La
villa romana delle Grotte è
un'antica domus romana che sorge sul promontorio affacciato
sul golfo di Portoferraio, a dominare tutto il braccio di mare
compreso tra il litorale di Piombino e l'approdo di
Portoferraio e a fronteggiare la Villa romana della Linguella,
che chiude la rada dall'altro lato.
La villa delle Grotte venne costruita
alla fine del I secolo a.C. su un podium, in parte
naturale ed in parte artificiale; nella prima metà del I
secolo d.C. è interessata da una ristrutturazione, che avvia la
seconda fase di vita della villa riferibile alla tarda età
augustea e tiberiana. L'edificio venne probabilmente
abbandonato alla fine del I secolo d.C., poiché nessun reperto
trovato si spinge oltre questo periodo. I materiali archeologici
rinvenuti sono piuttosto limitati, a testimonianza di un abbandono
programmato e con un vero e proprio trasloco dei beni più preziosi,
fatto che spiegherebbe l'assenza di materiali e decorazioni di
maggior pregio, di cui sicuramente la villa era dotata.
Una nuova fase interessa la villa tra
la fine del IV secolo e gli inizi del VI secolo, in
piena età tardo antica: si tratta forse di piccole comunità
monastiche o eremiti, diffusi in questo periodo in tutte le isole
dell'Arcipelago toscano, che riadattarono alcuni ambienti per farne i
loro modesti rifugi. In seguito la villa subirà un abbandono
completo e un lento declino ma, grazie alla solidità delle
strutture, volte e pareti dovettero sempre restare in parte visibili:
a partire dal XVIII secolo i ruderi attrassero infatti
l'interesse di tanti viaggiatori e di eruditi locali, e vennero
rappresentati in alcune riproduzioni della città di Portoferraio.
Sono proprio le volte del podio su cui si erge la villa, così simili
a «grotte» per chi si avvicinava dal mare, ad avere originato il
nome della villa stessa.
Nel 1728 la testimonianza di
Antonio Sarri, ingegnere presso il granduca Cosimo III de'
Medici, assicura che tra le vestigia della domus si
potevano ancora vedere statue, colonne, arredi marmorei e resti di
cornicioni. La struttura quindi, sebbene in abbandono, era ancora
sufficientemente leggibile. Durante la guerra iniziata all'Elba
nel 1799 tra i francesi impadronitisi di Portoferraio e
il Regno di Napoli che controllava Porto Longone, il
promontorio delle grotte costituì un importante punto strategico per
la posizione rispetto alla città di Portoferraio; è presumibile che
per l'installazione di batterie militari sulla villa siano stati
rasati al suolo i muri degli ambienti che si sviluppavano sulla
sommità del promontorio e quelli che delimitavano il giardino.
Nel 1901 fu riconosciuta come sito di ruderi d'importanza
regionale per la Regia Soprintendenza, ma solo nel 1960 si
avviò la ricerca archeologica per indagare la complessità del sito,
guidata dall'archeologo Giorgio Monaco, Direttore dei beni
archeologici dell'isola.

Per la sua posizione e lo sviluppo
architettonico può essere annoverata tra le lussuose villae
maritimae che costellavano tutte le isole dell'Arcipelago
toscano, costruite da nobili esponenti delle classi aristocratiche di
Roma per il riposo e lo svago dagli impegni politici della capitale.
L'edificio, che si estendeva
complessivamente su una superficie di due ettari, era ripartito su
due livelli: sul pianoro si trovavano la parte residenziale, dotata
di un avancorpo affacciato sul mare, e un grande giardino rivolto
verso i fianchi della collina; il piano inferiore era costituito da
una doppia struttura di terrazzamento, articolata in archi e portici,
che circondava la villa sui tre lati panoramici. L'ingresso si
trovava in corrispondenza di un grande giardino rettangolare
(hortus), fiancheggiato da un portico coperto (ambulatio), che doveva
proteggere dalla calura estiva o dai venti nella stagione più
fredda, da cui si accedeva ai quartieri residenziali del piano
superiore. Punto panoramico privilegiato della villa era la grande
piscina posta al centro dell'area residenziale, percorsa da un grande
condotto in muratura e circondata su tre lati da un ampio giardino
delimitato da un portico colonnato (peristilium): un porticato
decorato con lastre di terracotta a vari soggetti, tra cui prevale il
motivo di Psiche tra suonatori di cetra e di aulos (visibile
al Museo archeologico della Linguella) e impreziosito inoltre da
intonaci con soggetto vegetale, a dare l'impressione di uno spazio
verde ancora più grande di quello racchiuso dal porticato stesso.
Sul lato meridionale la vasca terminava
in un'esedra semicircolare e, per tutta la sua lunghezza e al
centro di essa, correva un grande condotto in muratura: l'acqua
doveva giungere alla vasca da una cisterna posta su un livello
superiore posta all'estremità dell'ampio giardino rettangolare (oggi
al di là dell'attuale strada provinciale) e che era servita da un
acquedotto di tubi di terracotta alimentato da una sorgente situata
sul vicino Monte Orello; probabilmente l'acqua ricadeva
dall'alto, per venire poi raccolta dal condotto che attraversa la
vasca nel senso della lunghezza e andava a sfociare nella terrazza
sottostante, sul lato mare, anch'essa sistemata a giardino e conclusa
al centro da un ninfeo. All'estremità nord del bacino una serie di
stanze, probabilmente i due quartieri del dominus e
della domina, erano disposti simmetricamente ai suoi lati, lungo
la linea del litorale.

