lunedì 21 luglio 2025

Liguria - Teatro romano di Ventimiglia

 

Il teatro romano di Ventimiglia, o teatro di Albintimilium, risale alla fine del II secolo e all'inizio del III secolo d.C. e sorge al limite nord-occidentale dell'area cittadina, vicino alla necropoli. È certo che per erigerlo vennero demoliti edifici già esistenti come un tratto delle mura occidentali e parte della torre sud della Porta di Provenza. Venne scoperto superficialmente nel 1877 da Girolamo Rossi; continuò i lavori, rinvenendone circa i due terzi, la compagnia di Pietro Barocelli. Lo scavo fu terminato nei decenni successivi da Nino Lamboglia.
Il teatro misura 21 metri di diametro interno e poteva contenere un massimo di 4 o 5.000 persone (capienza più che doppia rispetto a quella che appare oggi): è uno dei più piccoli teatri romani conosciuti. La struttura ridotta ed essenziale suggerisce che in questo teatro venissero messi in scena spettacoli di varietà e mimi piuttosto che tragedie e commedie.
L'edificio somiglia agli altri teatri romani della Provenza sia per la pianta che per la muratura caratteristica: un opus certum, composto da corsi di piccoli blocchetti spaccati, intercalato da una doppia fila di mattoni. I gradini e le parti decorative sono in pietra della Turbie, la quale produce, per il suo colore bianco opaco, quasi l'effetto del marmo. Contrariamente all'uso comune, il teatro non venne costruito appoggiato al fianco di una collina ma per sostenere le gradinate furono eretti dei robusti muri a semicerchio, racchiudenti un terrapieno.
Il teatro venne abbandonato a partire dal IV secolo d.C. (circa un secolo dopo la sua costruzione) e ben presto venne spogliato e distrutto per far calce da destinare ad altre costruzioni. Le rovine subirono un progressivo interramento e successivamente divennero luogo di numerose sepolture.
Si entra nell'area semicircolare (orchestra) attraverso il corridoio laterale (parodos) di sinistra, che costituisce l'elemento architettonico più notevole e raro del monumento, soprattutto per il fatto che è ancora intatto; il corridoio destro ha subito maggiore distruzione. Questi corridoi, in epoca romana, erano delle entrate laterali tra la scena e le gradinate; da lì entravano le autorità e i nobili, i quali prendevano posto su appositi sedili mobili posti ai piedi della gradinata (subsellia) sulla fascia lastricata in pietra della Turbie conservata tuttora.
Il resto dell'orchestra era semplicemente ricoperto da un letto ben battuto di scaglie di pietra della Turbie. Al centro sono infissi due blocchi con una cavità per due pertiche, destinate a sostenere la tenda (velum) che copriva gli spettatori in caso di pioggia.
Dall'orchestra si passa ininterrottamente all'area del palco (pulpitum), costruito in modo molto semplice: rispetto ad altri teatri è privo ad esempio del fosso per i meccanismi del sipario o di quello delle macchine sceniche. L'edificio di scena (scaenae frons) è conservato in tutta la sua parte basale: un grande muro spesso 4 metri sul quale erano impostate colonne e finestre per farlo sembrare la facciata di un palazzo in cui si aprono tre porte con tanto di gradini. La scena è oggi spoglia e può dare solo un'idea del suo antico aspetto. Nel retro della scena (postscaenarium) continua il letto di scaglie battute. Sul retro del muro della scena si aprono quattro vani simmetrici, usati probabilmente come deposito o per altri servizi.
Al lato del palco si trovano due grandi ambienti rettangolari (parascaenia), adibiti ai servizi del teatro. In quello a est si conserva ancora la soglia della porta che immetteva al palcoscenico e la scaletta che portava alla parte alta della scena.
La parte del teatro dove si sedeva il pubblico (cavea) era divisa in due settori (moeniana), inferiore e superiore, distinti per mezzo di un passaggio (praecinctio). Per entrare e uscire nella cavea si doveva percorrere uno dei tre corridoi a scalinata coperti (vomitoria), i quali sorreggevano la gradinata superiore (summa cavea). Del settore superiore restano solo i muri perimetrali e radiali con il terrapieno che lo sorreggeva. I gradoni erano divisi lateralmente in due sezioni (cunei) da tre scalette (scalaria), una al centro e le altre due ai lati, intagliate nei gradoni stessi.
Il vomitorium centrale, da cui probabilmente usciva il pubblico alla fine degli spettacoli, sbocca sulla strada principale di Albintimilium. È molto plausibile che il pubblico entrasse dal vomitorium orientale. siccome è collegato alla stessa strada con un grande arco monumentale intonacato, ornato da due statue (sempre in pietra della Turbie) e in origine dipinto.

