mercoledì 26 marzo 2025

SCULTORI - Agesandro di Rodi

 

Agesandro di Rodi (in greco antico: Ἀγήσανδρος?; fl. I secolo a.C.-I secolo) è stato uno scultore greco antico, attivo a Rodi e in Italia in epoca tardo-ellenistica.
Il nome ricorre in contesti ed epoche differenti a Rodi ed è quindi riferibile a differenti scultori appartenuti ad una stessa famiglia e attivi per diverse generazioni. Un Agesandro è ricordato da Gaio Plinio Secondo come autore, insieme ai figli Atenodoro e Polidoro, del gruppo del Laocoonte, opera marmorea presente nella casa dell'imperatore Tito. I nomi di questi stessi tre autori ricorrono in uno dei gruppi marmorei (il gruppo di Scilla; ed anche quello di Polifemo) con i quali Tiberio adornò, in un programma scultoreo unitario, la grotta-ninfeo presso la propria villa a Sperlonga. I due gruppi, copie da prototipi bronzei preesistenti, riconducibili al fenomeno del neoellenismo (v. Scuola rodia), sono ritenuti quindi contemporanei e databili a partire dalla seconda metà del I secolo a.C.



SCULTORI - Agasia

 

Agasia
, figlio di Menofilo (Efeso, ... – ...; fl. I secolo a.C.), è stato uno scultore greco antico attivo nel I secolo a.C..
Agasia, figlio di Menofilo, noto per 4 iscrizioni firmate, appartenute a statue onorifiche e rinvenute a Delo, grazie alle quali è stato possibile datare la sua attività al I secolo a.C. Altre due firme provengono da Tino, appartenute a due opere bronzee speculari, secondo il gusto ellenistico, le quali ornavano l'altare del santuario di Posidone e Anfitrite. Gli viene attribuita una figura di gladiatore, in marmo, attualmente conservata ed esposta nel Museo archeologico nazionale di Atene.


SCULTORI - Agasia, figlio di Dositeo

 
Agasia
, figlio di Dositeo (Efeso, ... – ...; fl. II secolo a.C.), è stato uno scultore greco antico.
Agasia, figlio di Dositeo, fu uno scultore di Efeso non ricordato dalle fonti letterarie, ma attivo verso il 100 a.C., nel periodo del tardo ellenismo.
Di lui ci è giunta, rinvenuta presso Anzio, una statua in marmo rappresentante un guerriero in combattimento, chiamata Gladiatore Borghese, dal nome della collezione (Collezione Borghese) alla quale appartenne fino al 1808, quando fu venduta dal proprietario a suo cognato, Napoleone Bonaparte, per essere poi acquisita alle collezioni del Museo del Louvre di Parigi. L'opera è probabilmente una versione marmorea di un originale bronzeo di epoca ellenistica.
La firma dello scultore è posta sul piccolo tronchetto di supporto con l'iscrizione:
ΑΓΑΣΙΑΣ ΔΩΣΙΘΕΟΥ ΕΦΕΣΙΟΣ ΕΠΟΙΕΙ
(Mi fece Agasia, figlio di Dositeo di Efeso).
Una base con la stessa firma è stata trovata in Tessaglia.
Potrebbe trattarsi di un cugino di Agasias, figlio di Menofilo.

