L'epichysis è una brocca di forma particolare: presenta il corpo cilindrico, con pareti più o meno concave, con piede ampio e sporgente. Il passaggio tra pancia e spalla è segnato da una sporgenza ad anello. Al di sopra presenta uno stretto collo allungato, con beccuccio ad imboccatura sottile e un'ansa a nastro rialzata. Si trova in particolare nella ceramica italiota.
martedì 8 aprile 2025
KERAMOS - Forme ceramiche greche: XXIX, Kylik
La kylix (κύλιξ, plurale κύλικες, kýlikes) è una coppa da vino in ceramica, il cui uso, nell'antica Grecia, è attestato a partire dal VI secolo a.C.
Tipico manufatto dei corredi simposiaci, coppa da libagione e da bevuta e oggetto d'intrattenimento ludico nel kottabos, raggiunse il massimo della diffusione a partire dalla fine del VI secolo rimanendo in auge fino al IV secolo a.C., quando il kantharos, l'elegante calice a volute dei rituali dionisiaci, ne prese il posto quale coppa da vino più diffusa.
Il nome attribuitole era sicuramente pertinente all'oggetto già all'epoca del suo utilizzo. Conferma ne viene da alcuni esemplari recanti incisioni come, ad esempio, quello conservato al British Museum (inv. B450), al di sotto della cui base può leggersi un'iscrizione che recita pressappoco: «Io sono la kylix dipinta dell'amabile Philto».
La kylix aveva corpo espanso e poco profondo, sostenuto da un piede in genere con alto stelo. Per l'impugnatura era provvista di due piccole anse impostate poco sotto l'orlo e spesso quasi orizzontali.
All'interno, il fondo, tendenzialmente piano, si presenta spesso decorato da scene, raffigurazioni o decorazioni: queste, occultate dal vino depositato sul fondo, si rendevano gradualmente visibili solo durante l'atto del bere. I soggetti raffigurati erano quindi molto spesso concepiti in funzione di questo effetto.
Tipologie
La descrizione generale si attaglia a definire la kylix nella sua tipicità, ma occorre tenere presente che sono attestate, nelle kylikes ritrovate, diverse varianti morfologiche e pittoriche, cronologicamente abbastanza definite, a testimoniare l'evoluzione dell'oggetto. Gli studiosi generalmente tendono a classificarle entro quattro diverse tipologie:
La prima tipologia, di tipo attico, attestata dal 600 a.C. fino a circa il 525 a.C., si evolve da prototipi corinzi. Il corpo è separato dal labbro e dallo stelo. Quest'ultimo, tendenzialmente breve, subisce una graduale evoluzione, passando dalla forma cortissima dei prototipi corinzi per arrivare a forme più snelle.
Le tre tipologie più recenti sono denominate con le tre lettere A, B e C. Nell'ambito della tipologia più antica la terminologia è più varia e corrisponde a quattro diversi tipi principali con diversi sottotipi. Lo schema dei vari tipi è pressappoco il seguente:
I tipologia
Coppa dei comasti
Coppa di Siana
Decorazione Overlap
Decorazione Double decker
Coppe di Gordion
Coppa dei Piccoli maestri (Kleinmasterschale)
Lip Cups
Kassel Cup
Band Cups
Droops Cups o di Antidoros
II Coppa A
Coppa ad occhioni (Eye-cups)
III Coppa B
IV Coppa C
Descrizione e individuazione delle varie
tipologie.
Coppa dei comasti (600-575 a.C. circa)
Questo primo tipo di coppa attica a figure nere, evolutasi, come detto, da prototipi corinzi, deve il suo nome al soggetto prevalente sulle pareti esterne dell'invaso, caratterizzato da scene di danze orgiastiche (kòmos), per le quali la ceramografia attica si mostra chiaramente debitrice a motivi corinzi. Presenta un labbro svasato, stretto e poco pronunciato, ma nettamente angolato rispetto al corpo che, dal canto suo, poggia su un corto stelo dal piede svasato; le anse sono poste appena sotto il labbro in posizione quasi orizzontale. L'ornamento floreale presso le anse non ha alcun antecedente corinzio, la decorazione attica riguarda unicamente le pareti esterne, mentre la coppa corinzia ha spesso all'interno un gorgoneion. Sulle pareti il fregio inferiore, più in evidenza, contiene le scene figurative mentre il registro superiore, coincidente con l'orlo svasato, è decorato con motivi calligrafici (reti e rosette incise).
Coppa di Siana (575-550 a.C. circa)
Il nome deriva dall'omonima località dell'isola di Rodi, sito di rinvenimento di due esemplari (British Museum B379 e B380, quest'ultima attribuita al Pittore C).
Il labbro si presenta ancora svasato e nettamente spiccato dal corpo ma, rispetto al precedente, occupa una fascia visibilmente più larga. Anche lo stelo appare più lungo, snello e slanciato. La decorazione è sempre a figure nere, ma, a differenza del tipo precedente, interessa anche l'interno della coppa, dove è presente un tondo figurato all'interno di uno spesso bordo decorativo. Lo stile decorativo riflette il perfezionamento della tecnica a figure nere e dell'incisione: i ceramografi attici tendono ad abbandonare, non solo nelle kylikes ma in tutte le forme vascolari, la monumentalità decorativa protoattica prediligendo ed esercitando con disinvoltura una resa più miniaturistica. Il tipo detto di Siana si evolverà nelle due successive tipologie dette di Gordion e dei Piccoli Maestri. Si distinguono facilmente due tipologie decorative.
Decorazione Overlap
Nel tipo decorativo detto overlap la decorazione esterna è unica e invade anche il bordo.
Decorazione Double decker
In questa variante la decorazione si presenta invece scandita, come nel tipo dei comasti, in due fasce sovrapposte (double decker): il registro inferiore presenta scene figurative mentre quello superiore esibisce motivi calligrafici, perlopiù floreali.
Coppe di Gordion (ca. 560 a.C.)
La disinvolta maturità tecnica e artistica raggiunta dai maestri attici, di cui si già è detto, si accompagna a una nuova consapevolezza degli esiti artistici raggiunti. Segno ne è l'abitudine di firmare le proprie creazioni, secondo un uso che diventerà ancor più frequente in seguito soprattutto quando, nell'Atene democratica del dopo Pisistrato, maturerà la percezione di un accresciuto ruolo sociale. Proprio grazie a questa tendenza ci è possibile attribuire alcune innovazioni plastiche e pittoriche ad artisti di cui siamo in grado di pronunciare anche il nome.
