lunedì 2 giugno 2025

Puglia - Museo archeologico De Palo-Ungaro di Bitonto

 

Il museo archeologico della Fondazione De Palo-Ungaro è un museo archeologico nato nel 2000 per iniziativa di Teresa De Palo-Ungaro, che negli anni Novanta costituì una fondazione per dotare la città di Bitonto di uno spazio per l’esposizione dei reperti della civiltà peucezia provenienti dagli scavi effettuati nel territorio comunale. Oltre ai reperti di età peucezia e romana, il museo conserva una biblioteca, una pinacoteca e l’archivio storico comunale.
I reperti esposti provengono da quella che è stata chiamata la necropoli di Via Traiana (dalla principale arteria stradale, di età romana, che attraversa l’area della necropoli) e sono databili tra il VI e il III secolo a.C.. Dell’insediamento abitativo invece non si ha, o non si ha ancora, traccia. La credenza nella vita oltre la morte richiedeva nella società peucezia, come nella società greca, che il defunto venisse seppellito con una serie di oggetti che potevano essergli utili nell’aldilà e che costituivano il corredo funerario. La collezione museale è per lo più costituita dal corredo rinvenuto nelle tombe.
Il percorso è organizzato in tre sale e ricostruisce le dinamiche sociali e culturali della civiltà peucezia nel centro cittadino attraverso l’evoluzione nei secoli dei corredi funerari. È noto che la pratica funeraria più diffusa in Puglia era quella dell’inumazione e, in particolare, il defunto veniva sepolto in posizione fetale, ovvero rannicchiato sul fianco. Questa è la posizione più frequente nelle sepolture più antiche.
Prima sala
Nella prima sala è conservato il corredo più antico, datato alla prima metà del VI secolo a.C. costituito da un elmo corinzio, una punta di giavellotto, e un vaso cantaroide a decorazione geometrica. Al V secolo a.C. è datato il corredo proveniente dalla tomba detta dei “vasi domestici” contenente diversi tipi vascolari per lo più a vernice nera, un cratere a colonnette decorato a fasce, delle fibule e una punta di giavellotto.
Nella prima sala è esposto anche il corredo proveniente dalla tomba detta “della tartaruga”, risalente al III secolo. Il corredo è quasi interamente acromo e include tra le altre cose un ryhon raffigurante plasticamente la testa di una tartaruga, un cratere a mascheroni, una kylix, uno skyphos e altri vasi domestici. I corredi funerari sono di fattura meno pregiata e ciò è attribuito alla crisi di Taranto, che rappresentava il maggiore centro di produzione della ceramica apula. Anche la posizione del defunto muta: il cadavere è stato infatti rinvenuto con la parte superiore in posizione supina e con le sole gambe rannicchiate. Del III secolo anche i pesi da telaio rinvenuti in un’altra tomba. Recano dei bolli, cioè delle decorazioni che li contrassegnavano.
Del IV secolo è il ricco corredo di una tomba di un individuo femminile. È costituito da vasi decorati a vernice nera e figure rosse, vasi in stile Gnathia (verniciati di nero con sovradipinture bianche), oggetti a vernice nera: un cratere a campana un’oinochoe, due guttus, un poppatoio, una lucerna e diversi vasi potori. Della seconda metà del IV secolo a.C. è una tomba il cui corredo, anch’esso esposto nella prima sala, comprende un tripode e un coltello in ferro, un fascio di spiedi in piombo un cinturone e una grattugia in bronzo. I reperti in ceramica comprendono due pelike, uno dei quali dipinto dal pittore di Montpellier, un cratere a colonnette e altri vasi potori.
L’ultimo corredo della prima sala risale al IV secolo ed è da attribuirsi ad un atleta: lo si deduce dalla tipologia del corredo e dalle scene raffigurate sulla ceramica a figure rosse: su un cratere a campana è rappresentata una Nike alata che incorona un atleta; su una oinochoe invece è raffigurato un uomo intento in un gioco a palla. Indicativa anche la presenza di uno strigile, un accessorio tipico della figura dell’atleta.


Seconda sala

La seconda sala contiene il corredo, notevole, dell’unica tomba a semicamera rinvenuto in territorio bitontino e datato al IV secolo. Il raffinato corredo da simposio è composto da diverse forme vascolari, oinochoai, rython, skyphoi, kantaroi. Presenti anche una patera un raffinato piatto da pesce attribuito al pittore di Karlsruhe, ma anche gutti, lucerne e altre forme vascolari. Presenti anche un tripode, degli spiedi, un forchettone, frammenti di una grattugia, pinza e attizzatoio. Un cratere a mascheroni, del pittore della Patera raffigurante il defunto in un naiskos. I rython raffigurano plasticamente la testa di un cavallo uno e di un maiale il secondo, mentre nella parte cilindrica è raffigurato Eros androgino.
Nella seconda sala sono esposti anche parte dei corredi di due tombe, una del V e l’altra del IV secolo a.C. Della prima sepoltura sono esposti un cratere miniaturistico e una coppa biansata decorata a fasce, tre fibule in ferro, una brocchetta verniciata di rosso e una collana formata da grani sferici in argento. Della tomba del IV sono invece esposti una fibula in ferro e una statuetta in terracotta che raffigura una donna seduta recente una patera nella mano sinistra, probabile rappresentazione della defunta offerente.
Terza sala
Nella terza sala sono esposti diversi corredi, due dei quali provenienti da altrettante sepolture rinvenute nella vicina Ruvo di Puglia. Il corredo di una tomba del V secolo a.C. è composto da un cratere a colonnette con decorazione a fasce, due coppe, un vasetto cantaroide, una kylix e un’oinochoe a vernice nera. La caratteristica più notevole è la presenza di ben nove fibule in argento e di altrettante in bronzo. Presenti anche dei pendenti in ambra e dei vaghi in pasta vitrea.
Tre tombe esposte in questa sala risultano riutilizzate, secondo una consuetudine abbastanza diffusa nella società peucezia. Gran parte del corredo e dei resti ossei del primo defunto sono stati cioè asportati per fare spazio ad una nuova sepoltura. La parte rimanente del corredo e dei resti ossei del primo defunto sono stati invece accantonati sul fondo della tomba.
La “tomba dei monili”, ad esempio, conserva il corredo di due deposizioni. Alla prima appartengono alcuni oggetti in metallo, tra cui due strigili, un forchettone, alcuni spiedi e un coltello. Della sepoltura più recente datata al IV secolo a.C. si conservano invece un ricco corredo ceramico (un cratere a colonnette, due anfore panatenaiche, una lekane, uno skyphos, una phiale, una oinochoe in stile Gnathia, skyphos, coppette, piattini, un guttus, una lucerna, una coppa decorata a fasce). Il corredo comprende anche un anellino a fascia in bronzo, e un vago in pasta vitrea con decorazioni bianche e azzurre di fattura fenicia, di particolare interesse perché rappresenta l’unico oggetto di provenienza orientale rinvenuto a Bitonto.
Le tombe provenienti da Ruvo appartengono a due guerrieri. La tomba “A” collocata cronologicamente tra la fine del V e l’inizio del IV secolo comprende un ricco servizio da simposio e oggetti pertinenti alla preparazione e consumo di cibi. Tra i manufatti ceramici anche una lekythos e un cratere a campana a figure rosse, vasi a vernice nera, un guttus, una lucerna. Molti vasi sono a decorazione vegetale, tra questi si annoverano una coppa biansata, uno stamnos, un kothon. Tra gli oggetti metallici invece si segnalano uno strigile in bronzo, due punte di giavellotto e due coltelli in ferro, uno spiedo, una grattugia. Di particolare interesse, il cratere, dipinto dal pittore di Amykos verso la fine del V secolo, raffigurante una scena d’inseguimento.
La tomba “B” è una tomba di riutilizzo e la sepoltura più recente, di fine IV secolo a.C., ha conservato un ricco corredo che comprende un cinturone in bronzo, e una moneta in argento coniata ad Heraclea, rinvenuta in corrispondenza della mandibola. Si suppone quindi che la moneta aveva funzione apotropaica, impedendo il ritorno tra i vivi dell’anima del defunto. Secondo altre credenze, la moneta serviva a pagare Caronte, il traghettatore dell’Aldilà.
Di particolare interesse è inoltre il cratere a mascheroni dipinto dal pittore di Baltimora. Raffigura il defunto eroizzato, in una scena di carattere funerario: un naiskos, sotto il quale un cavaliere che tiene per le briglie un cavallo e due figure maschili e altre due figure femminili intenti a offrire doni (si riconoscono grappoli d’uva, patere e corone). Numerosi vasi potori (kantharos, skyphoi, rython), recipienti a vernice nera (coppe, skyphoi, un’oinochoe, un guttus), vasi decorati a tempra (anfore panatenaiche, una loutrophoros). Vi sono poi delle patere, una pisside senza fondo, un mortaio, una pentola, una lucerna acroma, una brocchetta da fuoco. Tra gli oggetti metallici un cinturone in bronzo, tre lame di pugnale, parte di uno strigile, due tripodi, di cui uno in frammenti, un fascio di spiedi.


