giovedì 24 luglio 2025

GRECIA - Atene, monumento coregico di Lisicrate

 Il monumento coregico (o coragico) di Lisicrate si trova ad Atene, all'interno dell'antico quartiere della Plaka, nei pressi dell'Acropoli. Venne realizzato per mostrare il tripode ottenuto nel 335-334 a.C. dal corego Lisicrate, un ricco patrono di esibizioni musicali nel Teatro di Dioniso, come primo premio per uno degli spettacoli che aveva sponsorizzato. Il choregos era lo sponsor che pagava e soprintendeva le prove della danza-coro drammatica.
Il monumento di uno dei primi esempi di stile corinzio in uso esterno per un edificio; inoltre l'originalità di comporre una base quadrata e un cilindro verrà ripresa in maniera notevole per tutta l'architettura funeraria posteriore.
Il monumento si compone di una base quadrata con un cilindro molto alto caratterizzato da alcune semicolonne in ordine corinzio. Il tetto manteneva un pinnacolo, che a sua volta sosteneva con tre rami d'acanto il premio vinto. Il fregio rappresenta il racconto di Dioniso e dei suoi compagni satiri durante alcuni viaggi per mare, in chiave umoristica, con il dio che tramuta alcuni pirati in delfini.
Le forme del monumento sono state riprese tra il XVIII e il XIX secolo nell'ambito del neoclassicismo, con influenze che si sono protratte anche nell'architettura del Novecento. Alcuni esempi sono il Campidoglio di Nashville, la Borsa di Filadelfia e la cima dell'edificio affacciato su Central Park noto come The San Remo, a New York.

GRECIA - Atene, monumento coregico di Trasillo

 
Il monumento coregico di Trasillo fu innalzato ad Atene, sul lato sud-est dell'Acropoli, sopra il teatro di Dioniso, per commemorare la coregia da parte di Trasillo di Decelea nel 320-319 e di suo figlio Trasicle nel 270 a.C. La datazione del monumento è fornita da un'iscrizione sull'architrave.
Il monumento si affaccia sul versante sud dell'Acropoli di Atene ed era costituito da tre pilastri e una statua probabilmente aggiunti nel 269 a.C. da Trasicle, figlio di Trasillo, quando fu lui stesso, come agonoteta, vincitore in due giochi musicali. L'architrave era decorato con fregi e cornici. Le colonne corinzie, sopra la grotta, erano in grado di sostenere i tradizionali tripodi, o potrebbero appartenere a un successivo monumento romano.
Il monumento fu convertito in epoca bizantina in una cappella chiamata Panaghia Chrysopeliotissa ("Santa Maria della cava"), diventando un soggetto famoso tra i monumenti di Atene. Nelle rappresentazioni pittoriche del passato l'ingresso del monumento veniva rappresentato con una statua di Dioniso (rimossa da Lord Elgin nel 1802 e oggi al British Museum di Londra) posta in sostituzione dei tripodi, probabilmente un intervento di epoca romana.
Si pensa che sia stata la presenza di questa statua, scambiata come figura femminile, a indurre la dedica a Maria. La chiesa prese la sua forma attuale durante il periodo di dominazione ottomana e conteneva come in tutte le chiese ortodosse un'iconostasi e vari ambienti interni decorati con affreschi. Vennero scavate varie cappelle su livelli diversi.
Il monumento fu distrutto dai turchi durante l'assedio di Atene nel 1827 a causa di un bombardamento a colpi di cannone. Rimane una grotta scavata nella roccia, che è stata decorata con una cornice dorica di 7,50 m di lunghezza.
Il capitello di un pilastro appartenente al monumento è stato ritrovato nel 1985 nelle riserve del Museo archeologico nazionale di Atene. Si sa inoltre che parti del monumento vennero riutilizzare per restaurare la chiesa bizantina di Sotira Nikodimou oggi conosciuta come Chiesa russa di Atene.
Il monumento è stato studiato nel 2002 avviando un programma di ristrutturazione e ricostruzione con parti in marmo completate nel 2016. Oggi è visibile all'esterno dal percorso del Peripatos.

GRECIA - Atene, Tempio di Zeus Olimpio

 

Il tempio di Zeus Olimpio (in greco Ναός του Ολυμπίου Διός), noto anche come Olympieion (in greco antico: Ὀλυμπιεῖον), è un tempio situato ad Atene, in Grecia. Il tempio è situato a circa 500 metri dall'Acropoli e a circa 700 metri a sud del cuore di Atene, piazza Syntagma. Durante il periodo ellenistico ed il periodo romano è stato il tempio più grande della Grecia.
Il tempio era costruito in roccia pentelica e misurava 104 metri in lunghezza e 41 in larghezza. Consisteva in 104 colonne Ordine corinzio, ognuna alta 17 metri. Solo 15 di queste colonne rimangono tuttora in piedi. La sedicesima colonna venne colpita da un fulmine durante un temporale nel 1852 e cadde sull'antica pavimentazione del tempio, dove è stata lasciata. Dell'imponente tempio rimangono, oltre alle colonne, il crepidoma e alcune porzioni dell'architrave tripartito.
La sua costruzione venne iniziata sul colle di un tempio preesistente da parte dei tiranni Pisistratidi nel 500 a.C., ma venne abbandonato quando il figlio di Dedalo, Ippia, venne cacciato dalla città nel 510 a.C.
Durante gli anni della democrazia ad Atene il tempio non venne continuato perché la costruzione era ritenuta un'insolenza verso la divinità se edificata sulle basi gettate dai Tiranni. Aristotele cita inoltre in una sua opera il tempio ad esempio di come i tiranni ingaggiano il popolo in lavori grandiosi lasciandogli così poco tempo e poche energie per ribellarsi. I lavori vennero ricominciati nel 174 a.C. sotto Antioco IV, durante la dominazione macedone. Il tempio venne riprogettato, in modo da essere il tempio più grande che il mondo avesse mai visto, così come desiderato dal sovrano macedone, dall'architetto romano Cossutius. Quando Antioco IV morì, nel 163 a.C., l'edificazione dell'Olimpieon venne nuovamente abbandonata.