L'invenzione di questa nuova tipologia, ad esempio, è possibile attribuirla ad Ergotimos e Kleitias, gli stessi artefici del celebre vaso François, i cui nomi sono incisi su un esemplare proveniente da Gordion, in Frigia, località da cui discende il nome attribuito. L'eleganza rigorosa di Kleitias si evidenzia nella semplice ma raffinata composizione circolare di tre delfini ed un pesce, presente sul tondo interno.
Come è possibile vedere, questa coppa è una via di mezzo tra il tipo precedente di Siana e quelli successivo della serie dei Piccoli Maestri. Da notare che il labbro del calice mostra ancora una discontinuità con il profilo dell'invaso, ma ora non è più svasato bensì convesso. La convessità del labbro sparirà nella successiva serie dei Piccoli Maestri, per riapparire con i tipi A e B. Come nelle successive Band-cups, la vernice nera che ricopre la coppa risparmia solo una banda su cui è collocata la decorazione; i fregi sono ancora più miniaturistici e ridotti di quelli delle coppe di Siana.
Coppe dei Piccoli Maestri (550-525 a.C.)
Il nome Piccoli Maestri (Kleinmeister) è stato attribuito da studiosi di scuola tedesca riferendosi allo spiccato gusto miniaturistico elaborato dei maestri ceramografi attici, che le dipinsero utilizzando con consapevole maestria la tecnica a figure nere. Si presentano con lo stelo più slanciato e si caratterizzano, in genere, per l'assenza del tondo interno decorato. Si distinguono due tipi principali, Lip-Cups (con il sottotipo Kassel-Cups) e Band-Cups. Esiste poi un terzo tipo, più raro, detto Droop-Cups, dal nome dello studioso che per primo le ha classificate.
Lip cup
Le lip cup, così denominate dalla presenza di un labbro dal profilo ancora distinguibile dall'invaso, offrono generalmente una miglior qualità pittorica. La campitura in vernice nera interessa sia il piede che la parte bassa dell'invaso. La fascia orizzontale risparmiata dalla vernice, tra le due anse, è scandita orizzontalmente da una risega sottolineata da una linea sottile tracciata un po' al disopra delle anse. Al di sopra di questa si sviluppa una decorazione consistente in una raffigurazione animale o in una figura umana. Al di sotto è dipinta un'iscrizione, spesso l'unica pittura della coppa, che si distende tra due piccole palmette presenti alla giunzione delle anse. La scrittura, resa in una grafia misurata, con caratteri minuti e accurati, rivela la sua natura decorativa.
Kassel cup
Esemplari più piccoli di questo tipo sono classificati con il nome di Kassel cup
Band Cups
Le band cups, quasi completamente verniciate di nero, si caratterizzano per presenza di una banda orizzontale risparmiata fra le due anse, come negli esempi di Gordion, ma anche, a differenza di tutte le precedenti tipologie, per l'assenza del labbro rialzato il cui profilo è ora privo di qualsiasi discontinuità con il corpo, come nelle prime due tipologie immediatamente successive (coppe A e B). Il fregio riporta spesso un'iscrizione o una decorazione e, occasionalmente, raffigurazioni o animali in configurazioni antitetiche. Il tondo centrale è figurato o dipinto a cerchi concentrici.
Droop Cups (550 - 510 a.C.)
Le Droop-Cups (o di Antidoros), raramente rinvenute, sono datate intorno alla seconda metà del VI secolo a.C. e devono il nome allo studioso che vi focalizzo l'attenzione. In esse il gusto calligrafico e miniaturistico dei Piccoli Maestri si esprime in decorazioni ancora più sviluppate fondendosi a soluzioni decorative di tipo laconico, quali il tondo interno decorato a motivi concentrici e la divisione in fasce dello stelo.
Ci troveremmo di fronte, secondo gli studiosi, ad oggetti che testimoniano un'interpretazione laconica del gusto attico dovuta alla intenzione dei maestri spartani di affermarsi sul mercato ateniese, oppure dell'opera di maestri laconici operanti nella manifattura ateniese. La decorazione di queste coppe sembra spesso provenire da una cerchia specializzata di artisti dediti unicamente a questo tipo, ma non mancano contributi di altri maestri non specialisti di questi vasi, oltre che, anche se raramente, figure di artisti come Exekias, Nikosthenes e il Pittore di Amasis.
Coppa A (525-500 a.C. circa)
Nella classificazione di John Beazley, l'ultimo quarto del VI secolo a.C. vede il differenziarsi di tre forme principali. Nella coppa di tipo A, il corpo è largo e poco profondo, il labbro non è più svasato e il suo profilo prolunga senza alcuna discontinuità il disegno del corpo. Lo stelo è più corto e nettamente separato dall'invaso, con la linea di giunzione evidenziata da un anello prominente.
Eye-cups
Al tipo A appartiene la maggior parte delle coppe a occhioni, originariamente a figure nere, così chiamate per la frequente presenza della raffigurazione «ad occhioni», una simbologia che, nella sua tipicità, doveva avere una presumibile funzione apotropaica.
I più antichi esemplari rinvenuti sembrano indicare in Exekias, vasaio e ceramografo, l'invenzione sia della forma A che della decorazione ad occhioni che servirà da modello anche nella successiva fase a figure rosse. Exekias si produrrà in esiti ancor più originali riuscendo ad adattare perfino al ristretto spazio della fascia tra le anse la grandiosità austera dei suoi epici ed eroici combattimenti,[5] e a trasformare il tondo interno in un'ampia e distesa espressione pittorica, il cui culmine può essere considerato il celeberrimo dipinto della solitaria navigazione di Dioniso in un mare solcato dai delfini, uno dei temi della narrazione dionisiaca.
Coppa B (510-500 a.C. circa)
La coppa di tipo B è la tipica coppa a figure rosse; ha un disegno più delicato del precedente, si presenta con un invaso ancora poco profondo ma con uno stelo più slanciato e sottile. Si caratterizza per il profilo continuo, dal labbro, che come nel tipo A è convesso e privo di discontinuità con l'invaso, fino allo stelo e al piede, dove è interrotto solo da un basso scalino.