Puglia - Antiquarium di Canne

 
L'Antiquarium di Canne è sito in località Canne della Battaglia nei pressi della cittadella omonima lungo la SP 142, nel territorio della città di Barletta, a pochi metri dalla stazione di Canne della Battaglia.
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Puglia, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei.
L'Antiquarium precede la visita della cittadella medioevale, alla sommità della collina sotto la quale avvenne lo scontro tra i Cartaginesi e i Romani. Inaugurato il 21 aprile 1958, alla presenza dal Ministro della Pubblica Istruzione Aldo Moro e del sindaco Giuseppe Palmitessa, il museo documenta gli insediamenti umani nel territorio di epoca preistorica, classica, apulo-greca e medievale. Presenta inoltre una ricca collezione di vasi dauno-peucezi dipinti con disegni geometrici risalenti al IV-III secolo a.C., provenienti dai sepolcreti di Canne. 
Ospita ornamenti in bronzo e ambre, corredi tombali, ceramiche, antefisse, iscrizioni, monete di epoca bizantina. Tra gli altri anche una protome antropomorfa rinvenuta dagli scavi effettuati in località La Boccuta, risalente al 3000 a.C.. Sotto la tutela della Soprintendenza Archeologica della Puglia, propone tutta una serie di reperti che testimoniano gli insediamenti presso le rive dell'Ofanto a partire dall'età neolitica. I resti conservati testimoniano le fasi storiche della popolazione cannese che durante l'età del bronzo, affronta un periodo piuttosto raffinato e che sfocia nell'età repubblicana in una dipendenza dalla città di Canosa.
Infatti Canne dal 1500 al 1850 apparteneva al comune di Canosa di Puglia.

Puglia - Centro "Ocriticum"


Collocato nell'ampia piazza XX Settembre a Cansano, il centro di documentazione e visita "Ocriticum" è il centro operativo di gestione del parco archeologico e naturalistico di "Ocriticum", La struttura ospita una discreta quantità di reperti provenienti dal vicino sito archeologico, mostre temporanee, conferenze ed una mostra permanente sull'emigrazione, donata a Cansano dal Comandante generale della Guardia di Finanza Nino Di Paolo, originario e amante del posto.
Lo stabile adibito a centro di documentazione ospitava originariamente una chiesa, edificata a metà del XV secolo e dedicata a Santa Maria di Loreto. Successivamente alla peste del XVII secolo, il culto di Santa Maria di Loreto fu sostituito con quello di San Rocco, che lì fu venerato sino al XX secolo: a metà del XX secolo, difatti, la chiesa fu sconsacrata (a San Rocco fu consacrata invece la nuova chiesa innalzata in piazza XX Settembre) e convertita in parcheggio al coperto. Dopo il 1997, l'edificio è stato rilevato dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell'Abruzzo e convertito in spazio museale.
Il centro è suddiviso in tre sezioni, ciascuna ospitata da un piano dell'edificio.
Al piano superiore, al quale si accede da piazza XX Settembre, è situata una sala convegni.
Il piano centrale ospita i reperti rinvenuti nel pianoro di Ocriticum, raccolti all'interno di sei teche a ciascuna delle quali è affiancato un pannello esplicativo. I reperti presenti costituiscono saggi delle tipologie di oggetti rinvenuti nelle singole aree sviluppatesi nella piana, a partire dall'area sacra, di cui si possono osservare diversi ex voto fittili e anatomici, maschere votive, ampolle e balsamari, ma anche statuine rappresentanti divinità: fra le più interessanti, una raffinata Venere e una statuetta raffigurante due dee intente a salutarsi con un bacio (symplegma), identificate con Cerere e Proserpina al momento del loro congedo o dell'incontro. Altre teche mettono in evidenza la quantità di traffici commerciali che interessavano Ocriticum, come si evince dalla pluralità dei tipi di ceramica, nera e rossa, grezza o raffinata, semplice, decorata o dipinta, talora sigillata, e dall'elevata quantità di monete romane differentemente databili. Monili, vetri policromi e ceramiche dipinte testimoniano, poi, come la frequentazione del pianoro si sia protratta nei secoli, sino all'età tardo-antica e all'Alto Medioevo.
Il pian terreno, munito di accesso indipendente da Via Umberto I, ospita una preziosa mostra fotografica sull'emigrazione, con particolare riferimento alla migrazione verso gli Stati Uniti d'America alla fine del XIX secolo. Nel corso dell'ultimo secolo, infatti, il paese di Cansano è stato fortemente colpito dal fenomeno dell'emigrazione, che ne ha impoverito l'economia e causato un ingente svuotamento (l'intero centro storico è abbandonato e diroccato), e un fortissimo calo demografico. 


Puglia - Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia

 