Nell'86 a.C., quando la Grecia venne inglobata nell'Impero romano, il generale Silla fece portare due colonne a Roma per ornare il Tempio di Giove Ottimo Massimo, sul Campidoglio. Queste colonne influenzeranno lo sviluppo e l'utilizzo dello stile corinzio in Roma. Svetonio racconta che al tempo di Augusto: «[...] I re amici e alleati fondarono città con il nome di Cesarea, ciascuno nel proprio regno, e tutti insieme decisero di portare a termine, a proprie spese, il tempio di Giove Olimpio di Atene, iniziato alcuni secoli prima, dedicandolo al Genio di Augusto.» (Svetonio, Augustus, 60.)
Nel II secolo d.C., più precisamente tra il 129 e il 131, il tempio venne finalmente completato da Adriano, grande estimatore della cultura greca.
Adriano dedicò il tempio a Zeus, conosciuto a Roma come Giove, il re degli dei. Fece erigere una statua crisoelefantina (in oro e avorio) di Zeus nella cella e, poco distante da questa, una sua statua grossa quanto quella del dio. Non rimane tuttavia nulla dell'interno del tempio, distrutto dai barbari e usato come cava di pietre. Si pensa che però, come molti altri edifici in Grecia, possa essere stato distrutto da un terremoto durante il Medioevo e che le rovine rimaste furono reimpiegate come materiali da costruzione.
Gli scavi del tempio vennero eseguiti tra il 1889 e il 1896 da Francis Penrose (che ricoprì un importante ruolo anche nella restaurazione del Partenone) della British School ad Atene, nel 1922 dall'archeologo tedesco Gabriel Welter e negli anni sessanta da archeologi greci capeggiati da Ioannes Travlos.
Il tempio, insieme a rovine di altri edifici antichi, è stato riconosciuto come monumento antico e viene amministrato dal ministero delle antichità della Grecia. È aperto ai turisti tutta la settimana in estate.

GRECIA - Atene, santuario di Asclepio

 

Il santuario di Asclepio o Asclepieion (asklepieion, greco Ἀσκληπιεῖον - Ἀσκλαπιεῖον in dialetto dorico) era un tempio costruito intorno al 420 a.C. sulle pendici meridionali dell'Acropoli di Atene, sotto il Partenone e subito dietro alla Stoà di Eumene e al teatro di Dioniso. Intitolato ad Asclepio, il dio della medicina il cui culto era stato portato ad Atene da Epidauro dopo il 420 a.C., il santuario era dedicato alla guarigione dei malati (aveva anche funzioni di ospedale).
Il santuario possedeva un recinto quadrato, un tempio e una stoà dorica di 50 metri di lunghezza a doppia galleria separata da una fila di colonne, costruita nel IV secolo a.C.. Nel portico si affaccia una grotta (attualmente riadattata a cappella cristiana) dotata di una sorgente tuttora ritenuta curativa.
Il nucleo dell'Asclepeion (la stoà e il tempio) vennero inglobati in una basilica paleocristiana.

