mercoledì 31 gennaio 2024

Trad u/i zioni d’Eurasia - al MAO di Torino


A Torino una mostra dedicata alle traiettorie artistiche e alle dinamiche culturali che hanno caratterizzato per secoli gli scambi tra Asia e continente europeo: in luce il ruolo cruciale del continente asiatico e del Mediterraneo quale fulcro di traduzione culturale e luogo di connessione, negoziazione e costante riproposizione.
Terzo esito del ciclo espositivo Frontiere liquide e mondi in connessione, la mostra Trad u/i zioni d’Eurasia in programma dal 5 ottobre 2023 al 1 settembre 2024 si inserisce all’interno di una progettualità di ricerca composita che prende avvio al MAO dal 2023 al 2024. La mostra esplora i concetti di traduzione, trasposizione e interpretazione culturale snodandosi attraverso una selezione di oggetti provenienti dall’Asia occidentale, centrale e orientale che permettono di interrogarsi su fenomeni quali la circolazione materiale e immateriale, le modalità di trasformazione del significato e la fruizione avvenute tra Asia ed Europa nel corso di duemila anni di storia.
Indagando la migrazione di idee, forme, tecniche e simboli, in un dialogo aperto e inclusivo la mostra mira a evidenziare la reciprocità osmotica tra continenti e mari, per creare nuove narrazioni della cultura visiva e materiale che siano puntuali e relative piuttosto che universalizzanti e generiche.
L’approccio scientifico riflette anche la percezione sensoriale della materialità: sul modo in cui questi oggetti sono stati visti, percepiti e desiderati per la loro allure visiva e peculiarità cromatica – a partire dall’oro e dal blu – o per il fascino delle loro superficie, dato dalle qualità riflettenti, splendenti o trasparenti.
Lungi dal voler raggiungere l’esaustività, la mostra presenta una selezione di manufatti che offrono alternative al paradigma eurocentrico dell’eccellenza artistica, riaffermando il ruolo cruciale svolto dall’Asia centrale nella creazione e nella trasmissione di idee su scala globale. Vitale per questo fenomeno di contaminazione reciproca è il mar Mediterraneo, inteso come spazio intermedio, creatore di confini ma anche fenomenale catalizzatore di esplorazioni e contatti: una frontiera liquida dove i continenti convergono, le espressioni artistiche e i fenomeni culturali sono costantemente reinventati.
La mostra sarà suddivisa in aree tematiche con una particolare attenzione al colore - blu, rosso e oro - e alla materia – ceramica, tessuti, metalli, carta e pigmenti coloranti.
Lungo il percorso espositivo, i visitatori potranno ammirare tra l’altro splendide sete provenienti dall'antica regione della Sogdiana, in Asia Centrale, snodo di numerose vie carovaniere, ceramiche bianche e blu prodotte tra il Golfo Persico e la Cina, una raffinata selezione di “panni tartarici”, preziose stoffe d’oro e di seta del XIII secolo prodotte tra Iran e Cina durante la dominazione mongola, ammirate dall'aristocrazia medievale e dall'alto clero d'Europa, rari esemplari di tiraz (Egitto, X secolo), tessuti con iscrizioni ricamate che evidenziano l'importanza della calligrafia in ambito islamico, e una serie di bruciaprofumi zoomorfi in metallo (Iran, IX-XIII secolo), a ribadire la centralità delle essenze nelle società islamiche medievali.
Il progetto si avvale di numerosi prestiti provenienti da importanti collezioni e istituzioni italiane, che sottolineano e valorizzano la presenza sul territorio nazionale di una storia multiculturale condivisa: accanto a oggetti dell’Asia Centrale della collezione del MAO troveranno spazio tessuti, ceramiche e miniature raramente esposti della Fondazione Bruschettini per l’Arte Islamica e Asiatica, metallistica khorasanica della Aron Collection e importanti prestiti dal Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, dalla Chiesa di San Domenico di Perugia, dal Museo delle Civiltà di Roma, dalla Galleria Sabauda - Musei Reali e da Palazzo Madama di Torino.
Intesa come piattaforma organica di studio e ricerca, la mostra si trasformerà gradualmente nel corso dell’anno attraverso la rotazione di diverse opere e l’introduzione di nuove tematiche e stimoli percettivi, con nuove commissioni e installazioni di artisti contemporanei; sarà inoltre arricchita da una serie di conferenze e da un public program musicale e performativo.
In aggiunta, indispensabile per la comprensione delle diverse sezioni della mostra, sarà pubblicato un booklet di approfondimento distribuito gratuitamente, secondo la formula ormai consolidata del MAO e fortemente apprezzata dal pubblico, con testi a cura del team curatoriale e contributi esterni di Yuka Kadoi, Maria Ludovica Rosati e Mohammad Salemy.
Come già accaduto per i precedenti progetti espositivi del MAO, anche la mostra Trad u/i zioni d’Eurasia propone un dialogo tra opere antiche e contemporanee.
L’artista internazionale Yto Barrada (franco-marocchina, nata nel 1971 a Parigi) collaborerà per “sovvertire” ulteriormente la museografia tradizionale, collegando la sua pratica all’attività museologica. La sua installazione site-specific si svilupperà gradualmente nel corso di un anno di esposizione, offrendo nuove potenziali riflessioni sul colore e sulla materialità delle opere esposte a partire dal libro di Emily Noyes Vanderpoel (1842-1939) Color Problems: A Practical Manual for the Lay Student of Color, pubblicato all’inizio del XX secolo, che analizza la proporzione di colore derivata da oggetti come piastrelle assire, tappeti persiani, la cassa di una mummia egizia e persino una tazza da tè e un piattino.
Il progetto di Yto Barrada è realizzato in collaborazione con la Fondazione Merz, dove l’artista realizzerà una mostra personale nell'autunno 2024. Yto Barrada è la vincitrice della quarta edizione del Mario Merz Prize, premio biennale istituito nel 2013 con l’intenzione di individuare e sostenere personalità nel campo dell’arte e della musica contemporanea in ambito internazionale.
All’interno della mostra troveranno spazio anche le opere MOSADEGH (2023) dell’artista iraniana Shadi Harouni, che utilizza la parola scritta per connettere la storia del suo Paese con l’esperienza universale legata alla perdita, alla repressione, alla guarigione e all'audacia, e l’installazione immersiva Shimmering Mirage (Black), 2018 di Anila Quayyum Agha.
Chiude il percorso una sezione editoriale a cura di Reading Room, spazio milanese dedicato alla diffusione e comprensione delle riviste contemporanee, con una selezione di pubblicazioni, zines e libri d’artista che propongono un approfondimento su alcune delle tematiche affrontate in mostra quali la trasparenza, il colore, l’artigianalità.
Grazie alla convenzione con L’Istituto dei Sordi di Torino, i contenuti della mostra saranno disponibili in LIS Lingua dei Segni italiana e in versione audio.
Trad u/i zioni d’Eurasia è il terzo esito del ciclo espositivo Frontiere liquide e mondi in connessione che apre la Galleria dei Paesi islamici e la collezione permanente del Museo a ulteriori direzioni interpretative attraverso altre collezioni e contaminazioni curatoriali, sia locali sia internazionali. A partire dal 2023 sono state presentate le seguenti mostre: Lustro e Lusso dalla Spagna Islamica, a cura di Filiz Çakır Phillip e in collaborazione con la Fondazione Bruschettini per l’Arte Islamica e Asiatica – dal 19 gennaio al 4 giugno – e Metalli Sovrani. La festa, la caccia e il firmamento nell’Islam medievale, a cura di Veronica Prestini e in collaborazione con The Aron Collection – dal 14 giugno fino al 12 novembre 2023.

