno al 1950, anche se per l'esattezza gli scavi che hanno portato alla luce i resti del complesso furono iniziati già nel 1949.

LIBANO - Baalbek

 


«Baalbek è il trionfo della pietra, una magnificenza lapidaria il cui linguaggio, ancora visivo, riduce New York a una dimora di formiche. [...] Lo sguardo spazia oltre le mura, fino ai ciuffi verdi dei pioppi dai tronchi bianchi; oltre ancora, al Libano scintillante in lontananza di toni violacei, azzurri, oro e rosa. E poi scende seguendo le montagne fino al vuoto: il deserto, solitario mare di pietra. Bevi l'aria vibrante. Accarezza la pietra con mano delicata. Da' il tuo addio all'Occidente, se lo possiedi, quindi volgiti a Oriente, turista.» (Robert Byron, La via per l'Oxiana)

Baalbek in Libano è uno dei siti archeologici più importanti del Vicino Oriente, dichiarato nel 1984 Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO. Si trova, in linea d'aria, a circa 65 km ad est di Beirut.
Oggi Baalbek è una cittadina nella valle della Beqāʿ, capoluogo di un omonimo distretto libanese. Situata ad est delle sorgenti del fiume Leonte, ad un'altitudine di 1170 metri sul livello del mare, Baalbek è famosa per le monumentali rovine di alcuni templi romani risalenti al II e III secolo dopo Cristo, quando Baalbek, con il nome di Heliopolis ospitava un importante santuario dedicato a Giove Eliopolitano nella provincia romana di Siria. .
Le origini conosciute delle costruzioni di Baalbek risalgono a due insediamenti cananei che gli scavi archeologici sotto il tempio di Giove hanno permesso di identificare come databili all'età del bronzo antica (2900-2300 a.C.) e media (1900-1600 a.C.).
L'etimologia del toponimo è legata al sostantivo báʿal o bēl che in varie lingue dell'area semitica nord-occidentale (come l'ebraico, il cananeo, e l'accadico) significa "signore". Il termine Baalbek significherebbe dunque "signore della Beqa'" e sarebbe probabilmente da correlarsi all'oracolo e al santuario dedicato al dio Baal o Bēl (spesso identificato come Hadad, dio del sole, della tempesta e della fertilità della terra) e ad Anat, dea della violenza e della guerra, sorella e consorte di Baal (più tardi identificata con Astarte), forse associati a Tammuz (più tardi identificato con Adone), dio della rigenerazione primaverile. Le pratiche religiose di questi templi contemplavano probabilmente, come in altre realtà culturali contigue, la prostituzione sacra, i sacrifici animali (e forse anche umani) e le offerte rituali di bevande alle divinità.
La città, pur situata in una posizione favorevole dal punto di vista strategico, in prossimità delle sorgenti dei fiumi Lītānī e Oronte, non ebbe comunque, almeno inizialmente, un importante valore commerciale e strategico, non venendo menzionata da fonti coeve egiziane o assire.
Anche l'identificazione con la biblica Baal-Gad (Libro di Giosuè 11,17; 12,7), rammentata come il limite settentrionale delle conquiste di Giosuè, viene oggi contestata, sostenendo piuttosto che la località biblica si debba identificare con la cittadina di Ḥāṣbayyā, nel sud-est del Libano, oppure con Bāniyās (l'antica Cesarea di Filippo), sulle alture del Golan.
Fase ellenistica

Lo storico ebreo Giuseppe Flavio (I secolo) rammenta il passaggio di Alessandro Magno a Baalbek nella sua marcia verso Damasco. In epoca ellenistica, sotto il dominio dei Tolomei, sostituito definitivamente dal 198 a.C. con quello dei Seleucidi, la città fu ribattezzata con il nome di Heliopolis ("città del sole"). I sovrani tolemaici favorirono probabilmente l'identificazione del dio Baal con il dio del sole egizio Ra e il dio del sole greco Helios, allo scopo di cementare una maggiore fusione culturale all'interno dei propri territori.
Il cortile del tempio fu modificato e alla sua estremità occidentale venne iniziata la costruzione di un tempio di forme greche.
Fase romana