La paternità della tipologia, nell'ultima decade del secolo, sembrerebbe da attribuirsi al pittore della bottega di Amasis, con tecnica a figure nere: la firma del vasaio Amasis è infatti presente su molti esemplari. La sua diffusione è comunque legata soprattutto alla tecnica a figure rosse. Questa forma continuerà ad essere prodotta fino alla metà del IV secolo a.C.
Coppa C
Nella coppa di tipo C, più rara delle precedenti, si assiste al ritorno del labbro distinto e svasato rispetto al corpo, anche se il passaggio dall'invaso concavo al labbro convesso è privo di quelle discontinuità presenti nelle coppe precedenti al tipo A. La giunzione tra la parte inferiore dello stelo e il piede è ora marcata da un anello prominente. Il bordo riservato del piede si distingue nettamente dalla superiore superficie piana. Coppe di questo tipo sono attestate ad Atene intorno al 525 a.C., con decorazione esclusivamente a figure rosse, e continueranno ad essere popolari fino al secondo quarto del IV secolo a.C.
Coppa dei comasti (600-575 a.C. circa)
Questo primo tipo di coppa attica a figure nere, evolutasi, come detto, da prototipi corinzi, deve il suo nome al soggetto prevalente sulle pareti esterne dell'invaso, caratterizzato da scene di danze orgiastiche (kòmos), per le quali la ceramografia attica si mostra chiaramente debitrice a motivi corinzi. Presenta un labbro svasato, stretto e poco pronunciato, ma nettamente angolato rispetto al corpo che, dal canto suo, poggia su un corto stelo dal piede svasato; le anse sono poste appena sotto il labbro in posizione quasi orizzontale. L'ornamento floreale presso le anse non ha alcun antecedente corinzio, la decorazione attica riguarda unicamente le pareti esterne, mentre la coppa corinzia ha spesso all'interno un gorgoneion. Sulle pareti il fregio inferiore, più in evidenza, contiene le scene figurative mentre il registro superiore, coincidente con l'orlo svasato, è decorato con motivi calligrafici (reti e rosette incise).
Coppa di Siana (575-550 a.C. circa)
Il nome deriva dall'omonima località dell'isola di Rodi, sito di rinvenimento di due esemplari (British Museum B379 e B380, quest'ultima attribuita al Pittore C).
Il labbro si presenta ancora svasato e nettamente spiccato dal corpo ma, rispetto al precedente, occupa una fascia visibilmente più larga. Anche lo stelo appare più lungo, snello e slanciato. La decorazione è sempre a figure nere, ma, a differenza del tipo precedente, interessa anche l'interno della coppa, dove è presente un tondo figurato all'interno di uno spesso bordo decorativo. Lo stile decorativo riflette il perfezionamento della tecnica a figure nere e dell'incisione: i ceramografi attici tendono ad abbandonare, non solo nelle kylikes ma in tutte le forme vascolari, la monumentalità decorativa protoattica prediligendo ed esercitando con disinvoltura una resa più miniaturistica. Il tipo detto di Siana si evolverà nelle due successive tipologie dette di Gordion e dei Piccoli Maestri. Si distinguono facilmente due tipologie decorative.
Decorazione Overlap
Nel tipo decorativo detto overlap la decorazione esterna è unica e invade anche il bordo.
Decorazione Double decker
In questa variante la decorazione si presenta invece scandita, come nel tipo dei comasti, in due fasce sovrapposte (double decker): il registro inferiore presenta scene figurative mentre quello superiore esibisce motivi calligrafici, perlopiù floreali.
Coppe di Gordion (ca. 560 a.C.)
La disinvolta maturità tecnica e artistica raggiunta dai maestri attici, di cui si già è detto, si accompagna a una nuova consapevolezza degli esiti artistici raggiunti. Segno ne è l'abitudine di firmare le proprie creazioni, secondo un uso che diventerà ancor più frequente in seguito soprattutto quando, nell'Atene democratica del dopo Pisistrato, maturerà la percezione di un accresciuto ruolo sociale. Proprio grazie a questa tendenza ci è possibile attribuire alcune innovazioni plastiche e pittoriche ad artisti di cui siamo in grado di pronunciare anche il nome.
L'invenzione di questa nuova tipologia, ad esempio, è possibile attribuirla ad Ergotimos e Kleitias, gli stessi artefici del celebre vaso François, i cui nomi sono incisi su un esemplare proveniente da Gordion, in Frigia, località da cui discende il nome attribuito. L'eleganza rigorosa di Kleitias si evidenzia nella semplice ma raffinata composizione circolare di tre delfini ed un pesce, presente sul tondo interno.
Come è possibile vedere, questa coppa è una via di mezzo tra il tipo precedente di Siana e quelli successivo della serie dei Piccoli Maestri. Da notare che il labbro del calice mostra ancora una discontinuità con il profilo dell'invaso, ma ora non è più svasato bensì convesso. La convessità del labbro sparirà nella successiva serie dei Piccoli Maestri, per riapparire con i tipi A e B. Come nelle successive Band-cups, la vernice nera che ricopre la coppa risparmia solo una banda su cui è collocata la decorazione; i fregi sono ancora più miniaturistici e ridotti di quelli delle coppe di Siana.
Coppe dei Piccoli Maestri (550-525 a.C.)
Il nome Piccoli Maestri (Kleinmeister) è stato attribuito da studiosi di scuola tedesca riferendosi allo spiccato gusto miniaturistico elaborato dei maestri ceramografi attici, che le dipinsero utilizzando con consapevole maestria la tecnica a figure nere. Si presentano con lo stelo più slanciato e si caratterizzano, in genere, per l'assenza del tondo interno decorato. Si distinguono due tipi principali, Lip-Cups (con il sottotipo Kassel-Cups) e Band-Cups. Esiste poi un terzo tipo, più raro, detto Droop-Cups, dal nome dello studioso che per primo le ha classificate.
Lip cup
Le lip cup, così denominate dalla presenza di un labbro dal profilo ancora distinguibile dall'invaso, offrono generalmente una miglior qualità pittorica. La campitura in vernice nera interessa sia il piede che la parte bassa dell'invaso. La fascia orizzontale risparmiata dalla vernice, tra le due anse, è scandita orizzontalmente da una risega sottolineata da una linea sottile tracciata un po' al disopra delle anse. Al di sopra di questa si sviluppa una decorazione consistente in una raffigurazione animale o in una figura umana. Al di sotto è dipinta un'iscrizione, spesso l'unica pittura della coppa, che si distende tra due piccole palmette presenti alla giunzione delle anse. La scrittura, resa in una grafia misurata, con caratteri minuti e accurati, rivela la sua natura decorativa.