le foto sono di Giorgio Perottino, con la cortesia di MAO Museo Arte Orientale Torin

Lo sguardo del tempo. Il Foro Romano in età moderna - al Tempio di Romolo fino al 28 aprile 2024

 

Inaugurato il 21 novembre 2023 (e fino al 28 aprile 2024 – tutti i giorni dalle 9.00 alle 15.30)  nel Tempio di Romolo il nuovo allestimento temporaneo Lo sguardo del tempo. Il Foro Romano in età moderna che si propone come introduzione storica alla vera e propria visita archeologica al Foro Romano.
Attraverso una ricca serie di testimonianze iconografiche riproposte in copia o in digitale (disegni, stampe, quadri, fotografie, filmati) e l’esposizione di una piccola raccolta di oggetti-memoria legati alla cultura materiale del Grand Tour e alla vita quotidiana e professionale di chi visse e lavorò nel Foro Romano (stampe, quadri, modelli, libri, micro-mosaici, ventagli, strumenti scientifici, etc.), l’allestimento racconta la storia del Foro Romano come paesaggio tra il Cinquecento e il Novecento, concentrando la sua attenzione su alcuni temi nodali: la riscoperta dell’Antico nel Rinascimento, ma anche l’uso del Foro Romano come cava di materiali per la Roma moderna, come paesaggio classico ideale e come spazio rurale (Campo Vaccino); il Grand Tour e l’interesse degli eruditi; i primi studi scientifici e progetti di sistemazione dell’area; l’uso civico e politico dello spazio durante l’età dei nazionalismi e nella contemporanea civiltà di massa.

