venerdì 27 giugno 2025

UCRAINA - Neapoli Scita

 

Neapoli Scita (in greco Σκυθική Νεάπολις) era un insediamento esistito dalla fine del III secolo a.C. fino alla seconda metà del III secolo d.C.
Le rovine archeologiche risiedono nella periferia dell'attuale Sinferopoli. Questa città era il centro delle tribù scite di Crimea guidate dai re Scilurus e Palaco (probabilmente sepolti nel mausoleo locale). La città dominava un piccolo regno, che copriva le terre tra il basso fiume Dnieper e la Crimea. Nel III e II sec. a.C., era una città "con una popolazione mista greco-scita, forti mura difensive e grandi edifici pubblici costruiti usando le regole dell'architettura greca".
Neapolis Scita fu distrutta nella metà del III secolo d.C. dai Goti.

UCRAINA - Kam"jana Mohyla

 


Kam"jana Mohyla (in ucraino Кам'яна Могила; in russo Каменная Могила, Kamennaja Mogila; lett. "Tomba di Pietra") è un sito archeologico che si trova nella valle del fiume Molochna, a circa un chilometro e mezzo dal villaggio di Terpinnja, nell'oblast di Zaporižžja, Ucraina.
Il sito è costituito da un isolato gruppo di blocchi di arenaria, alti fino a dodici metri, sparsi per un'area di circa 3.000 metri quadrati. Una leggenda Noghai racconta che essi sono il risultato di un tafferuglio tra due Bogatyr, i quali iniziarono a scagliarsi delle pietre a vicenda. In realtà i blocchi iniziarono a formarsi in un banco di sabbia dell'oceano Tetide. Il sito fu per molto tempo un'isola del fiume Molochna, ma attualmente rimane più a ovest del corso d'acqua. Si pensa che sia l'unico affioramento di arenaria della zona.
La forma di questa collina di sabbia ricorda molto i kurgan. Nel 1889, l'archeologo russo Nikolay Veselovsky fu chiamato a esplorare l'enigmatico sito e gli scavi iniziarono l'anno successivo. Appena si cuncluse che il complesso era un tumulo funerario, gli scavi vennero chiusi e fino al primo terzo del XX secolo non furono eseguite più ricerche in situ.
Nel 1930 il sito è stato oggetto di indagine da parte di un team di studiosi provenienti da Melitopol sotto la guida di Valentin Danylenko (1913-82). Il giovane archeologo affermò di aver scoperto trenta grotte con petroglifi e iscrizioni che datò dal XX secolo a.C. al XVII secolo d.C. Danylenko riprese il suo lavoro sul sito dopo la seconda guerra mondiale e affermò di aver scoperto ulteriori tredici grotte con petroglifi.
Anche se le sue dichiarazioni suscitarono qualche dubbio, il sito fu inserito tra i luoghi di interesse storico nel 1954, questo per evitare che la zona fosse distrutta dalla costruzione di una riserva idrica. Nel corso dei decenni successivi, la condizione di petroglifi è visibilmente peggiorata.
Il resoconto del lavoro di Danylenko fu pubblicato postumo, ma il tutto fu ripreso da Anatoly Kifishin nel 2001 per attirare maggiore attenzione su Kam"jana Mohyla. In questo controverso lavoro, Kifishin compara i petroglifi di Kamenna Mohyla a quelli di Çatal Hüyük e conclude che entrambi sono legati alla scrittura cuneiforme sumera. Poco prima della sua morte, Igor Diakonov, si scagliò pesantemente contro questa ipotesi, tuttavia venne ripresa con enfasi dai media locali e portata all'attenzione dell'opinione pubblica.
I petroglifi vennero rinvenuti solo dentro le grotte presenti nel sito, molte delle quali sono ancora ripiene di sabbia. Le incisioni non sono state finora riparate dagli elementi o vandali, alcune sono ricoperte da una patina di tinta rossa. Siccome non sono stati rinvenuti resti di insediamenti umani nelle vicinanze, molti studiosi ritengono che la collina fu un santuario isolato, remoto. Non è ancora chiaro se il sito risalga al paleolitico o al neolitico; in realtà sembra più probabile una datazione più prossima a noi, anche se una presunta raffigurazione di mammut sposterebbe la datazione indietro nel tempo.
Nel 2006 il governo ucraino ha nominato il sito per l'inserimento nel Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO. Nel complesso, le immagini ritrovate in situ rappresentano tracce di esercizi religiosi dei cacciatori e allevatori di bovini della steppa dal XX secolo a.C. al XVII secolo d.C. Alcune grotte sono di origine artificiale; i vari strati con resti rinvenuti risalgono dal neolitico fino al medio evo e questo rende il sito di Kam"jana Mohyla uno dei più antichi templi megalitici del mondo che è rimasto in funzione per molte migliaia di anni.