Il Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia fu costituito in alcune stanze del Palazzo Jatta e rappresenta l'unico esemplare in Italia di collezione privata ottocentesca rimasta tuttora inalterata dalla concezione museografica originaria. I reperti conservati nel museo furono raccolti dall'archeologo Giovanni Jatta nei primi anni dell'Ottocento, successivamente venne arricchita dall'omonimo nipote e venne ceduta allo Stato nel 1993.
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Puglia, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei.
Dal 2021 al 2023 il Museo è stato soggetto di restauro, che l'ha riportato alla sua conformazione originale. Il restauro ha previsto il rinnovo dell'impianto elettrico, il restoro delle stanze e dei piedistalli delle opere. Durante il restauro, il museo è rimasto aperto gratuitamente con una mostra chiamata "Collezionauta", allestita nel Grottone di Palazzo Jatta, ovvero un'antica cantina del Palazzo nata con lo scopo di ripostiglio. La mostra Collezionauta prevedeva la mostra di alcuni dei maggiori vasi di epoca magna-greca e di oggetti personali del XIX secolo, appartenuti ai membri della famiglia Jatta.
L'anno 1822 portò Ruvo di Puglia sulla bocca di tutti i cittadini del Regno delle Due Sicilie. Come ricorda Giovanni Jatta junior: «Non più in città si veniva per provvedersi di viveri; perocché i venditori di pane, vino e camangiari, albergati sotto piccole tende, fornivano il necessario nella campagna medesima
La scoperta fortuita nel 1820 del patrimonio vascolare presente nel sottosuolo scatenò una vera e propria caccia al tesoro e tutta Ruvo fu messa a soqquadro non tanto con l'interesse di costituire un museo o di ricavare informazioni storicamente utili, ma con l'intento di vendere i pezzi pregiati al fine di un personale tornaconto. Due anni dopo si verificò il boom degli scavi e anche i primi intellettuali cominciarono ad interessarsi ai reperti. Oltre ai saccheggi dell'antica necropoli e al mercato sorto attorno alle anticaglie, alcune famiglie nobili ruvesi, quali Caputi, Fenicia, Jatta, Lojodice e altri, istituirono dei musei privati. Tuttavia tutte queste famiglie, ad eccezione degli Jatta, hanno poi disperso il loro patrimonio archeologico vendendolo ai privati e spesso all'estero, determinando così una dispersione delle ricchezze storiche rubastine. L'eccezione fu rappresentata dagli Jatta, soprattutto da Giovanni Jatta senior, magistrato presso il foro di Napoli, il quale finanziò vari scavi privati con l'intento di allargare la sua piccola collezione, per lo più composta da monete. Aiutato dal fratello Giulio, nel 1844, anno di morte di Giovanni Jatta la raccolta contava circa cinquecento reperti. L'erede di questo ingente patrimonio fu il nipote Giovannino, figlio di Giulio Jatta e Giulia Viesti, tuttavia nel testamento il giureconsulto aveva ordinato all'erede di cedere le ricchezze al Re dell'epoca in modo da conservarle nel Museo Archeologico di Napoli. 
Ma a Giovannino, essendo ancora troppo piccolo, subentrò sua madre Giulia che, morto anche il marito, decise di chiedere al Governo Reale di lasciare la collezione Jatta a Ruvo in modo da essere esposta in un edificio adibito ad abitazione e museo. Nel 1848 il re acconsentì alle richieste della signora Viesti. Con la maggiore età di Giovanni Jatta junior, la collezione era già passata ai duemila esemplari e toccò proprio a lui sistemare tutti i reperti nelle quattro stanze predisposte per il museo e in una quinta dedicata a monili e monete: la disposizione stanza per stanza dei reperti è giunta intatta fino a noi. Nei secoli successivi si aggiunsero alcuni pezzi scoperti e rinvenuti da Antonio Jatta. Nel 1991, la collezione privata Jatta fu acquistata dallo Stato con un indennizzo alla famiglia di 9 miliardi di lire dovuto alle spese sostenute dalla famiglia negli anni per la cura del patrimonio.
Il museo è tutt'oggi disposto secondo il volere dei fondatori ed è diviso in quattro sale ma fino ai primi del Novecento le sale erano ben cinque. La quinta sala conteneva un ricco medagliere, rubato nel 1915 e non più ritrovato.
I reperti inoltre sono disposti in ordine di importanza infatti la prima sala ospita delle terrecotte mentre l'ultima ospita il pezzo più importante e famoso, il vaso di Talos. Nel 1993 con decreto ministeriale il Museo Jatta è stato dichiarato nazionale, mentre l'11 giugno dello stesso anno il Museo è stato riaperto al pubblico. Alle sale si accede tramite l'antico portone di legno presente nell'atrio.
Prima sala

Nella prima sala è posta un'iscrizione in latino che ricorda i fondatori del Museo. Principalmente sono presenti vasi in terracotta con decorazioni geometriche e risalenti all'età peuceta del VII e VI secolo a.C.. Al centro della stanza trova posto un gigantesco orcio ricomposto ed un tempo utilizzato per la raccolta dei liquidi alimentari. Sotto la grande finestra è stato ricostruito un sarcofago in tufo con all'interno dei reperti non verniciati. Accanto al sarcofago sono poste due iscrizioni incise su lastre sepolcrali di età romana risalenti al II secolo: la prima raccoglie la dedica dei coniugi Marcus Licinius Hermogenes e Licinia Charite al figlio morto all'età di sette anni; la seconda iscrizione riporta la dedica di Julia Eutaxia per il marito.
Nelle vetrine adiacenti sono conservati resti frammentari di decorazioni architettoniche, statuette dette oranti per la posizione delle braccia, una lunga serie di utensili e di statuette di divinità. Destano curiosità i tintinnabula, animaletti in ceramica contenenti un sassolino ed utilizzati dai più piccoli come giocattoli.
Seconda sala

La seconda sala, la più grande, contiene circa 700 vasi di produzione greca o locale. I vasi sono stati creati con la tecnica delle figure rosse, ovvero immagini rosse su sfondo nero. All'ingresso della sala è possibile ammirare un grande cratere a mascheroni del IV secolo a.C. rappresentante Apollo nell'atto di scagliare le frecce contro i Niobidi, opera del pittore di Baltimora. Il vaso è fiancheggiato da due anfore dello stesso periodo ma opera del pittore Licurgo: la prima reca le scene di Eracle nel tempio con Antigone e Creonte e della lotta tra amazzoni e guerrieri attorno ad Eracle; la seconda invece la consegna delle armi ad Achille da parte delle Nereidi. Degno di nota è il cratere attico a campana raffigurante l'ascesa di Eracle all'Olimpo.
Le vetrine disposte tutt'intorno custodiscono una grande varietà di reperti che vanno da anfore e vasi di sempre minori dimensioni ad oggetti di uso funebre e quotidiano. Inoltre in questa stanza è conservato un'iscrizione latina che ricorda la costruzione delle mura della Rubi romana.
Terza sala

Nella terza sala, contenente oltre quattrocento pezzi, spicca il bianco del busto marmoreo di Giovanni Jatta junior al quale si deve la fondazione del Museo. Il primo vaso collocato è un cratere protoitaliota a volute del IV secolo a.C. sul quale sono rappresentati Cicno ed è inoltre ripresa la biga di Ares con un'interessante prospettiva frontale. Su di un altro cratere protoitaliota è invece raffigurato Bellerofonte su Pegaso affiancato da Atena e Poseidone, opera del ceramografo chiamato pittore di Ruvo. Un terzo cratere di Licurgo riporta ben tre scene: il giardino delle Esperidi sulla facciata anteriorie; un sacrificio ad Apollo sul posteriore; Eracle contro il toro ed un rito dionisiaco sul collo del vaso. Su una colonna mozzata è inoltre presente un ulteriore cratere a volute su cui è dipinto il mito di Fineo ed è opera del pittore Amykos. Altri crateri posti sulle colonne raffigurano Teseo e Piritoo puniti da Minosse e il ratto delle Leucippidi.
Nelle vetrine sono conservati un gran numero di rhyta, bicchieri con forma di teste umane o animali, tra cui alcuni attici e alcuni appuli. È inoltre presente una pelike che rappresenta l'incontro tra Paride ed Elena mediato da Venere, un kantharos con figura di anziano barbuto e un askos.
Quarta sala
La quarta sala, nonostante sia la più piccola, raccoglie i reperti più preziosi, duecentosettanta circa. Anche qui è presente un busto marmoreo ma qui è raffigurato Giovanni Jatta senior in toga. È conservato un pelike che riprende il mito delle Nereidi e due esemplari di lebete. Sono inoltre presenti due crateri a volute di cui uno rappresenta Bellerofonte nell'atto di leggere la sua condanna a morte ed un altro sul quale è dipinta una corsa di quadrighe.
Nelle vetrine sono conservati rhyta bifacciali ma anche collane e balsamari in pasta vitrea. Importante è anche la kylix con figura di giovane nudo. Accanto è posto un lekythos raffigurante la gara di canto tra Tamiri e le Muse. La seconda vetrina raccoglie reperti del neolitico e dell'età del ferro. La terza ed ultima vetrina conserva opere di importazione corinzia databili tra il VII e il VI secolo a.C., come alcuni tipi di alabastron e ariballo.
Altri vasi custoditi sono del tipo a figure nere e dunque appartenenti alla prima fase della ceramica attica, quali l'oinochoe rappresentante Eracle contro il leone Nermeo e Teseo che rincorre il Minotauro. L'ultima ceramica, la più pregiata, è il vaso di Talos (nella foto) opera del cosiddetto pittore di Talos. Il Museo e la stessa città di Ruvo devono la loro fama a questo vaso considerato uno dei più importanti capolavori ceramografici attici per via delle innovazioni artistiche presenti come le ricerche coloristiche e prospettiche del V secolo a.C.. Sul vaso è dipinto l'episodio narrato da Apollonio Rodio nelle Argonautiche riguardo all'uccisione di Talos da parte di Medea, sostenuto morente dalle braccia di Castore e Polluce. Nella stanza inoltre ci sono oggetti di metallo e parti di armature.
Grottone
Il Grottone di Palazzo Jatta nasce originariamente, all'interno del Palazzo, come ripostiglio. Durante il restauro del Museo, avvenuto tra il 2021 e il 2023 che ha riportato le quattro sale alla loro conformazione originale, rinnovando gli impianti elettrici e il restauro delle sale e dei piedistalli delle opere, il Grottone è stato ripulito, rinnovato, e ha aperto le sue porte al pubblico per la prima volta nella storia del Palazzo, per ospitare la mostra provvisoria di Collezionauta, mostra che prevedeva la vista di alcuni dei vasi più eccellenti già precedentemente esposti nell'originale Museo, e di moltissimi pezzi ed oggetti personali appartenuti ai membri della famiglia Jatta durante il XIX secolo.
Alla riapertura delle quattro originali stanze del Museo, il Grottone è rimasto comunque visitabile, con l'intento di ospitare collezioni esclusive nel corso del tempo ed eventi per i visitatori. 