SCULTORI - Alcamene

 
Alcamene
 (in greco antico: Ἀλκαμένης?, Alkaménes; ... – ...; fl. V secolo a.C.) è stato uno scultore greco antico, attivo nella seconda metà del V secolo a.C. Fu autore di opere crisoelefantine, in bronzo e in marmo. Detto ateniese, forse per cittadinanza acquisita ma probabilmente originario di Lemnos, lo si ritiene, seguendo un passo di Plinio allievo di Fidia. Pausania attribuisce ad Alcamene il frontone occidentale del tempio di Zeus a Olimpia di cui grazie a Plinio conosciamo la datazione (intorno al 465 a.C.); alcuni studiosi, a partire da H. Schrader e non senza opinioni discordi, hanno risolto l'incongruenza cronologica ritenendo probabile la collaborazione di Alcamene al rifacimento delle tre figure femminili sdraiate agli angoli del frontone occidentale di Olimpia, le quali mostrerebbero, soprattutto nella struttura delle teste, difformità rispetto al resto del frontone e similitudini stilistiche rispetto alle opere attribuite ad Alcamene (tramite copie di epoca romana), le principali datate tra il 440 e il 410 a.C. L'ultimo lavoro di Alcamene sembra essere stato il donario colossale in marmo pentelico rappresentante Atena ed Eracle, dedicato da Trasibulo a Tebe poco dopo il 403 a.C.
Tra le opere accertate di Alcamene è l'erma chiamata Hermes propylaios, che Pausania vide sull'acropoli di Atene, non nominandone l'autore; ne restano diverse copie: due copie provenienti da Pergamo e da Efeso recano iscrizioni che ricollegano l'originale ad Alcamene. L'erma di Efeso, ora a Monaco, è ritenuta la più fedele ed ha permesso di datare l'originale attorno al 448 a.C., consentendo di fare discendere l'arcaismo della scultura più direttamente dall'ultimo stile severo.
Altra fondamentale opera attribuita da fonti epigrafiche e letterarie è il gruppo marmoreo con Procne e Itys che Pausania ricorda come opera dedicata dall'artista sull'acropoli. L'originale in marmo è conservato al Museo dell'acropoli di Atene (Acr. 1358).
La Afrodite dei giardini fu eseguita, sembra, in collaborazione con Fidia, sarebbe quindi anteriore al 432-431 a.C. Si trattava, seguendo Pausania, dell'immagine cultuale per un tempio di Afrodite eretto ad Atene. L'identificazione dell'opera non è ancora definitiva; è stata riconosciuta a partire dal Langlotz nella tipologia della Afrodite seduta e, più recentemente da E. Reisch, nel tipo iconografico della Afrodite appoggiata.
Gli viene attribuita l'Ecate tricorpore vista da Pausania sull'acropoli di Atene, nei pressi del tempio di Atena Nike e lo si ritiene inventore della nuova iconografia con i tre corpi distinti e le schiene appoggiate alla colonna, rispetto all'unico corpo con tre teste di epoca arcaica.
Tra le altre opere attribuite dalle fonti antiche: un Dioniso crisoelefantino per il santuario di Dioniso ad Atene, un Efesto bronzeo, del quale riferiscono Cicerone e Valerio Massimo, per l'Hephaestion nell'agorà di Atene, un Ares per il rispettivo tempio nell'agorà di Atene alla base del quale si ritengono pertinenti alcuni frammenti di un fregio ad altorilievo trovati nei pressi del tempio e stilisticamente affini alla Procne.
Il suo stile artistico è contraddistinto da una certa sobrietà pur nella maestosità della corrente classica attica; tra le tematiche ricorrenti preferite appaiono le divinità olimpiche.


(nelle foto dall'alto: , l'Ares Borghese, probabile copia di una statua di Alcamene, Louvre; Hermes propyalos, copia del II secolo dell'originale bronzeo di Alcamene da Pergamo, ora al Museo archeologico di Istanbul)

SCULTORI - Onata di Egina

 


Onata di Egina
(Egina, VI secolo a.C. – V secolo a.C.) è stato uno scultore greco antico attivo a Olimpia, Delfi e Atene tra il 500 e il 450 a.C. Figlio di un Mikon, anch'egli scultore, Onata visse nel periodo delle guerre persiane e fu un membro della fiorente scuola scultorea di Egina. Delle sue opere non ci è giunto nulla e la loro conoscenza è legata solo a fonti letterarie, un epigramma di età ellenistica (Antologia palatina, IX. 238) e soprattutto Pausania, che lo descrive come bronzista, autore di importanti opere pubbliche, anche in collaborazione con altri artisti. Le testimonianze monumentali eginetiche possono fornire un'idea dello stile di Onata, ma nessuna delle attribuzioni tentativamente effettuate si è rivelata sostenibile. Dall'acropoli di Atene proviene l'unica testimonianza epigrafica dell'opera di Onata: un'iscrizione su un pilastrino di marmo, che reca il suo nome e che sembra reggesse un cavallino di bronzo, probabile opera giovanile, databile epigraficamente all'inizio del V secolo a.C.
Pausania riferisce di una statua bronzea di Demetra eseguita per il santuario di Figalia, ma già scomparsa ai suoi tempi e posteriore al 480 a.C., di un colossale Apollo bronzeo a Pergamo e di un gruppo statuario offerto nel santuario di Zeus a Olimpia da Deinomenes per la vittoria riportata dal padre Ierone di Siracusa alla corsa dei carri dell'Olimpiade del 468 a.C. (Paus., VIII.42.1-8), opera eseguita in collaborazione con Calamide. A Olimpia Pausania ricorda anche un dono votivo degli Achei (Paus., V.25.8) che rappresentava un episodio della guerra di Troia, i nove eroi greci che avrebbero dovuto combattere contro Ettore e, di fronte ad essi, Nestore pronto a sorteggiarne i nomi; un Ermes crioforo dedicato dagli Arcadi (Paus., V.27.8) e un Eracle colossale commissionato dagli abitanti di Taso (Paus., V.25.12).
A Delfi Pausania menziona il donario bronzeo offerto dai Tarentini nel santuario di Apollo per celebrare la vittoria, tra il 467 e il 460 a.C., contro i Peuceti che raffigurava l'uccisione in battaglia di Opis, re dei Peuceti, ad opera dei fondatori di Taranto, Falanto e il mitico Taras. L'opera sarebbe stata realizzata da Onata in collaborazione con Ageladas (Paus., X, 13.10).