UCRAINA - Tempio di Giove Dolicheno

 

Il tempio di Giove Dolicheno, situato nel distretto di Balaklava (Sebastopoli), è uno dei più famosi 19 templi dedicati a Giove Dolicheno. Il santuario è, inoltre, una delle prime strutture conosciute collegata alla venerazione della divinità praticata dall'esercito romano. Il tempio venne scoperto a Balaklava nel 1966, nel territorio della Kadikovka, dove prima era situata l'antica Kadi-koij. Nel tempio venivano condotte le cerimonie di culto dell'esercito romano, le cui basi militari erano situate presso la baia stessa. Tali basi, nel momento in cui venne costruito il santuario, ospitavano la prima legione italica.
La costruzione del tempio, risalente al periodo dei regni di Antonino Pio e Marco Aurelio, viene datata tra il 139 ed il 161 d.C.
Esso venne coinvolto in un incendio, per poi essere ricostruito sotto ordine di Marco Aurelio. La distruzione definitiva del tempio si riconduce orientativamente al 233 d.C., anno dopo il quale perse la sua funzione.
Gli scavi archeologici a cui si riconduce la scoperta del tempio iniziarono intorno agli anni 1996-1997, quando in via Kommunarov furono trovate le fondamenta di una costruzione templare, mentre in via 40-letiya Oktyabrya furono rinvenuti i resti di circa altri dieci monumenti. Durante gli scavi furono riportate alla luce monete in rame e argento provenienti da Cherson e Bospor, coppe con inscrizioni dedicate a Giove Dolicheno, immagini di aquile, tori e lune, satiri, candelabri, statuine di Kore-Persefone, panche, tavoli, utensili da cucina in ceramica e capitelli di ordine ionico.
Nel tempio sono state scoperte una statua con piedistallo dedicata a Ercole (nella foto), un altare associato al culto di Vulcano, le parti inferiori di due colonne in calcare, una delle quali decorata con dell'edera rampicante, e una moltitudine di reperti minori (statuette, monete, etc.). L'inscrizione sul piedistallo dedicato ad Ercole cita: «Grazie agli imperatori Augusto, Marco Aurelio e Cesare. Antonino Valente, tribuno militare della prima legione italica, con l'aiuto di Ulpiano
L'altare fu dedicato a Vulcano in voto dal centurione della Legio XI Claudia Antonio Proclo.
Si stima che la costruzione dell'altare risalga all'anno 174 d.C.
Inoltre, all'interno del tempio è stato ritrovato un altro altare, dedicato a Nemesi. «Tito Flavio Celsino, protettore dei legati, ha dedicato a Nemesi Guardiana l'altare, in ringraziamento della salute sua e dei suoi figli
Nel tempio di Giove Dolicheno di Balaklava, è stato anche trovato un altare dedicato a Mitra e dei frammenti di una raffigurazione della dea Minerva.
Tra tutte le scoperte rinvenute all'interno del luogo di culto, degno di nota è sicuramente il busto scolpito in pietra calcarea locale di Balaklava, dedicato ad Apollo, realizzato in stile classico dei primi secoli dopo Cristo.


BIELORUSSIA - Museo archeologico di Brėst

 

Il Museo archeologico di Brėst, in Bielorussia, conserva un sito archeologico relativo a un'antica città slava orientale costruita in legno risalente al XIII secolo.
Si estende su 1800 metri quadrati a una profondità di 4-7 metri ed è stato scavato dagli archeologi dell'Accademia delle scienze bielorussa tra il 1968 e il 1981, sotto la supervisione di P. F. Lysenko.
Nel 1982, a protezione del sito è stata eretta una copertura in cemento, vetro e alluminio a forma di tetto a falde. Il museo è stato inaugurato il 2 marzo 1982.
Le esposizioni del museo hanno conservato interi quartieri residenziali e pavimentazioni stradali, 28 capanne di tronchi, una recinzione, i resti di fornaci di argilla, oltre a più di 1400 manufatti risalenti tra il X ed il XIV secolo portati alla luce durante gli scavi archeologici. Tra i pezzi più significativi, sono esposti uno stemma unico del XIII secolo con lettere in cirillico intagliate, uno scrittoio in legno cerato, fermagli per libri, pedine degli scacchi, una barca in osso e legno, icone, croci e un cucchiaio per la comunione; sono conservati articoli per la casa più comuni, tra cui vasche di legno, secchi, bilancieri e una ruota di un carro, sci, timoni e remi. Nel museo si possono anche vedere le scarpe e gli stivali originali indossati dalla gente di Brest in quei tempi lontani.