Dopo la conquista romana nel 64 a.C. ad opera di Pompeo, la città di Baalbek-Heliopolis fu compresa nei domini dei tetrarchi della Palestina (si confronti anche in Lc 3,1).
La divinità del santuario fu identificata con Giove, che conservò tuttavia alcuni dei caratteri dell'antica divinità indigena e assunse la forma e il nome di Giove Eliopolitano. Il dio veniva raffigurato con un copricapo svasato, con fulmini nelle mani e inquadrato da due tori, l'animale che accompagnava il dio Baal. Gli altri dei associati vennero identificati con Venere e con Bacco. La triade eliopolitana ebbe altari e culto anche in lontane regioni dell'impero (province balcaniche, Gallia, province ispaniche, Britannia). Il culto assunse un carattere mistico e forse misterico, che favorì probabilmente la sua diffusione.
Nel 15 a.C. il santuario entrò a far parte del territorio della Colonia Iulia Augusta Felix Beritus, l'odierna Beirut. L'edificazione del tempio fu nuovamente intrapresa sulla piattaforma ellenistica e si concluse in diverse tappe: il tempio vero e proprio (tempio di Giove) fu terminato nel 60 d.C., sotto Nerone, e contemporaneamente venne edificato l'altare a torre che precede il tempio. Sotto Traiano (98-117) si iniziò la sistemazione del grande cortile. Sotto Antonino Pio (138-161) venne eretto il tempio di Bacco. I lavori, inclusi quelli riguardanti il tempio di Venere, vennero completati durante la dinastia dei Severi, e in particolare sotto Caracalla (211-217). Sotto Filippo l'Arabo (244-249), imperatore romano nato nella vicina Damasco, fu infine costruito il cortile esagonale del santuario.
In quest'epoca Heliopolis, elevata da Settimio Severo (193-211) al rango di colonia di diritto italico con il nome di Colonia Iulia Augusta Felix Heliopolis, divenne il centro principale della provincia della Syria-Phoenicia, istituita nel 194 con capitale Tiro.
Fase paleocristiana e bizantina

Con l'avvento del Cristianesimo e la promulgazione dell'Editto di Milano, il santuario iniziò una lenta decadenza, accelerata probabilmente dai crolli dovuti ai terremoti. Le prime trasformazioni si ebbero sotto Costantino I (306-337), che secondo Eusebio di Cesarea vi istituì una sede vescovile e decise la costruzione di una chiesa. L'imperatore Teodosio I (379-395) distrusse le statue pagane, fece radere al suolo l'altare-torre per erigere nel grande cortile una basilica cristiana e trasformò in chiese sia la corte esagonale che il tempio di Venere. Alcuni studiosi ritengono tuttavia che Baalbek continuò a costituire un centro di culto pagano.
L'imperatore bizantino Giustiniano (527-565) ordinò infine di asportare otto delle colonne del tempio di Giove affinché fossero riutilizzate nella basilica di Santa Sofia a Costantinopoli.
Fase arabo-islamica