GRECIA - Atene, santuario di Dioniso Eleutereo


Il santuario di Dioniso Eleutereo (anche detto Temenos di Dioniso) era un santuario situato alle pendici meridionali dell'Acropoli di Atene in Grecia. Edificato nella seconda metà del VI secolo a.C., adiacente ad esso vi fu costruito il teatro di Dioniso, nato in origine per funzioni di culto.
Il santuario era cinto da un muro poligonale, che si sviluppava in tutta l'area posteriore alla scena del teatro.
L'ingresso del santuario era costituito da un piccolo edificio a colonne (propylon) sul lato orientale. Il tempietto principale era prostilo (cioè aveva colonne solo in facciata) con quattro colonne. Subito a fianco, era un secondo tempietto dorico, più piccolo. Quasi a contatto con questo tempietto, vi era un lungo percorso porticato appoggiato dall'edificio scenico del teatro di Dioniso.
Il santuario di Dioniso Eleutereo (Eleuthérios) era uno dei due santuari di Atene dedicati al dio del vino e della natura (l'altro era il santuario di Dioniso en limnais (ἐν λίμναις), "alle paludi"). Deve il suo nome a un villaggio della Beozia, Eleutere (Eleutherai), ai confini con l'Attica.
Il santuario fu iniziato verso la metà del VI secolo a.C., quando il culto di Dioniso venne introdotto ad Atene importandovi la statua lignea (xoanon) del dio da Eleutere e collocandola in un tempietto costruito sul temenos (terreno sacro) consacrato al dio.
Al tempietto di età arcaica se ne aggiunse un secondo nel IV secolo a.C., anch'esso votato a Dioniso. Faceva inoltre parte del santuario una grande stoà alla quale in seguito si appoggiò l'edificio scenico del teatro.
Vicino al tempio si cominciò ad utilizzare uno spiazzo circolare, durante la festa in onore del dio, per la danza rituale ditirambica che era eseguita in circolo da uomini mascherati da caproni, mentre la folla guardava dalle pendici della collina. Gli officianti danzavano intorno a un altare (timele, thymèle).
Il teatro si sviluppò nell'Attica in età arcaica proprio come forma di rappresentazione drammatica in stretta connessione al culto di Dioniso. Lo spazio teatrale era un elemento architettonico indispensabile di ogni santuario di Dioniso di una certa importanza. In tutti i demi dell'Attica sono stati rinvenuti spazi teatrali, sempre collegati a santuari in cui era forte il culto di Dioniso. I festeggiamenti al dio erano caratterizzati dall'uso massiccio del vino, in particolare nel dramma da cui poi si sviluppò la commedia: il dramma satiresco, legato all'ebrezza alcolica.
La parola theatron venne coniata per la prima volta dagli Ateniesi per indicare il teatro nel santuario di Dioniso Eleutereo. L'ampliamento con gradinate e palcoscenico (scena) si verificò solo nel V secolo a.C.
L'area del teatro e del santuario è stata oggetto di scavi accurati tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento ad opera degli archeologi tedeschi Wilhelm Dörpfeld ed Ernst Robert Fiechter, che riportarono alla luce le rovine oggi visibili.


GRECIA - Atene, santuario di Artemide Brauronia

 
Il santuario di Artemide Brauronia o Brauroneion (greco Βραυρώνιον) era un santuario che sorgeva nell'Acropoli di Atene, nell'angolo sud-occidentale del pianoro dell'Acropoli, tra la Calcoteca e i Propilei. Fu originariamente dedicato durante il regno di Pisistrato ad Artemide Brauronia, divinità protettrice delle donne in gravidanza e del parto, aveva il suo santuario principale a Braurone, un demo sulla costa orientale dell'Attica, area di provenienza dello stesso Pisistrato. Dal Brauroneion ateniese ogni quattro anni partiva una processione durante la festività detta Arkteia che percorreva i 24,5 km di distanza col santuario principale.
Il santuario sull'Acropoli era di insolita forma trapezoidale e non conteneva un tempio formale: la sua funzione era assolta da un portico o stoà. La stoà misurava circa 38 per 6,8 metri; si ergeva davanti alla parete sud dell'Acropoli, affacciata a nord. Agli angoli vi erano due ali laterali come avancorpi, ciascuna di circa 9,3 m di lunghezza, quella occidentale rivolta verso est e viceversa. A nord dell'ala orientale c'era un'altra corta stoà rivolta a occidente. Tutta la parte occidentale del santuario, oggi perduto, sorgeva sui resti del muro di fortificazione miceneo. Tutto ciò che rimane del paramento orientale sono fondazioni di pareti scavate nella roccia così come pochissimi elementi architettonici in calcare.
Una delle ali conteneva la statua di culto in legno (xoanon) della dea. Le donne che chiedevano l'intercessione di Artemide abitualmente portavano in offerta capi di abbigliamento che venivano drappeggiati attorno alla statua. Nel 346 a.C. venne eretta una seconda statua di culto che, secondo Pausania, era opera di Prassitele. La testa di questa statua è esposta al Museo dell'Acropoli.
L'ingresso al piccolo recinto sacro, vicino al suo angolo nord-est, è ancora segnato da sette gradini scavati nella roccia. Essi, e il loro recinto settentrionale, probabilmente erano stati eretti da Mnesicle durante la costruzione del Propilei. La datazione del complesso nella sua forma finale è incerta ma si presume attorno al 430 a.C., analogamente ai Propilei adiacenti.

GRECIA - Atene, Hēphaistêion

 