Puglia - Museo di Archeologia Urbana Giuseppe Fiorelli di Lucera


Il MAU - Museo di Archeologia Urbana Giuseppe Fiorelli di Lucera si trova all'interno di Palazzo de Nicastri-Cavalli, nel centro della città. Fondato e inaugurato nel 1905 come Museo Civico, custodisce reperti che vanno dalla Preistoria al Medioevo. Inoltre è possibile ammirare le sale del palazzo nobiliare, vincolato dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali con decreto del 23 agosto 1984, come "esempio notevole di dimora signorile settecentesca in Lucera".
Fin dagli anni settanta dell‘800, nelle due sale a piano terra di palazzo Mozzagrugno, dov'era allocata la Biblioteca comunale, era possibile ammirare una piccola raccolta pubblica di antichità. Nel 1900, l'avvocato Girolamo Prignano, assessore anziano nell’amministrazione guidata da Francesco Paolo Curato, ottenne dal sindaco l’uso dei locali a pianterreno allo scopo di allestire un antiquarium cittadino. Il sindaco, non solo non oppose alcun rifiuto, ma incoraggiò il Prignano nel suo intento, promettendogli di sostenerlo anche economicamente. Varie famiglie possidenti lucerine furono invitate a donare al Comune le loro collezioni di antichità, e lo stesso Prignano diede l'esempio donando le sue, imitato dai Cavalli e dai De Troia. In poco tempo il sogno divenne realtà, grazie anche ad alcuni amici e collaboratori del Prignano: Alfonso De Troia (che divenne il primo direttore del Museo), Raffaele Di Giovine e Gaetano Ottaviano. Il Museo Civico di Lucera fu finalmente inaugurato il 9 gennaio del 1905.
Nel 1925, Giuseppe Cavalli, sindaco della città, per onorare la volontà del fratello Eduardo, dispose per testamento di far dono di un’ala dell’antica dimora dei marchesi de Nicastri per insediarvi il Museo. Fu così che, tra il 1934 e il 1936, fu trasferito nell'attuale sede di palazzo de Nicastri-Cavalli, e dedicato all'archeologo di origini lucerine Giuseppe Fiorelli (1823-1896).
Il museo, chiuso in seguito al terremoto del 31 ottobre 2002, è stato sottoposto a un lungo intervento di ristrutturazione e messa in sicurezza degli ambienti, durato dieci anni, con il riallestimento completo delle sezioni museali rinnovando il percorso espositivo. Inaugurato nel 2009 con la sola sezione di "archeologia classica", è stato interamente riaperto al pubblico nel 2012, con l'ultimazione della sezione di "archeologia medievale".
Al Museo si accede dalla corte del palazzo de Nicastri-Cavalli ed è strutturato su due livelli: sulla sinistra c'è la biglietteria e di fronte lo scalone centrale che porta al primo piano. Il percorso museale si articola in una ventina di ambienti: una sala con reperti preistorici, protostorici e preromani; cinque sale con reperti d'età romana; tre sale con reperti paleocristiani; tre sale con reperti medievali; altri ambienti sette-ottocenteschi, alcuni con arredi d'epoca (salotto Cavalli, cucina, sala Figliola, cappella e due loggioni).
L’esposizione museale presenta reperti che vanno dalla Preistoria al Medioevo.
Il museo custodisce prevalentemente reperti archeologici, rinvenuti in gran parte in scavi fortuiti o donati da privati. Entrando nella corte del palazzo e sui pianerottoli, ai lati dello scalone, sono collocati alcuni reperti d'età romana: cippi funerari, una colonna, un'ara con festoni e bucrani, alcune iscrizioni lapidee ed elementi architettonici.
Età preistorica e età preromana
L'età preistorica è documentata, al piano terra, da armi in selce dell'età archeolitica e neolitica (asce, punte di lancia e di freccia, ecc.) in gran parte di provenienza garganica, facenti parte della raccolta del prof. Raffaele Centonza. A seguire frammenti di ceramica d'impasto con decorazione a meandro, trovati sul colle Albano, e asce in bronzo del periodo protostorico, attestano la presenza a Lucera di un insediamento nell'età del bronzo medio e recente (tracce risalenti al neolitico antico furono rilevate negli anni '60, con la scoperta di un fossato e di un focolare all'interno della fortezza). Ricca la raccolta di ceramiche preromane, di vari stili e forme: brocche, anforette e fusaiole (V-III sec. a. C.); ceramica dipinta di stile geometrico o daunia con askoi, attingitoi, ecc. (IV-III sec. a. C.); ceramica apula «a figure rosse» (V-III sec. a. C.); ceramica di Egnatia (IV-III sec. a. C.); ceramica a vernice nera con kylikes, brocche, oinochoai, piatti, gutti, rithà (V-III sec. a. C.).
Nella stessa sala sono presenti le copie dei bronzetti del c.d. carrello di Lucera, rinvenuto in un vigneto alle falde del colle Albano nell'anno 1800. Il gruppo rappresentava alcune figure umane ed animali intente in una probabile scena rituale, fissate su un disco saldato su tre supporti con protomi a testa di stambecco, terminanti ciascuno con due ruote a quattro raggi, a comporre un manufatto simile ad un tripode/carrello databile all'VIII secolo a.C.. I bronzetti appartenevano probabilmente ad un corredo funerario (del quale facevano parte anche degli spiedi e delle fibule andati presto dispersi), e finirono nella collezione privata del lucerino Onofrio Bonghi, per poi essere acquisiti dall'Ashmolean Museum di Oxford.
Età classica
La sezione di "archeologia classica" è allestita al primo piano.
Qui è esposta la famosa "stipe votiva del Salvatore", uno dei depositi votivi più interessanti dell’Italia meridionale per ricchezza e qualità dei materiali. Rinvenuta sul colle Belvedere, dove si presume fosse il tempio dedicato ad Atena Iliaca ricordato da Strabone, è databile tra la fine del IV e la metà del II sec. a. C.. La tipologia dei manufatti denota la presenza di un culto a carattere salutare, incentrato sulla richiesta di guarigione e sui riti di propiziazione della fecondità, sia umana che animale. Sporadici ritrovamenti c'erano stati già nel corso dell'800, e poi nel 1913 e nel 1928; ma solo con gli scavi diretti dal Soprintendente Renato Bartoccini, tra il 1934 e il 1935, fu riportata alla luce un'intera favissa con circa 1500 fittili votivi. Tra i manufatti in terracotta (realizzati con l'uso di stampi e del colore) si ammirano numerosi ex voto anatomici (mani, piedi, gambe, organi genitali maschili e femminili, mammelle, ecc.), riproduzioni di animali (equini e bovini), statue di infanti avvolti in fasce (alcuni con bulla), teste e statue di giovinetti e di fanciulle, maschere, statue virili in abito greco e romano, pesi da telaio, ecc. Non mancano le rappresentazioni di divinità, forse facenti parte della decorazione frontonale del tempio, come l'artistica testa di Minerva (fine IV-prima metà del III sec. a.C.), col capo coperto da elmo attico, lophos centrale e pennacchi ai lati, e lo splendido busto frammentario della c.d. Proserpina (metà II sec. a.C.), col diadema sul capo e il braccio sinistro sollevato a reggere il velo che, secondo l'archeologo Mario Torelli, potrebbe rappresentare invece una Venere in una scena di hierogamia con Marte.
Interessanti le terrecotte architettoniche: antefisse (V-IV sec. a. C.), gocciolatoi, acroteri, lastre con rilievi (III-II sec. a. C.).
In altre sale sono esposti elementi architettonici, reperti scultorei ed epigrafici:
- la sezione epigrafica, studiata già dal Mommsen nel suo nucleo originario, è molto ricca e presenta lapidi celebrative (vedi l'architrave del tempio del Divo Apollo-Augusto, dedicato dai Catuli in età tiberiana) e funerarie dall'età repubblicana fino alla tarda età imperiale;
- la scultura romana in calcare e in marmo, in prevalenza a destinazione funeraria, presenta diversi esemplari tra ritratti e statue iconiche, databili tra la prima metà del I sec. a.C. e la seconda metà del I d.C.: quattro ritratti muliebri e tre virili, un frammento di una statua femminile drappeggiata, una acefala di un togato, una lastra calcarea con i ritratti di due coniugi e un'altra rappresentante una probabile scena pastorale (collocata nella prima sala al primo piano). Degna di nota una colonna su base e capitello in calcare, che riporta sui quattro lati delle scene mitiche (III sec. a.C.): a) Teti sul dorso di un Ippocampo, mentre reca la corazza di Achille; b) Scilla che divora i compagni di Ulisse; c) Polifemo e Galatea; d) Scena di congedo;
- la statuaria romana in marmo, soprattutto d'età imperiale, presenta anche diverse raffigurazioni di divinità: una Venere pudica (rinvenuta nel 1872 nei pressi di Porta San Severo), un busto colossale di imperatore dal volto interamente scalpellato (posto in cima allo scalone d'ingresso), una testa di Ercole Epitrapezio, una testa di Venere o Diana, un Eros dormiente, un "Genius Loci Lucerinus" con patera e cornucopia, due statue di Dioniso e Attis, alcune teste di satiri e di Pan.
Nel grande salone vi è la "sezione musiva", rappresentata dal famoso mosaico policromo a decorazioni geometriche e scene di ambiente marino (ippocampi, tori marini, tritoni, eroti, timoni, àncore e delfini), rinvenuto nel 1899 in piazza Nocelli (II sec. d.C.). Alle pareti della stessa sala vi sono quattro tappeti musivi a disegno geometrico, tre d'età imperiale e uno paleocristiano.
Età paleocristiana