La villa venne costruita utilizzando la
tecnica edilizia dell'opus reticulatum, di grande effetto cromatico,
i cui cubilia verde scuro furono ricavati da rocce
ofiolitiche estratte dallo stesso sito, e quelli grigio chiaro
dai calcari della costa nord circostante. Tutto il quartiere
residenziale era accuratamente decorato, secondo i gusti correnti in
quel periodo nella capitale: le stanze erano affrescate o rivestite
di marmi colorati, soprattutto marmo bianco e cipollino dell'Elba. Il
tetto a travi lignee era coperto da tegole smarginate di un rosso
vivo, anch'esse di bell'impatto cromatico anche a lunga distanza. Al
sottotetto era applicato un controsoffitto in canne rivestite
in intonaco e sorrette da una leggera intelaiatura e gli
angoli tra pareti e soffitto erano decorati con cornici modanate
in stucco. Le pareti erano coperte da intonaci dipinti con
impressioni prospettiche varie o con motivi floreali ed in alcuni
ambienti erano inoltre applicate crustae marmoree, in
palombino e cipollino. Le decorazioni pavimentali erano
realizzate a mosaico in bianco e nero, mentre nei vani di
maggior prestigio erano preferite pavimentazioni costituite da
formelle in marmo e pietra di forma geometrica (triangoli, esagoni,
quadrati, rombi) che, alternando il bianco, il nero ed il verde
(marmo, ardesia e cipollino), venivano a creare motivi a
nido d'ape, a reticolo, a stella.
Nella prima metà del I secolo d.C. la
villa venne interessata da alcune opere di ristrutturazione e di
riconversione di alcuni ambienti: il terrazzo inferiore venne per
buona parte occupato da zone di servizio coperte o da vani
completamenti chiusi, che avevano l'unico scopo di sostenere le
strutture residenziali poste al piano superiore. Tali ambienti
vennero raccordati da nuovi corridoi e collegati all'area superiore
attraverso la realizzazione di due scale, che costituivano anche
l'ingresso principale della villa. A questa fase va riferita anche la
costruzione di piccolo quartiere termale, impreziosito da
pavimentazioni a mosaico e lastrine marmoree. Esso era costituito di
quattro stanze: il calidarium, ambiente dotato di doppia
pavimentazione con suspensurae; il frigidarium, posto
all'altro estremo, con piccola vasca semicircolare per i bagni
freddi; l'apodyterium e il tepidarium, stanze intermedie
che potevano essere utilizzate come spogliatoi e ambienti di
passaggio graduale dal caldo al freddo. Il rifornimento idrico
necessario al funzionamento termale era garantito da una cisterna
sotterranea, articolata in tre stanze e rivestita in cocciopesto,
un impasto di malta e laterizi frantumati che garantiva
l'impermeabilizzazione delle pareti e del pavimento.

All'esterno, l'inserimento della villa
nell'ambiente circostante e l'effetto che doveva suscitare a chi si
avvicinava sia dal mare che dalla terra era accuratamente studiato:
le esedre disposte lungo il muro perimetrale sul lato del mare
(funzionali sia al contenimento del terreno che come effetto
scenografico) e la policromia del muro di terrazzamento, con pietre
di colore verde scuro e bianche alternate, dovevano caratterizzare
fin da lontano l'importanza e il prestigio della residenza.
Mentre per le lussuose ville marittime
costruite nelle isole del Giglio, di Giannutri e
di Pianosa non mancano indizi archeologici o fonti scritte
che permettano di attribuire la proprietà di tali residenze, per
l'Elba è invece ancora difficile definire quali siano state le
personalità a scegliere l'isola come luogo per le loro dimore.
Tuttavia il celebre poeta Ovidio, in una delle epistole
destinate a Massimo Cotta (Ex Ponto, II, 3, vv. 83-84) ricorda
all'amico il loro ultimo incontro, avvenuto all'Elba nell'8 d.C.,
alla vigilia della partenza del poeta per l'esilio; questi è il
figlio minore di M. Valerius Messalla Corvinus, che essendo
stato adottato dallo zio materno M. Aurelius Cotta ne ha assunto il
nome (L. Aurelius Cotta Maximus Messallinus). Come già osservato
dalla studiosa Orlanda Pancrazzi, senza avere altri indizi oltre le
parole di Ovidio, sull'isola Massimo Cotta doveva possedere una
residenza degna del suo alto rango che, verosimilmente, poteva
riconoscersi in una delle tre monumentali ville marittime note,
quella della Linguella, di Capo Castello e delle
Grotte.
Grazie al rinvenimento di alcune
testimonianze epigrafiche nella pars rustica individuata
grazie alle ricerche archeologiche nella Piana di San Giovanni,
condotte dall'Università degli Studi di Siena, è stato possibile
ricavare preziose indicazioni sulla proprietà degli edifici scavati
e, dunque, della vicina villa marittima delle Grotte, verosimilmente
appartenenti al patrimonio dei Valerii Messallae: due
dei dolia interrati finora individuati nell'ambiente
produttivo presentavano infatti due bolli in planta pedis che,
sebbene frammentari, hanno consentito di recuperare l'intero
contenuto testuale con il nome del produttore: H˚ermia
V˚a(leri) M(arci) s(ervus) / fecit. La proprietà faceva quindi capo
a Marcus Valerius Messalla, princeps senatus e
protettore delle lettere e delle arti, tanto da essere ricordato come
il fondatore del Circolo di Messalla; il fundus sarebbe
passato poi al figlio Aurelius Cotta Maximus Messallinus, che
avrebbe avuto come ospite il poeta Ovidio prima della partenza di
quest'ultimo per l'esilio nel Mar Nero.