RUSSIA - Arkaim

 


Arkaim (in russo Аркаим) è un sito archeologico dell'età del bronzo situato nelle steppe degli Urali meridionali, nell'Oblast' di Čeljabinsk in Russia. Il sito viene generalmente datato al XVII secolo a.C. anche se sono state proposte datazioni antecedenti, fino al 2000 a.C. L'insediamento apparteneva alla cultura di Sintashta-Petrovka. Il sito venne scoperto nel 1987 da un team di scienziati di Čeljabinsk che stavano pianificando la realizzazione di un lago artificiale proprio in quell'area. I primi scavi furono diretti da Gennadij Zdanovič, inizialmente i ritrovamenti furono praticamente ignorati dalle autorità sovietiche ma l'attenzione sul sito crebbe dopo ulteriori scavi archeologici. Nel 1991 il sito venne designato "riserva culturale" e nel 2005 venne visitato da Vladimir Putin.
Sebbene l'insediamento venne incendiato e abbandonato molti dettagli si sono preservati. Arkaim è simile nella forma al vicino sito di Sintashta, dove venne scoperto il più antico esempio di carro da guerra della storia. Arkaim era protetta da due mura circolari, vi era al centro una piazza circolare circondata da due file di abitazioni poste ad anello e separate da una strada, la fila interna contava 27 abitazioni mentre la fila più esterna 39 o 40 Zdanovič ha stimato che la popolazione si aggirava fra i 1500 e i 2500 individui. L'insediamento copriva un'area di 20.000 metri quadrati. Attorno alle mura di Arkaim vi erano campi arabili irrigati tramite un sistema di canali.

RUSSIA - Sintashta


Sintashta è un sito archeologico dell'età del bronzo situato nell'Oblast' di Čeljabinsk in Russia. Il sito , che ha dato il nome all'omonima cultura, mostra le rovine di un insediamento fortificato datato al 2800-1600 a.C. . Sintashta è descritta come "centro fortificato metallurgico e industriale" e l'insieme dei rituali svolti nelle necropoli vicine sono stati associati a quelli dei Proto-indoiranici, in particolare i sacrifici funerari rimandano ai rituali funerari descritti nei Ṛgveda, i libri sacri indiani.
L'insediamento è formato da case rettangolari disposte in un circolo di 140 metri di diametro e circondato da mura in legno con torri e portoni. La fortificazione di Sintashta e dell'analogo sito di Arkaim sono delle novità nella regione delle steppe. In ognuna delle case scavate a Sintashta vi sono evidenze della lavorazione di rame e bronzo, anche questo intensa attività metallurgia era fuori dalla norma nella regione delle steppe fino ad allora.
Attorno all'insediamento di Sintashta sono state scoperte cinque necropoli , la più estesa delle quali contava quaranta sepolture. In alcune sepolture sono stati rinvenuti carri da guerra i più antichi mai scoperti (si pensa infatti che l'origine del carro da guerra trainato da cavalli sia avvenuta all'interno di questa cultura - nella foto in basso, una ricostruzione esposta al
Museo di Chelyabinsk
), in altre sono stati ritrovati i resti di cavalli , fino a otto in una singola sepoltura, e armi in rame e bronzo e oggetti in oro e argento.



RUSSIA - Petroglifi del lago Onega e del mar Bianco

 

petroglifi del lago Onega e del mar Bianco, dal luglio 2021 sono un sito patrimonio dell'umanità dell'UNESCO localizzato nella costa orientale del lago Onega del nord-est della Russia europea. Risalgono al II millennio a.C. Si tratta di circa 1.200 petroglifi disseminati in una zona lunga 20 km. I graffiti sono profondi 1-2 mm e rappresentano animali, persone e forme geometriche, come cerchi e mezza luna.
Le prime incisioni rupestri della Carelia vennero scoperte, nel 1848, dal conservatore del Museo di mineralogía di San Pietroburgo, Konstantin Grevingk, vicino alla città di Besov sulla riva del lago Onega. Agli inizi del XX secolo i petroglifi dell'Onega vennero studiati dal ricercatore svedese Gustaf Hallström.
Sono molte le forme straordinarie registrate nelle rocce del lago Onega. Oltre i segni circolari e di mezza luna con raggi, si trovano figure antropomorfe, a volte con teste di alci, lupi, immagini di cosiddetti "bastoni di sciamano", e altro ancora. Quasi la metà di tutti i petroglifi del lago Onega rappresentano cigni, oche e uccelli acquatici. Ci sono poche scene umane. Sono rare le scene di caccia alle balene beluga che mai hanno abitato il lago Onega.
Il contenuto di differenti cumuli di petroglifi a volte varia, cosa che probabilmente significa non solo la differenza tra l'età dei gruppi di petroglífi, ma anche i i cambiamenti nel pensiero umano nel neolitico.
Alla fine di agosto, dalla fine di Capo Besov Nos, a volte si può vedere come un grande globo rossastro del Sole che tramonta gradualmente e sul lato opposto il sorgere della Luna luminosa, grande e piena. Forse fenomeni simili, osservati dall'uomo antico, servirono da incentivo ad incidere nelle rocce le forme circolari e a mezzaluna che molti scienziati considerano immagini simboliche del Sole e della Luna.
Quando il Sole è all'orizzonte, i petroglifi “scompaiono” immediatamente: si vede una superficie di pietra assolutamente pulita e senza vita. Questo fenomeno, chiamato dagli scienziati "l'effetto del cinematografo preistorico", impressiona anche l'uomo di oggi.
I disegni si trovano in luoghi estremamente paesaggistici. Notevole specialmente il gruppo dei petroglifi del "capo del Diavolo" dove ci sono tre figure parallele: diavolo, lontra (o lagarto) e siluro (o lota comune). Sono considerati i disegni più antichi che poi hanno stimolato tutta l'attività creativa nella zona del lago Onega.