L'Hēphaistêion (Ἡφαιστεῖον in greco antico) o tempio di Efesto (in greco moderno Ναός Ηφαίστου, naós Īfáistou) è un tempio greco situato ad Atene poco sopra l'antica agorà. È uno dei templi dorici meglio conservati al mondo, pur essendo meno noto del vicino Partenone. Il tempio è conosciuto anche come Thēsêion (in greco moderno: Θησείο, Thīséio) perché ritenuto erroneamente in epoca bizantina, e anche da alcuni studiosi dell'Ottocento, il luogo di sepoltura di Teseo.
Il tempio è posto sull'altura che domina il lato occidentale dell'agorà, nota come Kolonos Agoraios e, contrariamente a quanto accade spesso per gli edifici di culto antichi, non sembra aver sostituito un qualche tempio precedente.
Il tempio di Efesto, o Hephaisteion, è uno dei templi dorici meglio conservati dell'antichità classica. Si tratta di un tempio lungo 39,44 metri e largo 16,90 con trentaquattro colonne (sei frontali e tredici di lato): è un edificio periptero, esastilo, con tredici colonne sui lati lunghi (secondo la proporzione canonica del tempio dorico che pone sui lati lunghi le colonne in numero doppio più uno rispetto alla fronte). La cella è distila in antis, con il pronao più profondo rispetto all'opistodomo. All'interno la cella vera e propria dovrebbe avere avuto un doppio colonnato interno che correva sui due lati lunghi e sul fondo, facendo da quinta scenica per il gruppo delle due statue di culto di Atena ed Efesto eseguite da Alkamenes tra il 421 e il 415, come testimoniato dai rendiconti epigrafici delle spese per la realizzazione del gruppo in bronzo, su una base di calcare di Eleusi e rilievi in marmo.
Già dal Rinascimento i viaggiatori europei ricordano il tempio nelle loro memorie, o lasciano che esso tramandi il loro ricordo attraverso le numerose firme dipinte o graffite sulle pareti del tempio.
Alcuni di questi viaggiatori cominciano a far conoscere in Occidente le sculture del “tempio di Teseo” insieme a quelle dei monumenti più famosi, soprattutto il Partenone, per mezzo di disegni anche se per la maggior parte alquanto approssimativi. Tale è il caso per esempio, dei disegni di Ciriaco d'Ancona (il quale oltre al Partenone schizza anche il fregio ovest dell'Hephaisteion), o di Giuliano da Sangallo.
Una spinta verso una maggiore conoscenza dell'edificio viene dall'opera di J. D. Le Roy, Les ruines des plus beaux monuments de la Grece del 1758, che per un lungo periodo costituirà l'unica base per vedere in Francia e in tutta Europa i monumenti che gli altri viaggiatori hanno solo raccontato.
È proprio per fare fronte a questa “ignoranza visiva” dei monumenti di Atene, e per soddisfare una certa fame di cultura classica che l'illuminismo aveva ormai diffuso in Europa, che J. Stuart e N. Revett intraprendono il loro viaggio dal 1750 al 1755 per disegnare e rilevare con la maggiore precisione possibile le antichità di Atene. Il terzo volume di The Antiquities of Athens esce nel 1794, curato da W. Reveley per la ormai sopravvenuta morte di entrambi gli autori. I disegni presenti nei volumi sono sempre accuratissimi, tanto da imporsi subito in Europa quale punto di riferimento sicuro per vedere i tanto citati monumenti.
Proprio queste edizioni illustrate di monumenti antichi eccitano la fantasia collezionistica di coloro che si recano in Grecia, e fra questi dobbiamo citare soprattutto i due casi più importanti: il conte de Choiseul-Goffier e Lord Elgin. Costoro approfittando della loro posizione di ambasciatori rispettivamente francese e inglese presso la Sublime porta, e sfruttando i periodi di maggiore influenza delle proprie nazioni alla corte del Sultano, otterranno tutte le facilitazioni per poter riportare in patria disegni e calchi delle antichità più importanti con il fine di accrescerne la conoscenza in Europa, e frammenti di sculture e iscrizioni che vanno ad accrescere le loro collezioni personali.
Il conte de Choiseul-Goffier si serve dell'aiuto del suo agente ad Atene, L.-F.-S. Fauvel il quale, insieme al disegnatore Fourmont, riporterà una notevole quantità di vedute e di particolari dei monumenti ateniesi. Da una delle lettere di Fauvel sappiamo anche che egli fece realizzare dei calchi delle decorazioni dell'Hephaisteion, come dice lui stesso parlando del fregio est: «par example, sa description […] convient absolument au bas-relief qui existe encore et dont on peut voir une partie par les platres que j'ai moulés et qui sont à la Salle des Antiques». Questi calchi, almeno di parte dei fregi, fatti eseguire nel 1787 furono fatti imbarcare per laFranciadal console francese Gaspari il 7 settembre dello stesso anno («dix-sept caisses de sculptures en platre»), e dovrebbero tuttora trovarsi al Louvre.
Fauvel, da disegnatore di livello qual era, realizzò inoltre una serie numerosa di schizzi e acquerelli, che però le alterne vicende della vita del viceconsole in seguito alla guerra contro gli inglesi, fra cui l'arresto e un rimpatrio frettoloso, ha in parte disperso. In una lettera di John Tweddell al fratello, datata 4 gennaio 1799, possiamo individuare alcuni indizi circa i disegni che pure dovette fare dei rilievi dell'Hephaisteion: fra i suoi disegni è «una preziosa collezione di materiali», anche se sono «solo degli schizzi, dei quali molti dipinti solo a metà», il solo disegno «quasi finito è quello del tempio di Teseo», ma «gli mancano ancora i bassorilievi e altri importanti dettagli». In seguito, il 18 marzo dello stesso anno, Tweddell viene incontro alla penuria di denaro liquido di Fauvel acquistando da lui «da quaranta a cinquanta disegni di diversa natura […] di gran parte dei quali non ha conservato delle copie».
Disgraziatamente le carte di J. Tweddell dopo la sua morte (25 luglio 1799) vengono inviate a Costantinopoli all'ambasciata inglese per essere rimpatriate, su una nave che fa naufragio. Le carte vengono recuperate, si prova a salvarne il salvabile (anche se con qualche ritardo), ma nel frattempo se ne perde traccia. Non arrivarono mai a suo fratello Robert, che di questo accusò vigorosamente Lord Elgin e il suo assistente, il cappellano Hunt.
Alcuni anni dopo, e precisamente nell'agosto del 1800, arriva ad Atene la spedizione di disegnatori, formatori e architetti al servizio di Lord Elgin. Lo scopo principale di questa spedizione era quello di assicurarsi una documentazione accurata soprattutto dei monumenti dell'Acropoli, ma le lungaggini e gli intoppi con il governatore turco della cittadella portano gli artisti di Elgin, guidati da G. B. Lusieri a occuparsi, nei tempi di inaccessibilità dell'Acropoli, dei monumenti della città bassa. À così che nel periodo 1800-1803 viene eseguita, fra le altre cose, una serie completa di matrici per calchi dai fregi dell'Hephaisteion e da alcune -se non tutte- le metope. I “calchi Elgin” non hanno certo la notorietà dei “marmi di Elgin”, ma è ancora possibile recuperare qualche traccia della loro storia. Ne dà notizia Reveley in una nota comparsa nella seconda edizione del III volume delle Antiquities of Athens di Stuart e Revett.