Tesori etruschi. La collezione Castellani tra storia e moda - a Milano, Fondazione Luigi Rovati

 

La mostra Tesori etruschi. La collezione Castellani tra storia e moda ha aperto il 25 ottobre il programma autunnale della Fondazione Luigi Rovati. Realizzata in collaborazione con il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia di Roma, la mostra ha portato a Milano i più importanti reperti archeologici e gli straordinari gioielli della collezione Castellani, tra le raccolte antiquarie romane più ampie e prestigiose. 
Ospitare la più significativa collezione del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, finora mai uscita nella sua completezza, è il risultato della collaborazione tra un‘istituzione pubblica e un‘istituzione privata che vede i due musei impegnati nel valorizzare il patrimonio etrusco e la storia del collezionismo che si sviluppa attorno ad esso.
L’attività di Fortunato Pio Castellani e dei suoi figli Alessandro e Augusto, orafi, collezionisti e mercanti di antichità, s’intreccia con la stagione delle grandi scoperte di scavo nei territori anticamente abitati dalle popolazioni etrusche e italiche. La famiglia Castellani avvia e sviluppa anche un’intensa attività di collezionismo e promuove scambi di antichità provenienti dalla penisola, in cui interesse storico, esigenze di studio, sentimento nazionale e commercio internazionale s’intrecciano.
La mostra approfondisce la storia della famiglia Castellani, della sua bottega orafa, che lancia la moda della gioielleria antica, e della sua straordinaria collezione raccolta negli anni e donata in parte al Museo di Villa Giulia nel 1919 e in parte disseminata nei musei di tutto il mondo.
I reperti arrivati da Roma - oltre ottanta - si affiancano alla collezione permanente del Museo d'arte in un processo di contaminazione che segue il metodo espositivo della Fondazione.
Le sei sezioni della mostra espongono numerosi gioielli antichi accanto a fedeli riproduzioni ottocentesche, come il pendente in oro a testa di Acheloo; ceramiche attiche, come la kylix attribuita al Pittore di Phrynos; e ceramiche mediterranee, come l’hydria prodotta a Caere e attribuita al Pittore dell’Aquila.
La Sala azzurra ospita un dialogo tra l'oreficeria etrusca, affiancata alla produzione ottocentesca della bottega Castellani, con i gioielli contemporanei di Chiara Camoni. L'artista presenta una serie di sculture-gioiello ottenute fondendo oggetti preziosi con un processo inverso, che "dalla forma ritorna verso l’informe, e dal quale si genera inaspettatamente altra bellezza". 
La mostra ha ricevuto la Medaglia di Rappresentanza del Presidente della Repubblica Italiana, prestigioso riconoscimento che viene attribuito a iniziative ritenute di particolare interesse culturale, scientifico, artistico, sportivo o sociale.
Il Museo Poldi Pezzoli di Milano custodisce nella sua collezione una preziosa demi-parure con collana e orecchini di turchesi cabochon e oro realizzata dalla Bottega Castellani per Rosina Trivulzio.
Con il biglietto della mostra è possibile accedere a prezzo ridotto al Museo Poldi Pezzoli (10 €, anziché 14€) dove poter scoprire la collezione permanente e la mostra in corso Oro bianco. Tre secoli di porcellane Ginori.  Viceversa, con il biglietto del Museo Poldi Pezzoli l’accesso al Museo d’arte è ridotto.

“Alle radici del territorio. La necropoli dell’età del Bronzo di Canegrate a 70 anni dallo scavo” a Legnano

 