Liguria - Anfiteatro romano di Albenga

 
L'Anfiteatro romano di Albenga è un complesso archeologico situato ad Albenga, in provincia di Savona, e si tratta dell'unico anfiteatro noto della Riviera di Ponente. Fu edificato, com'era consono nell'urbanistica romana, nella zona periferica della città
L'anfiteatro ingauno sorge sull'ultima propaggine collinare del Monte di San Martino (o Monte Bignone) ed era collegato alla necropoli meridionale della città dalla Via Julia Augusta, a un'altezza di circa 50 m s.l.m.. La posizione garantiva una vista che permetteva di osservare tutto il litorale, oltre al godere della brezza che rinfrescava le serate estive rendendo la zona salubre. Sotto un leggero strato di humus si trova la roccia viva. La zona, circondata da terrazzamenti, offre 3000 m² dove poter ospitare l'ellisse dell'anfiteatro, che gli abitanti dell'antica Albingaunum preferirono edificare qui invece che a ridosso della collina come in altri casi.
La parte pianeggiante della collina era tuttavia troppo esigua per poter ospitare un edificio pubblico di tali dimensioni, venne quindi realizzato un muro di sostegno esterno con contrafforti, e spianata la parte rocciosa per poter creare una zona adatta alla realizzazione dell'anfiteatro. Tale muro è ancora oggi visibile e la sua forma curva fu il primo segnale che suggerì all'architetto e archeologo Alfredo d'Andrade del ritrovamento di un probabile anfiteatro d'epoca romana.
Fu eretto nel II secolo, probabilmente su un vecchio insediamento. Una volta in disuso, divenne un cimitero, con tombe in anfora, cappuccina e a fossa, collegato con la vicina abbazia di San Martino. Dopo l'abbandono da parte dei frati, la zona passò in mani private, che trasformarono chiesa e abbazia in abitazioni.
Si deve ad Alfredo d'Andrade la prima intuizione della presenza dell'anfiteatro romano; nei primi anni del Novecento, identificò alcune murature visibili (nella foto) nei pressi dell'abbazia e notò che il muro del terrazzamento seguiva una curvatura ellittica oltre che le pietre e la loro disposizione erano tipiche dell'epoca romana. Nel 1911 si deve al suo fedele assistente, il Cav. Angelo De Marchi, il rilievo fedele di quanto allora era in superficie. Questi aveva notato una parte di muro ad andamento curvilineo, estremamente spesso sul lato est a una ventina di metri da Villa Navone, già abbazia dei monaci di San Martino della Gallinara in terraferma. Proprio lo scetticismo sul fatto che un anfiteatro si potesse trovare in una posizione così inconsueta, portò nel 1934 il proprietario dell'area - l'avvocato Ambrogio Navone - a concedere la possibilità di intraprendere i primi scavi promossi dalla Società Storico-Archeologica Ingauna, d'intesa con la Regia Sovraintendenza assieme al Comune di Albenga, sotto la coordinazione di Nino Lamboglia e con l'aiuto dell'ingegner Francesco Cardani e di Mario Menegazzo. Portarono alla luce una parte del muro nord, oltre che un muro interno, grazie ai quali si poterono fare le prime ipotesi di dimensionamento dell'anfiteatro, come le dimensioni dell'arena e il muro di sostegno intermedio fra la cavea e il moenianum superiore. Gli scavi furono interrotti nel corso del 1934 perché sul resto del terreno era presente una carciofaia di cui il proprietario non voleva liberarsi. Lamboglia poté rilevare circa 60 metri di perimetro nel lato settentrionale e un brevissimo tratto del muro interno dell'arena. Questo permise di proporzionare l'edificio: un'ellisse il cui diametro maggiore misurava 72,80 m e quello minore 52,20 m, rispettivamente 245 e 175 piedi romani.
Durante il secondo periodo bellico l'altura del monte venne militarizzata dalle truppe tedesche che qui edificarono un piccolo bunker al centro dell'arena. La zona degli scavi venne poi coperta e invasa di sterpaglie e rovi. Nel 1953 venne sottoposta a vincolo dalla Soprintendenza per le antichità. Nel 1973, dopo la morte dell'avvocato Navone e la prematura scomparse del di lui erede, Gerolamo Navone, che erano proprietari dell'intera zona e che l'avevano mantenuta gelosamente integra, il successivo proprietario delle aree volle procedere con la realizzazione di un campeggio dando inizio ai lavori; in questa fase probabilmente danneggiò una parte del muro dell'anfiteatro. Grazie alla soprintendenza, guidata dal Lamboglia, vennero bloccati i lavori, fu occupata l'area, e trovati i fondi per poter effettuare una nuova campagna di scavi, meno pionieristica di quella del 1934. Nei mesi di novembre e dicembre del 1973 iniziarono i lavori. Tutta l'estremità ovest dell'ellisse vicino alla chiesa di San Martino è scomparsa, e dallo scavo si evinse uno strato di pura roccia. Per cui Lamboglia poté affermare che dell'anfiteatro si conservano essenzialmente la metà nord e gli avanzi dell'arena sotto la spianata. Ma i fondi presto finirono e non fu più permesso di andare oltre con gli scavi. Durante questa campagna vennero alla luce alcune tombe.
La prematura scomparsa di Lamboglia fermò per qualche tempo gli scavi.
Mentre del lato nord si può descriverne senza dubbi la geometria, il lato sud è problematico. Gli scavi fatti degli anni '80 non hanno fatto emergere ciò che si ci aspettava di trovare. Tuttavia, Lamboglia, nella campagna del 1934, aveva rilevato un muro che era convinto risalisse all'età romana e che delineava il lato sud dell'anfiteatro. Questo fece presumere che la cavea era in muratura, ma andata distrutta.
Durante la seconda guerra mondiale il muro venne abbattuto, e gli scavi degli anni '80 hanno non hanno permesso di accertare un collegamento tra la roccia sottostante, non tagliata o sagomata per ospitare la parte superiore in muratura. Recentemente dagli archivi è emerso il rilievo e una fotografia del muro descritto dal Lamboglia, che ha tolto ogni dubbio: i blocchi di arenaria erano identici ai muri dell'anfiteatro, e aveva una certa curvatura che sarebbe conforme con quella che si ci aspettava.
Il lato nord ha permesso di mettere in luce un accesso alla cavea, tramite scale interne sostenute da mura accoppiate. L'ingresso est che immetteva nell'arena direttamente con una rampa in lieve pendenza dalla larga soglia in pietra e dalle pareti leggermente convergenti, con a destra un corridoio secondario e a sinistra un ambiente di servizio.
Dagli scavi effettuati, prima nel 1934, poi 1973-75 e ancora nel 1984-85 e 1987, sono stati riportati alla luce delle stratigrafie e frammenti risalenti al IV-III sec. a.C., e dei frammenti risalenti al I-III millennio a.C. presumibilmente dell'insediamento preromano forse poi distrutto per costruire il nuovo anfiteatro. Questa teoria è rafforzata dal fatto che la zona è facilmente difendibile militarmente, oltre a essere su un incrocio tra vie commerciali: uno posizione strategica dove avrebbe senso creare un insediamento.
Esternamente l'anfiteatro doveva aveva l'aspetto di un recinto massivo compatto, intervallato da speroni sporgenti e aperto solo in corrispondenza degli ingressi. I blocchi in pietra sono disposti su corsi orizzontali, tecnica conosciuta come petit appareil o opus vittatum, ampliamento diffuso in Gallia e in Liguria in tutto il periodo imperiale romano. Oltre che di modeste dimensioni, si direbbe costruito in maniera pressappochista e sommaria, paragonabile con quello vicino di Cemenelum (Cimez, Nizza), con il quale presenta analogie dimensionali e di disposizione in pianta.
Si può confrontare l'anfiteatro di Albenga con quelli meglio conservati di Teramo del II secolo e di Susa del I secolo. Si tratta di anfiteatri modesti dotati di un solo meniano e di due soli accessi sull'asse maggiore. La sua realizzazione viene attribuita al II secolo d.C., questo perché la tecnica utilizzata per la sua realizzazione è più facilmente databile in altri edifici di cui è certa l'epoca.
È probabile che sia la vicina abbazia e sia la chiesa, ma anche una "bastita" di cui si conosce l'esistenza ma non se ne ha più traccia, abbiano usato l'anfiteatro come cava di materiale. Inoltre alcuni resti possono essere stati rovinati duranti la preparazione dei terreni che erano usati per scopi agricoli.
Lo studio dell'esatta forma geometrica della struttura è assai complesso: partendo dal concetto di anfiteatro come il raddoppio del teatro antico, come il prosieguo di un semicerchio, quindi un'ellisse e infine un ovale, prima a 4 e dopo a 8 centri.
Considerando gli studi già fatti, basati sia sulla bibliografia storica, su un probabile tracciato, il risultato è che la curva degli anfiteatri sia una interpolazione tra un'ellisse, un ovale a 4 centri e a 8 centri, la cui costruzione nasce da un triangolo rettangolo centrale, le cui proporzioni tra i lati sono 3-4-5 e in base alle sue proporzioni si evolve fino a tracciare la curva. Tuttavia, dai numerosi studi fatti, una regola precisa, univoca e universale non è stata del tutto delineata. Sia considerando ovali o ellissi la curva geometrica interpola delle curve che presentano degli scarti distribuiti, questo è dovuto alle imprecisioni della costruzione oltre che all'azione anisotropa degli agenti atmosferici o a problemi correlati al suolo. La differenza tra quale forma scegliere non è solo collegata a essere il più o meno legati alla realtà ma comporta ampie problematiche dovute alla costruzione di un ovale a 8 centri, del suo perimetro e della costruzione delle curvature degli elementi interni. La maggiore differenza tra le due forme la si riscontra nel tracciamento delle curve concentriche interne, che abbiano in comune la stessa distanza da quella esterna: la variazione tra le due è molto elevata. Per procedere alla delineazione di una forma il più verosimile con quella dell'esistito, dobbiamo tenere anche conto del contesto territoriale in cui operiamo, difatti, l'area pianeggiante circostante è stata ampliata nel lato nord con un muro di contenimento descritto sopra. La forma che più si ci avvicina è un'ellisse e una forma di un ovale a 4 centri.
L’anfiteatro si trova sul Monte Bignone, in un’area privata alla quale si accede solo su appuntamento. È situato all’inizio della Via Julia Augusta nel tratto che va verso Alassio, vicino al pilone funerario, alla chiesa di San Bernardino, a San Calocero al Monte e agli altri siti di sepoltura.