Uno studio scientifico della decorazione scultorea del tempio, concernente anche aspetti di stile e cronologia delle opere, comincia quindi a partire dagli anni trenta del XIX secolo, grazie ai calchi fatti fare da Choiseul-Gouffier e da Elgin. Sono infatti tanti coloro che scrivono manuali di scultura greca basandosi principalmente sulla visione autoptica delle collezioni di calchi che fiorivano a Londra, Parigi, Monaco, Berlino. E similmente dai calchi sono tratti i disegni prima e le foto poi che compaiono nei libri dell'epoca.
Agli inizi del XX secolo la zona dell'Agorà di Atene acquisisce nuova importanza grazie all'interesse mostrato dalla Scuola archeologica americana.
Dopo essere stato costruito verso la metà del V secolo a.C. come tempio di Efesto, esso viene nel VII secolo d.C. convertito in chiesa cristiana dedicata alla memoria di San Giorgio. Questo processo di rifunzionalizzazione porta le prime e più grandi modifiche: l'orientamento del tempio viene invertito, il pronao viene rivoluzionato mediante l'abbattimento della parete divisoria tra pronao e cella e l'occlusione dell'apertura tra le ante con un'abside, la rimozione delle due colonne in antis e loro sostituzione con un muro trasversale nel quale è ricavato un grande arco a tutto sesto la cui luce corrispondeva quasi completamente con la larghezza del pronao. Inoltre il muro divisorio tra la cella e l'opistodomo viene forato da un grande portale, che diventa l'ingresso principale della nuova chiesa. È pure a questo periodo che dobbiamo probabilmente ascrivere la intenzionale distruzione delle teste di tutte le figure umane, ma solo di quelle presenti sulle metope e sui fregi scolpiti.
Nel corso del Medioevo si susseguono nuovi rimaneggiamenti. Nel XII secolo viene tamponato il portale principale, e viene invece aperta una più modesta apertura sul lato meridionale della cella. Viene inoltre eretta una grande volta a botte in concreto, con mattoni e alcune delle formelle di marmo dei lacunari reimpiegate, che copre lo spazio della cella e del pronao del tempio classico. Nel frattempo nella chiesa vengono anche alloggiate delle sepolture, come era allora in uso: ventisei nel peristilio, cinque nel nartece (quello che era l'opistodomo) e ventidue nella navata della chiesa.
Con l'occupazione turca la chiesa continua a mantenere la sua funzione di edificio di culto cristiano, forse anche grazie alla sua posizione al di fuori della città. L'unico rischio in tal senso lo corse nel 1660, quando solo un ordine diretto da Costantinopoli poté fermare una distruzione a quanto pare già intrapresa dai turchi per farne una moschea.
Ma nonostante ciò il deperimento e la trasformazione continuano: infatti nel corso dei secoli il pavimento di marmo subisce continue spoliazioni, vuoi a causa della escavazione delle tombe, vuoi per semplice depredamento. Già nel 1765 Chandler dice che «the pavement has been removed», mentre Hobhouse nel 1809-1810 afferma: «the paviment inside having been removed, the floor is of mud». Almeno parte del pavimento nella parte est del peristilio doveva ancora essere presente nel 1751, quando Stuart e Revett annotano la presenza di una linea che corre in senso N-S, incisa sulle lastre della pavimentazione. Nel 1770 è testimoniata una incursione di Albanesi, seguita da una guerra nel 1785 e una carestia nel 1800, tutti fatti ricordati dalle iscrizioni graffite sulle colonne della peristasi.
Nel frattempo diviene una chiesa protestante e nel suo interno sono poste le tombe di alcuni viaggiatori europei (soprattutto anglosassoni) e di caduti per l'indipendenza greca, tra cui due giovani italiani di Novara, Giuseppe Tosi di 16 anni e Carlo Serassi di 18 anni (23 aprile 1819).
Durante il periodo della guerra di indipendenza greca l'edificio cambia ancora destinazione per essere sfruttato come stalla della cavalleria ottomana. In seguito all'indipendenza, dopo un breve ritorno alla funzione sacra per celebrarvi un solenne Te Deum di ringraziamento per l'arrivo e poi l'incoronazione di Ottone di Baviera, il Theseion diventa sede espositiva delle raccolte di antichità in attesa che venga costruito il Museo Nazionale.
Attualmente, il tempio è classificato come sito archeologico dal ministero della cultura ellenico.
Le metope, dieci sulla fronte, e ventiquattro sulla parte orientale di ognuno dei lati lunghi, rappresentano rispettivamente le fatiche di Eracle e le imprese di Teseo. I due eroi sono spesso associati sia nella scultura che nella pittura vascolare di età classica per il fatto che, secondo Plutarco, Teseo voleva essere considerato un secondo Eracle. Lo stile delle sculture, per quello che si può ormai vedere, è molto corposo, con le figure quasi a tutto tondo che si staccano considerevolmente dalla lastra di fondo; i corpi sono resi in modo massiccio e scattante; i pochissimi panneggi non coprono le aree vuote del campo figurativo lasciando vistosi spazi inutilizzati.
I fregi dell'Hephaisteion sono posti sull'architrave del pronao e dell'opistodomo della cella. Il fregio orientale, più lungo di quello occidentale, conta ventitré figure impegnate in una scena di battaglia alla presenza di sei divinità sedute su due gruppi di grosse rocce. L'interpretazione più accreditata al momento, ma non senza contestazioni, dipende dalla lettura della scena centrale del fregio che inquadra una figura maschile nuda, con un mantello che pende da una spalla, che blocca con una sola mano un gruppo di quattro altre robuste figure che gli lanciano contro grossi massi di pietra. Pertanto è stato ipotizzato (H. A. Thompson) che si tratti di Teseo che combatte contro i Pallantidi. Il fregio occidentale invece tratta di una centauromachia di Teseo.
Il rilievo è più basso rispetto alle metope, ma prevale comunque il tuttotondo. Lo stile delle figure è vigoroso e punta alla resa plastica delle masse muscolari contratte dei combattenti, risentendo in questo ancora degli insegnamenti della grande scuola severa di scultura.
Dei frontoni non si sa molto, dal momento che andarono completamente perduti in età post-antica. Forse erano fatti di marmo pario, a differenza delle parti strutturali del tempio che erano realizzate in marmo pentelico. Le scene raffigurate, composte di figure a grandezza naturale, dovevano riguardare Atena (frontone est) e una scena di gigantomachia (frontone ovest).
Il gruppo bronzeo di Atena ed Efesto fu creato dallo scultore Alkamenes, vicino agli ambienti dei conservatori ateniesi guidati da Nicia, tra il 421 e il 416 a.C. come sappiamo dalla datazione dei rendiconti delle spese. Probabilmente venne vista ancora da Pausania nel II secolo d.C. periodo dopo il quale ne perdiamo le tracce. Le due statue erano poste su una base bassa e larga sulla quale era scolpita la narrazione del mito attico della nascita di Erittonio, altro tema -quello dell'autoctonìa- caro ai conservatori ateniesi.