Sabato 16 dicembre 2023 è stata inaugurata a Legnano la Mostra “Alle radici del territorio. La necropoli dell’età del Bronzo di Canegrate a 70 anni dallo scavo”.
La mostra, organizzata a Palazzo Leone da Perego dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Milano e dal Comune di Legnano, con la collaborazione e il contributo del Comune di Canegrate, vuole celebrare la scoperta della necropoli dell’età del Bronzo di Canegrate (MI) a settant’anni dai primi scavi scientifici e in estensione, che permisero di farne conoscere la ricchezza e l’importanza nel quadro della preistoria dell’Italia nord-occidentale. Dal punto di vista cronologico, questo sito si colloca nel momento pieno e finale dell’età del Bronzo Recente, ovvero nel XIII secolo a.C. circa.
L’esposizione vuole riportare all’attenzione del pubblico questa importante scoperta, cercando di raccontare quali erano i costumi, le attività e la società di una popolazione alle radici del nostro territorio. Saranno esposte numerose tombe, alcune delle quali per la prima volta, composte dall’urna cineraria e da ricchi corredi di oggetti in bronzo. Attraverso gli oggetti di corredo si cercherà di fornire un’immagine più ampia dei defunti e di questa popolazione.
In questo racconto le storie antiche delle persone che vennero sepolte più di tremila anni fa a Canegrate si intrecciano con quelle più recenti degli studiosi e dei ricercatori che hanno permesso di riportarle alla luce: personaggi straordinari del mondo della cultura, della ricerca e dell’archeologia.
Oltre ai corredi rinvenuti a Canegrate, nella mostra trovano spazio anche altri oggetti provenienti dal medesimo areale geografico (Albairate, Turbigo, Milano, Monza, Gambolò) e riferibili anche alla cultura immediatamente precedente, detta della Scamozzina-Monza (XIV secolo a.C.). Sono oggetti frutto di ritrovamenti ottocenteschi e di recentissima scoperta, esposti per la prima volta in associazione tra loro. Oggetti che parlano di mobilità e di relazioni con altre culture, anche molto distanti. Oggetti che rivelano gesti e riti di un mondo lontano, il mondo prima di noi.
La mostra è stata realizzata con il contributo di Fondazione Cariplo e con il sostegno di Banca di Credito Cooperativo di Busto Garolfo e Buguggiate.


“La Colonna Traiana. Il racconto di un simbolo” - fino al 30 aprile 2024 al Colosseo

 

L’esposizione “La Colonna Traiana. Il racconto di un simbolo”, organizzata e promossa dal Parco archeologico del Colosseo e dal Museo Galileo – Istituto e Museo di Storia della Scienza con la curatela di Alfonsina Russo, Federica Rinaldi, Angelica Pujia e Giovanni Di Pasquale è visitabile dal 22 dicembre 2023 al 30 aprile 2024 al secondo ordine del Colosseo.
La Colonna di Traiano veniva inaugurata il 12 maggio 113 d.C., 1910 anni fa. Sin dalla sua progettazione e costruzione la Colonna rappresentò una sfida per l’ingegno umano: l’estrazione del marmo dalla cava di Carrara, il trasporto via terra, via mare e via fiume, e infine la lavorazione e posa in opera nel cantiere del Foro di Traiano rappresentarono le tappe di un ardito processo ingegneristico e tecnologico ancora oggi fonte di stupore e meraviglia. Nei secoli a seguire, grazie alla sua fortuna e ai numerosi tentativi di replicarla, disegnarla, riprodurla, essa divenne nei secoli simbolo universale a cui si ispirarono imperatori, Papi e sovrani. L’allestimento narra e spiega questa funzione simbolica con due registri narrativi: quello più propriamente storico e artistico, con l’ardita ricostruzione del fregio in scala 1:1 le cui spire si avvolgono sui pilastri del Colosseo e quello invece più specificamente tecnico, con le tappe del trasporto e lavorazione del marmo, fino ad arrivare alla idolatria e all’uso politico dei sovrani d’Europa che ne pretesero la riproduzione attraverso le riproduzioni e i calchi.
Per comprendere appieno il processo di costruzione della Colonna e con esso la fatica e la potenza muscolare di centinaia di uomini che contribuirono a realizzare questo indiscusso capolavoro, in un Colosseo fasciato di blu, sono esposti i principali strumenti antichi utilizzati per l’estrazione dei blocchi di marmo, per il trasporto su imbarcazione e per la messa in opera, assieme ai modelli ricostruttivi delle macchine da cantiere dell’epoca (gru, torri, ruote), realizzati da Claudio Capotondi, novello “Maestro delle Imprese di Traiano”.
Video e proiezioni su schermo realizzati dal Museo Galileo assieme ad una grafica coinvolgente e a testi che superano le dimensioni dei pannelli didascalici per divenire narrazione anche visiva di un’unica Storia, offrono un racconto più didattico oltre che una maggior comprensione degli oggetti esposti in mostra. A contribuire al racconto permanente della Colonna è stata anche realizzata una webAPP in lingua italiana e inglese e, grazie al prezioso coinvolgimento e alla collaborazione dell’Ambasciata di Romania, anche in lingua romena.