Kassel cup
Esemplari più piccoli di questo tipo sono classificati con il nome di Kassel cup
Band Cups
Le band cups, quasi completamente verniciate di nero, si caratterizzano per presenza di una banda orizzontale risparmiata fra le due anse, come negli esempi di Gordion, ma anche, a differenza di tutte le precedenti tipologie, per l'assenza del labbro rialzato il cui profilo è ora privo di qualsiasi discontinuità con il corpo, come nelle prime due tipologie immediatamente successive (coppe A e B). Il fregio riporta spesso un'iscrizione o una decorazione e, occasionalmente, raffigurazioni o animali in configurazioni antitetiche. Il tondo centrale è figurato o dipinto a cerchi concentrici.
Droop Cups (550 - 510 a.C.)
Le Droop-Cups (o di Antidoros), raramente rinvenute, sono datate intorno alla seconda metà del VI secolo a.C. e devono il nome allo studioso che vi focalizzo l'attenzione. In esse il gusto calligrafico e miniaturistico dei Piccoli Maestri si esprime in decorazioni ancora più sviluppate fondendosi a soluzioni decorative di tipo laconico, quali il tondo interno decorato a motivi concentrici e la divisione in fasce dello stelo.
Ci troveremmo di fronte, secondo gli studiosi, ad oggetti che testimoniano un'interpretazione laconica del gusto attico dovuta alla intenzione dei maestri spartani di affermarsi sul mercato ateniese, oppure dell'opera di maestri laconici operanti nella manifattura ateniese. La decorazione di queste coppe sembra spesso provenire da una cerchia specializzata di artisti dediti unicamente a questo tipo, ma non mancano contributi di altri maestri non specialisti di questi vasi, oltre che, anche se raramente, figure di artisti come Exekias, Nikosthenes e il Pittore di Amasis.
Coppa A (525-500 a.C. circa)
Nella classificazione di John Beazley, l'ultimo quarto del VI secolo a.C. vede il differenziarsi di tre forme principali. Nella coppa di tipo A, il corpo è largo e poco profondo, il labbro non è più svasato e il suo profilo prolunga senza alcuna discontinuità il disegno del corpo. Lo stelo è più corto e nettamente separato dall'invaso, con la linea di giunzione evidenziata da un anello prominente.
Eye-cups
Al tipo A appartiene la maggior parte delle coppe a occhioni, originariamente a figure nere, così chiamate per la frequente presenza della raffigurazione «ad occhioni», una simbologia che, nella sua tipicità, doveva avere una presumibile funzione apotropaica.
I più antichi esemplari rinvenuti sembrano indicare in Exekias, vasaio e ceramografo, l'invenzione sia della forma A che della decorazione ad occhioni che servirà da modello anche nella successiva fase a figure rosse. Exekias si produrrà in esiti ancor più originali riuscendo ad adattare perfino al ristretto spazio della fascia tra le anse la grandiosità austera dei suoi epici ed eroici combattimenti,[5] e a trasformare il tondo interno in un'ampia e distesa espressione pittorica, il cui culmine può essere considerato il celeberrimo dipinto della solitaria navigazione di Dioniso in un mare solcato dai delfini, uno dei temi della narrazione dionisiaca.
Coppa B (510-500 a.C. circa)
La coppa di tipo B è la tipica coppa a figure rosse; ha un disegno più delicato del precedente, si presenta con un invaso ancora poco profondo ma con uno stelo più slanciato e sottile. Si caratterizza per il profilo continuo, dal labbro, che come nel tipo A è convesso e privo di discontinuità con l'invaso, fino allo stelo e al piede, dove è interrotto solo da un basso scalino.
La paternità della tipologia, nell'ultima decade del secolo, sembrerebbe da attribuirsi al pittore della bottega di Amasis, con tecnica a figure nere: la firma del vasaio Amasis è infatti presente su molti esemplari. La sua diffusione è comunque legata soprattutto alla tecnica a figure rosse. Questa forma continuerà ad essere prodotta fino alla metà del IV secolo a.C.
Coppa C
Nella coppa di tipo C, più rara delle precedenti, si assiste al ritorno del labbro distinto e svasato rispetto al corpo, anche se il passaggio dall'invaso concavo al labbro convesso è privo di quelle discontinuità presenti nelle coppe precedenti al tipo A. La giunzione tra la parte inferiore dello stelo e il piede è ora marcata da un anello prominente. Il bordo riservato del piede si distingue nettamente dalla superiore superficie piana. Coppe di questo tipo sono attestate ad Atene intorno al 525 a.C., con decorazione esclusivamente a figure rosse, e continueranno ad essere popolari fino al secondo quarto del IV secolo a.C.
KERAMOS - Forme ceramiche greche: XXVIII, Rhytòn
Il rhytòn (plurale rhytà) è un contenitore forato dal quale i liquidi che vi venivano versati potevano fuoriuscire per essere bevuti, o versati in cerimonie come la libagione. I rhytà erano molto comuni nell'antica Persia, dove erano chiamati takūk. La parola occidentale rhytòn è la traslitterazione dell'antico greco ῥυτόν.
Dopo la vittoria greca sugli invasori persiani nel 479 a.C. molti beni di lusso inclusi numerosi rhytà furono portati ad Atene come bottino e furono immediatamente imitati dagli artisti greci.
La parola si pensa provenga dal greco rhein, "scorrere", che a sua volta deriverebbe dall'indoeuropeo *sreu-, "flusso", e significherebbe perciò "che versa". Molti vasi considerati rhytà erano caratterizzati da un'ampia apertura superiore e da un foro da cui il liquido scorreva. Si riempiva il rhyton, con vino o altri liquidi, tenendo chiuso il foro con un dito e lo si stappava poi lasciando il fluido scorrere in bocca (o per terra nel caso della libagione), allo stesso modo in cui si può bere da un otre.