In seguito alla conquista araba del 637 da parte di Abū ʿUbayda ibn al-Ğarrāḥ, l'acropoli del complesso templare venne trasformata in cittadella fortificata (ﻗﻠﻌﺔ, qalʿa) e venne costruita la grande moschea in stile omayyade, oggi in rovina. La città passò, dopo l'età omayyade e quella abbaside, sotto l'amministrazione fatimide che la scelse come capitale di governatorato (wilāya) nel 972, all'epoca del terzo Imām, al-Muʿizz li-dīn Allāh.
Occupata per breve tempo dai Bizantini di Giovanni Zimisce nel 974, Baalbek divenne nel 1025 dominio dei Mirdasidi, guidati dal principe di Aleppo Ṣāliḥ ibn Mirdās, e infine dei Selgiuchidi di Tutush nel 1075. Fu poi la volta del dominio zengide, prima di essere conquistata da Ṣalāḥ al-Dīn ibn Ayyūb nel 1187. La cittadina rimase dominio ayyubide fino al 1282 quando venne conquistata dal sultano mamelucco Sayf al-Dīn Qalāwūn al-Alfī, detto al-Malik al-Manṣūr ("il sovrano reso vittorioso da Dio").
La città fu saccheggiata dalle truppe mongole guidate da Hülegü Khan durante le incursioni mongole in Palestina nel 1260 e ancora dall'esercito di Timur nel 1401.
Dopo il 1516, Baalbek entrò a far parte dell'Impero ottomano, all'interno dell'eyalet (governatorato) di Damasco. Nei secoli successivi, come in altre aree della Beqāʿ, la popolazione, prevalentemente musulmana sciita e divisa in clan patrilineari chiamati ʿashāʿīr, fu soggetta all'autorità de facto di due famiglie di proprietari terrieri, gli Ḥamāda e gli Harfūsh, i cui privilegi feudali vennero erosi, a partire dalla fine del diciottesimo secolo, dai tentativi di modernizzazione amministrativa sperimentati dalle autorità ottomane.
Riscoperta del sito

Nel XVIII secolo gli esploratori europei iniziarono a visitare le rovine e a riportarne dettagliate descrizioni, piante e vedute a disegno. Nel 1751 Robert Wood descrisse le rovine come tra le più audaci opere di architettura dell'antichità. Erano ancora in piedi nove colonne del tempio di Giove, ma tre crollarono, probabilmente in occasione del terremoto del 1759. Altri viaggiatori furono Volney (1781), Cassas (1785), Laborde[non chiaro] (1837), David Roberts (1839). I blocchi crollati dalle antiche costruzioni venivano all'epoca ancora riutilizzati per la costruzione di edifici moderni della cittadina.
Una prima spedizione scientifica fu condotta nel 1873 dal Fondo di Esplorazione della Palestina e in seguito alla visita dell'imperatore Guglielmo II di Germania vi venne condotta una missione archeologica tedesca (1898-1905), guidata da Otto Puchstein, durante la quale furono effettuati i primi restauri. Dopo la prima guerra mondiale altre missioni si ebbero durante il Mandato francese ad opera di C. Virolleaud, R. Dassaud, S. Ronzevalle, H. Seyrig, D. Schlumberger, F. Anus, P. Coupel e P. Collard.
Dopo l'indipendenza del Libano nel 1943 le operazioni di restauro e conservazione passarono sotto l'egida del Servizio delle Antichità del Libano (H. Kalayan).
Nel 1984 il sito archeologico di Baalbek venne inserito nella lista dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.

Descrizione del santuario
Basamento
Alla base del complesso di Baalbek esiste una gigantesca piattaforma in pietra (88 x 48 m) la cui costruzione costituisce un enigma in quanto neppure con la tecnologia attuale si riuscirebbe a trasportare ed a mettere in loco pietre tanto colossali[senza fonte]. Per questa costruzione furono impiegati infatti enormi blocchi di pietra tagliati: i tre che costituiscono il cosiddetto τρίλιθον (trilithon) misurano rispettivamente 19,60 m, 19,30 m e 19,10 m di lunghezza, per 4,34 m di altezza e 3,65 m di profondità e raggiungono un peso di circa 800 tonnellate ciascuno, mentre un quarto blocco, di dimensioni ancora maggiori (21.5 m di lunghezza con una sezione quadrata di 4,30 m di lato), oggi conosciuto con il nome di ḥaǧar al-ḥublā o "pietra della gestante", fu abbandonato nella cava. Non ci sono indicazioni precise sul periodo in cui fu edificata la piattaforma, né esistono reperti organici su cui effettuare il test del Carbonio 14. Pertanto non si ha a tutt'oggi alcuna informazione circa il popolo che lo costruì ed i mezzi che impiegò.
Nei primi studi archeologici del XIX secolo, la piattaforma era ritenuta appartenere a una fase di edificazione precedente a quella romana. I moderni rilievi sembrano indicare che la piattaforma è orientata con le Pleiadi, importanti nella tradizione greca e orientale, ma non in quella romana: questo, insieme alle somiglianze strutturali col secondo tempio di Gerusalemme, farebbe propendere per la realizzazione sotto Erode il Grande. Quanto alla tecnica di costruzione impiegata, l'architetto Jean-Pierre Adam ha ipotizzato un sistema con un gran numero di argani a trazione umana, concludendo tuttavia che non è noto da quale popolo o in quale epoca tali macchine sarebbero state introdotte[14].
Propilei