“Dacia. L’ultima frontiera della Romanità” - fino al 21 aprile 2024 alle Terme di Diocleziano


Dal 21 novembre 2023 il Museo Nazionale Romano ospita nelle Aule delle Terme di Diocleziano la mostra “Dacia. L’ultima frontiera della Romanità”, la più grande e prestigiosa esposizione di reperti archeologici organizzata dalla Romania all’estero negli ultimi decenni, per ripercorrere lo sviluppo storico e culturale del proprio territorio nell’arco di oltre millecinquecento anni, dall’VIII sec. a.C. all’VIII sec. d.C. 
 
La mostra, a cura di Ernest Oberlander direttore del Museo Nazionale di Storia della Romania, e di Stéphane Verger direttore del Museo Nazionale Romano, si riallaccia alle esposizioni di Madrid (Museo Archeologico Nazionale, 2021) e Bucarest (Museo Nazionale di Storia della Romania, 2022), ampliandone il percorso: a Roma infatti (fino al 21 aprile 2024) saranno presentati circa 1000 oggetti provenienti da 47 musei rumeni, oltre che dal Museo Nazionale di Storia della Repubblica di Moldova per la prima volta esposti accanto ad alcuni reperti del Museo Nazionale Romano. 
Tema della mostra è la costruzione della Romanità, già al centro di un’altra grande esposizione: “Tota Italia. Alle origini di una nazione” realizzata con la Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura, curata da Massimo Osanna e Stéphane Verger (Roma, Scuderie del Quirinale, 14 maggio – 25 luglio 2021). 
La realizzazione della mostra “Dacia. L’ultima frontiera della Romanità” è stata possibile grazie all’Ambasciata della Romania in Italia, in partenariato con il Museo Nazionale di Storia della Romania e il Museo Nazionale Romano, al Ministero Romeno della Cultura, al Ministero degli Affari Esteri della Romania, al Ministero della Difesa Nazionale della Romania, all’Istituto Culturale Romeno tramite l’Accademia di Romania, al Ministero della Cultura italiano e alla Direzione generale Musei. 
Posta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Romania e del Presidente della Repubblica Italiana, la mostra segna un doppio anniversario per i rapporti bilaterali romeno-italiani: sono trascorsi infatti 15 anni dalla firma del Partenariato Strategico Consolidato tra la Romania e l’Italia e 150 anni dalla costituzione della prima agenzia diplomatica della Romania in Italia.  
Per celebrare il doppio anniversario, l’ingresso alla mostra sarà gratuito per i cittadini della Romania e della Repubblica di Moldova. 
 
LA MOSTRA 
L’evento segna l’apice degli scambi culturali bilaterali e mette insieme importanti reperti, per seguire l’evoluzione storica del territorio dell’attuale Romania, lungo un percorso temporale di oltre millecinquecento anni, dall’VIII sec. a.C. all’VIII sec. d.C., raccontando i numerosi contatti e scambi avvenuti in questa regione, grazie all’abbondanza di risorse e alla posizione tra l’Europa e l’Asia. 
Ad aprire il percorso, il calco di una scena scolpita sulla Colonna Traiana (scena XXXII, spirale V), che ritrae tre arcieri Daci che tengono sotto tiro i Romani assediati all’interno di una città e che l’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli fece colorare agli inizi degli anni ’70, dimostrando così l’esistenza del colore nell’architettura dell’antichità imperiale romana. 
Accanto sono esposti capolavori come il Serpente Glykon da Tomis, raffigurazione in marmo di un ‘demone buono’ che guarisce dalle epidemie; il magnifico elmo d’oro di Cotofeneşti di manifattura tracia, con varie scene di sacrificio; l’elmo celtico di bronzo da Ciumeşti, col sorprendente cimiero a forma di aquila che stupisce per l’unicità della fattura e progettualità; il tesoro gotico di Pietroasele del IV secolo d.C. con l’eccezionale phiale (coppa) d’oro lavorata a sbalzo e le grandi fibule; e ancora alcuni bracciali d’oro daci, le tavolette in bronzo della Lex Troesmensium e il donarium di Biertan. 
In mostra anche un’ampia selezione di importanti reperti – tra cui armi, vasi, ceramiche, monete, gioielli e corredi per i riti di magia – attraverso i quali è possibile scoprire la religione, l’arte, l’artigianato, il commercio e la vita quotidiana della antica Dacia. 
Come un viaggio millenario durante il quale vedere l’evoluzione degli antenati geto-daci verso i popoli geti e daci; la trasformazione di una parte della Dacia in provincia romana; l’integrazione di questo spazio nel mondo romano; la sopravvivenza della civiltà anche dopo l’abbandono del territorio dacico da parte dell’esercito e dell’amministrazione di Roma; la convivenza degli abitanti del territorio con le popolazioni migranti. 
Il fascino della mostra emerge dall’intreccio e dall’influsso reciproco delle civiltà, dalle trasformazioni profonde, dal processo di formazione e adattamento che ha portato alla creazione di un’identità culturale, per un lasso di tempo che va dalla fine della prima età del ferro e fino agli albori della civiltà europea attuale, in uno spazio percepito dai contemporanei del millennio delle migrazioni come “ultima frontiera della Romanità”, luogo dove il fondamento linguistico gettato dalla lingua latina e il nome dei romani sono sopravvissuti, nonostante le vicissitudini, fino ai nostri giorni. 
 