RUSSIA - Idolo di Šigir

 
L'idolo di Šigir (in russo Шигирский идол, Šigirskij Idol) è la più antica scultura in legno del mondo, si pensava creata nel Mesolitico, intorno al 9.000 a.C. ma ora datato a 11.500 a.C. È stata ritrovata nei pressi di Kirovgrad in Russia, sul versante est degli Urali, ed è conservata presso la Collezione Preistorica del Museo di Storia Regionale dell'Oblast' di Sverdlovsk, a Ekaterinburg, Russia. Prende il nome dalla località in cui è avvenuto il ritrovamento.
L'idolo fu scoperto il 24 gennaio del 1890 nella torbiera di Šigir, approssimativamente a 100 km di distanza da Ekaterinburg. Era sepolto alla profondità di quattro metri in una miniera d'oro a cielo aperto, la Seconda miniera del Kur'ja. Le ricerche in quest'area erano iniziate a metà del XIX secolo dopo la scoperta di un certo numero di oggetti preistorici: ad oggi, gli archeologi hanno trovato più di 3000 armi da caccia, arnesi da pesca e utensili di osso e corno, oggi tutti conservati insieme all'idolo.
L'idolo fu estratto in frammenti, e il proprietario della miniera d'oro, il conte Aleksej Stenbok-Fermor, presentò la scoperta alla Società Naturalistica degli Urali. Il professor D. I. Lobanov, curatore della collezione archeologica del museo di Ekaterinburg, combinò i frammenti principali fino a ricostruire una scultura alta 2,8 m. Nel 1914, l'archeologo Vladimir Tolmačëv propose una variante di questa ricostruzione integrandovi i frammenti inutilizzati. La ricostruzione suggerisce che la statua originale dovesse avere un'altezza di 5,3 metri.
Secondo il professor Michail Žilin, ricercatore capo dell'Istituto di Archeologia dell'Accademia Russa delle Scienze di Mosca, la straordinaria conservazione dei frammenti è avvenuta grazie a una combinazione di agenti antisettici, tra cui lo stesso legno nel quale l'idolo fu intagliato, il larice fitoncidico, e la torba in cui è stato conservato, che è un ambiente anaerobico acido che uccide i microorganismi e ha anche un effetto simile al tannino. A partire dalla sua scoperta l'idolo ha vissuto alcune vicende turbolente: alcuni dei frammenti (193 cm della parte inferiore) sono andati persi in circostanze non chiarite nel corso del XX secolo: di essi restano solo i disegni di Tolmačëv. Le parti ad oggi sopravvissute sono la metà superiore e la base. La conservazione dell'idolo successivamente all'estrazione dalla torbiera è stata garantita da un trattamento effettuato con la cera in epoca prerivoluzionaria, mentre dal 2003 la scultura è esposta al pubblico in un contenitore di vetro riempito di gas inerte, progettato per mantenere specifiche condizioni di temperatura e umidità in modo da proteggere i frammenti da ulteriori deterioramenti. L'apparato è stato realizzato modificando il progetto di un'incubatrice per bambini nati prematuramente.
Poiché l'idolo era stato trovato per caso le informazioni sulle condizioni del ritrovamento erano scarse e contraddittorie, proprio come per la maggior parte degli oggetti ritrovati a Šigir: per questo le prime ipotesi degli scienziati erano molto diversificate, andando dal Neolitico (V - VI millennio a. C.), all'Età del Bronzo (II millennio a. C.), e perfino alla prima Età del Ferro (I millennio a. C.). La prima datazione fu eseguita nel 1997 col metodo del carbonio-14 da G. I. Zajceva, dell'Instituto della Storia della Cultura Materiale di San Pietroburgo, e fu confermata dall'Istituto di Geologia dell'Accademia Russa delle Scienze di Mosca, nel laboratorio del professor Leopol'd Suleržickij: essa diede come risultato un'età di 9.500 anni. Per la precisione, le misurazioni davano tre risultati, che combinati restituivano una datazione compresa fra il 7820 e il 7590 a.C. Questa prima misurazione era già di per sé una scoperta straordinaria, poiché secondo questo risultato l'idolo risaliva al Mesolitico. Tuttavia diversi studiosi contestarono il risultato delle analisi, sostenendo che la datazione al radiocarbonio poteva essere inattendibile per diversi motivi: secondo lo storico dell'Accademia delle Scienze Stanislav Grigor'ev, per esempio, gli incendi boschivi e la presenza di granito nella zona avrebbero potuto alterare i dati, e quindi rendere l'analisi molto meno precisa.[11] Poiché quindi questa datazione non era stata riconosciuta dalla comunità scientifica, fu richiesta una nuova datazione che facesse uso di tecnologie più avanzate.
Nel 2014 sono stati quindi prelevati sette campioni (0,3 g l'uno) e inviati al laboratorio Klaus-Tschira del Reiss-Engelhorn-Museen di Mannheim, dove il Professor Thomas Terberger, del Dipartimento dell'Eredità Culturale della Bassa-Sassonia, ha impiegato un nuovo metodo di datazione, la spettrometria di massa con acceleratore, in collaborazione con gli scienziati russi. Al contempo Uwe Hoysner, dell'Istituto Archeologico Tedesco di Berlino, ha effettuato un'accurata analisi dendrocronologica. I risultati, pubblicati nell'agosto 2015, rivelano infine che l'idolo di Šigir ha un'età di 11.000 anni, dunque 1.500 anni in più di quelli della stima precedente. Inoltre, dalla lettura dendrocronologica degli anelli del legno, è risultato che l'albero in cui l'idolo è stato intagliato aveva almeno 159 anni. Analisi approfondite dei segni hanno evidenziato che la scultura fu intagliata nel legno verde: ciò conferma ulteriormente la datazione, perché implica che la scultura fu realizzata mentre l'albero era ancora vivo, o tagliato da poco, non anni dopo, lavorando un pezzo di legno di larice invecchiato. Le analisi tedesche retrodatano quindi l'idolo agli inizi dell'Olocene: all'incirca la stessa età del più antico tempio in pietra mai ritrovato, quello di Gobekli Tepe in Turchia.
