L'
Hēphaistêion (Ἡφαιστεῖον
in greco antico) o
tempio di Efesto (in greco
moderno Ναός Ηφαίστου, naós Īfáistou) è
un tempio greco situato ad Atene poco sopra
l'antica agorà. È uno dei templi dorici meglio
conservati al mondo, pur essendo meno noto del vicino Partenone. Il
tempio è conosciuto anche come Thēsêion (in greco
moderno:
Θησείο, Thīséio)
perché ritenuto erroneamente in epoca bizantina, e anche da
alcuni studiosi dell'Ottocento, il luogo di sepoltura di Teseo.
Il tempio è
posto sull'altura che domina il lato occidentale
dell'agorà, nota come Kolonos Agoraios e, contrariamente a
quanto accade spesso per gli edifici di culto antichi, non sembra
aver sostituito un qualche tempio precedente.

Il tempio di Efesto,
o Hephaisteion, è uno dei templi dorici meglio conservati
dell'antichità classica. Si tratta di un tempio lungo 39,44
metri e largo 16,90 con trentaquattro colonne (sei frontali e tredici
di lato): è un edificio periptero, esastilo, con
tredici colonne sui lati lunghi (secondo la proporzione canonica del
tempio dorico che pone sui lati lunghi le colonne in numero doppio
più uno rispetto alla fronte). La cella è distila in
antis, con il pronao più profondo rispetto
all'opistodomo. All'interno la cella vera e propria dovrebbe
avere avuto un doppio colonnato interno che correva sui due lati
lunghi e sul fondo, facendo da quinta scenica per il gruppo delle due
statue di culto di Atena ed Efesto eseguite
da Alkamenes tra il 421 e il 415, come testimoniato dai
rendiconti epigrafici delle spese per la realizzazione del
gruppo in bronzo, su una base di calcare di Eleusi e rilievi in
marmo.

Già dal Rinascimento i
viaggiatori europei ricordano il tempio nelle loro memorie, o
lasciano che esso tramandi il loro ricordo attraverso le numerose
firme dipinte o graffite sulle pareti del tempio.
Alcuni di questi viaggiatori cominciano
a far conoscere in Occidente le sculture del “tempio di Teseo”
insieme a quelle dei monumenti più famosi, soprattutto il Partenone,
per mezzo di disegni anche se per la maggior parte alquanto
approssimativi. Tale è il caso per esempio, dei disegni di Ciriaco
d'Ancona (il quale oltre al Partenone schizza anche
il fregio ovest dell'Hephaisteion), o di Giuliano da
Sangallo.
Una spinta verso una maggiore
conoscenza dell'edificio viene dall'opera di J. D. Le Roy, Les
ruines des plus beaux monuments de la Grece del 1758, che
per un lungo periodo costituirà l'unica base per vedere in Francia e
in tutta Europa i monumenti che gli altri viaggiatori hanno
solo raccontato.
È proprio per fare fronte a questa
“ignoranza visiva” dei monumenti di Atene, e per soddisfare una
certa fame di cultura classica che l'illuminismo aveva ormai
diffuso in Europa, che J. Stuart e N. Revett intraprendono il loro
viaggio dal 1750 al 1755 per disegnare e rilevare
con la maggiore precisione possibile le antichità di Atene. Il terzo
volume di The Antiquities of Athens esce nel 1794,
curato da W. Reveley per la ormai sopravvenuta morte di entrambi gli
autori. I disegni presenti nei volumi sono sempre accuratissimi,
tanto da imporsi subito in Europa quale punto di riferimento sicuro
per vedere i tanto citati monumenti.

Proprio queste edizioni illustrate di
monumenti antichi eccitano la fantasia collezionistica di coloro che
si recano in Grecia, e fra questi dobbiamo citare soprattutto i due
casi più importanti: il conte de Choiseul-Goffier e Lord
Elgin. Costoro approfittando della loro posizione di ambasciatori
rispettivamente francese e inglese presso la Sublime porta, e
sfruttando i periodi di maggiore influenza delle proprie nazioni alla
corte del Sultano, otterranno tutte le facilitazioni per poter
riportare in patria disegni e calchi delle antichità più importanti
con il fine di accrescerne la conoscenza in Europa, e frammenti di
sculture e iscrizioni che vanno ad accrescere le loro collezioni
personali.
Il conte de Choiseul-Goffier si serve
dell'aiuto del suo agente ad Atene, L.-F.-S. Fauvel il
quale, insieme al disegnatore Fourmont, riporterà una notevole
quantità di vedute e di particolari dei monumenti ateniesi. Da una
delle lettere di Fauvel sappiamo anche che egli fece realizzare dei
calchi delle decorazioni dell'Hephaisteion, come dice lui stesso
parlando del fregio est: «par example, sa description […] convient
absolument au bas-relief qui existe encore et dont on peut voir une
partie par les platres que j'ai moulés et qui sont à la Salle des
Antiques». Questi calchi, almeno di parte dei fregi, fatti
eseguire nel 1787 furono fatti imbarcare per
laFranciadal console francese Gaspari il 7 settembre dello
stesso anno («dix-sept caisses de sculptures en platre»), e
dovrebbero tuttora trovarsi al Louvre.