Liguria - Alba Docilia

 

Alba Docìlia è il nucleo romano di Albisola. Si trova segnata sulla Tabula Peutingeriana, "carta" stradale dell'Impero risalente al IV secolo. Il termine Docilia è un aggettivo stante ad indicare la tribù di appartenenza che era appunto quella dei Liguri Docilii, diffusi tra la zona di Albisola e Sassello. La parola Alba indica invece in generale un abitato più o meno grande, città,[1] anche se il significato preciso pare sia collina, montagna o altura in genere. Dalla stessa radice deriverebbe anche il nome Alpi. Il termine è molto diffuso nel nord Italia in diverse denominazioni di città o paesi come Alba Pompeia (Alba), Albium Intemelium (Ventimiglia), Albium Ingaunum (Albenga). Non manca comunque anche in altre zone come nel Lazio, ad esempio nel caso di Alba Longa. I resti oggi visibili in Piazza Giulio II, di fronte all'uscita della stazione ferroviaria di Albisola Superiore, furono in gran parte messi in luce nel corso degli scavi che il religioso G. B. Schiappapietra condusse nell'Ottocento nell'area degli orti e dei frutteti che circondavano la chiesetta di S. Pietro. Tali scavi portarono anche all'identificazione del toponimo Alba Docilia / Decelia citato dagli itinerari antichi. Altri scavi, condotti negli anni cinquanta del secolo scorso, in occasione della costruzione della stazione, e negli anni settanta, permisero di esporre il perimetro completo dell'area.
Il complesso è stato interpretato come i resti di una villa rustica di età romana. Il quartiere abitativo comprende diversi ambienti e una vasta zona termale organizzata intorno a due peristili mentre il settore rustico-produttivo si sviluppa attorno alla grande corte centrale. Alcuni vani, attualmente nascosti dalla stazione, dovevano essere destinati alla produzione del vino. La villa ebbe il suo massimo periodo di splendore tra il I secolo e il III secolo. Su di essa si insediò l'antica chiesetta di San Pietro. Nel 2008 furono rinvenute nelle vicinanze tre tombe risalenti all'età del Ferro.
Una certa monumentalità della struttura, i numerosi ambienti della parte residenziale e l'estensione del cortile e degli spazi produttivi inducono a pensare che i resti, piuttosto che a una villa, si possano riferire ad una mansio, una stazione di sosta in prossimità della via Julia Augusta.

(foto di Karloskarate)

Liguria - Villa romana di Bocca di Magra



La villa romana di Bocca di Magra è una villa marittima, a terrazze digradanti costruita in posizione panoramica lungo il pendio del monte Caprione sulla riva destra del fiume Magra. Il sito archeologico è nel comune di Ameglia, in provincia della Spezia.
Unica insieme alla villa del Varignano nel levante ligure, ospitò probabilmente i poeti Stazio e Persio che ne cantarono la bellezza.
«... Per me ora è tiepida la spiaggia ligure e sverno lungo il mio mare, dove gli scogli formano un lungo argine e la spiaggia si interna in curva profonda. “Il Porto di Luna venite a visitare, o cittadini, ne vale la pena”, Ennio lo consiglia ...»
(Persio VI, 6-9)
Situata di fronte al Portus Lunae, con vista sulle Alpi Apuane, la villa è stata edificata nel I secolo a.C., poi successivamente modificata fino al IV secolo.
È una delle ville romane di età augustea che si trovano lungo tutto il versante tirrenico. Ville dell'aristocrazia o dell'alta borghesia romana, spesso dotate di impianti marittimi e termali propri, dedicate agli otia, le voluptates e amoenitates come descritto dagli scrittori latini.
La villa ha un impianto architettonico molto articolato per raccordare i diversi livelli dell'edificio stesso, con porticati, terrazze, scale e corridoi.
Le murature più antiche sono in pietra mentre i rifacimenti più tardi sono costruiti con materiale di recupero (laterizi e marmorei) e con malta povera di calce.
La parte meglio conservata è il calidarium dell'impianto termale, con il suo sistema di riscaldamento costituito da un forno a legna posto sotto al pavimento da cui si diparte un condotto per l'aria calda che permetteva di scaldare l'intero locale oltre che l'acqua della vasca.
La vasca è rivestita da uno strato di intonaco impermeabile e sul suo fondo è dipinta di color turchese per ottenere l'effetto dell'acqua del mare.
Un bollo circolare sui mattoni del soffitto del calidario reca il capricorno di C.Iulius Antimachus e questo documento consente di collocare la datazione di questa parte dell'edificio alla fine del I secolo d.C. .
Probabilmente esisteva una terrazza porticata delle cui colonne cui sono conservati due capitelli corinzi.
La ricchezza di questa villa della prima età imperiale è ulteriormente testimoniata dai frammenti di intonaci dipinti con immagini vegetali, floreali e maschere teatrali.