Il professor Terberger ha dichiarato: "I risultati sono andati oltre le aspettative. [...] Questo è un dato estremamente importante per la comunità scientifica internazionale. È importante per comprendere lo sviluppo della civiltà e dell'arte dell'Eurasia e dell'intera umanità. [...] Possiamo affermare che 11.000 anni fa i cacciatori, pescatori e raccoglitori degli Urali non erano meno avanzati dei contadini del Medio Oriente." Ha predetto inoltre che, in seguito ai risultati degli ultimi test, l'idolo "otterrà un grande riconoscimento della sua importanza nel mondo e dimostrerà che il centro dello sviluppo culturale in Eurasia non era solo nel Medio Oriente, ma anche negli Urali". Ulteriori ritrovamenti in siti vicini e risalenti alla medesima epoca hanno infatti evidenziato una grande diffusione di utensili di vari materiali e di elevata fattura, utilizzati in particolare per la produzione di micro-lame estremamente sottili che venivano fissate all'estremità di lance di osso. Terberger ha affermato che simili strumenti appaiono nel Mesolitico russo con secoli di anticipo rispetto ad altre aree abitate della Germania del nord e della Scandinavia, dove si svilupparono soltanto a partire dal 7000 a. C.: questo, insieme alla prova di elevato sviluppo culturale e spirituale che l'idolo fornisce, spinge a chiedersi se questo tipo di innovazioni si siano diffuse in Germania e Scandinavia sotto un impulso giunto dal territorio degli Urali.
La procedura di analisi impiegata in quest'ultima datazione ha causato alcune controversie politico-giuridiche in Russia. Nel corso del 2015 il Ministero della Cultura di Mosca ha intrapreso un'azione legale contro il modo in cui i campioni della statua sono stati prelevati e esportati dagli scienziati tedeschi per l'analisi, in seguito a una segnalazione dei funzionari del Ministero della Cultura per lo Sverdlovsk: è stato quindi aperto un processo penale per il reato di "distruzione o danneggiamento di siti di interesse culturale o beni culturali". Secondo una fonte del Ministero a Ekaterinburg, non solo non vi era stata coordinazione con il Ministero per l'organizzazione delle ricerche, ma lo stesso direttore del Museo di Ekaterinburg Natal'ja Vetrova non era informato sui metodi dell'esame. Nel marzo 2016 la procedura di indagine è stata archiviata, in quanto non sono state riscontrate dagli investigatori azioni da parte dei ricercatori tali da costituire reato. Al contrario, gli investigatori hanno segnalato irregolarità nelle procedure adottate dagli stessi funzionari, evidenziando come la mancanza di procedure ufficiali per la regolamentazione della ricerca sia stata una causa parziale dell'errata segnalazione.
L'idolo fu intagliato con strumenti di pietra nel legno di larice o di abete siberiano, capovolto per preservarlo dalla decomposizione. La testa riproduce abbastanza fedelmente un volto con occhi, naso e bocca: l'effetto visivo di questo volto, con la bocca spalancata, sembra richiamare l'iconografia azteca, ma è solo perché il naso si è rotto, ed è mancante. In realtà l'intaglio del volto rispecchia l'aspetto che dovevano probabilmente avere i membri del popolo che lo ha realizzato, con nasi dritti e zigomi alti. Il corpo è piatto e rettangolare e motivi geometrici ne decorano la superficie. L'estremità inferiore della figura, che si trova al di sotto della parte andata perduta, è modellata a cono con una rientranza alla base da cui fuoriescono sporgenze che potrebbero rappresentare i piedi dell'idolo. Nella parte anteriore il cono è appiattito, in quella posteriore inizia con un gradino inclinato.
Oltre al volto tridimensionale nella parte superiore, diverse altre rappresentazioni di volti bidimensionali sono visibili in vari punti del resto della scultura. Lo studioso Tolmačëv aveva inizialmente individuato cinque volti bidimensionali: tre nella parte anteriore e due in quella posteriore, e li aveva rappresentati nei suoi disegni. La perdita di una parte dell'idolo ha significato la perdita dei due volti posteriori, del terzo volto anteriore, e del corpo del secondo volto anteriore. Ma nell'agosto 2003 l'esperta Svetlana Savčenko, curatore capo dell'idolo, durante le operazioni necessarie per esporre al pubblico l'idolo nell'ambito di una mostra (vedi sopra alla sezione "Conservazione"), scoprì un sesto volto bidimensionale situato posteriormente: esso si trova sopra gli altri due, quasi all'altezza del primo volto anteriore, anche se leggermente più in basso. Il naso di tale volto è costituito da un nodo nel legno che lo rende più corto ma più sporgente rispetto agli altri. Il nodo era stato riprodotto nei propri disegni da Tolmačëv, il quale però non aveva riportato le profonde cavità orbitali individuate da Savčenko. Una parte del corpo di questo nuovo volto scoperto doveva trovarsi nella parte dell'idolo andata perduta. Infine, durante le analisi approfondite cui l'idolo è stato sottoposto nel 2015, è stato scoperto un settimo volto bidimensionale, mai individuato fino ad allora perché riconoscibile soltanto al microscopio.