Smith mise in evidenza che questo uso era attestato nei dipinti classici ed accettò l'etimologia di Ateneo per cui esso fu denominato apo tes rhyseos, "dalla corrente". Smith ipotizzò che il nome rhyton fosse una denominazione recente di un vaso precedentemente chiamato keras, "corno", nel senso di corno potorio. La parola rhyton non è presente nel greco miceneo, scritto in Lineare B, ma un rhyton a testa di toro viene menzionato come kera-a nell'inventario dei vasi a Cnosso.Si sono conservati molti esemplari cretesi.
Non si può supporre che ogni corno per bere o vaso per libagione fosse forato in basso, specialmente nella fase preistorica della forma. La funzione di attingitoio sarebbe venuta prima. Una volta che i fori ad una delle estremità iniziarono ad apparire, comunque, ispirarono interpretazioni zoomorfe e decorazioni plastiche nella forma di teste di animali, con il fluido che scorreva dal beccuccio come da un muso bovino, equino, di cervo e anche canino.
I rhytà si trovano tra i reperti di varie civiltà, appartenenti al Vicino Oriente o prossime ad esso, come l'altopiano iranico dal secondo millennio a.C. in avanti. Essi sono spesso conformati come teste animali o a forma di corno e possono essere molto decorati, con metalli e pietre preziose. Nella Creta minoica, le teste di toro in oro e in argento con aperture per permettere al vino di scorrere dalla bocca del toro sembrano essere particolarmente comuni, e molte sono state recuperate dai grandi palazzi.
Non tutti i rhytà erano così costosi: molti erano semplici tazze coniche in ceramica decorate sobriamente.
Rhytà realizzati in lamina d'oro a sbalzo di particolare bellezza sono stati ritrovati in Bulgaria negli ultimi decenni. In particolare, il Tesoro di Panagjurište, scoperto nel 1949 a 2 km a sud dell'omonima città. I reperti sono stati datati tra la fine del IV e l'inizio del III secolo a.C. e provengono dalle regioni in quel tempo abitate dai Traci Odrisi e dai Geti. Il tesoro fu sepolto probabilmente per evitare che fosse trafugato da invasori Macedoni o Celti. Si ritiene che possa essere appartenuto al re trace Seute III.
La ceramica ateniese classica a figure rosse era decorata con temi tratti dalla mitologia. Un tema standard della raffigurazione erano i satiri i quali, muniti di otri e rhytà, simboleggiavano trivialità. I rhytà a forma di corno si trovano frequentemente rappresentati nelle composizioni unitamente agli organi sessuali eretti dei satiri, ma questo tema vistosamente erotico e talvolta umoristico sembra essere stato uno sviluppo tardo, in linea con il gusto ateniese, quale viene espresso nelle commedie di Aristofane. I rhyta decorati e preziosi delle civiltà antecedenti sono lussuosi piuttosto che licenziosi.
La connessione dei satiri con il vino e i rhytà fu ripresa in seguito da Nonno di Panopoli (V sec. d.C.) nelle Dionisiache, dove è descritta la scoperta della fabbricazione del vino da parte dei satiri
"... il succo rosso del frutto ribolle fuori con schiuma bianca. Essi lo raccolgono con corni di bue, invece che in tazze (ancora mai viste), cosicché, dopo, la tazza per miscelare il vino prese questo nome divino di 'corno per vino'."
Karl Kerenyi, nel citare questo passaggio, sottolineò: "Al centro di questo mito riccamente elaborato, in cui anche il poeta richiama il rhytà, non è facile separare gli elementi cretesi da quelli originatisi in Asia Minore."
Nelle foto, dall'alto:
Rhyton a forma di testa di mulo, Atene V secolo a.C.
Rhyton a forma di testa di montone, Puglia IV secolo a.C., Antikensammlung Kiel
Rhyton a forma di testa di cane, Atene V secolo a.C.
Rhyton a forma di testa di cerbiatto, Atene V secolo a.C., Museo archeologico nazionale delle Marche
Rhyton a forma di testa di ariete, forse da Nola,circa 470-460 a.C., Petit Palais
Rhyton a forma di testa di cane, 330-320 a.C.
KERAMOS - Forme ceramiche greche: XXVII, Pixis
Con il termine pyxis (ΠΥΞΙΣ, plurale pyxides), o pisside, si indica una piccola scatola cilindrica in ceramica, dotata di coperchio, con un diametro medio di 10 cm, che veniva utilizzata nella Grecia antica per contenere profumi, gioielli o unguenti medicinali; in base alle decorazioni vascolari sembra fosse un oggetto di uso prevalentemente femminile. È possibile che in antichità il termine fosse largamente applicato ad oggetti in materiali diversi, mentre il nome usato in ambito attico per la pyxis era probabilmente kylichnis (pl. kylichnides).
Dalla forma protogeometrica, globulare e con piede basso, derivarono nel geometrico antico due varianti, una con fondo a punta, che non sopravvisse al IX secolo a.C., e una a fondo piatto. Quest'ultima si sviluppò in larghezza e venne decorata con una elaborata maniglia nella parte superiore del coperchio. A Corinto dalla fine dell'VIII secolo a.C. si produceva una pyxis con pareti verticali, ma dal VII si preferì una forma a pareti concave che ad Atene divenne, con molte varianti, la più diffusa fino al IV secolo a.C.
Testimoniata da esemplari decorati sia a figure nere sia a figure rosse è la tipologia caratterizzata da un corpo a pareti verticali con coperchio dotato di pareti ugualmente alte che si sovrappongono a quelle del corpo (tipo B). La tipologia con alte pareti concave, piede ad anello talvolta suddiviso in tre o quattro sezioni e coperchio piatto con impugnatura al centro (tipo A), inizia a diffondersi nel VII secolo a.C. e diviene la forma più diffusa fino al IV secolo a.C. Due forme presenti solo nel periodo delle figure rosse sono il tipo C (fine V e IV secolo a.C.) con basse pareti concave, corpo allargato e coperchio convesso, e il tipo D che è molto simile al B, ma con coperchio privo delle alte pareti verticali.
La pyxis nicostenica è una forma inventata nella bottega del ceramista Nicostene: ha coperchio a cupola con impugnatura, corpo a forma di campana rovesciata impostata su un corto stelo e un piede svasato. La tripod-pyxis, diffusa solo nel periodo delle figure nere ha il coperchio simile alla precedente, ma corpo a ciotola impostato su tre gambe ampie e piatte.