Liguria - Villa romana del Varignano

 


La villa romana del Varignano era una residenza padronale e residenziale dell'epoca romana presso la zona del Varignano Vecchio, nella frazione delle Grazie a Porto Venere, in provincia della Spezia. Il luogo è anche sede dell'omonimo museo archeologico.
Il sito della villa romana è nel seno del Varignano Vecchio, affacciato sul mare, tra la zona del santuario delle Grazie e, a nordest, del forte militare omonimo.
Scavi condotti dal 1967 al 1986 hanno portato alla luce un complesso tardo repubblicano, situato in una posizione particolarmente felice: al fondo di una piccola valle ricca di acque, prospiciente il mare, circondata da un fundus coltivato a oliveto, forse anche con zone boschive e di pascolo.
La prima fase di costruzione della villa è datata alla prima metà del I secolo a.C., in epoca sillana.
Come ogni villa romana, anche questa era costituita da un edificio destinato alla residenza del proprietario collegato ad un'area dedicata all'attività agricola, in questo caso prettamente legata alla produzione e alla lavorazione dell'olio d'oliva. Il quartiere padronale - pars urbana (1320 m²) - e la zona produttiva - pars fructuaria (1760 m²) - sono qui separate da una corte (4800 m²) che fungeva a luogo delle lavorazioni del torcularium (frantoio per olio). Il complesso in questo caso era anche dotato di una darsena privata che consentiva i collegamenti marittimi, in particolare con la vicina Luni.
Gli appartamenti del dominus erano concepiti con uno sviluppo orizzontale, con atri pavimentati a mosaico e ambienti per il soggiorno e per il riposo notturno. L'impianto per la lavorazione dell'olio - erano presenti due torchi per la spremitura, vasche di decantazione e una cella olearia a cielo aperto - rimase attivo fino al I secolo d.C..
È da questo periodo infatti che l'area del fattore (vilicus) subì una significativa trasformazione architettonica, dagli archeologi definita per l'appunto seconda fase: fu realizzato un impianto termale privato, dotato di locali riscaldati e di vasche per bagni caldi e freddi. A questo scopo, per disporre della necessaria riserva d'acqua, fu costruita una cisterna con soffitto a volta, particolare questo considerato pressoché unico nel suo genere rispetto ad analoghi edifici romani dell'Italia settentrionale.
Cessata l'attività collegata alla produzione dell'olio di oliva, la stessa residenza romana fu comunque frequentata fino al VI secolo.

Liguria - Museo archeologico nazionale di Luni

 


Il Museo archeologico nazionale di Luni ha sede a Luni, in provincia della Spezia, ed ospita numerosi reperti archeologici rinvenuti durante gli scavi nell'area dell'antica città romana di Luna. Il museo è situato nell'area degli scavi in cui è possibile visitare i reperti portati alla luce, tra cui l'imponente anfiteatro, in buone condizioni di conservazione e costruito nel II secolo.
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Liguria, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei.
Il percorso museale è dislocato attraverso diverse sedi, all'interno dell'area archeologica. Nella principale sede espositiva sono esposti reperti organizzati nelle sezioni dedicate alla statuaria e alla ritrattistica, alla ceramica, alla numismatica, agli oggetti d’uso comune e da toilette in vetro e bronzo.
Al primo piano la sezione epigrafica posta e la ricostruzione (con materiale originale) delle domus lunensi, approntata, a scopo didattico, per le scolaresche.
Le sezioni tematiche dedicate all'architettura sacra, all'edilizia privata e all'epigrafia sono dislocate nell'area archeologica, in prossimità dei monumenti da cui provengono gli stessi ritrovamenti. La prima espone l’apparato decorativo del Capitolium dedicato a Giove, Giunone e Minerva (con un meraviglioso frammento di pavimentazione repubblicana in opus signinum o cocciopesto), e del Grande Tempio (antefisse raffiguranti Artemide Persica).
Nella sezione dedicata all'edilizia privata sono invece esposti mosaici ed affreschi provenienti dalle più notevoli residenze di lusso dell'antica Luni : la domus dei mosaici, la domus degli affreschi e la domus di Oceano. Infine, la sezione epigrafica o lapidario presenta alcune iscrizioni in marmo e bronzo dal contenuto essenziale per la storia dell’antica Luna, fra cui l’iscrizione in lamina di bronzo che riporta i nomi dei due magistrati che appaltarono e collaudarono il capitolium.
Il percorso di visita nell'area archeologica comprende invece il Decumano Massimo (tratto urbano della via Aurelia), la casa dei Mosaici, la Domus settentrionale e, soprattutto, il portico del Foro con ambienti legati all'attività commerciale del luogo quali le tabernae, ovvero le botteghe proposte alla distribuzione delle vivande.
Di particolare interesse sono i resti degli antichi apprestamenti realizzati per lo stoccaggio delle merci deperibili, dai quali si possono ricavare le cognizioni e le tecniche romane, in materia di conservazione e "refrigerazione" delle derrate alimentari.
Non mancano, infine, i resti di grandi edifici pubblici fra cui l’anfiteatro, gli impianti termali e il teatro.



Liguria - Museo civico archeologico Ubaldo Formentini, La Spezia

 