LE SEZIONI 
La mostra si articola in quattro sezioni: la prima è dedicata alla Dacia romana e illustra la conquista del territorio all’epoca dell’imperatore Traiano (101-106 d.C.), evidenziando lo stretto legame e le analogie tra i reperti provenienti dai musei rumeni e quelli del Museo Nazionale Romano. 
La sezione ha la duplice funzione di introduzione e spartiacque: le guerre daciche infatti segnano la conquista romana e l’annessione all’Impero, ma anche ‘un prima’ e ‘un dopo’. 
Si evidenzia una romanità di frontiera, che si rispecchia nei contesti di epoca romana presentati. Per tale ragione le altre sezioni sono strettamente legate al contesto storico del ‘prima’ e del ‘dopo’ rispetto alla Romanizzazione, per spiegare al meglio le specificità culturali di questa regione tra Oriente e Occidente. Dall’età del Ferro fino all’età bizantina la Romania è stata un incrocio di culture e la mostra permette di seguire appieno lo sviluppo e le caratteristiche attraverso un percorso cronologico: la seconda sezione racconta infatti la formazione della cultura dacica nell’età del Ferro con l’influsso dei Traci, degli Sciti e dei Greci delle colonie sul Mar Nero, e la terza sezione illustra il confronto tra civiltà urbane mediterranee e civiltà tribali e nomadi continentali e l’inserimento della Dacia nelle reti culturali ellenistiche mediterranee, dell’epoca di Alessandro Magno, e continentali, con nuove popolazioni centro europee quali i Celti, i Geto-Traci, i Bastarni di origine germanica. È il momento in cui Roma, a partire dalla conquista della Macedonia (con la battaglia di Pidna nel 168 a.C.), comincia ad avere un peso politico sulla regione. 
La quarta sezione si concentra sull’epoca della dissoluzione dell’Impero, con le difficoltà a mantenere sicuri i confini, le mescolanze di genti e l’emergenza di popoli come gli Unni, mentre il potere di Roma si sposta a Oriente con Bisanzio. 
In questa sezione viene sottolineato anche il ruolo della cristianizzazione e della diffusione della lingua latina, punti forti dell’eredità di Roma ed elementi federatori che preannunciano la Romania attuale. 
Tema costante delle sezioni è ‘l’intreccio di culture’, che spiega la ‘Romanità di frontiera’ e come di volta in volta sia riuscita ad adattarsi a questo contesto particolare, che si può paragonare alla situazione della penisola italica (si pensi alla mostra “Tota Italia”).











Splendori Farnesiani. Il Ninfeo della Pioggia - fino al 7 aprile 2024 al Parco Archeologico del Colosseo

 