Nelle foto, dall'alto:
Pixis con le nozze di Teti e Peleo, Pittore dei Matrimoni, Louvre
Pixis ateniese a fondo bianco di tipo A con Menadi, V secolo a.C., Pittore di Sotheby
Pixis etrusca ad imitazione di modelli corinzi, Necropoli della Banditaccia, Tomba 2, 700-670 a.C.
KERAMOS - Forme ceramiche greche: XXVI, Skyphos
Lo skyphos (in greco: σκύφος, skyphos, plurale skyphoi, noto in italiano anche come scifo) è un tipo di vaso greco, una profonda coppa per bere con due piccole anse, solitamente orizzontali, impostate appena sotto l'orlo; il piede è basso o del tutto assente.
In base alla fonti letterarie sembra sia possibile che in antichità il termine venisse utilizzato in modo simile alla nomenclatura moderna. Frequentemente viene utilizzato anche il termine kotyle (plurale kotylai - dal greco κοτύλη), che designava in antichità una coppa in senso e di forma generica. Il kotyle era anche un'antica unità di volume.
La forma dello skyphos varia nel tempo, a partire dal protogeometrico, e secondo gli ambiti di produzione. La forma base si stabilizza con lo skyphos corinzio del VII secolo a.C., caratterizzato da pareti sottili, orlo curvato verso l'interno, anse piccole e piede ad anello. Da alcuni esemplari tardo geometrici dotati di invaso più ampio si sviluppa la tipologia greco-orientale della coppa a uccelli. In ambito attico lo skyphos assume pareti leggermente più spesse, con anse robuste e piede a toro.
Una seconda tipologia
frequente nelle figure rosse attiche, e spesso decorata con
una civetta, è quella recante anse di forma diversa, una verticale e
una orizzontale, con invaso più affusolato nella parte inferiore e
con piede più piccolo. La forma chiamata cup-skyphos è
dotata delle caratteristiche principali dello skyphos, ma con anse
che piegano verso l'alto e orlo leggermente convesso come
nelle kylikes.
Celebre forma vascolare della letteratura greca, è infatti il vaso da cui Polifemo beve il latte nel libro IX dell'Odissea.
Celebre forma vascolare della letteratura greca, è infatti il vaso da cui Polifemo beve il latte nel libro IX dell'Odissea.
Nelle foto, dall'alto:
Skyphos corinzio, 625-600 a.C., Louvre
Skyphos etrusco conVittoria alata, Museo archeologico di Firenze
Skyphos attico di tipo B, Museo archeologico di Antalya
KERAMOS - Forme ceramiche greche: XXV, Lekythos
La lekythos (in greco antico λήκυθος), in italiano lecito (/ˈlɛ:ʧito/), è un vaso dal corpo allungato, stretto collo con un'unica ansa e ampio orlo svasato. Era utilizzato nella Grecia antica e nelle zone magno-greche per conservare e versare olio profumato e unguenti, era impiegato dagli atleti, nelle cerimonie funebri e come segnacolo sepolcrale. La principale funzione del vaso, conservazione e aspersione di olio, ha determinato l'evolversi e lo stabilizzarsi della forma, dotata di collo stretto che limita la fuoriuscita del contenuto e orlo adatto ad impedirne lo spreco. Il termine era impiegato in antichità per ogni tipologia vascolare destinata a questo stesso uso, compreso l'ariballo, la distinzione tra le forme è una convenzione della nomenclatura moderna.
La forma vascolare comparve alla fine dell'epoca micenea e venne utilizzata ancora dai ceramisti italioti nel III secolo a.C.
La lekythos protogeometrica venne sostituita in epoca geometrica dalla oinochoe globulare, ma ricomparve in Attica all'inizio del VI secolo a.C. in due forme distinte, una simile alla forma corinzia detta "lekythos ariballica" per la somiglianza con il corpo globulare dell'ariballo, la seconda forse derivata dall'alabastron corinzio, con corpo ovale e anello plastico intorno al collo (detta Deianeira). La spalla, a partire dalla metà del VI secolo a.C., esattamente come accadde ad altre forme vascolari come l'hydria e l'anfora a collo distinto, si distinse dal corpo assumendo un andamento orizzontale e leggermente concavo. Questa forma si sviluppò fino ad assumere la conformazione standard della lekythos alla fine del secolo, con orlo evidente e a forma di calice, corpo cilindrico e piede a echino rovesciato: la lekythos che, nella seconda metà del V secolo a.C. venne adottata per le lekythoi a fondo bianco a destinazione funeraria. Questa tipologia era frequentemente dotata di una piccola camera interna che permetteva l'utilizzo di una piccola quantità di olio, quella sufficiente per una offerta funeraria. Nel periodo delle figure rosse venne prodotta (a partire dalla fine del VI secolo a.C., ma popolare solo alla fine del V e all'inizio del IV) una nuova versione della lekythos ariballica (squat lekythos), dove tornò la modanatura ad anello a separare il collo dalla spalla.
In funzione di segnacoli sepolcrali furono usati spesso semplici vasi fittili e poi, nella seconda metà del V secolo a.C., marmorei. Tra le testimonianze più antiche vi sono i grandi vasi di stile geometrico (VIII secolo a.C.) rinvenuti nel cimitero del Dipylon ad Atene. Questa consuetudine vede la sua maggiore diffusione tra VI e IV secolo a.C., continuando nel mondo greco fino all'età imperiale romana. Tra le forme più utilizzate vi erano proprio la lekythos e la loutrophòros; quest'ultima era un alto vaso a due anse usato per contenere acqua, in particolare quella del bagno nuziale, che distingueva le tombe degli adolescenti morti prima delle nozze. In conseguenza del prevalente uso funerario, furono eseguite anche lekythoi in marmo, con rilievi, che venivano deposte sulle tombe.
Questi piccoli flaconi di forma cilindrica a collo stretto si moltiplicarono a partire dalla metà del V secolo a.C. Disegnate in un primo momento al tratto su fondo avorio, si arricchirono progressivamente di colori vivi. Per S. Karouzou si trattò dei più nobili prodotti dell'arte greca, per le loro forme stabili e slanciate, per la qualità del disegno e per l'intensità emotiva che riuscirono ad esprimere i personaggi rappresentati su di esse. Il Museo Archeologico Nazionale di Atene possiede la collezione più ricca al mondo di lekythoi.