GRECIA - Atene, Eretteo

 

L'Eretteo (in greco antico: Ἐρέχθειον, Eréchtheion) è un tempio ionico greco del V secolo a.C., che si trova sull'Acropoli di Atene. È un tempio duplice.
Nonostante la grande importanza del culto tributato ad Atena nel grande tempio (prima l'Ekatónpedon, poi il Partenone) sulla sommità dell'Acropoli, questo santuario, dedicato alla dea Atena Poliade (protettrice della città), era legato a culti arcaici e alle più antiche memorie della storia leggendaria della città, costituendo il vero nucleo sacro dell'Acropoli e dell'intera città. In questo luogo si sarebbe infatti svolta la disputa tra Atena e Poseidone: vi si custodivano le impronte del tridente del dio su una roccia, un pozzo di acqua salata da cui sarebbe uscito il cavallo, dono del dio, e l'olivo, donato dalla dea Atena alla città. Qui il re Cecrope, metà uomo e metà serpente, avrebbe consacrato il Palladio, la statua della dea caduta miracolosamente dal cielo. Il santuario ospitava inoltre le tombe di Cecrope, di Eretteo e un luogo di culto dedicato a Pandroso, la figlia di Cecrope amata dal dio Ermes.
L'Eretteo venne costruito in sostituzione del tempio arcaico (VI secolo a.C.) avente la stessa funzione votiva, di cui restano le fondamenta tra l'edificio più recente e il Partenone; in epoca romana il nuovo edificio prese il nome di "Eretteo" (Erechtheíon, ovvero "colui che scuote"), dall'appellativo di Poseidone.
Iniziata da Alcibiade nel 421 a.C. in un momento di relativa pace, la costruzione fu interrotta durante la spedizione in Sicilia (Guerra del Peloponneso) e ripresa negli anni 409-407 a.C., come attestano i rendiconti finanziari conservati al Museo epigrafico di Atene e al British Museum.
Costruito in marmo pentelico, l'Eretteo è opera dell'architetto Filocle. La necessità di ospitare i diversi culti tradizionali, collocati su un'area con un forte dislivello (più elevata a sud-est e più bassa di circa 3 m a nord-ovest) determinò una pianta insolita.
Il tempio è prostilo (ovvero con colonne nella parte anteriore), con sei colonne ioniche sulla fronte a est; a ovest gli intercolumni (spazi tra le colonne) sono chiusi da setti murari dotati di ampie finestre e le colonne si presentano all'esterno come semicolonne sopraelevate sul muro di 3 metri costruito per superare il dislivello del terreno. L'interno era suddiviso in due celle a livello diverso e non comunicanti tra loro: quella orientale, più alta, alla quale si accedeva dal pronao esastilo, che ospitava il Palladio, e quella occidentale più in basso, suddivisa in tre vani: un vestibolo comune dava accesso a due vani gemelli che ospitavano i culti di Poseidone e del mitico re Eretteo. 
Al corpo centrale si addossano la loggia con le Cariatidi a sud, che custodisce la tomba del re Cecrope, e un portico a nord, più sporgente del corpo centrale verso ovest, costruito per proteggere la polla di acqua salata fatta sgorgare da Poseidone. Il portico è costituito da quattro colonne in fronte e due di lato; da qui si accede sia alla cella per il culto di Poseidone e di Eretteo, sia ad una zona a cielo aperto davanti al basamento pieno che sorregge le semicolonne della fronte occidentale, dove si trovavano l'ulivo di Atena e la tomba di Pandroso (Pandroseion).
Le colonne si presentano particolarmente snelle ed eleganti e il tempio era ornato da una raffinata decorazione: le basi delle colonne, la fascia decorativa che sormonta e corre lungo le pareti del corpo centrale con un motivo di fiori di loto e palmette; il fregio continuo lungo l'esterno della costruzione, in pietra scura di Eleusi, sulla quale erano applicate figure scolpite in marmo bianco (con un gusto che, come annota Bianchi Bandinelli, sembra anticipare quello tardo ellenistico dei cammei in vetro a fondo azzurro). Particolarmente ricche le decorazioni del portico a nord, negli intrecci sulle colonne e nel fregio ornamentale della porta d'ingresso. Bronzi dorati, dorature, perle vitree in quattro colori sottolineavano la ricchezza dell'alzato.
I primi lavori di restauro sul monumento iniziarono tra il 1837 e il 1846, poi tra il 1902 e il 1909. Più recentemente tra il 1979 e il 1987. L'ultimo intervento ripristinò delle parti e tolse le cariatidi originali per sostituirle con delle copie. Le Cariatidi, forse opera dello scultore Alcamene, sono conservate nel Museo dell'Acropoli. Mentre una delle cariatidi angolari, rimossa da lord Elgin, si trova al British Museum di Londra (nella foto).
Nel biennio 2014-2015 sono stati eseguiti degli interventi sulle fondazioni che oggi permettono di mostrare i resti dell'antica basilica costruita nel VII sec d.C.