Il Museo civico archeologico Ubaldo Formentini è custodito nel castello San Giorgio a La Spezia.
Il castello genovese risale ai secoli XIV-XVII e si trova sul colle che sovrasta il centro storico cittadino, dove è sorto il primo nucleo della città.
Il Museo civico archeologico della Spezia è stato fondato nel 1873 grazie ad un primo nucleo di raccolte naturalistiche donate alla città da Cesare Podenzana (1840-1884).
Con l'aiuto del geologo spezzino Giovanni Capellini, il museo accolse reperti archeologici venuti in luce durante gli scavi dei bacini e delle darsene dell'Arsenale Militare e i documenti riguardanti la storia della città.
Il continuo accrescimento per l'afflusso di materiali archeologici, naturalistici ed etnologici ha comportato la necessità di ospitare le raccolte in ambienti più ampi. Vari sono stati così gli spostamenti della sede del Museo: dal piano terra del Teatro civico, alle case municipali di Corso Cavour, alla sede del Liceo cittadino, al Convento di Santa Chiara, al Palazzo Crozza fino all'attuale sede nel Castello di San Giorgio.
Quest'ultima collocazione è stata decisa dal Comune e dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici della Liguria sulle basi del progetto F/O 1984 che sviluppa e concretizza un'idea già degli anni trenta del Novecento, dapprima per iniziativa del direttore Ubaldo Formentini, poi per quella dell'amministrazione comunale che, negli anni tra il 1938 e il 1939, aveva fatto ristrutturare il Convento di Santa Chiara per esporvi le raccolte museali. Il progetto non fu completato perché il convento andò distrutto durante i bombardamenti del 1943.
Il recupero del rapporto tra il Castello di San Giorgio e la città moderna trova attuazione nell'ambito del più generale recupero del ruolo del centro storico cittadino con il suo particolare percorso culturale che si snoda lungo via del Prione per concludersi sulla collina del Poggio, nel Castello - Museo dei più antichi reperti del territorio.
A partire dal 2005 la struttura ospita un evento divulgativo interattivo, denominato Paleofestival, che permette ai bambini di sperimentare le attività quotidiane dell'antichità.
Il museo conserva numerosi reperti provenienti dal territorio locale, che offrono testimonianze dalla Preistoria al Medioevo. Le prime produzioni di statue stele risalgono al IV millennio a.C.
La visita è programmata secondo due percorsi complementari, conseguenti o alternativi: al piano inferiore sono ospitate testimonianze della vita del territorio dal pleistocene alla romanizzazione e sulla formazione della stessa raccolta museale, al piano superiore sono conservati i reperti romani provenienti dall'area di Luni (val di Magra) e già facenti parte della collezione Fabbricotti.
Percorso museale
La visita al piano inferiore si apre con la presentazione della collezione archeologica acquisita dal Museo civico e raccolta dal geologo spezzino Giovanni Capellini che, alla seconda metà del XIX secolo, studiò materiali preistorici, protostorici e classici gettando le basi scientifiche della moderna archeologia grazie alla fitta rete di relazioni tra intellettuali di tutta Europa.
Sala II
Nella sala II ha inizio la sezione dedicata al territorio della Lunigiana: vi si trovano reperti di età neolitica come le accette levigate da San Bernardino, Palmaria e capo Corvo. Sono inoltre esposti i reperti eneolitici della Grotta dei Colombi dell'isola Palmaria, scavata negli anni 1869-70, e dalla Tana della Volpe di Equi Terme. Le cavità vennero utilizzate, nell'età del Rame, come sede del particolare rito funebre consistente nella deposizione dei cadaveri all'interno di grotticelle. I resti umani e la tipologia dei loro corredi (soprattutto monili formati da conchiglie e dell'industria su pietra ed osso) sono del tutto affini a quelli ritrovati in altre inumazioni neolitiche delle Alpi Apuane e del resto dell'Italia Settentrionale.
L'elemento di maggior importanza è però costituito dalla raccolta di statue stele presentata nelle due pedane perimetrali; le statue, pur denotando una caratteristica e specifica connotazione locale, si inseriscono nella corrente artistico-religiosa della statuaria antropomorfa europea presentando caratteri analoghi ad altri gruppi archeologici come quelli delle stele del Trentino-Alto Adige, Valle d'Aosta, Sardegna, Corsica, Svizzera e Francia. Le stele sono state ritrovate a più riprese, a partire dal XIX secolo, nel bacino fluviale del Magra e dei suoi affluenti e documentano la nascita ed il fiorire della produzione nell'età del Rame (IV-III millennio a.C.) e nell'età del Ferro. Di questi originali, diciannove sono conservati al Museo ed esposti insieme ad alcuni confronti significativi realizzati in calco.
Sala III

Nella sala III sono ospitate le Steli dell'età del ferro.
Nelle vetrine sono inoltre esposti i ritrovamenti dell'età del Bronzo e del Ferro, provenienti anche da necropoli e da particolari abitati conosciuti come castellari.
Le tombe ad incenerazione di Pegazzano, Ponzolo, Valdonica, Resceto e Limone Melara, sono presentate in espositori che mostrano nella parte inferiore la ricostruzione della struttura funeraria litica, la cosiddetta "cassetta", e nella superiore i resti ed il corredo funebre dei cremati.
Sala I
Il primo percorso si conclude con l'esposizione, nella parte posteriore della sala I, della sezione paleontologica e coi materiali provenienti dalle ville e dagli scali di Bocca di Magra (per concessione della Soprintendenza per i beni archeologici della Liguria) e San Vito di Marola alla Spezia.
Sala V
Il piano superiore è dedicato al periodo romano e medievale del territorio.
Il percorso si apre con la sala V e l'esposizione degli elementi architettonici repubblicani ed imperiali provenienti dall'antica Luna, colonia dedotta nel 177 a.C. a conclusione delle guerre romano-liguri.
Le cave di marmo delle Alpi Apuane, vennero presto sfruttate dai coloni e Luna divenne uno dei maggiori centri di esportazione di pregiata pietra da costruzione sino al generale riflusso del IV secolo d.C..
Dopo un periodo di ripresa, nell'anno 643, il longobardo Rotari distrusse Luna e la ridusse a semplice villaggio di superstiti.
I materiali di provenienza lunense provengono dalla collezione privata di Carlo Fabbricotti e del figlio Carlo Andrea, industriali del marmo, che sul finire del XX secolo indissero campagne di scavo per il recupero delle testimonianze romane arricchendo poi la propria collezione mediante l'acquisto di collezioni archeologiche private come quella della nobile famiglia sarzanese dei Gropallo.
Sala VI
L'accesso alla sala VI introduce il pubblico nello spazio dedicato al culto ed al rituale funerario. La sezione riguardante il culto mostra arte, statue, frammenti di ex voto dedicati a Luna, Silvano, Ercole e Venere collocando in questo ambito diverse divinità di origini autoctone, romane ed orientali.
Sala VII
L'ambiente successivo, la sala VII, oltre ad esporre altri elementi architettonici quali lacunari, antefisse e frammenti di lastre decorative da parete, contiene materiali inerenti alla vita sociale: vengono esposti oggetti che rimandano all'ambiente delle terme, del teatro o, comunque, a momenti di aggregazione come feste e rappresentazioni.
Sala VIII