(nella foto, Torso di Apollo. Copia, probabilmente da una statua di Onata, ca. 460 BC, Glyptothek, Munich)




SCULTORI - Fidia

 


Fidia (in greco antico: Φειδίας, Pheidías; Atene, 490 a.C. circa – Atene, 430 a.C. circa) è stato uno scultore e architetto ateniese, attivo dal 470 a.C. circa ad Atene, Pellene, Platea, Tebe e Olimpia.
Fu l'artista che meglio riuscì ad interpretare gli ideali dell'Atene periclea, i quali raggiunsero e informarono di sé il mondo greco di epoca classica anche grazie e sulla scorta delle forme fidiache: il cantiere del Partenone, per il quale Fidia lavorò come sovrintendente, fu un grande laboratorio nel quale si formò la scuola degli scultori ateniesi attivi nella seconda metà del V secolo a.C. e tra i quali occorre almeno ricordare Agoracrito, Alcamene e Kolotes.
L'importanza di Fidia nella storia dell'arte greca, mai messa in discussione, ha tuttavia oscurato la realtà di ciò che realmente si conosce di questo: molte delle date cruciali relative alla sua attività restano controverse, le numerose fonti letterarie ne restituiscono un'immagine quasi leggendaria e le conoscenze che si hanno sulla sua opera si basano prevalentemente sulle copie rinvenute di alcune sculture, sulla descrizione di scrittori antichi e sui rinvii iconografici alle sue opere desumibili da ceramiche, rilievi, monete e gemme. Nessuna delle fonti letterarie giunte sino a noi, a partire da Gaio Plinio Secondo che segue le proprie fonti di epoca ellenistica, restituisce qualcosa in più rispetto ad una generica retorica relativa alla dignitosa grandezza del suo stile.
Fidia, figlio di Carmide, nacque ad Atene dove fu secondo alcune fonti allievo di Egia di Atene; la tradizione secondo la quale sarebbe stato allievo di Agelada è meno accreditata. Plinio pone il suo periodo di massima fioritura nella LXXXIII Olimpiade (448-445 a.C.) e lo dice formatosi inizialmente come pittore. Tra le opere giovanili vengono solitamente menzionate l'acrolito di Atena Arèia per il tempio di Platea e, ancora precedente, l'Atena crisoelefantina per Pellene in Acaia.
Opera di un già famoso bronzista dovette essere la colossale statua bronzea di Athena Promachos eretta sull'Acropoli di Atene, alla quale Fidia lavorò tra il 460 a.C. e il 450 a.C. Seguirono i lavori per il donario degli Ateniesi a Delfi, di cui riferisce Pausania, variamente datato in base alle vicende politiche di Cimone e generalmente connesso al rientro di quest'ultimo ad Atene dopo il periodo trascorso in esilio; rappresentava il generale Milziade, vincitore della battaglia di Maratona e padre di Cimone, insieme ad Atena, Apollo e agli eroi eponimi. Al 450 a.C. circa viene datata l'Athena Lemnia, commissionata dai colonizzatori ateniesi dell'isola di Lemno. L'opera fu identificata dal Furtwängler nei due torsi di Dresda e nella testa di Bologna (Museo civico archeologico, copia marmorea di età augustea, G1060), in base alle descrizioni presenti in Pausania e Luciano di Samosata e seguendo riproduzioni in opere d'arte minore. Allo stesso periodo si data anche l'Apollo bronzeo detto Parnopios, che Pausania ricorda dedicato sull'acropoli e che viene identificato con un tipo di cui si conoscono numerose copie detto Apollo Kassel, dal luogo di conservazione dalla copia principale.