La sezione di "archeologia paleocristiana" è rappresentata da due lacerti musivi (uno dei quali è nella "sala dei mosaici") trovati nel 1911 in vico Granata. Recano entrambi delle iscrizioni votive alla chiesa lucerina (V-VI sec. d.C.) e facevano parte della pavimentazione di una basilica paleocristiana. A questo periodo è datata anche una parte della collezione di lucerne (le altre sono d'età imperiale romana), e alcuni reperti provenienti dagli scavi del sito di San Giusto, a 10 km. a sud-est di Lucera: una colonna, una tomba a cappuccina, monete tardoantiche, due pesi monetari bizantini, ecc. Ivi, tra il 1995 e il 1999, fu rinvenuto un importante complesso paleocristiano, composto da una basilica doppia con nartece e battistero del V-VI sec. d.C., di cui la più antica (la basilica A), con splendidi mosaici policromi a motivi geometrici.
Età medievale

Tre sale del primo piano sono dedicate alla sezione di "archeologia medievale".
Qui è possibile ammirare l'importante collezione delle ceramiche invetriate di manifattura saracena (XIII sec.), tra cui boccali, piatti, brocche con filtro, una ciotola con iscrizione dipinta in lingua araba; alcuni frammenti di ceramica cinese, bicchieri vitrei, pettini in osso, ecc. Una copia in gesso di un frammento d'iscrizione funeraria di un Qāʾid saraceno, Yaḥyā Al-Bašāš, morto nel 1348, è attualmente in deposito (una copia recente è in una delle nicchie sotto l'arco di porta Troia). In una teca è esposto, insieme a due daghe o "spade da stocco" (seconda metà XIII sec.), anche un raro elmo pentolare (terzo quarto del XIII sec. circa) ritrovato nel 1987 nello sterro di una delle torri della fortezza.
Testimonianze scultoree degne di nota sono i capitelli e le chiavi di volta provenienti dal palatium svevo (un modellino ligneo mostra al visitatore come si presentava in sezione); due leoni stilofori (uno firmato da Isidoro da Bologna); uno stipite di portale con rilievo leonino proveniente dalla cattedrale di Montecorvino; alcune sculture lapidee, tra cui una testa di moro e un'altra di giovinetto; statue di santi vescovi (tra cui S. Ludovico d'Angiò e S. Pardo), e una in legno, frammentaria, rappresentante una Madonna.
Numismatica e altre sezioni
La sezione numismatica, sebbene non conti le migliaia di pezzi delle origini, consiste in due medaglieri che raccolgono alcune centinaia di monete donate da privati (tra cui le collezioni Prignano e Cavalli):
- uno contiene le monete fuse e coniate dalla zecca di Luceria (IV-III sec. a.C.), altre di zecche locali o greche;
- l'altro espone monete romane d'età imperiale, medievali (monete sveve, angioine e aragonesi) e d'età moderna.
Nel museo sono esposte, inoltre, due carte dell'agro lucerino disegnate dall'agrimensore Gaetano Carrara nell'800, varie anfore da farmacia e alcuni strumenti musicali e spartiti appartenenti alla Banda "Silvio Mancini" di Lucera.
Datati al sette-ottocento sono il salotto Cavalli, la cucina, la sala Figliola (sala da pranzo o studio) e l'artistico presepe napoletano (appartenuto al lucerino Rocco De Troia), allestito all'interno della cappella del palazzo.