La sala VIII, con le statue, i ritratti e le sculture, si allaccia alla tematica della sala precedente per la percezione si sé da parte della società romana, della propria raffigurazione e della proiezione all'esterno di un'immagine accuratamente studiata per suggerire forza, equilibrio e nobiltà, ma anche un sobrio gusto per il lusso.
I raffinati busti di Tiberio e di un principe giulio-claudio erano concepiti, qui come nel resto dell'impero, per essere esposti nei luoghi pubblici con finalità di propaganda politica.
Sala IX
La sala IX è dedicata alle dimore e alla vita dei ceti signorili. Si trovano frammenti di particolari strutture, gli esempi di decorazione parietale, l'oggettistica di pregio e costosi ornamenti personali.
Sala X
Proseguendo lungo il corridoio della sala X si trovano a destra alcune lapidi evergetiche.
Notevoli sono i resti di un grande e ricco pavimento musivo con raffigurazioni di una pantera fra delle palme, maschere teatrali, e geni alati.
A sinistra sono invece esposte interessanti basi dedicatorie già collocate nel triportico del Capitolium e più tardi riutilizzate nella costruzione della Cattedrale da dove vennero recuperate durante gli scavi condotti dal Groppallo nel 1891.
In alcune di queste basi è evidente la pratica della damnatio memoriae che, a seguito di rivolgimenti politici, consisteva nel scalpellare il nome del personaggio di cui si voleva cancellare il ricordo.
Sala XI
La piccola sala XI, nella troniera, è invece dedicata alla vita comune, all'instrumentum domesticum (esempi di vasellame da cucina e da mensa in terracotta, vetro, bronzo e pietra ollare) e al mondo della produttività con numerosi reperti inerenti alle lavorazioni del vetro e del marmo, alla pesca e alla carpenteria.
Le varie ceramiche provengono da Luni e coprono un arco cronologico che va dal II sec. a.C. all'Alto Medioevo, soprattutto nel periodo compreso tra la metà del I sec. a C. e il III d.C.
Il corridoio finale
Il corridoio di uscita vede esposte le testimonianze ultime della vita di Luni con frammenti marmorei provenienti dalla Cattedrale e reperti databili all'alto Medioevo.
Particolare rilevanza viene data agli elementi suntuari del VI-VII secolo tra i quali spicca la serie di trentuno lamine auree che dovevano essere cucite come ornamento di un capo di vestiario o di un accessorio.


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Liguria - Museo archeologico di Chiavari

 

Il museo archeologico di Chiavari è un sito museale sito in via Costaguta nel centro storico di Chiavari, in provincia di Genova. La sede del museo è ubicata presso il seicentesco palazzo Rocca.
Già museo archeologico per la preistoria e la protostoria del Tigullio, in seguito allo spostamento di parte delle collezioni nel neonato Sistema museale integrato di Sestri Levante e Castiglione Chiavarese il Museo ha assunto tale denominazione dal 2013.
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Liguria, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei.
Il museo fu inaugurato nel 1985 nelle sale delle antiche scuderie di palazzo Rocca adeguatamente restaurate secondo gli stili architettonici dell'epoca. Il polo museale raccoglie il materiale rinvenuto durante gli scavi della necropoli preromana dell'VIII e VII secolo a.C., scoperta nel 1959.
Tra i reperti conservati ed esposti al pubblico vi sono oggetti in bronzo e qualche monile in argento e oro. Nel museo, inoltre, è ospitata una vasta raccolta di libri e volumi dedicati all'archeologia preistorica e storia locale.
Oltre ai rinvenimenti della necropoli chiavarese sono conservati reperti provenienti dal circondario del Golfo Paradiso (antico Castellaro di Uscio - Recco), manufatti di diaspro del Paleolitico Medio rinvenuti a Casarza Ligure nel lago di Bargone, le scoperte sepolcrali risalenti all'Età del Rame rinvenute nel val Frascarese (Castiglione Chiavarese) e altri rinvenimenti della val Petronio (Valle Lagorara e monte Loreto).
Il museo conserva ed espone materiali archeologici anche provenienti dallo Spezzino, rinvenuti nel territorio comunale di Maissana e nel borgo storico di Suvero nel comune di Rocchetta di Vara.


Liguria - Civico Museo Archeologico e della Città di Savona


Il Civico Museo Archeologico e della Città di Savona è un museo inaugurato nel 1990, con sede a Savona. Si trova nella fortezza del Priamar ed è collocato al piano terra e al primo piano del palazzo della Loggia, oggetto di campagne di scavo (condotte dall'Istituto Internazionale di Studi Liguri) che hanno permesso l'acquisizione di importanti dati relativi alla storia del promontorio roccioso del Priamàr su cui sorgeva la città antica. Il museo è gestito da Istituto Internazionale di Studi Liguri.
Il 92% dei reperti esposti in Museo proviene dalle campagne di scavi archeologici condotte dall'Istituto Internazionale di Studi Liguri a Savona, nell'area della Fortezza e in altre zone della Città, su concessione del Ministero della Cultura.
Il Civico Museo Archeologico e della Città di Savona è stato inaugurato il 7 aprile del 1990 in occasione della riapertura al pubblico di una parte del complesso del Priamàr e ha sede nella quattrocentesca “Loggia del Castello Nuovo”, all’interno del complesso monumentale del Priamàr di Savona.
Il Museo, collocato al piano terra e al primo piano del Palazzo della Loggia, unisce la suggestione del percorso archeologico con alcune suggestive aree di scavo lasciate in vista.
L’allestimento, curato da Guido Canali e dall'Istituto Internazionale di Studi Liguri su finanziamento del Comune e della Cassa di Risparmio di Savona, si pone in una prospettiva di continuo rinnovamento per adeguare i contenuti scientifici ai nuovi dati forniti grazie alle ricerche archeologiche che da oltre sessant’anni l'Istituto di Studi Liguri conduce sul Priamàr e in altri siti del territorio di Savona. Una efficace integrazione tra spazio museale e aree archeologiche lasciate in vista permette al visitatore di seguire un percorso a ritroso nel tempo sia attraversando ambienti che in età successive ebbero funzioni diverse, sia mediante l’esposizione di reperti ordinati cronologicamente.
Il Museo fa parte del circuito MUSA (Civici Musei Savona), è inserito nella rete dei musei della Regione Liguria e della Provincia di Savona ed è attualmente inserito anche nell’articolato Sistema Museale dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, ente scientifico che (oltre all’importante attività di ricerca e studio) gestisce il più importante sistema museale del Ponente ligure.
Piano terra
Dalla medievale Sala ad Ombrello, sede della biglietteria e degli spazi di accoglienza, si passa nella seconda sala nella quale, oltre a una sezione di mosaici, rilievi marmorei, vetri e ceramiche d’età romana sono esposti i reperti più antichi: le vecchie collezioni con materiali di provenienza eterogenea e i reperti rinvenuti negli scavi archeologici sul Priamàr, dall’età protostorica al periodo tardo-antico e alto-medievale (scavi eseguiti dall’Istituto Internazionale di Studi Liguri nel ventennio 1969-1989, su concessione del Ministero dei Beni Culturali). Di grande suggestione è la visita all’area di scavo della necropoli bizantina (IV-VII sec d.C.) dove è possibile vedere le tracce del villaggio dei Liguri Sabazi e delle prime fasi di insediamento dell’area all’interno delle strutture pertinenti al palazzo medievale della Loggia. Nel 2019 nella Sala ad Ombrello è stato allestito il nuovo settore dedicato all’ antica cattedrale di Savona (VII-XVI sec. d.C., chiusa al culto nel 1543 e poi distrutta nel 1595, per l’ampliamento della Fortezza genovese: dal 1956 l’Istituto Internazionale di Studi Liguri ne sta portando alla luce quanto ancora è conservato nel sottosuolo, con sistematiche campagne di scavi archeologici, su concessione del Ministero dei Beni Culturali).
Primo piano