Lo stile delle lekythoi si suddivide convenzionalmente in quattro fasi:
- la prima fase di transizione fra stile a figure nere e stile a figure rosse
- la cosiddetta fase a vernice nera.
- la fase dell'età di Pericle (450-430 a.C.)
- la fase finale (430-400 a.C.)
I pittori anonimi che le hanno decorate vengono designati con il nome della loro opera più nota o di una particolarità stilistica che li contraddistinse. Tra i più importanti si annoverano:
- il Pittore di Achille, che fu considerato uno dei più abili e fini decoratori della metà del V secolo a.C. Il suo nome deriva da una delle sue migliori opere, l'anfora del Vaticano su cui è rappresentato Achille.
- il Pittore di Charon.
- il Pittore del canneto, attivo nell'ultimo quarto del V secolo a.C., più giovane degli altri, attorno al cui lavoro sono state riunite le ventidue lekythoi del Gruppo R (Reed group, o Gruppo del canneto).
Nelle foto, dall'alto in basso:
- Lekythos di forma standard.
- Lekythos della variante a profilo continuo detta Deianeira.
- Lekythos ariballica (squat lekythos). Louvre CA1727.
- Lekythos funeraria in marmo. Louvre Ma3403.
- Lekythos a fondo bianco. British Museum Vase D56.
KERAMOS - Forme ceramiche greche: XXIV, Askos
L'askos o asco (greco antico - tubo; plurale - askoi) è un'antica forma greca di vaso usata per versare piccole quantità di liquidi oleosi, utilizzata come unguentario o per riempire le lampade ad olio.
Il nome col quale in epoca moderna
si designa tale forma è convenzionale, esso era originariamente
usato per gli otri da vino in pelle d'animale, come se
ne vedono spesso sulle rappresentazioni vascolari a tema dionisiaco,
e viene usato in epoca moderna per designare questa forma vascolare
in base alla somiglianza morfologica.
L'uso è diffuso in Grecia e in Italia già in epoca preistorica e perdurante fino al periodo classico ed ellenistico.
Una tipologia di askos ha la forma piatta e tonda, più larga che alta, e per un tubo (collo) con beccuccio, impostato a una o a entrambe le estremità, collegato all'ansa leggermente arcuata che si estende lungo tutta la parte superiore, da un beccuccio all'altro o da un'estremità del corpo al beccuccio sull'estremità opposta. La caratteristica forma del collo lo rende adatto a trattenere la fuoriuscita dei liquidi oleosi. Sono in genere variamente ornati con decorazioni geometriche e figurate, frequenti sia a figure rosse, sia a vernice nera.
Ne esistono varianti plastiche zoomorfe o antropomorfe bifronti di stile teatrale, realizzate in ceramica od in bronzo. Di questa tipologia un esemplare è conservato nei Musei Vaticani, ricorda le maschere del Teatro Kabuki tradizionale giapponese. una variante di dimensioni maggiori e con corpo profondo a forma di uccello è frequente nella ceramica italiota, e in quella apula in particolare; gli askoi canosini, ancora più grandi, derivano da una tipologia indigena presente nella ceramica daunia.
Altri particolari esemplari provengono dal territorio di Crotone: si tratta di un askos in bronzo datato al 540-530 a.C. proveniente dalla chora meridionale di Kroton in territorio di Cutro, e di un secondo askos in bronzo, proveniente dalla loc. Murge di Strongoli, entrambi di raffinata fattura e raffiguranti delle sirene, le figure mitologico-religiose greche dal corpo di uccello e la testa di donna; l'impugnatura è un kouros (giovane) portato sulle spalle della sirena, e rappresenta un defunto trasportato dalla sirena; provengono infatti da contesti funerari a corredo di tombe: si pensava infatti che le sirene stazionavano alle porte degli Inferi con il compito di consolare le anime dei defunti con il loro dolce canto e di accompagnarle nell'Ade.
L'uso è diffuso in Grecia e in Italia già in epoca preistorica e perdurante fino al periodo classico ed ellenistico.
Una tipologia di askos ha la forma piatta e tonda, più larga che alta, e per un tubo (collo) con beccuccio, impostato a una o a entrambe le estremità, collegato all'ansa leggermente arcuata che si estende lungo tutta la parte superiore, da un beccuccio all'altro o da un'estremità del corpo al beccuccio sull'estremità opposta. La caratteristica forma del collo lo rende adatto a trattenere la fuoriuscita dei liquidi oleosi. Sono in genere variamente ornati con decorazioni geometriche e figurate, frequenti sia a figure rosse, sia a vernice nera.
Ne esistono varianti plastiche zoomorfe o antropomorfe bifronti di stile teatrale, realizzate in ceramica od in bronzo. Di questa tipologia un esemplare è conservato nei Musei Vaticani, ricorda le maschere del Teatro Kabuki tradizionale giapponese. una variante di dimensioni maggiori e con corpo profondo a forma di uccello è frequente nella ceramica italiota, e in quella apula in particolare; gli askoi canosini, ancora più grandi, derivano da una tipologia indigena presente nella ceramica daunia.
Altri particolari esemplari provengono dal territorio di Crotone: si tratta di un askos in bronzo datato al 540-530 a.C. proveniente dalla chora meridionale di Kroton in territorio di Cutro, e di un secondo askos in bronzo, proveniente dalla loc. Murge di Strongoli, entrambi di raffinata fattura e raffiguranti delle sirene, le figure mitologico-religiose greche dal corpo di uccello e la testa di donna; l'impugnatura è un kouros (giovane) portato sulle spalle della sirena, e rappresenta un defunto trasportato dalla sirena; provengono infatti da contesti funerari a corredo di tombe: si pensava infatti che le sirene stazionavano alle porte degli Inferi con il compito di consolare le anime dei defunti con il loro dolce canto e di accompagnarle nell'Ade.