In seguito Fidia lavorò come sovrintendente ai lavori per il nuovo tempio dedicato ad Atena, il Partenone; collaborò con gli architetti Ictino e Callicrate e seguì i lavori per la decorazione scultorea del tempio fino al 438 a.C. circa, quando si data la sua partenza per Olimpia e la consacrazione della colossale statua di culto crisoelefantina detta Athena Parthènos, realizzata da Fidia per la cella del tempio. Realizzò i modelli per le sculture dei due frontoni, per le 92 metope del fregio esterno e per il fregio interno (processione delle Panatenee), che decorava il muro della cella. Tali grandi lavori eseguiti con molti discepoli e allievi sono oggi quasi interamente conservati al British Museum (Collezione Elgin); molte figure rappresentate sono realizzate con la peculiare tecnica del panneggio bagnato ideato dallo stesso Fidia. Benché sia da escludere probabilmente una diretta partecipazione di Fidia all'opera scultorea, l'impronta di un unico ideatore dell'intero programma decorativo con i suoi complessi contenuti simbolici e cosmologici appare indiscussa.
Secondo la testimonianza di Plinio (XXXIV, 53), in un periodo che può essere compreso all'incirca tra l'Athena Parthènos e lo Zeus di Olimpia, Fidia partecipò a una competizione indetta per la realizzazione di una serie di amazzoni, da dedicare nel santuario di Efeso, insieme a Policleto, Kresilas e Phradmon; l'attribuzione a Fidia del tipo dell'Amazzone Mattei non è da considerarsi conclusiva ed esistono ancora dubbi sull'esistenza storica del concorso di cui narra Plinio.
Intorno al 438 a.C. si data l'incarico da parte del santuario di Olimpia per la realizzazione di una nuova e colossale statua crisoelefantina di Zeus Olimpio, da situare all'interno del tempio di Zeus; realizzata tra il 435 e il 425 a.C. venne annoverata tra le sette meraviglie del mondo; la statua è andata perduta, ma resta una delle opere greche maggiormente menzionate nella letteratura antica; Pausania, nella sua Periegesi della Grecia, ne offre una dettagliata descrizione.
Diverse, e tra le principali Aristofane (La pace), suoi scoliasti, Plinio e Plutarco (Vita di Pericle), sono le fonti letterarie che lo dicono vittima delle lotte politiche ateniesi e del clima antipericleo teso a screditare l'intera cerchia degli amici dello statista. Nel 433 a.C. fu accusato di essersi impadronito di una parte dell'oro destinato alla statua di Atena, ma riuscì a scagionarsi facendo pesare il metallo prezioso impiegato per le vesti della dea e dimostrando di aver usato esattamente la quantità ricevuta. Successivamente, fu accusato di empietà per aver raffigurato sé stesso sullo scudo della dea. Gettato in carcere, morì un anno dopo per malattia o per veleno.
I temi stilistici ricorrenti nelle fonti letterarie antiche sono la preminenza di Fidia nella rappresentazione della natura divina, secondo le modalità della grandezza e della compostezza, la sua versatilità, ossia la capacità di lavorare con differenti materiali applicati a differenti tecniche e infine quello della precisione e della capacità esecutiva.
I suoi bassorilievi sono notevoli per rigore compositivo e senso ritmico, staccandosi dalla staticità dei grandi fregi orientali: nella processione delle Panatenaiche vengono inseriti dei contrappunti, come personaggi girati all'indietro, e la composizione si articola per linee curve, convergenti e divergenti. I personaggi sono ben distinti e scalati, dando l'impressione dell'affollamento di molti individui e non di un ammasso indifferenziato.

nelle foto, dall'alto in basso:
particolare del fronte orientale del Partenone
Iride, dal frontone ovest del Partenone
Testa di Atena. Bologna, Museo civico archeologico G106
rilievi dal Partenone