La testa dell'idolo e i sei volti bidimensionali allora noti sono stati dettagliatamente descritti da Savčenko e Žilin (2004). L'analisi di tre di essi, quello più in basso nel lato anteriore e i due più in basso nella parte posteriore, è stata possibile solo attraverso l'esame dei disegni di Tolmačëv, perché erano raffigurati nella parte dell'idolo andata perduta. I due studiosi hanno evidenziato che le figure sono state realizzate con lo stesso strumento, un bulino a lama affilata, e che i volti e le decorazioni sottostanti ciascuno di essi rappresentano, pur con uno stile unitario, differenti figure poste una sopra l'altra. Le decorazioni a linee orizzontali nel tronco sotto la testa dell'idolo possono ricollegare la figura al mondo vegetale oppure far pensare ad una cassa toracica, sotto la quale sono raffigurati un rombo (le ossa pelviche) e delle linee a zigzag (le gambe). Analoghe linee orizzontali si ritrovano anche nella due figure inferiori della parte anteriore, mentre la figura anteriore superiore presenta tre rombi che si intersecano e sotto di essi due linee a zigzag che possono far pensare a un serpente o a una lucertola. Il volto posteriore più in alto, forse a causa del naso formato dal nodo nel legno, ricorda il muso di un animale. Le due figure sottostanti possono invece essere individuate come una rappresentazione femminile, per analogia con altre raffigurazioni del paleolitico, e una maschile, presentando quest'ultima una linea identificabile come un fallo.
Pur non essendo possibile individuare chiare corrispondenze tra l'idolo ed altre opere, la modalità di realizzazione dei volti è tipica della scultura lignea antropomorfa degli Urali e della Siberia, mentre la distribuzione a piani delle figure si ritrova anche in un altro idolo rinvenuto nella torbiera di Gorbunov e in manufatti ugrofinnici.
Un problema dibattuto tra gli scienziati è il modo in cui l'idolo - alto più di cinque metri - fosse tenuto in posizione verticale. Inizialmente alcuni studiosi, tra cui lo stesso Tolmačëv, avevano ipotizzato che l'idolo fosse infisso nel terreno. Tuttavia oggi i ricercatori del Museo di Ekaterinburg, in particolare Savčenko e Žilin, ritengono che le piccole dimensioni del cono all'estremità inferiore testimonino che l'idolo non era infilato nel terreno, ma probabilmente fissato a un albero o a un palo. Tuttavia non sembra neanche probabile che sia stato tenuto appoggiato a un albero, perché questo avrebbe coperto parte dei suoi ornamenti.
Non vi è consenso fra gli studiosi riguardo a cosa effettivamente la scultura rappresentasse. Molti di essi sostengono in ogni caso che le raffigurazioni sull'idolo servissero a trasmettere un qualche tipo di informazione: secondo Žilin "L'ornamentazione è ricoperta da nient'altro che informazioni codificate. Le genti si trasmettevano la conoscenza con l'aiuto dell'idolo". Il professor Terberger ritiene che la scultura possa aver avuto una funzione totemica. Žilin e Savčenko ritengono "ovvio che gli elementi dell'ornamentazione geometrica avessero un qualche significato. La difficoltà dell'interpretarli risiede nel simbolismo polisemico di questi segni - in altre parole, nei possibili significati multipli correlati. Secondo l'etnografia, una linea dritta potrebbe indicare la terra, o l'orizzonte, il confine tra la terra e il cielo, tra l'acqua e il cielo, o il confine tra due mondi. Una linea ondulata o a zigzag simboleggiava l'elemento acquatico, o un serpente, una lucertola, oppure determinava un certo confine. Inoltre la linea a zigzag poteva indicare pericolo, come una lancia. Croci, rombi, quadrati, cerchi rappresentavano il fuoco o il sole, e così via".
Savčenko ritiene che i volti della struttura rappresentino informazioni codificate riguardanti la visione che i realizzatori dell'idolo avevano della creazione del mondo. Riguardo all'ornamentazione geometrica, la Savčenko e altri esperti del museo hanno ipotizzato che tra i suoi scopi vi fosse quello di essere una primitiva mappa, o navigatore. Le linee dritte, ondulate, e le frecce indicavano le vie per arrivare a destinazione e i numeri di giorni necessari per il viaggio, le onde simboleggiando percorsi acquatici, le linee dritte indicando gole o burroni, e le frecce colline.
Pëtr Zolin, citando il lavoro scientifico della Savčenko e di Žilin, ha affermato: "I personaggi raffigurati nell'Idolo non possono essere interpretati senza ambiguità. Se si tratta di immagini di spiriti che hanno abitato il mondo umano in tempi antichi, la posizione verticale dei volti (uno sopra l'altro) probabilmente fa riferimento alla loro gerarchia. Posizionare immagini sul davanti e sul retro dell'idolo potrebbe indicare che essi appartengono a mondi differenti. Se sull'idolo sono raffigurati miti sull'origine degli uomini e del mondo, la disposizione verticale delle immagini potrebbe rispecchiare la sequenza temporale degli eventi. Le ornamentazioni possono essere segni particolari che contrassegnano qualcosa come significativo".
A proposito del valore artistico dell'opera, il professor Žilin ha affermato: "questo è un capolavoro, fonte di un'immensa forza emotiva. È una scultura unica al mondo. [...] Gli uomini - o l'uomo - che hanno creato l'idolo vivevano in totale armonia col mondo, avevano un avanzato sviluppo intellettuale, e un mondo spirituale complesso. [...] È evidente che possiamo trarre conclusioni sulla sofisticità del popolo che ha creato questo capolavoro, [...] sebbene il dettaglio del suo significato resti un totale mistero per l'uomo moderno".