L’esposizione del primo piano (ri-allestita completamente ex novo nel 2013-2014 dall'Istituto Internazionale di Studi Liguri) è interamente dedicata all’illustrazione della storia della città attraverso le testimonianze archeologiche e storico-artistiche di età medievale e moderna rinvenute nel corso delle indagini archeologiche condotte sul Priamàr e in altre aree di Savona. Il filo conduttore dell’allestimento è costituito dalla ceramica: sono esposti numerosi esempi di importazioni che testimoniano l’intenso commercio marittimo della città medievale con il bacino del Mediterraneo. Il percorso prosegue con l’esposizione, in sequenza cronologica, di ceramiche di produzione locale attestate a partire dalla fine del XII secolo, che fanno di Savona uno dei più importanti centri produttivi di età medievale.
Due sezioni sono dedicate al complesso della chiesa e del convento di San Domenico, e al relativo quartiere medievale, e alla contrada dei Cassari. Le ricerche hanno consentito la ricostruzione della vita dei due quartieri medievale e delle loro attività artigianali. Un’altra sezione è dedicata ai dieci oratori delle Confraternite che fino al 1542 sorgevano sul Priamàr: tutto il quartiere della città scomparve negli anni 1542-1544, per la costruzione della Fortezza imposta da Genova; gli ampliamenti sei-settecenteschi della Fortezza causarono successive ulteriori distruzioni dell'abitato. Da segnalare alcuni pregevoli pezzi, alcuni di proprietà dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri e diversi altri frutto delle donazioni di collezionisti al Centro Ligure per la storia della Ceramica: si tratta di ceramiche di produzione ligure di XVII – XIX secolo.

Liguria - Terme romane di Albenga

 

Le terme romane di Albenga sono un complesso di bagni (terme) dell'antica Roma nel letto del fiume Centa ad Albenga.
Nell'alveo del fiume Centa sono presenti diverse rovine antiche, era il suburbio della antica Albingaunum e la zona fuori le mura della città medievale. La valenza archeologica dell'area era già nota, difatti in alcuni scavi realizzati per proteggere la Città dalle piene del Centa sono emersi resti, come quello di una statua virile. Nel corso degli scavi per l'allargamento dell'alveo nel 2001 è emerso il complesso paleocristiano con la chiesa medievale di San Clemente, sorto sulle antiche rovine delle terme romane. C'erano altresì delle canalette di deflusso e dei laterizi appartenenti a un suspensurae che però non denunciavano la scoperta delle terme. Invece durante i lavori di nuova arginatura venne alla luce un'estesa area termale di circa 2000 mq, di cui una parte sotto moderni edifici, lungo un asse est-ovest di circa 60 m, parallelo al fiume, su cui si allineano una piscina all'aperto (natatio) e i vani destinati alle abluzioni, secondo la tipica sequenza che prevedeva il passaggio dagli ambienti freddi a quelli gradualmente riscaldati.
Nelle Città romane principali esistevano le terme. Ad Albenga se ne sapeva la conoscenza da un'epigrafe su marmo ma non si conosceva la posizione. Nell'antichità era luogo dove si dedicava all'igiene del corpo, ma anche al riposo e allo svago, chiamato in latino balneum sorgeva vicino al porto, difatti durante gli scavi sono emerse importanti strutture in calcestruzzo assimilabili a strutture portuali, nell'attuale quartiere di Vadino che deriva da vadum cioè guado. Il piano di calpestio delle terme si trova sul letto del Centa, che è a 6 metri sotto il livello di calpestio della città, che indica la profondità della città romana.
L'edificio termale è stato realizzato in più fasi, dalla datazione delle tecniche costruttive e dai materiali utilizzati si può classificare la fase edificatoria tra la fine del I secolo d.C. e gli inizi del III secolo. Si è a conoscenza di un'epigrafe dispersa nel XVI secolo utilizzata nelle murature della vicina San Calocero, tale epigrafe narrava che un balneum pubblico iniziato alla fine del II secolo d.C. dal proconsole della provincia d'Africa, M. Valerio Bradua Maurico, fu portato a termine da Q. Virio Egnazio durante il regno di Caracalla agli inizi del III secolo quando ricopriva importanti cariche pubbliche a Roma. Dopo gli scavi il fiume Centa ruppe una parte della pavimentazione mettendo in luce una struttura appoggiata su pali, uno di questi è stato tagliato e analizzato dimostrando che è stato tagliato intorno al 70 d.C. il che rende lineare l'ipotesi della datazione precedente.
Nel 2001 vennero alla luce durante gli scavi per l'allargamento dell'argine del Centa. Vittorio Sgarbi durante la visita in qualità di sottosegretario dei beni culturali propose di realizzare un intervento che andasse a rendere fruibile lo scavo e conservarlo per le visite, ma non se ne fece niente perché non garantiva la sicurezza del fiume.
Un'altra epigrafe del II secolo d.C. parla di opere di derivazione delle acque del Centa, probabilmente la conferma che era utilizzata la sua acqua per approvvigionare le terme.
Nel 2021 la Soprintendenza archeologica di Genova, nella figura della dott.ssa Marta Conventi, avvia la campagna di scavi nella seconda parte delle terme, solo indagata nel 2001. Qua è emersa la sagoma della piscina romana con 9 tombe presenti al suo interno ed è stata ritrovata un'epigrafe del V secolo di un certo Leoninus; questo è un ritrovamento importante perché ci dice che la città nel V secolo rimane ricca, con persone capaci di acquistare il marmo e con maestranze capaci di lavorarlo, a differenza di quanto avviene in molte realtà che dopo la caduta dell'Impero Romano si vanno a disgregare. Viene ritrovata anche una mano di una statua.