Puglia - Museo archeologico 'Castromediano', Lecce

 


Il museo "Sigismondo Castromediano" è un museo archeologico di Lecce, dotato anche di una piccola pinacoteca e di un lapidario.
È il museo più antico della Puglia, fondato nel 1868 da Sigismondo Castromediano, duca di Cavallino; conserva numerose testimonianze della civiltà messapica e degli insediamenti romani. Nella sezione preistorica è stata ricostruita la Grotta dei Cervi di Porto Badisco, con interessanti pitture rupestri.
Nella pinacoteca sono esposti dipinti che documentano gli influssi bizantini e veneziani sul lavoro degli artisti locali, dal medioevo fino al XVIII secolo (opere di Lorenzo Veneziano, Alvise Vivarini, Bartolomeo Vivarini, Paolo Finoglio, Pacecco De Rosa, Agostino Beltrano, Giovanni Andrea Coppola, Antonio Verrio, Andrea Malinconico e il figlio Nicola, Corrado Giaquinto, Francesco de Mura e Oronzo Tiso). Una sezione è dedicata alle cosiddette arti minori: ceramiche, vasellame, avori, bronzi e argenti di età barocca.
Dopo la morte del duca Castromediano, il museo fu lasciato in balia di se stesso e molti reperti conservati al suo interno andarono ad arricchire altri musei d'Italia, tra cui quello di Taranto, che col tempo si ingrandì al punto tale da diventare museo nazionale, a scapito del più antico museo di Lecce, che rimase sempre Museo provinciale. Da diversi anni, comunque, ha accresciuto notevolmente il proprio prestigio, specie per via dell'inaugurazione di un padiglione dedicato al grande tenore leccese Tito Schipa, famoso nel mondo.


Nelle foto:
- Tesa di Giove, dall'Anfiteatro di Lecce (foto di Giovanni Dall'Orto, 2015)
- Testa di Alessandro Magno, proveniente dall'Anfiteatro di Lecce (foto di Giovanni Dall'Orto, 2015)

 

Puglia - Museo archeologico nazionale di Gioia del Colle

 


Il Museo archeologico nazionale di Gioia del Colle è situato nelle sale al pian terreno del castello normanno-svevo e raccoglie i reperti archeologici provenienti dagli scavi nelle aree di Monte Sannace e Santo Mola, che hanno portato alla luce un insediamento di antichi Peucezi.
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Puglia, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei.
Un museo comunale era stato originariamente ospitato nell'ex convento di San Francesco, in piazza Plebiscito, quando nel 1959 la Soprintendenza alle antichità della Puglia e del Materano aveva dato il benestare alla istituzione di un museo che raccogliesse i reperti provenienti dagli scavi effettuati nelle aree di Monte Sannace e Santo Mola nel periodo compreso tra 1940 e il 1953.
In seguito ad ulteriori campagne di scavo nel sito di Monte Sannace, viene istituito nel 1977 il Museo archeologico nazionale, che viene allestito in due sale al pian terreno del castello normanno-svevo.
Successivamente alcuni reperti provenienti dagli scavi a Murgia San Francesco hanno arricchito la collezione del museo.
Parte del materiale rinvenuto a Monte Sannace si trova nel Museo archeologico provinciale di Bari, in quello di Taranto e in altri musei. Altri reperti, provenienti da scavi clandestini, sono sparsi per il mondo o fanno parte di collezioni private.
I reperti esposti risalgono al Neolitico e all'Età del bronzo e del ferro.
Gli oggetti in esposizione comprendono vasi geometrici e figurati, armi e oggetti in bronzo, fibule e ornamenti personali, statuine fittili, che componevano i corredi delle sepolture; ceramica d'uso domestico e da mensa, pentole, fornelli, macine e utensili vari, riferibili alla vita quotidiana e alle attività dell'antica popolazione. Fra gli oggetti in esposizione, inoltre, alcuni bronzi che costituivano parte dell'armatura di guerrieri del V secolo a.C. (un elmo di tipo corinzio e un omerale).
 
Nelle foto, dall'alto:
Antefissa policroma con testa di gorgone ritrovata nell'acropoli di Monte Sannace (VI sec. a.C.).
Askos geometrico zoomorfo peuceta ritrovato a Monte Sannace (VI sec. a.C.).
Anfora geometrica peuceta ritrovata nell'acropoli di Monte Sannace (seconda metà del VII sec. a.C.).
Olla geometrica peuceta ritrovata nell'acropoli di Monte Sannace (prima metà del VII sec. a.C.).

Puglia - Museo archeologico di Santa Scolastica, Bari

 

Il museo archeologico di Santa Scolastica, noto in passato come museo archeologico di Bari o museo archeologico provinciale di Bari, è un museo archeologico sito nella città di Bari. La collezione comprende materiali e reperti delle civiltà indigene della regione (Daunia, Messapia, Peucezia), risalenti a periodi che vanno dalla preistoria all'età del bronzo, oltre a monili di età greca, bizantina, arabo-normanna e medievale.
Istituito nel 1875 con pochi reperti raccolti dal professor Nitto De Rossi, fu aperto al pubblico il 18 maggio 1890 nella sede del palazzo Ateneo (che dal 1925 ospitò anche l'università), dove è rimasto sino al 2000.
Il museo, all'epoca sotto la gestione della Commissione di Archeologia e Storia Patria, ampliò col tempo la collezione nel tempo grazie a donazioni private, acquisizioni e reperti da scavi in varie zone della Puglia. Sotto le direzioni del tedesco Maximilian Mayer (1894-1903) e di Michele Gervasio (1909-1957) si realizzarono la compilazione dell’inventario, diversi studi specialistici e la realizzazione di importanti campagne di scavo.
Ai primi del '900 risalgono gli acquisti di pregevoli reperti quali i reperti della tomba Varrese di Canosa di Puglia, la collezione Polese e il monetiere Maselli.
Nel 1957 la gestione del museo fu trasferita dall'amministrazione provinciale a quella statale, sotto l'egida della Soprintendenza delle Antichità della Puglia e del Materano, al fine di destinarne i reperti derivanti dalle campagne di scavo nella provincia di Bari. Nel 1957 e 1958 furono eseguiti scavi a Monte Sannace e Conversano, mentre tra la fine degli anni '70 e '80 nuovi reperti furono reperiti a Monte Sannace, Acquaviva delle Fonti, Canosa di Puglia, Rutigliano, Conversano e Turi.
Nel 1985 il complesso di Santa Scolastica, affidato all’Università degli Studi di Bari, è oggetto di un accordo con convenzione, tra la stessa Università e la Regione Puglia, per la costituzione di un Centro Documentazione dei Beni Culturali della Puglia.
Tra il 1994 e il 2000 il museo fu chiuso per lavori di adeguamento. Nel 2001 la gestione tornò nuovamente in carico alla provincia di Bari, trasferendo le collezioni presso il complesso dell'antico monastero di Santa Scolastica, incorporato in un bastione delle mura cittadine, nel cuore della città vecchia. Nel 2010, dopo un lungo iter amministrativo, cominciarono i lavori di restauro e sistemazione funzionale dell'ex-monastero in chiave museale, incluso il recupero della vicina area archeologica di San Pietro. I lavori, finanziati del Ministero per i Beni e le attività culturali e della Regione Puglia, si conclusero nel 2018 quando le prime sale del nuovo complesso museale furono riaperte al pubblico.


La collezione del museo conta circa 30 000 reperti, classificati secondo le seguenti sezioni:
materiale preistorico comprendente strumenti litici, ceramica impressa;
ceramica indigena geometrica dauna, peuceta e messapica;
ceramica apula di derivazione greca a vernice nera, sovradipinta, a figure rosse e dello stile di Gnathia;
ceramica greca, corinzia e attica;
terrecotte figurate e architettoniche;
sculture in pietra;
bronzi comprendenti vasi, armi, armature, utensili;
oreficerie;
epigrafi greche e latine;
monete greche, romane, bizantine, medievali e moderne;
gemme incise;
oggetti di osso e di avorio;
vetri e ambre.