Furono costruiti agli inizi del III secolo, all'epoca di Caracalla in cima ad una scalinata monumentale e costituivano l'accesso all'area sacra del tempio di Giove. Erano in origine costituiti da una facciata di 12 colonne (10 delle quali rialzate nel corso dei restauri tedeschi), tra due torri più alte, sormontate da un frontone.
Nel muro retrostante si aprivano un ingresso centrale ad arco e due passaggi laterali, che più tardi furono murati. Il muro era decorato da due piani di nicchie che in origine dovevano ospitare delle statue, inquadrate da edicole con frontoni alternativamente triangolari e arcuati, sostenuti da lesene corinzie al piano terra e ioniche al piano superiore.
Cortile esagonale
Dai propilei si accedeva ad una corte a pianta esagonale (metà del III secolo, sotto Filippo l'Arabo, 244-249), circondata da portici che si aprivano sul fondo con esedre rettangolari, un tempo riccamente decorate. Il cortile subì pesanti modifiche all'epoca in cui vi fu installata la cappella dedicata alla Vergine e successivamente per la trasformazione in bastione difensivo della cittadella araba.
Grande Cortile

Il cortile (135 x 113 m) (età traianea) ospitava il grande altare a torre di età neroniana e bacini laterali per le abluzioni. I portici laterali (128 colonne con fusti in granito di Aswān) sono sostenuti da criptoportici voltati e sul fondo si aprivano esedre a pianta alternativamente rettangolare e semicircolare, queste coperte da semicupole in pietra. Iscrizioni dipinte in alcune delle esedre testimoniano il loro uso per i pasti sacri di confraternite e comunità, che dovevano far parte del culto eliopolitano.
Nella corte venne costruita la basilica teodosiana, dedicata a san Pietro.
Tempio di Giove

Il tempio (prima metà del I secolo), che ospitava la statua di Giove Eliopolitano, dominava la Grande Corte, sopraelevato sopra una scalinata a tre rampe. Presumibilmente costruito sopra le fondamenta di una costruzione più antica, si trattava del più grande tempio romano conosciuto, in origine un periptero con 10 colonne sulla fronte ("decastilo") e 19 sui lati lunghi. Restano in piedi sei colonne colossali, con fusti di 2,20 m di diametro (pari a 75 piedi romani) e alte circa 20 m con la base e il capitello, realizzate con tre rocchi di pietra. La trabeazione, che raggiunge i 5 m di altezza comprendeva un fregio decorato con protomi (teste) di tori e di leoni e con ghirlande.
Tempio di Bacco

Elevato su un podio di 5 m di altezza, misura 69 x 36 m e vi si accede da una scalinata con 33 gradini. Era preceduto da un cortile porticato con un monumentale accesso. Risale alla metà del II secolo (Antonino Pio, 138-161) e si tratta di un tempio periptero con 8 colonne sulla fronte ("ottastilo") e 15 sui lati lunghi, molto ben conservato (manca solo il tetto della cella e parte delle colonne laterali). Le colonne raggiungevano con basi e capitelli un'altezza di 19 m e anche in questo caso il fregio era decorato da protomi di tori e leoni. La peristasi (lo spazio tra le colonne e i muri della cella) era coperta da un soffitto cassettonato: i cassettoni poligonali e triangolari, erano decorati con busti di divinità (tra cui Marte, la Vittoria, Diana, Hygeia) e una ricca decorazione vegetale.
L'incorniciatura del portale d'ingresso della cella presenta fregi figurati e una decorazione di tralci di vite che riferiscono il tempio al dio Bacco, ma il soffitto del portale mostra un'aquila con un caduceo, attributo tipico del dio Mercurio. Il culto del dio locale, con caratteristiche simili a quelle del greco Adone, aveva comportato l'utilizzo del vino, dell'oppio e di altre droghe per il raggiungimento dell'estasi religiosa.
All'interno della cella le pareti laterali sono decorate da nicchie su due ordini: quelle inferiori sono sormontate da frontoni arcuati e quelle superiori da frontoni triangolari; le nicchie sono inquadrate da semicolonne corinzie. Sul fondo del tempio un adyton (sacrario) ospitava la statua del dio.
All'angolo sud-est del tempio venne in seguito edificata una torre che nel XV secolo, all'epoca dei Mamelucchi ospitava la residenza del governatore locale.
Tempio rotondo o tempio di Venere

