La
Pietra di Ingá (Pedra do
Ingá in lingua portoghese) è un grande monolite scolpito
e decorato che si trova nel fiume Ingá vicino alla piccola città
di Ingá, a 96 km da João Pessoa, nello stato di Paraíba, nel
nord-est del Brasile.
La Pietra Ingá è anche
chiamata Itacoatiara do Ingá. La parola Ita significa
"pietra" nella lingua tupi degli indigeni che abitavano
quella zona. Si tratta di una formazione rocciosa in gneiss che copre
un'area di circa 250 m 2 che comprende un muro verticale
lungo 46 metri per 3,8 metri di altezza.
Le pietre sono ricoperte di simboli e glifi (se ne contano circa
450) che fino ad oggi risultano indecifrabili. Gli studiosi
ritengono che sia stato creato da indigeni che hanno vissuto nella
zona fino al XVIII secolo. La maggior parte dei glifi rappresenta
animali, frutti, esseri umani, costellazioni e altre immagini
irriconoscibili.
La maggioranza degli studiosi ritiene che si tratti di antichi
simboli sacri scolpiti da un'antica cultura precolombiana, ancora non
identificata, che ha abitato la regione in tempi remoti; altri hanno
ipotizzato che rappresenti la loro scrittura. La maggior parte delle
figure sembra astratta e gli studiosi vorrebbero tentare una
traduzione ma il problema principale è che mancano paralleli su cui
operare un confronto.
Tuttavia, fino ad oggi, non è stato
possibile stabilire in modo definitivo chi fossero gli autori dei
segni e quali sarebbero state le motivazioni per la realizzazione del
monumento. Gli archeologi, come Dennis Mota e Vanderley de Brito,
ritengono che le iscrizioni siano state fatte nel corso di molte
generazioni, da comunità seminomadi in passaggi attraverso la
regione, utilizzando scalpelli di pietra.
L'intero terreno roccioso presenta
iscrizioni dalle forme più diverse, realizzate con varie tecniche di
incisione su pietra . Le diverse parti sono state chiamate "Pannelli"
dai professori Thomas Bruno Oliveira e Vanderley de Brito, per scopi
di ricerca:
Pannello Verticale - È il
più conosciuto e studiato dell'insieme dell'area rocciosa, è lungo
46 metri per 3,8 m di altezza, 15 metri di lunghezza per 2,3 m di
altezza sono quasi completamente occupate da iscrizioni. La maggior
parte di esse si trova al di sotto di una linea orizzontale
leggermente ondulata di 112 incisioni capsulari. Queste iscrizioni
sono molto pulite, presentano scanalature larghe (fino a 5 cm),
relativamente profonde (fino a 8 mm) e ben levigate.
Pannello inferiore - Si trova
sul pavimento della lastra di fronte al pannello verticale. Copre
un'area di 2,5 m² con diverse iscrizioni arrotondate da cui
emergono striature, simili a stelle . Gli studiosi ipotizzano che vi
venga rappresentata la costellazione di Orione o
delle Pleiadi, poiché sono le costellazioni che si possono
vedere guardando il cielo notturno da quella posizione.
Pannello Superiore - Situato
sopra il Pannello Verticale, in cima alla roccia, alto 3,8 metri. È
composto da segni sparsi di minore profondità e larghezza e
realizzati anche con meno cura di quelli sottostanti. L'iscrizione
che più attira l'attenzione su questo pannello è un grande cerchio
a forma di spirale , attraversato da un'iscrizione a forma di
freccia che punta ad ovest .
Sono presenti anche le
cosiddette Iscrizioni Marginali , che sono sparse in tutta
l'area dell'insieme rupestre e hanno un aspetto più rustico
rispetto alle altre iscrizioni, molti di loro sono appena stati
raschiati via dalla superficie rocciosa. Il motivo per cui queste
iscrizioni differiscono dalle altre, per la loro semplicità, è un
altro dilemma per i ricercatori. Vanderley de Brito propone che
potrebbero essere stati prodotti da culture precedenti a quella che
ha prodotto le iscrizioni principali. Dennis Mota ipotizza invece
che le iscrizioni marginali avrebbero potuto servire da schizzo per
le iscrizioni più elaborate sui pannelli.
Ipotesi archeoastronomica C'è
un'ipotesi che attribuisce ai petroglifi di Ingá un'importanza dal
punto di vista archeoastronomico. Nel 1976, l'ingegnere spagnolo
Francisco Pavía Alemany iniziò uno studio matematico di questo
monumento archeologico. I primi risultati sono stati pubblicati nel
1986 dall'Istituto di Arqueologia Brasileira (Pavía Alemany F.