GRECIA - Atene, antico tempio di Atena Poliàs

 

L'antico tempio di Atena Poliàs fu un tempio greco arcaico situato sull'Acropoli di Atene. Fino alla sua distruzione da parte dei Persiani nel 480 a.C., fu il santuario di Atena Poliàs (o Poliade), la divinità protettrice della città di Atene, e venne in seguito rimpiazzato come casa della divinità dal Partenone. Si trovava al centro del pianoro dell'Acropoli, probabilmente sui resti di un palazzo miceneo. Fu dissotterrato nel 1885. Oltre alle sue fondazioni in situ, sono stati rinvenuti numerosi elementi architettonici di ordine dorico appartenenti alle sue diverse fasi di costruzione. Il complesso è talvolta descritto come "fondazioni Dörpfeld", dal nome dell'archeologo Wilhelm Dörpfeld che per primo lo identificò e lo studiò, e fu anche soprannominato archaiòs naòs, ovvero «tempio antico».
Le fondazioni suggeriscono la seguente descrizione di base: il tempio misurava 21,3 per 43,15 metri, con un orientamento est-ovest. Era circondato da una peristasi di 6 per 12 colonne. La distanza tra gli assi delle colonne era 4,04 m, ridotta di 0,31 m agli angoli. Lo stilobate era leggermente curvo, sebbene rimanga incerto se questo valesse anche per la sovrastruttura. Nel pronao e nell'opistodomo due colonne ciascuna si trovavano tra due corte ante. La cella era molto corta, in effetti quasi quadrata, e suddivisa in tre navate da due file di tre colonne ciascuna. Il retro del tempio era suddiviso in un ampio opistodomo rettangolare seguito da una coppia di camere per lato. Le fondazioni erano composte di diversi materiali e costruite con varie tecniche. Mentre le parti portanti e i sostegni interni erano realizzati in pietra calcarea azzurra dell'Acropoli, le fondazioni della peristasi circostante erano di calcare locale poros. Sovrastruttura e parti decorative appaiono a loro volta costruite con vari materiali, tra cui poros e marmo pario.
A causa di queste variazioni, la ricostruzione della storia architettonica del tempio rimane controversa. Wilhelm Dörpfeld assume che la struttura originale fosse un tempio doppio in antis risalente a circa il 570 a.C. ed esteso con l'aggiunta della peristasi sotto Pisistrato, tra il 529 e il 520 a.C. Quest'idea ha portato a una suddivisione delle fondazioni in una struttura interna più piccola nota come H-Architektur ("architettura ad H") e considerata la parte più antica dell'edificio, seguita da una struttura tuttora descritta come l'"antico tempio di Atena", che incorpora la H-Architektur così come la peristasi.
L'H-Architektur viene considerata circa del 570 a.C. Sulla base delle sue dimensioni, sono stati attribuiti ad essa elementi architettonici come la sima dritta e quella diagonale di marmo pario, capitelli nonché un geison raffigurante uccelli in volo, di poros. Ulteriori elementi attribuibili alla prima struttura per dimensioni e stile sono le metope di marmo pario, i frontoni monumentali di poros raffiguranti leoni che lottano e la figura "dal triplice corpo" sulla destra. È inoltre attribuito alla struttura iniziale un gruppo di capitelli molto tozzi e ampi, con un ampio echino, suggerendo che avesse una peristasi esastila.
L'antico tempio di Atena come struttura separata viene spesso datato all'incirca al 510/500 a.C. Le sue dimensioni sono identificate come quelle della totalità delle fondazioni scavate da Dörpfeld. Funzioni attribuite ad essa sono: trabeazione e sima di marmo pario, capitelli in poros con un echino più ripido, un fregio marmoreo raffigurante una processione e doccioni in marmo in ciascuno dei quattro angoli, a forma di leoni e teste di arieti. Le sculture dei frontoni, ora autoreggenti per la prima volta, raffiguravano una gigantomachia nella parte orientale e una scena di leoni che uccidono un toro ad occidente. Della gigantomachia si sono conservate parti delle figure di Atena, di Zeus e di un nemico cadente.
Il tempio, che conteneva l'antico xoanon o statua lignea di Atena, che si riteneva fosse caduta dal cielo, fu distrutto nel sacco persiano del 480 a.C. Rimane controverso se fosse seguito un parziale restauro. Erodoto menziona un mégaron rivolto a occidente sull'Acropoli. Questo riferimento, così come una struttura elencata in un'iscrizione[6] sono state interpretate come la prova che l'opistodomo del Tempio Antico era rimasto in piedi durante il quinto secolo. Senofonte afferma che l'antico tempio di Atena bruciò nel 406/405 a.C., ma con questo potrebbe anche fare riferimento all'Eretteo, che aveva assunto le funzioni del Tempio Antico e ospitava il xoanon. A partire dal IV secolo a.C. non vi sono riferimenti possibili al Tempio Antico, Pausania non era a conoscenza della sua esistenza.
La sua funzione venne in seguito assunta dall'Eretteo, iniziato nel 421 a.C.