Fauvel, da disegnatore di livello qual
era, realizzò inoltre una serie numerosa di schizzi e acquerelli,
che però le alterne vicende della vita del viceconsole in seguito
alla guerra contro gli inglesi, fra cui l'arresto e un rimpatrio
frettoloso, ha in parte disperso. In una lettera di John
Tweddell al fratello, datata 4 gennaio 1799, possiamo
individuare alcuni indizi circa i disegni che pure dovette fare dei
rilievi dell'Hephaisteion: fra i suoi disegni è «una preziosa
collezione di materiali», anche se sono «solo degli schizzi, dei
quali molti dipinti solo a metà», il solo disegno «quasi finito è
quello del tempio di Teseo», ma «gli mancano ancora
i bassorilievi e altri importanti dettagli». In seguito,
il 18 marzo dello stesso anno, Tweddell viene incontro alla penuria
di denaro liquido di Fauvel acquistando da lui «da quaranta a
cinquanta disegni di diversa natura […] di gran parte dei quali non
ha conservato delle copie».

Disgraziatamente le carte di J.
Tweddell dopo la sua morte (25 luglio 1799) vengono inviate
a Costantinopoli all'ambasciata inglese per essere
rimpatriate, su una nave che fa naufragio. Le carte vengono
recuperate, si prova a salvarne il salvabile (anche se con qualche
ritardo), ma nel frattempo se ne perde traccia. Non arrivarono mai a
suo fratello Robert, che di questo accusò vigorosamente Lord Elgin e
il suo assistente, il cappellano Hunt.
Alcuni anni dopo, e precisamente
nell'agosto del 1800, arriva ad Atene la spedizione di
disegnatori, formatori e architetti al servizio di Lord Elgin.
Lo scopo principale di questa spedizione era quello di assicurarsi
una documentazione accurata soprattutto dei monumenti dell'Acropoli,
ma le lungaggini e gli intoppi con il governatore turco della
cittadella portano gli artisti di Elgin, guidati da G. B.
Lusieri a occuparsi, nei tempi di inaccessibilità
dell'Acropoli, dei monumenti della città bassa. À così che nel
periodo 1800-1803 viene eseguita, fra le altre cose, una serie
completa di matrici per calchi dai fregi dell'Hephaisteion e da
alcune -se non tutte- le metope. I “calchi Elgin” non hanno
certo la notorietà dei “marmi di Elgin”, ma è ancora possibile
recuperare qualche traccia della loro storia. Ne dà notizia Reveley
in una nota comparsa nella seconda edizione del III volume
delle Antiquities of Athens di Stuart e Revett.
Uno studio scientifico della
decorazione scultorea del tempio, concernente anche aspetti di stile
e cronologia delle opere, comincia quindi a partire dagli anni
trenta del XIX secolo, grazie ai calchi fatti fare da
Choiseul-Gouffier e da Elgin. Sono infatti tanti coloro che scrivono
manuali di scultura greca basandosi principalmente sulla
visione autoptica delle collezioni di calchi che fiorivano a Londra,
Parigi, Monaco, Berlino. E similmente dai calchi sono
tratti i disegni prima e le foto poi che compaiono nei libri
dell'epoca.
Agli inizi del XX secolo la
zona dell'Agorà di Atene acquisisce nuova importanza grazie
all'interesse mostrato dalla Scuola archeologica americana.

Dopo essere stato costruito verso la
metà del V secolo a.C. come tempio di Efesto, esso
viene nel VII secolo d.C. convertito in chiesa
cristiana dedicata alla memoria di San Giorgio. Questo
processo di rifunzionalizzazione porta le prime e più grandi
modifiche: l'orientamento del tempio viene invertito, il pronao viene
rivoluzionato mediante l'abbattimento della parete divisoria tra
pronao e cella e l'occlusione dell'apertura tra le ante con
un'abside, la rimozione delle due colonne in antis e loro
sostituzione con un muro trasversale nel quale è ricavato un
grande arco a tutto sesto la cui luce corrispondeva quasi
completamente con la larghezza del pronao. Inoltre il muro divisorio
tra la cella e l'opistodomo viene forato da un grande portale,
che diventa l'ingresso principale della nuova chiesa. È pure a
questo periodo che dobbiamo probabilmente ascrivere la intenzionale
distruzione delle teste di tutte le figure umane, ma solo di quelle
presenti sulle metope e sui fregi scolpiti.
Nel corso del Medioevo si
susseguono nuovi rimaneggiamenti. Nel XII secolo viene
tamponato il portale principale, e viene invece aperta una più
modesta apertura sul lato meridionale della cella. Viene inoltre
eretta una grande volta a botte in concreto, con mattoni e
alcune delle formelle di marmo dei lacunari reimpiegate,
che copre lo spazio della cella e del pronao del tempio
classico. Nel frattempo nella chiesa vengono anche alloggiate delle
sepolture, come era allora in uso: ventisei nel peristilio,
cinque nel nartece (quello che era l'opistodomo) e ventidue
nella navata della chiesa.
Con l'occupazione turca la
chiesa continua a mantenere la sua funzione di edificio di culto
cristiano, forse anche grazie alla sua posizione al di fuori della
città. L'unico rischio in tal senso lo corse nel 1660, quando
solo un ordine diretto da Costantinopoli poté fermare una
distruzione a quanto pare già intrapresa dai turchi per farne
una moschea.