Al di là di una strada, è orientato verso gli altri due templi. Era racchiuso in un recinto sacro che ospitava anche un altro piccolo tempio, oggi in rovina, conosciuto come "tempio delle Muse". Si trova a Sud-Est dell'Acropoli e fu costruito nel III secolo.
Il tempio, a cui si accede da una scalinata, era preceduto in origine un pronao rettangolare tetrastilo, le cui due successive file di quattro colonne presentavano un'ampia spaziatura centrale: intercolunnio doppio rispetto ai due alle estremità. Ne risultò, di conseguenza, un pronao coperto a botte sull'asse d'ingresso, architravato e sorretto nelle ali da gruppi di quattro colonne su disposizione quadrata. La cella rotonda era decorata all'esterno da nicchie coperte da semicupole a conchiglia. Le colonne che circondano la cella presentano la trabeazione che non segue la linea del colonnato, ma si incurva verso l'interno fino a toccare il muro esterno della cella, creando un'insolita forma stellare e inquadrando in tal modo le nicchie.
La testimonianza di Eusebio di Cesarea, che attesta la continuità del culto agli inizi dell'epoca cristiana, ci informa della sua natura orgiastica e della presenza, probabilmente, della prostituzione sacra.
Il tempio era stato trasformato in chiesa di Santa Barbara, ma restò al di fuori della cittadella araba e l'intero complesso venne in seguito coperto da una fitta rete di abitazioni. I resti del tempio furono smontati e rimontati a poca distanza in uno spazio libero.

Il marcato carattere locale del culto si riflette nelle grandi corti che precedono i templi (come nel tempio di Gerusalemme), nell'altare a torre del santuario di Giove e nella presenza del sacrario edificato a parte all'interno della cella (adyton); tuttavia ovunque le forme architettoniche sono quelle proprie dell'architettura romana.

Negli anni successivi all'indipendenza libanese, la valle della Beqāʿ soffrì per la relativa marginalità economica e politica, anche se Baalbek poté contare sui proventi legati al crescente afflusso di visitatori locali e stranieri. Dopo l'avvio saltuario di spettacoli estivi all'aperto nel 1922, a partire dal 1955 iniziò ad essere organizzato in maniera sistematica il Festival di Baalbek, comprendente nel suo programma un misto di spettacoli teatrali, opera lirica, musical, concerti di musica classica e musica leggera e organizzato solitamente nella cornice del grande cortile. Direttori d'orchestra, interpreti e gruppi del calibro di Herbert von Karajan, Mstislav Rostropovitch, Fairouz, Umm Kulthum, Ella Fitzgerald, Joan Baez (e ultimamente Sting, Gilberto Gil e Massive Attack) hanno tenuto memorabili concerti in questa sede monumentale.
Il festival fu interrotto nel 1975, con lo scoppio della guerra civile libanese (1975-1990), quando la cittadina di Baalbek divenne una roccaforte della milizia sciita Hezbollah (ossia "Partito di Dio"). La milizia, con la probabile approvazione del governo siriano, fu sostenuta dal governo iraniano tramite il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (che forniva addestramento militare e indottrinamento) e si distinse per la politica estremamente ostile nei confronti degli Stati Uniti e di Israele, che all'epoca occupava militarmente una parte del territorio libanese.
Dopo la fine della guerra civile libanese nel 1990 (in seguito agli accordi di Ṭā'if del 1989), la situazione si è lentamente ma progressivamente normalizzata e oggi la visita al sito archeologico e alla cittadina è possibile senza alcun tipo di pericolo. Nel 1997 sono riprese le serate del Festival di Baalbek, mentre nel 1998 è stata inaugurata la collezione permanente che costituisce il nucleo centrale del nuovo Museo archeologico.
La cittadina è stata oggetto di pesanti bombardamenti israeliani nel luglio 2006.