La riorganizzazione degli spazi espositivi ha permesso la creazione di un percorso che si snoda dall'ingresso del complesso monastico fino all'area archeologica di San Pietro, percorrendo alcune sale al pian terreno di Santa Scolastica, in attesa della futura apertura delle sale al piano superiore.
Il percorso offre al visitatore informazioni sulle valenze storico-archeologiche della città e, in progressione, su quelle della Terra di Bari e dell’intera regione, transitando per sei sezioni.
Alle origini di Santa Scolastica: Bari bizantina
La prima sezione è situata all'interno del bastione con resti della chiesa bizantina dei Santi Giovanni e Paolo e supporti multimediali riferibili alle testimonianze architettoniche e artistiche della Bari bizantina, con dettagli e testimonianze della vita monastica negli edifici rinvenuti nel corso degli scavi nella città vecchia.
Prima di Santa Scolastica: l’archeologia in Terra di Bari.
La sezione è ospitata in un porticato dove sono esposte le testimonianze archeologiche individuate nel sito di Santa Scolastica e i luoghi esemplificativi dell'archeologia in Terra di Bari. Sono inoltre presenti reperti provenienti dalla collezione provinciale e da collezioni statali:
ceramiche e industrie su osso e pietra dalle capanne dell'età del bronzo dall'area di S. Pietro (XVIII sec. a.C.),
corredo funerario di età arcaica (VI sec. a.C.) dall'area di S. Pietro,
corredi di età classica (V sec. a.C.) dall'area di Santa Scolastica,
oggetti uso comune di età romana dall'area di S. Francesco della Scarpa ed epigrafi di età romana da vari siti di Bari.
Archeologia di Puglia
La sala si configura come uno spazio con contenuti multimediali dedicato all'archeologia di tutto il territorio pugliese.
Santa Scolastica oggi
Questa sezione è dedicata all'esposizione di reperti di recente acquisizione.
Gli itinerari di visita nella città vecchia
La sala illustra i percorsi a disposizione del pubblico all'interno della città vecchia di Bari, con particolare attenzione alle stratificazioni monumentali conservate nel tessuto urbanistico.
Dalla collezione del Museo Archeologico di Bari
L'ultima sezione raccoglie reperti particolarmente significativi della storia della formazione della collezione del museo archeologico della provincia di Bari, comprese le integrazioni dei reperti statali, fra cui:
Dolmen della Chianca di Bisceglie (scavi primi '900): corredi funerari dell'età del bronzo (XVIII sec. a.C.) (ceramiche ed elementi ornamentali in bronzo, osso e ambra)
Noicattaro (scavi primi '900): corredo funerario di età arcaica (VI sec. a.C.) (ceramiche indigene a decorazione geometrica e ceramica ed elementi di armatura in bronzo di importazione dalla Grecia)
Noicattaro: pendaglio e dischi maurei (VI sec. a.C.)
Bari città: cratere a figure rosse fliacico (IV sec. a.C.) con la raffigurazione della nascita di Elena dall'uovo
Monete da Bari e altre località di età classica e medievale
Bari, S. Pietro: erma bifronte in marmo di età romana (I sec.)
Monete di età classica e medievale da Bari e altre località

Nelle foto, dall'alto in basso:
- Cratere corinzio a colonnette con cavalieri in corsa e scena di danza, 600-500 a.C. circa
- Cratere apulo a mascheroni con guerriero nudo sotto tempietto, 355-345 a.C. circa
- Anfora peucezia con decorazione geometrica, VI secolo a.C., da Valenzano (Bari)
- Anello d'oro con gemma incisa con Vittoria alata che porge una corona a Minerva, età romana imperiale, dall'area di San Pietro a Bari
- Ceramica canosina a decorazione policroma e plastica: Askos da Canosa di Puglia, III secolo a.C.
- Elmo corincio, V secolo a.C.



 

Puglia - Museo archeologico provinciale "Francesco Ribezzo

 

Il Museo archeologico provinciale "Francesco Ribezzo" si trova a Brindisi, in piazza Duomo.
Il museo prende il nome dall'omonimo archeologo e glottologo illustre (1875-1952). Dispone di numerosi e ampi locali nei quali conserva vasi attici di notevole interesse e i famosi Bronzi di Punta del Serrone.
La prima sede del Museo Civico fu a metà Ottocento la chiesa di San Giovanni al Sepolcro per iniziativa del canonico Giovanni Tarantini: divenuta presto inadeguata, si decise ad opera dell'Amministrazione Provinciale di recuperare gli spazi lasciati dal vecchio ospedale adiacente al duomo per destinarli a sede del Museo (ma anche della Biblioteca provinciale e del Provveditorato).
Brindisi, staccatasi dal territorio della provincia madre, Lecce, nel 1927, «sentì presto (...) il bisogno della doverosa tutela del suo patrimonio archeologico con la necessità della formazione, tra l'altro di una pubblica raccolta» che potesse recuperare materiali esistenti in raccolte private o quelli frutto di scavi occasionali. «La delibera del 23 marzo 1956 dell'Amministrazione provinciale» unitamente ai fondi stanziati hanno pertanto permesso di porre le basi per realizzare l'obiettivo. già per altro votato al IV Congresso della Società di Storia Patria tenutosi a Brindisi nell'anno 1954 cui si è aggiunta la collaborazione degli archeologi Ciro Drago, Pietro Romanelli, Massimo Pallottino, Attilio Degrassi.
Nel corso dei lavori, furono effettuati interessanti ritrovamenti nel sottosuolo. Il nuovo museo fu aperto al pubblico nel 1958 e vi confluirono, oltre alla collezione civica, le numerose antichità che affioravano nel corso degli interventi edilizi nel centro storico e nei paesi della Provincia. Nel 1992 si è arricchito dei ritrovamenti subacquei di Punta del Serrone, consistenti in belle statue bronzee in frammenti. Nel frattempo, resisi liberi gli spazi già destinati ad uffici, il Museo ha potuto trovare nuove sale e spazi per esposizioni.

Struttura del museo
Esterno
Il cosiddetto portico dei cavalieri Templari, completato con un tratto d'imitazione moderna (1954), funge da ingresso al Museo. Sotto il portico trovano posto una serie di ceppi d'ancora in bronzo, sculture, stele onorarie municipali, sarcofagi ed elementi architettonici dei quali è nota la provenienza, ma non il contesto. Di grande interesse sono alcuni resti medievali, tra cui un interessante capitello di fattura altomedievale con figure danzanti, forse trasformato in vera da pozzo (IX-XI secolo); capitelli e semicapitelli figurati provenienti dalla distrutta chiesa di Sant'Andrea dell'Isola (XI secolo) e dal Duomo (XII secolo); frammenti di archivolti da chiese medievale della città; inoltre, nel portichetto medievale, un sarcofago bizantino con croci greche. Al di là del portico si apre un cortiletto, nel quale sono esposte are marmoree, iscrizioni funerarie ed elementi architettonici.
Piano terra - Sala Marzano
Al pianterreno si apre un'ampia sala dedicata alle collezioni storiche della Sezione antiquaria. Nelle vetrine il materiale archeologico, in gran parte di provenienza brindisina, è esposto per classi di materiali: ceramiche, bronzetti, terrecotte votive, antefisse, lucerne, vetri, monete. Notevoli i vasi a trozzella, tipici della regione messapica (VII-II secolo a.C.) e alcuni vasi attici, vasi italioti, vasi dello stile di Gnathia, crateri apuli a figure rosse del IV secolo a.C. con scene dionisiache.
Piano Sotterraneo - Epigrafica e statuaria
L'esposizione conserva inalterato l'allestimento del 1954-58.
Alle pareti, numerose iscrizioni romane sia onorarie che funerarie, e alcune messapiche, greche ed ebraiche, da Brindisi e dalla provincia. Tra queste notevole un'epigrafe rinvenuta in località Tor Pisana nel 1870 circa, per una fanciulla morta diciassettenne nell'anno 832 che recita:
«Qui giace Lea, figlia di Yafeh Mazal. Sia la sua anima nel vincolo della vita, che si dipartì essendo trascorsi 764 anni dalla distruzione del Tempio: e i suoi anni furono diciassette. Il Santo - benedetto Egli sia - le conceda di resuscitarne l'anima con la Sua giustizia. Venga la pace e si posi sul luogo in cui ella giace. Custodi dei tesori del paradiso, aprite le porte e consentite a Lea di entrare. Ogni delizia abbia alla sua destra e ogni dolcezza alla sua sinistra. Così intonerai, e le dirai: questo è il mio diletto, questo è il mio compagno.» (Epigrafe in ebraico - IX secolo)
Al centro della sala, varie statue, alcune delle quali assai pregevoli benché acefale: tre torsi di statue loricate romane, con le corazze ornate dalla testa di Medusa e da Vittorie alate che incoronano un trofeo; frammento di statua muliebre in corta tunica (Diana cacciatrice); una figura femminile ammantata; statua muliebre seduta, di arte greca, e statua muliebre acefala, di arte ellenistica, di Vittoria o Musa.
I e II Piano 
Dalla Preistoria ai Messapi