Ma nonostante ciò il deperimento e la
trasformazione continuano: infatti nel corso dei secoli il pavimento
di marmo subisce continue spoliazioni, vuoi a causa della escavazione
delle tombe, vuoi per semplice depredamento. Già nel 1765 Chandler
dice che «the pavement has been removed», mentre Hobhouse
nel 1809-1810 afferma: «the paviment inside having been
removed, the floor is of mud». Almeno parte del pavimento nella
parte est del peristilio doveva ancora essere presente nel 1751,
quando Stuart e Revett annotano la presenza di
una linea che corre in senso N-S, incisa sulle lastre della
pavimentazione. Nel 1770 è testimoniata una incursione
di Albanesi, seguita da una guerra nel 1785 e
una carestia nel 1800, tutti fatti ricordati dalle
iscrizioni graffite sulle colonne della peristasi.
Nel frattempo diviene una chiesa
protestante e nel suo interno sono poste le tombe di alcuni
viaggiatori europei (soprattutto anglosassoni) e di caduti per
l'indipendenza greca, tra cui due giovani italiani
di Novara, Giuseppe Tosi di 16 anni e Carlo
Serassi di 18 anni (23 aprile 1819).
Durante il periodo della guerra di
indipendenza greca l'edificio cambia ancora destinazione per
essere sfruttato come stalla della cavalleria ottomana. In
seguito all'indipendenza, dopo un breve ritorno alla funzione sacra
per celebrarvi un solenne Te Deum di ringraziamento per
l'arrivo e poi l'incoronazione di Ottone di Baviera,
il Theseion diventa sede espositiva delle raccolte di
antichità in attesa che venga costruito il Museo Nazionale.
Attualmente, il tempio è classificato
come sito archeologico dal ministero della cultura
ellenico.
Le metope, dieci sulla fronte, e
ventiquattro sulla parte orientale di ognuno dei lati lunghi,
rappresentano rispettivamente le fatiche di Eracle e le
imprese di Teseo. I due eroi sono spesso associati sia nella
scultura che nella pittura vascolare di età classica per
il fatto che, secondo Plutarco, Teseo voleva essere considerato
un secondo Eracle. Lo stile delle sculture, per quello che si può
ormai vedere, è molto corposo, con le figure quasi a tutto tondo che
si staccano considerevolmente dalla lastra di fondo; i corpi sono
resi in modo massiccio e scattante; i pochissimi panneggi non coprono
le aree vuote del campo figurativo lasciando vistosi spazi
inutilizzati.

I fregi dell'Hephaisteion sono posti
sull'architrave del pronao e dell'opistodomo della
cella. Il fregio orientale, più lungo di quello occidentale, conta
ventitré figure impegnate in una scena di battaglia alla presenza di
sei divinità sedute su due gruppi di grosse rocce. L'interpretazione
più accreditata al momento, ma non senza contestazioni, dipende
dalla lettura della scena centrale del fregio che inquadra una figura
maschile nuda, con un mantello che pende da una spalla, che blocca
con una sola mano un gruppo di quattro altre robuste figure che gli
lanciano contro grossi massi di pietra. Pertanto è stato ipotizzato
(H. A. Thompson) che si tratti di Teseo che combatte contro
i Pallantidi. Il fregio occidentale invece tratta di
una centauromachia di Teseo.
Il rilievo è più basso rispetto alle
metope, ma prevale comunque il tuttotondo. Lo stile delle figure è
vigoroso e punta alla resa plastica delle masse muscolari contratte
dei combattenti, risentendo in questo ancora degli insegnamenti della
grande scuola severa di scultura.
Dei frontoni non si sa molto,
dal momento che andarono completamente perduti in età post-antica.
Forse erano fatti di marmo pario, a differenza delle parti
strutturali del tempio che erano realizzate in marmo pentelico.
Le scene raffigurate, composte di figure a grandezza naturale,
dovevano riguardare Atena (frontone est) e una scena
di gigantomachia (frontone ovest).
Il gruppo bronzeo di Atena ed Efesto fu
creato dallo scultore Alkamenes, vicino agli ambienti dei
conservatori ateniesi guidati da Nicia, tra il 421 e
il 416 a.C. come sappiamo dalla datazione dei rendiconti
delle spese. Probabilmente venne vista ancora da Pausania nel II
secolo d.C. periodo dopo il quale ne perdiamo le tracce. Le due
statue erano poste su una base bassa e larga sulla quale era scolpita
la narrazione del mito attico della nascita di Erittonio,
altro tema -quello dell'autoctonìa- caro ai conservatori ateniesi.