RUSSIA - Cultura Majkop

 

La cultura Majkop (anche Maykop o Maikop) o cultura di Majkop, 3500 a.C.—2500 a.C. ca., è una delle maggiori culture archeologiche dell'età del bronzo situata nella Russia meridionale, ed estesa dalla penisola di Taman' allo stretto di Kerč', quasi l'attuale confine del Daghestan, centrata approssimativamente sulla moderna Repubblica di Adighezia (la cui capitale è Majkop) nella valle del fiume Kuban'. La cultura prende il suo nome da una sepoltura reale trovata nella zona. Il tumulo di Majkop, estremamente ricco di manufatti in oro e argento, venne scoperto per la prima volta nel 1897.
Essa è approssimativamente contemporanea a ed è apparentemente influenzata dalla cultura Kura-Araxes (3500—2200 a.C.), a cavallo del Caucaso, ed estendendosi verso l'Anatolia orientale. A nord e ad ovest è similmente contemporanea alla cultura di Jamna e immediatamente a nord alla cultura di Novotitorovka (3300—2700 a.C.), a cui essa si sovrappone nell'estensione territoriale.
La cultura di Majkop è conosciuta principalmente dalle sue pratiche di inumazione, con sepolture tipicamente in fosse, talvolta fiancheggiate da pietre, e sormontate da un kurgan o (tumulo). I tumuli in pietra sostituiranno i kurgan nelle sepolture posteriori.
La cultura è degna di considerazione per l'abbondanza dei manufatti in bronzo ben decorati, senza confronti a quel tempo, oltre che per oggetti in oro e argento.
A causa delle sue usanze di sepoltura, e secondo la teoria kurganica di Marija Gimbutas, essa viene classificata come un'intrusione proveniente dalle steppe
pontiche verso il Caucaso. Secondo Mallory questo è difficile da valutare enfatizzando il fatto che: dove l'evidenza dei tumuli viene trovata, è precisamente in regioni che più tardi attesteranno la presenza di popolazioni non-indoeuropee.
In altre occasioni la cultura è stata citata, in modo molto blando, come una cultura kurganizzata con dei forti collegamenti etnici e linguistici verso i discendenti dei proto-indoeuropei. Essa è stata collegata alla Cultura di Mikhaylovka e alla cultura di Kemi Oba, e in modo più distante, alle culture dell'anfora globulare e della ceramica cordata, anche
se soltanto in un senso economico. Mallory dichiara: Una tale teoria - mettiamo bene in rilievo - è altamente speculativa e controversa, sebbene vi sia un riconoscimento del fatto che questa cultura possa essere stata un prodotto di almeno due tradizioni: la steppa locale che abbraccia la cultura di Novosvobodna e gli elementi stranieri a sud del Caucaso i quali possono essere pianificati attraverso l'importazione in entrambe le regioni. — EIEC, "Cultura di Majkop".
Il fiume Kuban' è navigabile per un buon tratto della sua lunghezza, ed è un agevole passaggio d'acqua attraverso
il Mar d'Azov verso il territorio della cultura di Jamna, tramite il sistema di vie fluviali del Don e Donec'k allora disponibili. La cultura di Majkop era ben posizionata per sfruttare le possibilità commerciali dell'area dell'Ucraina centrale.
Gamkrelidze e Ivanov, con opinioni alquanto controverse, suggeriscono che la cultura di Majkop (o la sua antenata) possa essere vista come una stazione secondaria per la migrazione indoeuropea dal Caucuso meridionale e/o Anatolia orientale verso un'Urheimat secondaria nelle steppe. Questo collocherebbe essenzialmente la
stirpe anatolica nell'Anatolia fin dall'inizio, e almeno in questo caso, vi è concordanza con l'ipotesi anatolica di Colin Renfrew. Considerando che qualche tentativo è stato fatto per mettere d'accordo la lingua indoeuropea con le lingue caucasiche nordoccidentali, una più antica pre-Urheimat Caucasica non è fuori questione-