1986). Egli Individuò in Inga una serie di "ciotole"
e un altro petroglifo inciso sulla superficie verticale del muro di
pietra che formava un "calendario solare", sul quale uno
gnomone proiettava l'ombra dei primi raggi solari di ogni giorno.
L'Agrupación Astronómica de la Safor ha pubblicato nel 2005 una
sintesi di questo lavoro nel suo bollettino ufficiale Huygens n. 53
(Pavía Alemany F. 2005).
Successivamente F. Pavia ha proseguito
lo studio, concentrandosi questa volta su una serie di segni incisi
sulla superficie rocciosa, che ha interpretato come un gran numero di
"stelle" raggruppate a formare "costellazioni".
Si ritiene che la coesistenza delle "ciotole" e delle
"costellazioni" nella stessa roccia le conferisca un
significato archeoastronomico.
Nel 2006, l'egittologo e
archeoastronomo Jose Lull ha coordinato la pubblicazione di un libro
intitolato Trabajos de Arqueoastronomía. Ejemplos de Africa,
America, Europe y Oceania , un compendio di tredici articoli
scritti da archeoastronomi. Tra questi ci sono "L'insieme
archeoastronomico di Inga" dove è esposto lo studio sia delle
coppe che delle costellazioni menzionate prima e le ragioni che
giustificano Inga come un monumento archeoastronomico eccezionale.
Ipotesi Pseudoscientifiche Vista la mancanza di notizie certe sui
costruttori della Pietra di Ingà, sono state formulate delle ipotesi
riconducibili alla cosiddetta "archeologia misteriosa" che
non trovano alcun riscontro presso la maggioranza degli studiosi.
Il ricercatore italo-brasiliano Gabriele D’Annunzio Baraldi,
studioso di lingue antiche che ha trascorso molti anni allo studio
della Pietra di Ingá, sostiene che i glifi presenti sul monolite
sono simili a quelli delle culture
mesopotamiche primordiali. Sempre a suo parere, la
lingua Tupi – Guarani, parlata da alcuni gruppi etnici
sudamericani, sembra avere una lontana assonanza con la
lingua ittita. Baraldi trova in questa comunanza una
prova dell’esistenza di una grande civiltà globale esistita in
tempi remoti, nota più comunemente con il nome di Atlantide. Se
la tesi di Baraldi è corretta, la Pietra di Ingá rappresenta un
messaggio che gli antichi superstiti di quella civiltà avrebbero
lasciato ai posteri, come memoria del passato e come monito per il
futuro. A sostegno dell’ipotesi di Baraldi vi sarebbe la
somiglianza dei glifi della Pietra di Ingá con la scrittura
utilizzata dagli antichi abitanti dell'Isola di Pasqua, il
Rongorongo. Si tratta di una scrittura che è stata solo parzialmente
decifrata e che non utilizza geroglifici. L’isola di Pasqua è
l’unica nell’area del Sud Pacifico ad aver sviluppato nella
propria storia una scrittura propria.
Molti sostengono che la Pedra do Ingá
abbia origini fenicie. Il professore padre Inácio Rolim,
vissuto nel XIX secolo, è stato uno dei primi promotori di questa
tesi, facendo analogie tra i simboli scritti su Pedra do Ingá e i
caratteri della scrittura fenicia. La ricercatrice Fernanda Palmeira,
all'inizio del XX secolo , viaggiò attraverso diverse regioni
dell'entroterra nord- orientale, studiando presunti resti fenici in
questa regione. Oltre a diversi articoli, scrisse anche il libro
"Storia antica del Brasile", in cui associava non solo le
iscrizioni rupestri di Ingá ai Fenici, ma anche alla scrittura
demotica egizia.
Esiste anche una corrente che sostiene
che i segnali di Ingá siano opera di ingegneria extraterrestre.
L'ufologo Cláudio Quintans ha suggerito che delle astronavi aliene
sarebbero atterrate nella regione di Pedra do Ingá. L'ufologo ha
persino raccolto campioni del suolo dove, secondo lui, sarebbe
atterrato tale veicolo. Un altro ricercatore, Gilvan de Brito, nel
libro Viagem ao Desconhecido , afferma che esistono, in
Ingá, formule per la produzione di energia quantistica e persino
combinazioni matematiche che potrebbero indicare la distanza tra la
Terra e la Luna.