SCULTORI - Silanion


Silanion
 (IV secolo a.C.; Atene, ... – ...; fl. IV secolo a.C.) è stato uno scultore, bronzista e teorico greco antico attivo, tra il 360 e il 330 a.C. circa, prevalentemente ad Atene e a Olimpia, ma si conservano iscrizioni con il suo nome a Pergamo e a Efeso. Vitruvio lo ricorda come autore di un trattato teorico in cui stabilì un proprio canone proporzionale, rimasto ignoto.
Fu autodidatta secondo Plinio (Nat. Hist., XXXIV, 51) e famoso soprattutto come ritrattista. Tra le sue opere si ricordano un ritratto, più volte copiato in età ellenistica, di Platone (Diogene Laerzio, III, 25), dedicato alle Muse da Mitridate di Persia nell'Accademia di Atene, un ritratto di Saffo (Cicerone, in Verrem, II, IV, 57.126) rappresentata come decima Musa, una statua di Giocasta (Plutarco, Moralia 674A) che costituisce uno dei primi esempi di sculture ispirate agli eroi della tragedia greca, una statua raffigurante lo scultore ateniese Apollodoro, rappresentato con grande realismo, in uno dei suoi molti momenti di esagerato perfezionismo e di sdegno, durante i quali distruggeva le sue opere per insoddisfazione.
Numerose anche le statue di atleti fra le quali si conserva un originale di discussa attribuzione (Atene, Museo archeologico nazionale Br. 6439): la testa bronzea del pugilatore Satyros vincitore alle Olimpiadi del 332-328 a.C. (Pausania, VI, 4.5).
Difficile formulare un giudizio critico su Silanion data la scarsa conoscenza di opere sicure, sia pure in copie; le uniche attribuzioni non esclusivamente ipotetiche sono quelle riguardanti il Platone e il Satyros. Il suo Platone è considerato come il primo ritratto individualizzato in senso sia fisionomico che caratteriale (v. Ritratto ellenistico); l'accentuazione della fisionomia sembra d'altra parte aver condotto Silanion al grottesco come si può vedere nel ritratto di Satyros, quasi una maschera caratterizzata da un grande virtuosismo tecnico.

(nella foto, Testa bronzea di pugilatore, forse Satyros, attribuita a Silanion. Atene, Museo archeologico nazionale Br. 6439.)

SCULTORI - Naucide

 
Naucide
 (in greco Ναυκύδης; V secolo a.C. – IV secolo a.C.) è stato uno scultore greco antico, attivo tra il 420 e il 390 a.C. circa (Plinio il Vecchio, Nat. hist., XXXIV, 50) e appartenente alla scuola policletea di prima generazione. Pausania il Periegeta lo definisce figlio di Motone e fratello di Policleto[1] (II, 22, 7), del quale fu anche maestro (VI, 6, 2). Suo allievo fu anche Alipo (Paus., VI, 1, 3). Numerose sono le opere assegnategli dalle fonti e tra queste Plinio ricorda un Hermes, un discoforo e un sacrificatore di ariete (Nat. hist., XXXIV, 80); si ricordano ancora una Ebe per l'Heraion di Argo in tecnica crisoelefantina (Paus., II, 17, 5), una Ecate bronzea presso il tempio di Ilizia ad Argo e due statue del lottatore Cheimon, queste ultime opere databili all'ultimo venticinquennio del V secolo a.C. (Paus., VI, 9, 3).
L'identificazione del discoforo marmoreo dei Musei Vaticani (Sala della Biga 2349, restaurato con testa non pertinente) con l'opera bronzea attribuita dalle fonti letterarie antiche a Naucide, datata ai primi anni del IV secolo a.C., risale a Ennio Quirino Visconti. La tipologia è conosciuta attraverso altre copie; la copia dei Musei Capitolini (nella foto, Centrale Montemartini, Sala Macchine S 1865), pur priva degli arti, potrebbe aver conservato la freschezza dell'originale nel trattamento del volto e dei capelli. Numerosi sono i dettagli policletei, sia nella struttura del corpo, con l'accentuazione di alcuni muscoli, sia nella modellazione e nella posa dell'atleta, derivate dal periodo tardo di Policleto, caratterizzato da maggiore fluidità nel passaggio tra i piani e da una maggiore staticità.
Il giovane sembra rappresentato nel momento di concentrazione che precede l'azione; la figura, non più interessata al contrapposto, è posizionata sulla diagonale, quasi invitando l'osservatore ad un percorso ad arco intorno ad essa per affermarne la tridimensionalità e la presenza nello spazio, superando in tal modo la frontalità e l'idealizzazione del V secolo a.C.