La mostra Splendori Farnesiani. Il Ninfeo della Pioggia ritrovato conclude il programma di attività ed eventi di valorizzazione pensato dal Parco archeologico del Colosseo iniziato alla fine dello scorso ottobre con la riapertura al pubblico del Ninfeo della Pioggia negli Horti Palatini Farnesiorum sul Palatino.
La mostra, a cura di Alfonsina Russo, Roberta Alteri e Alessio De Cristofaro, è stata ideata per offrire ai visitatori una ricostruzione di quelli che furono i valori, i significati e gli usi del Ninfeo e di tutti gli Orti Farnesiani nel momento di loro massimo splendore, tra la seconda metà del XVI e il XVII secolo. Un viaggio ideale nell’effimero e nella cultura immateriale barocca che caratterizzarono i celebri giardini farnesiani, teatro di delizie, ricerca, cerimonie e di autorappresentazione politica di una delle più importanti famiglie italiane dell’epoca.
Attraverso quadri, disegni dall’antico, stampe, sculture in bronzo, oggetti d’arte e innovativi apparati digitali, la mostra permette ai visitatori di immergersi nella vita e nelle atmosfere del tempo, accostandosi non solo alla storia degli Orti e dei Farnese, ma alla stessa mentalità e visione del mondo che caratterizzava l’aristocrazia romana e italiana tra il tardo rinascimento e il Seicento.
“Ricostruire in modo filologico e raccontare l’effimero e il patrimonio immateriale di un’epoca conclusa non è mai semplice. E’ sempre necessario un attento lavoro di ricerca che metta insieme i documenti, i testi, i monumenti e gli oggetti che di una data epoca costituiscono testimonianza storica – commenta Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo. Poi bisogna affrontare la sfida del racconto, in forme che devono essere accessibili e comprensibili a tutti, senza però semplificare o banalizzare. In questo, il PArCo investe molto in innovazione, grazie alla sperimentazione e all’uso del multimediale e delle tecniche dello storytelling ”.
Nel progettare la mostra, un particolare impegno è stato dedicato al recupero di documenti e opere che avessero un diretto rapporto con il Ninfeo, gli Orti e la famiglia Farnese. Allestendo direttamente le diverse sezioni della mostra dentro gli stessi edifici dei giardini palatini le opere scelte dialogano e si integrano con gli spazi.
 

Caere: Storie di Dispersioni e Recuperi - fino al 28 febbraio al Polo museale Sapienza

 
Caere: Storie di Dispersioni e Recuperi
. Il 27 maggio (chiude il 28 febbraio 2024) dello scorso anno si è iaugurata presso presso il Museo delle Antichità etrusche e italiche del Polo museale Sapienza  una mostra sul tema cruciale della dispersione del patrimonio archeologico che ha afflitto una delle città più importanti d’Etruria.
Proseguendo un percorso iniziato nel 2022 con le Cronache Vulcenti e con la mostra Vulci: il patrimonio disperso e ritrovato. Dalle ricerche ottocentesche al digitale, tra i mesi di marzo e maggio 2023 la Sapienza Università di Roma, insieme con le Università della Tuscia e di Urbino e il Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia e con il patrocinio dell’Istituto Nazionale di Studi Etruschi e Italici, ha organizzato le Cronache Ceretane, coinvolgendo nel comitato scientifico etruscologi di altri atenei italiani e colleghi del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale.
Come per Vulci, anche in questo caso, l’obiettivo è stato quello di affrontare il problema della dispersione del patrimonio archeologico, attraverso il recupero della documentazione d’archivio relativa agli scavi condotti nei secoli scorsi nelle necropoli di Cerveteri, grazie al coinvolgimento di studiosi che sotto diversi aspetti si sono interessati a questo tema. Anche Caere, come Vulci e altre grandi città etrusche, ha infatti sofferto da un lato delle complesse e a volte oscure vicende degli scavi ottocenteschi, dall’altro della piaga degli scavi clandestini che hanno provocato la migrazione all’estero di reperti eccezionali e la conseguente perdita di contesti di primaria importanza.
La mostra, nata da una collaborazione tra il settore di Etruscologia del Dipartimento di Scienze dell’Antichità e la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale, si pone a coronamento di questo percorso. L’impegno – spiegano gli organizzatori Claudia Carlucci (Direttrice Polo museale Sapienza), Alessandro Conti (Dipartimento di Scienze dell’Antichità),  Laura M. Michetti (Direttrice Museo delle Antichità Etrusche e Italiche) e Rossella Zaccagnini (Soprintendenza ABAP per la Provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale) – consiste dunque nel richiamare sempre più l’attenzione su questo tema e sulla necessità per la comunità tutta e per le singole comunità locali di tutelare e proteggere il proprio patrimonio culturale e, quindi, la propria memoria.
Attraverso l’esposizione di reperti di straordinaria rilevanza, alcuni dei quali presentati al pubblico qui per la prima volta e restituiti alla fruizione pubblica attraverso forme diverse, il racconto sulla “dispersione” si affianca nella mostra a quello dell’esperienza virtuosa del “recupero legale”, che ha consentito a opere di grandissima importanza di essere riconsegnate all’Italia da musei stranieri o di rientrare nel patrimonio pubblico attraverso sequestri. Il visitatore potrà così comprendere l’importanza di preservare intatto il contesto di ritrovamento dei beni archeologici per una corretta ricostruzione storica e culturale del mondo antico, entrando in contatto con l’intensa attività di ricerca, tutela, valorizzazione e comunicazione portata avanti in sinergia da diversi enti e istituzioni. Una conseguenza derivata da questo approccio scientifico è quella di evitare quanto più possibile l’astrazione estetica dei reperti antichi, anche quando siano riconosciuti quali assolute opere d’arte, perché la conoscenza della loro storia ne attribuisce un valore molto più alto e appagante per il pubblico della sola ammirazione in quanto “opera bella”.
Caere: storie di Dispersioni e Recuperi è articolata in 4 sezioni in cui sono esposti un importante nucleo di 130 vasi provenienti da corredi funerari delle necropoli della Bufolareccia e del Laghetto a Cerveteri e originariamente appartenenti alla famiglia Ruspoli come premio di rinvenimento; reperti eccezionali quali il cratere firmato da Euphronios al centro di una lunga disputa con il Metropolitan Museum di New York, e una serie di lastre di terracotta dipinte recuperate a più riprese dalle forze dell’ordine, e che verosimilmente decoravano residenze gentilizie o edifici sacri con complesse scene del mito.
Ci sono anche due terrecotte architettoniche ad altorilievo, provenienti dalla localita’ Scarti di S. Antonio, nell’entroterra di Civitavecchia, rappresentanti probabilmente il mito di Meleagro, presentate per la prima volta al pubblico e qui associate ad altri frammenti da sequestro celebranti il mito di Atteone: sono esposte al pubblico restaurate per l’occasione da Decoresrl, grazie al contributo del settore di Etruscologia (Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza – Università di Roma) e del Museo delle Antichità etrusche e italiche del Polo museale Sapienza.  