LIBANO - Valle di Qadisha

 

La valle di Qadisha (Wādī Qādīšā), in Libano, è una profonda gola creata dal fiume omonimo, che prende più a valle il nome di Nahr Abū ʿAlī. La parte più spettacolare della gola si estende per circa 20 km tra i villaggi di Tourza, a nord-ovest, e Bcharré (Bsharreh), a est, il paese natale di Khalil Gibran.
La vallata è oggetto di protezione non solo per lo spettacolare paesaggio naturale creato dai fianchi scoscesi della gola, dalle vette montane (come il Qurnah al-Saūdah che arriva a 3083 metri di altezza) e dalle residue foreste di cedri del Libano (Cedrus libani), conifere e ginepro, ma anche perché ospita alcuni degli insediamenti monastici cristiani più importanti del Medio Oriente, molti dei quali si trovano abbarbicati sui fianchi della valle.


Intorno al decimo secolo, infatti, gruppi di cristiani maroniti provenienti dalla valle dell'Oronte, nell'entroterra siriano, cercarono rifugio nella vallata dalle persecuzioni dei bizantini, che li accusavano di sostenere l'eresia monotelita.
Tra i monasteri più importanti della vallata si annoverano Daīr Qannūbīn, che fu per secoli la dimora del patriarca maronita e che contiene affreschi murali ispirati allo stile bizantino della Cappadocia, Daīr Mār Anṭūniūs Qozḥayā e infine Daīr Mār Elīsha. La zona è inoltre disseminata di eremi, cappelle e grotte utilizzate in passato dai monaci.


GEORGIA - Fortezza di Gonio

 

La fortezza di Gonio (anticamente chiamata Apsaros, o Apsaruntos), è un forte romano nella regione dell'Agiaria, nella Georgia occidentale. Si trova sulla costa del Mar Nero, 15 km a sud di Batumi, alla foce del fiume Chorokhi, e a 4 km a nord del confine turco.
Il più antico riferimento alla fortezza è di Plinio il Vecchio (I secolo d.C.). C'è anche un riferimento all'antico nome del sito in Appiano (II secolo d.C.). Nel II secolo d.C., era una città romana ben fortificata all'interno della Colchide. La città era conosciuta anche per il suo teatro e l'ippodromo. In seguito passò sotto l'influenza bizantina. Il nome "Gonio" è per la prima volta attestato nel XIV secolo. Nel 1547 Gonio fu presa dagli Ottomani, che la tennero fino al 1878, quando, con il trattato di Santo Stefano, la regione di Agiaria entrò a far parte dell'Impero russo.
La tomba di San Mattia, uno dei dodici apostoli, si crede essere all'interno della fortezza di Gonio. Tuttavia, questo non è verificabile in quanto il governo georgiano vieta attualmente ogni scavo nei pressi della presunta tomba. Altri scavi archeologici sono comunque in corso sulla base della fortezza. Le mura della fortezza hanno una lunghezza totale di 900 metri.