SCULTORI - Antenore

 
Antenore
 o Antenor (Atene, VI secolo a.C. – ...) è stato uno scultore greco antico, attivo tra il 530 e il 510 a.C.  . La figura di Antenor è una delle poche dell'epoca arcaica ad emergere con una certa chiarezza, attestata da fonti letterarie ed epigrafiche. Il padre, come si legge sulla base della sua opera più nota ovvero la kore Acropolis 681, sembra essere stato il pittore Eumares, ricordato da Plinio il Vecchio di cui ci resta una dedica per un'offerta fatta sull'acropoli di Atene datata circa 520 a.C. Resta anche parte del nome del fratello di Antenore, anch'egli scultore.
Pausania (Paus. 1.8.5) ricorda Antenor come autore del perduto gruppo bronzeo dei Tirannicidi Armodio e Aristogitone, che uccisero Ipparco, nel 514 a.C. L'opera venne posta nell'agorà ateniese e divenne il simbolo della libertà. Questo gruppo fu trafugato dai Persiani durante l'occupazione di Atene nel 480 a.C. (vedi Guerre Persiane) e restituito agli ateniesi da Alessandro Magno (secondo lo storico Arriano) o da Seleuco I Nicatore (secondo lo scrittore romano Valerio Massimo).
La datazione dell'opera è posta generalmente intorno al 510 a.C., ma alcuni studiosi, tra i quali il Raubitschek, hanno avanzato l'ipotesi che possa essere datata ad un'epoca immediatamente posteriore alla battaglia di Maratona.
L'unica sua opera rimasta in buono stato di conservazione è la maestosa kore (nella foto), conservata nel Museo dell'Acropoli ad Atene. Scolpita da Antenore per il vasaio Nearchos che la dedicò ad Atena è la più grande delle korai a noi giunte; il confronto con le figure femminili del frontone orientale del Tempio di Apollo a Delfi sembra supportare l'attribuzione che è stata da alcuni studiosi posta in dubbio. L'imponenza della figura e il trattamento a spigolo delle pieghe del panneggio sembrano elementi stilistici tipici di un bronzista quale era l'autore del monumento ai Tirannicidi. La kore è datata tra il 530 e il 520 a.C., anteriormente al frontone di Delfi.
Sono stati attribuiti alla bottega di Antenor, come già accennato, i frontoni del tempio di Apollo a Delfi, costruito dopo la morte di Ipparco (Herodoto 5.62) e finanziato dalla famiglia degli Alcmeonidi in esilio. Il Karouzos, in un lavoro del 1961 sul kouros di Aristodikos avvicina quest'opera ad Antenor insieme alla kore di Euthydikos e alla kore Acropolis 673.

SCULTORI - Pasitele

 
Pasitele
 (in greco antico: Πασιτέλης, Pasitéles; ... – ...; fl. I secolo a.C.) è stato uno scultore, toreuta e scrittore greco antico, forse originario di Taranto e attivo nel I secolo a.C. Plinio scrive che «Pasiteles [è] nato in una località costiera della Magna Grecia» (Nat. hist., XXXVI, 39-40) ed è vissuto nell'epoca di Pompeo Magno (Nat. hist., XXXVI, 156).
Noto come scultore in bronzo e marmo, viene ricordato da Cicerone anche come toreuta (De Divinatione I.36.79). Nell'89 a.C. divenne cittadino romano grazie alla lex Plautia Papiria. Pasitele viene più volte citato da Plinio come autore dei «Quinque volumina nobilium operum in toto orbe» (trad. lett.: «Cinque volumi di opere d'arte famose in tutto il mondo»); non ci sono giunte sue opere né basi firmate, ma la sua attività come scrittore sembra porlo nella tradizione di Senocrate di Sicione e Antigono di Caristo. In questa stessa tradizione, quella di Lisippo e Lisistrato, è possibile leggere anche il passaggio in cui Plinio sembra descriverlo come studioso della natura che lo circondava, narrando un episodio in cui lo scultore rimase quasi ucciso da una pantera mentre ritraeva un leone in gabbia. L'unica sua opera ricordata da Plinio a Roma è uno Iuppiter crisoelefantino (in avorio ed oro) nel tempio di Metello sul Campo Marzio.
A Roma sembra essere stato a capo di una scuola della quale ci sono giunti lavori firmati da almeno due generazioni di allievi: lo scultore Stefano che si firma appunto Πασιτέλους μαθητής (“Discepolo di Pasitele”) e l'allievo di questi Menelao. Attraverso le opere dei suoi allievi è stato ipotizzato per Pasitele stesso un indirizzo neoattico, che confermerebbe in qualche modo la tematica del trattato ricordato da Plinio.

(nella foto, statua di Atalanta del I sec. a.C., talvolta attrobuita a Pasitele e conservata nei Musei Vaticani)

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...