Askos greco-attico (insolitamente grande) a figure rosse, 410-420 a.C., con Pegaso e una chimera, Louvre
Askos, Museo del LOuvre, Parigi
Askos a forma di uccello, bicromo, arcaico cipriota inizi VII secolo a.C., Kanellopoulos Museum, Atene
Krotn in bronzo, 540-530 a.C., Museo archeologico nazionale, Crotone
Askos etrusco a forma di gallo, Metropolitan Museum of Art, New York
KERAMOS - Forme ceramiche greche: XXIII, Kalathos e kalathiskos
In senso proprio, i termini kalathos (trascrizione dal
greco antico κάλαϑος) e il suo diminutivo kalathiskos (greco
antico καλαϑίσκος) indicano canestri o panieri di
vimini o di canne con base più stretta dell'apertura, usati per
riporvi frutta, spighe od oggetti, specie relativi ai lavori
muliebri. Se fornito di ansa, prende il nome di psykter (ψυκτήρ).
Sono il simbolo dell'operosità femminile o anche di particolari
divinità: quelle legate all'abbondanza, come Cerere, o ai
lavori femminili, come Atena, che secondo il mito fu la prima
filatrice. Le sacerdotesse di queste dee e di Afrodite usavano come
copricapo kàlathoi di giunchi o di rose.
Era usato nei
sacrifici dai sacerdoti e dalle sacerdotesse, come ci dicono le
pitture vascolari, per offrire le primizie alle divinità. La
leggendaria nascita del capitello corinzio narrata da Vitruvio narra
di un kalathos attorno a cui s'era avviluppato un acanto.
Il kalathiskos è legato alla danza rituale omonima,
praticata da danzatrici che lo usavano come copricapo; quando tale
danza era in onore di Apollo Karneios, era eseguita da giovani
di entrambi i sessi, sempre con lo stesso copricapo.
Da questi contenitori è derivato un tipo di vaso piuttosto raro, con pareti più o meno svasate o anche quasi verticali, che imita il kalathos o il kalathiskos di vimini o canne. La definizione è convenzionale.
Da questi contenitori è derivato un tipo di vaso piuttosto raro, con pareti più o meno svasate o anche quasi verticali, che imita il kalathos o il kalathiskos di vimini o canne. La definizione è convenzionale.
KERAMOS - Forme ceramiche greche: XXII, Alabastron
L'alabastron (in greco antico: ἀλάβαστρον, alàbastron) è un tipo di vaso utilizzato nel mondo antico per la conservazione d'olio, profumi o oli da massaggio. L'alabastron ha origine antica e certamente pregreca; prende il nome dal materiale (l'alabastro appunto) con cui era originariamente prodotto dai popoli che abitavano l'Africa mediterranea da cui poi si diffuse nel mondo classico. Morfologicamente si contraddistingue per dimensioni molto ridotte (che consentono di tenere il vaso in una mano), corpo longilineo e allungato, assenza di anse, e collo abbastanza stretto da permettere al liquido di cadere goccia a goccia. Molti esemplari presentano inoltre labbra piatte (così concepite per consentire l'applicazione degli oli direttamente sulla pelle) e base arrotondata, priva di piede, che implicava una struttura di appoggio (talvolta realizzata in metalli preziosi) o due forellini per mezzo dei quali veniva fatta passare una cordicella che permetteva al vaso di essere appeso. La conformazione dell'alabastron rispondeva ad esigenze particolari, similmente ad altre forme vascolari come la lekythos o l'ariballo, di modo che nel complesso il vasetto fosse adatto a contenere liquidi particolarmente preziosi e rari.
Da un punto di vista archeologico si distinguono tre tipologie principali di alabastra:
- una forma convenzionale di origine corinzia, diffusa in tutta la Grecia dalla seconda metà del VII secolo a.C. alla metà del VI secolo a.C., contraddistinta da corpo allungato con diametro massimo verso la base, profilo continuo, non più alta di 8/10 cm;
- una forma attica, più lunga (fino a 20 cm di altezza), introdotta alla fine del VI secolo a.C. e diffusa fino all'inizio del IV, ad imitazione della forma egiziana, con profilo a collo distinto, base arrotondata e struttura di mantenimento;
- una versione piriforme restituitaci soprattutto dai siti archeologici dell'Etruria e della Grecia orientale.
A livello decorativo l'alabastron segue la naturale evoluzione del decorativismo greco chiaramente adattato alla forma e alle dimensioni dell'oggetto che veniva scomposto generalmente in quattro bande orizzontali successivamente dipinte. Sono stati rinvenuti anche esemplari rifiniti con metalli preziosi, di fattura estremamente pregevole, evidentemente destinati ad un pubblico aristocratico.
L'alabastron, di origine non greca, era diffuso in tutte le terre del Mediterraneo antico e in particolare in Oriente e in Egitto. Evidenze archeologiche dimostrano come in questi luoghi l'alabastron fosse concepito in modo differente, realizzato sovente con materiali diversi dall'argilla come l'originale alabastro e il vetro dipinto.
KERAMOS - Forme ceramiche greche: XXI, Dinos
Il dinos (lingua greca antica δῖνος dínos o δεῖνος deínos - al plurale dínoi o deínoi) era un vaso a corpo globulare, destinato a poggiare su un supporto, avendo il fondo concavo; non ha anse. Era utilizzato in Grecia prevalentemente per mescolare l'acqua al vino.
Il termine è utilizzato in questa accezione solo a partire dall'epoca moderna, fonti letterarie sembrano suggerire che anticamente venisse usato per indicare una coppa da bevuta, mentre quello che oggi è chiamato dinos era chiamato lebes o lebete. Nell'accezione moderna la differenza tra il dinos e il lebete sembra basarsi sulle maggiori dimensioni del primo.
La forma, che derivava dai calderoni in metallo, apparve in ceramica a partire dalla metà del VII secolo a.C. Fu mantenuta fino al tardo V secolo a.C. e fu particolarmente importante nella prima metà del VI; il Dinos del Pittore della Gorgone, del 580 a.C., ne è il primo esempio noto ad Atene.
Il collo non è presente e l'imboccatura è ampia. Il fondo è arrotondato, privo di piede, e necessita di un supporto separato frequentemente dotato di elaborate modanature. Il corpo globulare del dinos, essendo privo di anse, consentiva una decorazione che si svolgeva intorno al vaso senza interruzioni. Esistono diverse rappresentazioni vascolari riguardanti l'utilizzo di questo recipiente nei simposi, si veda ad esempio l'anfora con il banchetto di Eracle e Atena del Pittore di Andocide.
Nelle foto, dall'alto:
Dinos, British Museum, GR 1848.6-19
Dinos, British Museum, GR 1848.6-19
Dinos di Prometeo con il suo supporto, Museo Nazionale delle Marche
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