GEORGIA - Dmanisi

 

Dmanisi (georgiano: დმანისი) è una cittadina ed un sito archeologico situato nella regione di Kvemo Kartli in Georgia, circa 93 km a sud-ovest della capitale nazionale Tbilisi, nella valle del fiume Mashavera.
La città di Dmanisi viene citata la prima volta nel IX secolo come possedimento dell'emirato arabo di Tbilisi, anche se l'area fu abitata fin dall'inizio dell'età del bronzo. Una cattedrale ortodossa, la cattedrale di Dmanisi Sioni, vi fu costruita nel VI secolo. Posta sulla confluenza di rotte commerciali e di influenze culturali, Dmanisi fu di particolare importanza, diventando un importante centro di commercio della Georgia medievale. La città fu conquistata dai turchi Selgiuchidi attorno al 1080, ma fu in seguito liberata dai re georgiani Davide il Costruttore e Demetrio I tra il 1123 ed il 1125. Gli eserciti turco-mongoli guidati da Tamerlano devastarono la città nel XIV secolo. Nuovi saccheggi furono messi in atto dai Turcomanni nel 1486. Dmanisi non riuscì più a riprendersi, ed iniziò il suo declino che la portò ad essere un villaggio scarsamente abitato nel XVIII secolo.
Scavi archeologici intensivi iniziarono nel 1936 e proseguirono fino agli anni sessanta. Oltre ad una ricca collezione di artefatti antichi e medievali, ed alle rovine di numerosi edifici e strutture, sono stati scoperti resti unici di animali preistorici e umani. Alcune ossa di animali sono state identificate dal paleontologo georgiano A. Vekua, che nel 1983 riconobbe i denti del rinoceronte estinto Dicerorhinus etruscus etruscus. Questa specie risale presumibilmente all'inizio del Pleistocene.
La scoperta di utensili primitivi, effettuata nel 1984, aumentò notevolmente l'interesse prodotto dal sito archeologico. Nel 1991 una squadra di studiosi georgiani si unì agli archeologi tedeschi del Römisch-Germanisches Zentralmuseum, ed in seguito ai ricercatori statunitensi, francesi e spagnoli.
Antichi fossili umani, chiamati Homo georgicus, furono trovati a Dmanisi tra il 1991 ed il 2005. Vista la datazione effettuata a 1,8 milioni di anni fa, l'Homo georgicus potrebbe essere stata una specie separata di homo, precedente all'Homo erectus, e rappresenterebbe il più antico stadio di presenza umana nel Caucaso.
In seguito furono rinvenuti quattro scheletri, che mostravano caratteristiche primitive nel cranio e nella parte superiore del corpo, ma con spina dorsale ed arti inferiori relativamente avanzati. Sono oggi noti come specie separata, ma rappresentano uno stadio di transizione subito successivo a quello tra Australopithecus e Homo erectus, e risalgono a 1,8 milioni di anni fa.


GEORGIA - Cultura Trialeti

 

La cultura di Trialeti, nota anche come cultura Trialeti-Vanadzor, è una cultura materiale attestata nel II millennio a.C. nella regione geografica del Caucaso, infatti prende il suo nome dalle omonime regione storica georgiana e città armena. Nel III millennio a.C. la Transcaucasia era occupata prevalentemente dagli insediamenti della cultura Kura-Araxes, solitamente associata a popolazioni di lingua hurro-urartea. 
In seguito al declino della cultura di Kura-Araxes nell'area comparvero la cultura Nakhchivan-Kizilveng e la cultura Trialeti-Vanadzor. Se la prima mostra una più netta continuità con la cultura materiale precedente, la cultura Trialeti mostra legami stretti con altre culture materiali del mondo antico, come ad esempio quella egea. Infatti, la cultura Trialeti era caratterizzata da un'élite che faceva uso di grandi sepolture a tumulo dotate di ricchi corredi con oggetti in oro e, talvolta, carri a quattro ruote. Per questa ragione si ritiene che la comparsa della cultura Trialeti-Vanadzor sia da ricondurre alla penetrazione da ovest di popolazioni parlanti lingue indoeuropee, più probabilmente appartenenti al gruppo anatolico.
Negli anni '80, gli studiosi sovietici Tamaz Gamkrelidze e Vyacheslav Vsevolodovich Ivanov sostennero l'interpretazione che la cultura Trialeti-Vanadzor andasse associata con l'idea che su suo territorio andasse collocata l'Urheimat della lingua protoindoeuropea, essendo fautori dell'ipotesi armeno-anatolica.


ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...