RUSSIA - Ermitage, Cammeo Gonzaga

 

Il Cammeo Gonzaga è un'opera della glittica arte ellenistica in sardonice (15,7x11,8 cm), databile forse al III secolo a.C. e conservato oggi nel Museo dell'Ermitage a San Pietroburgo. Il nome del cammeo richiama le collezioni Gonzaga di cui faceva parte. In particolare è menzionato per la prima volta nell'inventario del 1542 dello studiolo di Isabella d'Este nel Palazzo Ducale di Mantova, come rappresentante Augusto e Livia.
Citato dal giovane Pieter Paul Rubens, che lo definì il più bel cammeo esistente, durante la guerra di successione di Mantova e del Monferrato (1628-1631) venne requisito dalle truppe imperiali e portato a Vienna, per poi essere destinato al tesoro del castello di Praga durante la Guerra dei trent'anni, per essere saccheggiato durante la battaglia di Praga. Anni dopo ricomparve nelle collezioni di Cristina di Svezia. Le informazioni successive sono frammentarie. Probabilmente portato in Italia durante il suo soggiorno a Roma, venne forse lasciato per testamento al cardinale Decio Azzolini e poi acquistato, con il resto delle collezioni artistiche della regina, da Livio Odescalchi, duca di Bracciano e nipote di papa Innocenzo XI.
Nel 1794 il cameo figurava tra le collezioni di Pio VI nel palazzo Apostolico in Vaticano. Con l'Occupazione francese di Roma fu trasportato a Parigi oggetto delle spoliazioni napoleoniche, dove entrò nelle collezioni di Napoleone Bonaparte e Giuseppina. Dopo la caduta dell'imperatore rimase di proprietà della consorte, la quale lo donò allo zar Alessandro I di Russia in riconoscenza del suo aiuto durante una vista di quest'ultimo al castello di Malmaison. Chiamato da allora anche "Cammeo Malmaison", restò da allora nelle collezioni russe dell'Ermitage.
Il cammeo mostra due figure di profilo, maschile in primo piano e femminile in secondo. Esse vengono oggi identificate come Alessandro Magno e Olimpiade o Tolomeo II e Arsinoe II, ma non mancano ipotesi di altre celebri coppie dell'antichità, come Germanico e Agrippina maggiore o Nerone e Agrippina minore. La figura maschile presenta l'elmo laurato, tipico di Alessandro Magno o di chi si voleva far ritrarre nelle sue vesti, e un mantello tenuto da una spilla a forma di testa di Gorgone e una con una testa maschile, probabilmente Zeus Ammone. La ghirlanda di alloro culmina in una serpentello, che ricorda l'ureo dei faraoni egizi.
I collari bronzei sono un'aggiunta successiva per mascherare che a un certo momento il cammeo finì spezzato a metà.
A Vienna nel Kunsthistorisches Museum esiste un altro cammeo ellenistico, il Cammeo tolemaico, con una storia simile, ma ritenuto di qualità leggermente inferiore, che in passato era stato confuso col Cammeo Gonzaga.


ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...