Fuori dalle mura cittadine si accedeva al lato settentrionale delle terme, questo perché il Centa passava a nord del centro storico e non a sud come ora, era probabilmente presente un corso d'acqua del delta. L'ingresso era una scalinata larga 30 m con 4 gradini sopra la quale c'era forse un porticato, che immetteva in una grande area con il pavimento in battuto di malta, usato come palestra per gli esercizi fisici prima di fare il bagno, com'era uso dei romani. Qui è stato rinvenuto un edificio con tre vani di cui non si ha certezza dell'uso, probabilmente usato in parte come spogliatoio; l'esiguità delle murature rinvenute non permette di dare la certezza se il presunto apodyterium (cioè il vestibolo principale per l'ingresso e l'uscita nei bagni pubblici, costituito da un ampio spogliatoio con cabine, scaffali o nicchie dove i cittadini riponevano i vestiti e altri oggetti personali) ed il vano d'accesso al frigidarium comunicassero. I tre vani comunicavano comunque con gli ambienti retrostanti, di servizio, ubicati in un'area ancora in gran parte inesplorata adiacente al calidarium. Uno di questi ambiente, dalla pianta stretta e allungata con il pavimento in battuto di malta, era accessibile dall'atrio dell'apodyterium. Questi vani avevano una pavimentazione in tegole smarginate, come quelle usate negli ipocatusti, che non erano utilizzate per gli ambienti riscaldati. Ad est della scalinata è presente muro scandito da lesene che è all'interno dell'alveo anche se non più distinguibile perché coperto è rovinato, questo delimitava un'area rettangolare in terra, un cortile, usato forse come giardino o palestra, dove su un basamento in pietra sarebbe stata collocata una statua virile rinvenuta nel 1910 e che oggi trova sede nella Sala dei Consoli del Palazzo del Comune
La grande piscina, cioè la natatio era larga 12 metri, impermeabilizzata tramite la tecnica del cocciopesto, con pianta rettangolare e un'abside sull'unico lato breve posto in luce e gradini regolari a quarto di cerchio negli angoli. Un canale di deflusso aperto sul lato est ne consentiva lo svuotamento. Il frigidarium, destinato ai bagni freddi, è riconoscibile per la contiguità con la natatio e per l'assenza di ipocausti, di forma rettangolare era di 14 per 10 metri di dimensioni, con un'abside sul lato corto a ovest, in cui all'interno era presente una vasca munita internamente da quattro scalini. Una vasca più piccola e meno profonda era su ciascuno dei lati lunghi, movimentati da absidi. Le pareti e il pavimento erano rinvestite originariamente con lastre rettangolari di marmo bianco e verde, spogliate dopo l'abbandono dell'edificio; tale scoperta è stata possibile per i pochi frammenti rinvenuti durante gli scavi e per le impronte lasciate sul cocciopesto del pavimento, dove ci sono ancora tasselli in marmo di scarto, usato per posizionare correttamente le lastre. Sulle pareti della grande vasca absidale si conservano delle grappe in bronzo utilizzate per bloccare le incrostazioni marmoree. Al di sotto del pavimento era presente una canalizzazione voltata con convogliava all'esterno l'acqua di scarico delle vasche e della vicina natatio. Dal frigidarium, per mezzo di un ingresso aperto sul vano rettangolare interpretato come tepidarium per la presenza di ipocausti e per la posizione intermedia tra il frigidarium e gli altri vani riscaldati. Dal tepidarium un tempo pavimentato con lastre in marmo bianco, si passava ad ambienti più piccoli. Uno di questi, per la sua pianta circolare e per l'ubicazione tra il tepidarium e il calidarium, sarebbe un sudatorium, insieme con un altro vano rettangolare contiguo riscaldato direttamente da un praefurnium posto sul lato esterno dell'edificio. Un altro ambiente di modeste dimensioni (3,9 x 2,3 m) con pavimento in mosaico ha un motivo geometrico formato da quadrati bianchi fiancheggiati da rettangoli neri con quadrati bianchi più piccoli agli angoli.
Tra la natatio e il frigidarium sono emerse delle fondazioni in calcestruzzo gettato in casseforme lignee di un largo muro semicircolare parallelo all'abside del frigidarium; queste sono state realizzate per reggere un edificio più importante che probabilmente è stato iniziato ma mai finito, con una progettazione più articolata del complesso termale. Altre strutture molto simili mantengono la stessa direzione dei vani termali, dove si riconoscono una presunta palestra con la pavimentazione in battuto realizzato in tre strati sovrapposti corrispondenti alle fasi costruttive delle terme. Il frigidarium sarebbe quindi la semplificazione di un progetto precedente e più grandioso che prevedeva un'aula più allungata con una piscina anulare. Un vano rettangolare sotto la pavimentazione della palestra era forse la piscina a pianta rettangolare di 9 per 6,42 m, della quale sono stati esplorati gli angoli sud-ovest e nord-est, chiusi da gradini semicircolari simili a quelli dalla natatio.
Attraversando un vestibolo quadrato si arrivava in un grande vano rettangolare (18x10 m), il calidarium disposto trasversalmente rispetto all'asse natatio-frigidarium-tepidarium, ubicato sotto il piano della pavimentazione della chiesa di San Clemente edificata nel medioevo. Nella parte soggetta agli scavi si sono rinvenuti degli ipocausti con suspensurae formate da delle spesse lastre in arenaria appoggiate su uno spesso strato di calcestruzzo, poggiate su muretti invece che sui consueti piastrini di laterizio, così da creare veri e propri corridoi dove circolava l'aria calda. Su queste strutture probabilmente sorgeva una vasca riscaldata di grandi dimensioni, alveus. Gli ipocaustifunzionavano come corridoi dove passava l'aria calda che riscaldava le pareti della vasca riscaldando quindi l'acqua. A nord il calidarium si affacciava sul cortile retrostante con una parete movimentata esternamente da lesene in laterizio, da qui partivano due canali rivolti verso il fiume che erano visibili all'inizio del XX secolo e oggi non più che servivano per il deflusso delle acque.
L'edificio termale è costituito interamente in opera listata, con murature formate da file orizzontali di blocchetti squadrati in pietra alternate da corsi in mattoni in laterizio. In alcune zone sono presenti grossi blocchi squadrati in pietra inseriti nei paramenti murari. I laterizi sono utilizzati anche per rinforzare degli angoli, ma anche per realizzare diversi particolari costruttivi in cui è richiesta robustezza, come per le lesene che scandiscono il fianco esterno del calidario. I laterizi sono dello stesso tipo utilizzato nella Porta Palatina realizzata a Torino in età augustea.
Chiesa di San Clemente
Sopra l'antico plesso termale romano è stata edificata una prima chiesa paleocristiana, poi abbandonata e ancora riedificata in epoca medievale e dedicata a San Clemente. La prima struttura è databile intorno al IV secolo ed era presente una vasca battesimale ottagonale al suo interno venuta alla luce assieme agli scavi fatti per le terme. E' difatti possibile immaginare che la prima comunità cristiana libera di professare la religione si fosse dotata di una chiesa in una zona non centrale della città. Sapendo che nel 451 c'era un vescovo nella Diocesi di Albenga-Imperia, Quintus, e che questi per essere vescovo doveva avere una Cattedrale riferita alla sua carica episcopale, è presumibile che tale struttura potesse essere la prima cattedrale di Albenga, che in seguito alla costruzione di quella attuale al centro della Città, venne abbandonata, per essere recuperata solo in epoca medievale.[3] La chiesa è stata utilizzata rielaborata fino al XIII secolo dai cavalieri di Malta. Nel 1624 nel Sacro e Vago Giardinello si parla ancora di questa chiesa come una di quelle in caduta e diroccate. Viene abbandonata nei decenni successivi e poi inghiottita dal Centa.




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