La sezione Preistorica raccoglie materiale archeologico che illustra i risultati di varie campagne di scavo effettuate a Brindisi e nel territorio della provincia.
Ricca collezione di vasi a trozzella messapici, con varie decorazioni geometriche e fitomorfe (generalmente del IV-III secolo); suppellettile di tombe, con vasi dello stile di Gnathia e a trozzella, da Ceglie Messapico (IV-III secolo a.C.); trozzelle e crateri dello stile di Gnathia, da Valesio; materiale vario da Egnazia, Carovigno e Oria. Da Brindisi provengono, tra l'altro belli esemplari di vasi a figure rosse: un bel cratere a colonnette attico del Pittore di Efesto (V secolo a.C.) con Corteo dionisiaco presso un'ara e, nel rovescio, personaggi ammantati; un altro cratere attico con Trittolemo sul carro alato tra Demetra e Kore del Pittore di Polignoto (V secolo a.C.); kylix attica con Satiro avanti a Menade, interpretato come Scena di ipnotismo (V secolo a.C.); cratere a campana con Atena tra Ercole e Ermes del Pittore di Ermes (IV secolo a.C.); oinochoe apula con Scena nuziale del Pittore dell'Iliupersis (IV secolo a.C.); due crateri apuli con Scene di satiri del Pittore del Tirso (fine del IV secolo a.C.). Inoltre, laminetta aurea con iscrizione greca (V secolo a.C.); aryballoi protocorinzi figurati (VII secolo a.C.) che attestano i rapporti commerciali antichissimi di questo porto con scali orientali.
Brindisi romana 
Contiene statuine fittili e antefisse, di provenienza tarantina, della collezione Gorga (deposito dello Stato al Museo) e una piccola raccolta di monete greche e romane. Inoltre, sul pilastro a d. dell'ingresso, grande disco fittile di età romana con Eros su quadriga e simboli zodiacali. Su pilastrini marmorei, urne di alabastro e di marmo, bella testa di divinità femminile di età romana. Nel corridoio busto di Pan (I secolo d.C.), busto di Minerva (età adrianea), un simulacro di Ecate trimorfa e un bassorilievo con scena di sacrificio.
Bellissima statua acefala di Clodia Anthianilla, letterata brindisina (II secolo), già nel foro di Brindisi e relativa base iscritta con lungo elogio funebre della stessa.
Sculture di età imperiale, tra cui un bel frammento in marmo di età adrianea con Diana cacciatrice.
Due grandi capitelli compositi in pietra locale con teste di divinità provenienti dagli scavi di piazza Duomo (fine del I secolo a.C.). Grande mosaico pavimentale romano con la rappresentazione del Labirinto; nel quadrato centrale, la lotta tra Teseo e il Minotauro.
Sala Benita Sciarra - Archeologia subacquea
 
In questa sezione del Museo, dedicata all'archeologia subacquea del territorio, si trovano esposte anche numerose anfore recuperate in tempi diversi lungo il litorale brindisino, ceppi di ancore in pietra e metallo.
La scoperta dei Bronzi di Punta del Serrone si deve ad una occasionale immersione il 19 luglio del 1992, quando nello specchio d'acqua antistante Punta del Serrone, due miglia a nord dell'imboccatura del porto di Brindisi, fu rinvenuto un piede bronzeo a circa 400 metri dalla riva e a 16 metri di profondità. Già nel 1972 un altro magnifico piede di bronzo appartenente a statua di età imperiale o bizantina di dimensioni ragguardevoli era stato recuperato in quello stesso tratto di mare e consegnato al Museo.
Le prospezioni subacquee effettuate nell'agosto 1992 permisero di recuperare, in un'area di circa 300 m2, duecento frammenti bronzei di varia tipologia e dimensione che furono depositati presso il Museo provinciale di Brindisi. I materiali recuperati a Punta del Serrone, eterogenei dal punto di vista cronologico, dovevano sicuramente costituire il ricco carico di una imbarcazione: un carico di sculture smembrate già al momento dell'imbarco, come confermano le tracce di demolizione meglio evidenziate dalle operazioni di restauro, ma anche un carico che doveva comprendere qualche statua pressoché intera, frammentatasi presumibilmente durante il naufragio.
Un carico di pregio artistico intrinseco, anche se appare sempre più convincente l'ipotesi che doveva essere destinato a qualche fonderia per essere utilizzato per la fusione. Non bisogna escludere che la meta fosse proprio Brindisi, citata già da Plinio per i suoi specchi bronzei (aes brundisium è forse l'etimologia medievale della parola bronzo) e nell'età sveva e angioina attivissima zecca. Il carico comunque si rivelava troppo pesante per una imbarcazione che, sorpresa nei pressi del porto di Brindisi da un improvviso fortunale, veniva trascinata all'altezza del promontorio di Punta Penne e in località Punta del Serrone perdeva parte del carico o verosimilmente, al contrario, forse nel tentativo di trovare un riparo, se ne liberava in tutto o in parte per alleggerire il peso. In ogni caso, si ignora se l'imbarcazione abbia potuto proseguire indenne la sua navigazione, mancando nel contesto delle ricerche il rinvenimento di qualsiasi traccia dello scafo e dell'attrezzatura marinara.
Sono esposti dopo lungo e laborioso restauro: una statua raffigurante Lucio Emilio Paolo, il console romano che nel 168 a.C. trionfò nella terza guerra macedonica (ricomposta durante le operazioni di restauro da due pezzi: il torso e la testa, recuperati in due punti diversi dello scavo); un'altra di un civis romanus nelle vesti di togato; due teste di personaggi con barba fluente, che riprendono il tipo figurativo del filosofo, databili fra il IV e il III secolo a.C.; due teste-ritratto di personaggi maschili di età imperiale romana, l'uno appartenente alla dinastia Giulio-Claudia (primi decenni del I secolo) e l'altra che presenta forti somiglianze con l'imperatore Caracalla; due teste di personaggi femminili di III-IV secolo e una testa di bambina; un'ala pertinente ad una statua di Vittoria e numerosi frammenti di arti inferiori e superiori e frammenti di panneggi.

Nelle foto, dall'alto:
- Piccola Afrodite
- Testa di statua di bambina, II secolo a.C.
- Piede sinistro calvato di statua virile colossale, 100-150 d.C.
- Testa di uomo in bronzo rappresentante probabilmente Antistene
- Bronzo di Punta del Serrone

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...