lunedì 1 gennaio 2024

Campania - Napoli, MAN / Venditrice di amorini

 

La Venditrice di amorini è un affresco proveniente da Villa Arianna, rinvenuto durante gli scavi archeologici dell'antica città di Stabiae, l'odierna Castellammare di Stabia e conservato al museo archeologico nazionale di Napoli: si tratta di una delle opere maggiormente riprodotte durante il periodo neoclassico e rococò.
L'affresco risale alla metà del I secolo, periodo in cui era in voga il terzo stile e fu dipinto in un cubicolo di Villa Arianna, nei pressi di un'altra stanza decorata esclusivamente con figure femminili, tra cui la Flora: è ipotizzabile quindi che quella zona della villa fosse esclusivamente riservata alle donne. Fu ritrovato nel 1759, durante le esplorazioni borboniche e venne asportato per entrare a far parte della collezione del re: il successo dell'affresco fu tale che l'intera villa venne originariamente chiamata Villa della venditrice di amorini. Il quadretto fu oggetto di numerose copie ed imitazioni per tutto il XIX secolo, tanto che Charles Baudelaire, accusò gli artisti del tempo di mancare di originalità; tra le varie imitazioni quella di Joseph-Marie Vien, con l'opera chiamata Marchande d'Amours, realizzata nel 1763, anche se in questo caso l'artista ne trasse solamente ispirazione; Jacques-Louis David, un allievo di Vien, invece realizzò uno schizzo fedele all'opera originale, con elementi del gusto artistico del periodo. Fu inoltre riprodotta da Henry Fuseli, Bertel Thorvaldsen, Adamo Tadolini,
Christian Gottfried Jüchtzer, che ne realizzò una scultura (nella foto) e dalla Real Fabbrica Ferdinandea, che utilizzò il tema dell'affresco come soggetto decorativo per piatti, tazze e vassoi in porcellana.
La composizione, divisa in due settori, nei quali agiscono due gruppi di personaggi, è di chiara ispirazione teatrale: nella parte sinistra è raffigurata una matrona romana con alle sue spalle un'ancella nel ruolo di consigliera ed ai suoi piedi, quasi nascosto dalla veste, un putto svolazzante, intento a guardare le sue donne. Sul lato destro invece è raffigurata un'anziana cortigiana che prende dalla gabbia un amorino, tenendolo per un'ala, mentre, un altro, è rannicchiato all'interno della piccola voliera, in attesa di essere mostrato. L'intera scena ha un gusto tipicamente ellenistico, rifacendosi ai mimi e agli epigrammi: l'intento dell'autore è stato quello di portare l'osservatore alla meditazione, in questo caso delle pene d'amore.


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