GRECIA - Atene, tempio di Atena Nike


Il tempio di Atena Nike o tempio della Nike Aptera è uno dei principali monumenti dell'Acropoli di Atene. Si trova sul lato ovest dell'acropoli, presso i Propilei, a pochi metri dall'orlo delle rocce a strapiombo che caratterizzano l'Acropoli. Costruito probabilmente intorno al 425 a.C. in ordine ionico, è un tempietto anfiprostilo tetrastilo (con quattro colonne libere sulla fronte e sul retro) ornato nei fregi di preziosi bassorilievi che narrano vicende di una battaglia fra Greci e Persiani (probabilmente Maratona).
Questo esempio di architettura dell'epoca classica, probabile opera dell'architetto Callicrate, coautore del Partenone, è stato il primo edificio in stile completamente ionico dell'Acropoli; tutti gli altri edifici presentano falsi fusioni di stile ionico e dorico.
Intorno al 410 a.C. fu circondato da una balaustra scolpita con motivi di Nike colte in varie attività (celebre quella che si riallaccia un sandalo) che assolveva inoltre allo scopo di evitare che i visitatori del tempio cadessero nel precipizio; i rilievi, ora al museo dell'Acropoli, eseguiti in un momento storico gravido di cattivi presagi per Atene, costituiscono un passo indietro sul versante dell'attenzione alla resa naturalistica del corpo umano e delle vesti, e sembrano indicare che l'artista ricercava effetti diversi, di carattere pittorico, che ha spinto alcuni critici a parlare di protoellenismo.


Il fatto che potessero venire osservati dalla ripida salita ai Propilei, unica via d'accesso all'acropoli, consentì la ricerca di particolari effetti prospettici. La statua di culto, come ci viene descritta da Pausania, era di legno e portava in mano una melagrana. La statua era aptera, cioè senz'ali, il che si spiegava col fatto che la dea non avrebbe dovuto mai più lasciare la città.
Sul sito dell'attuale tempio scavi archeologici hanno individuato nell'area una fossa per offerte dell'età del Bronzo; in epoca arcaica vi sorse un tempio che come il resto dell'Acropoli fu distrutto dai Persiani nel 480 a.C. La ricostruzione del tempio viene da alcuni collegata alla pace di Nicia, che avrebbe potuto inaugurare un periodo di grande gloria per la città infatti, alla firma del trattato di pace di quest'ultimo, la città finì di combattere temporaneamente con Sparta.
Ma la crisi creativa di Atene, che era come un presagio della sconfitta totale della città nella seconda parte della Guerra del Peloponneso pare echeggiata nella monotona ripetizione di Vittorie nella balaustra costruita solo pochi anni prima dell'Egospotami. Sotto la dominazione turca il tempio fu smantellato e le pietre riutilizzate nel 1687 per costruire un bastione difensivo; quest'ultimo rimase sul sito dell'antico tempio fino all'indipendenza della Grecia, quando nel 1831 fu decisa la (altamente simbolica) ricostruzione del sacello; il tempio è stato smontato ancora due volte (1930 e 1998) per permettere il restauro delle pietre e l'integrazione di altri pezzi ritrovati in successivi scavi.
Tra gli anni 2000 e 2010 il monumento ha avuto importanti lavori di restauro per fissare diversi problemi strutturali causati dagli interventi del 1835-1845 e del 1935-1940. Oltre ad essi sono state reintegrate parti della pietra, asportate le decorazioni e poste presso il Museo dell'Acropoli e inserite delle copie. Il lavoro definitivo si è compiuto nel 2011-2013.

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...