sabato 17 maggio 2025

Sardegna - Complesso nuragico di Abini



Il complesso nuragico di Abini è un sito archeologico sardo situato nel territorio di Teti, in Sardegna. L'area archeologica di Abini è stata idealmente suddivisa in due parti: una sacra (il recinto sacro con al suo interno il pozzo sacro), e una non destinata al culto corrispondente al villaggio nuragico.
L'intera area fu probabilmente uno dei più importanti santuari federali delle genti sarde nuragiche. Il recinto sacro, individuato da Filippo Vivanet alla fine dell'800', fu scavato approfonditamente sotto la direzione degli archeologi Antonio Taramelli e Ettore Pais tra il 1929 e il 1931; scavi che portarono alla luce il temenos, cioè il recinto murario che racchiude l'area sacra, che in parte conservava ancora i sedili in pietra per i pellegrini. All'interno del recinto sono visibili altari, capanne dei sacerdoti e fondamenta di altre strutture. Al centro dell'area giacciono numerosi conci in basalto e trachite che dovevano comporre le porzioni architettoniche decorative poste sulla sommità del pozzo sacro, ancora attivo ma in cattivo stato di conservazione. Il pozzo, che dovette essere adibito al culto dal periodo del Bronzo recente (fine XIV secolo a.C.) all'età del Ferro (VII secolo a.C.), era probabilmente dedicato al culto dell'acqua.
Il villaggio nuragico è situato all'esterno dell'area sacra, e fu portato alla luce in parte nel 1931, quando vennero scoperte diverse capanne ad uso abitativo. Gli scavi effettuati nel 1981 scoprirono numerose capanne circolari collegate tra loro da ambienti di altra forma.

Nel settembre del 1865 un ragazzo del luogo, secondo la tradizione ispirato da sogni ricorrenti, convinse alcuni contadini a scavare in un campo ove affioravano resti di antiche costruzioni, il luogo era chiamato Sa Badde de sa Bidda (in italiano: La Valle del Paese), e corrispondeva al santuario di Abini. Lo scavo portò alla luce un deposito di oggetti votivi in bronzo situato all'interno di una cista litica (un contenitore formato da lastre di pietra collocate al di sotto della superficie del terreno). Nello stesso anno il canonico Giovanni Spano pubblicò i bronzetti nuragici di Abini, che vennero acquistati dallo studioso Efisio Timon, che a sua volta li donò al Regio Museo di Antichità di Cagliari, dove sono ancora oggi conservati. Nel 1878 i contadini di Teti ripresero a cercare nel sito di Abini, trovando a un metro sotto terra, un altro ripostiglio pesante 108 chili di oggetti in bronzo contenuti in un grosso recipiente in terracotta. I reperti vennero acquistati dallo studioso locale Filippo Vivanet, e confluirono come i precedenti ritrovamenti bronzei nelle raccolte del museo archeologico di Cagliari. Scavi archeologici veri e propri vennero effettuati solo nel 1929, e proseguirono fino al 1931 sotto la guida di Antonio Taramelli, che riportò alla luce la maggior parte delle strutture sacre del complesso nuragico. Ma la presenza di Taramelli fu saltuaria, essendo responsabile dei beni archeologici dell'intera isola, quindi fu costretto ad affidare lo scavo a persone spesso inesperte, che alla ricerca di materiali bronzei trascuravano e gettavano i reperti ceramici che affioravano in grande quantità dal sottosuolo del sito. Nel 1981 intervenne sul sito la Soprintendenza archeologica delle province di Sassari e Nuoro, che portò alla luce nuove capanne abitative nel villaggio nuragico.

I reperti bronzei ritrovati nel 1865 e nel 1878 sono attualmente esposti e conservati al Museo archeologico nazionale di Cagliari, che in passato ha svolto la funzione di raccogliere i reperti provenienti dagli scavi di tutta l'isola. La maggior parte dei bronzetti di Abini trovati negli scavi ottocenteschi è conservata al museo di Cagliari insieme ad alcune spade votive trovate nel santuario, decorate con immagini cervine dalle lunghe corna, fra cui una spada ornata con una figura di arciere fissata al centro dell'impugnatura. I bronzetti raffigurano personaggi colti in atto di offrire doni e in preghiera, arcieri saettanti, guerrieri con stocco e scudo, e capi tribù con mantello e bastone (simili a quello ritrovato a Uta). Ma le figure più interessanti sono quelle di soldati in coppia colti nell'atto di preghiera e caratterizzati da elmi sormontati da lunghe corna, e le rappresentazioni più conosciute dei bronzetti di Abini restano quelle dei personaggi, probabilmente esseri demoniaci e guerrieri eroicizzati, a cui si moltiplicano di alcune parti del corpo, come gli occhi e le braccia, o gli scudi; queste rappresentazioni sono simili a quelle ritrovate in Medio Oriente, anch'esse caratterizzate dalla moltiplicazione di alcune parti del corpo. Le statuine sono state prodotte tra il X e il VII secolo a.C., e vengono collocate in un unico gruppo stilistico assieme a quelle di Uta (località situata in provincia di Cagliari); i bronzetti erano delle offerte dedicate ai culti che si svolgevano nell'area sacra di Abini.

Sardegna - Cornus

 

Cornus è un'antica città-stato della Sardegna, fondata nell'ultimo quarto del VI secolo a.C. I suoi resti si trovano nei pressi del comune di Cuglieri, in provincia di Oristano a pochi passi dalla frazione di S'Archittu.
La città era costituita da una acropoli (sono visibili i resti delle mura) sul colle di Corchinas e da quartieri artigianali e di abitazioni nelle zone pianeggianti.
La città è citata (Kornos) dal geografo Claudio Tolomeo (II secolo) nell'interno dell'isola e viene riportata nell'Itinerario Antonino (Cornos) a metà strada tra Bosa e Tharros. Tito Livio ne parla come della capitale dei nuragici ai tempi della rivolta antiromana di Ampsicora nel 215 a.C., nell'ambito della quale fu conquistata da Tito Manlio Torquato.
Divenne municipio in epoca flavia o traianea e fu colonia nel III secolo.
Nella città doveva esistere, sul colle di Corchinas, un'area pubblica, forse il foro, dalla quale provengono alcune iscrizioni onorarie. Sono visibili inoltre resti di un impianto termale in opera listata, probabilmente restaurato sotto Graziano, Valentiniano e Teodosio (379-383).
Bonifacio, vescovo di Sanaphar o Sanafer (identificata da alcuni studiosi con la diocesi di Cornus), con altri 466 vescovi, tra i quali i sardi Lucifero di Kalaris, Martiniano di Forum Traiani, Vitale di Sulci e Felix di Turris, partecipò nel 484 al concilio di Cartagine che fu indetto da Unerico, Re dei Vandali, con l'intento di convertire i cattolici all'arianesimo.
In epoca tardo-antica, poco distante dalla città (frazione di Santa Caterina di Pittinuri) sorse il complesso cristiano di Columbaris, con un vasto cimitero che ha restituito diversi sarcofagi e un primo edificio a pianta basilicale a carattere funerario, preceduto da un battistero (III-IV secolo). Due altre basiliche sorsero nel V-VI secolo, con altre strutture. Il primo nucleo fu abbandonato dopo l'VIII secolo.
È raggiungibile dalla Strada Statale 292 Nord Occidentale Sarda, il cui ingresso è situato tra le borgate di Santa

Sardegna - Necropoli di Marchianna (Sardegna)


 La necropoli di Marchianna o Marchiana è un sito archeologico situato nel comune di Villaperuccio, nella provincia del Sud Sardegna.
Il sito si trova sul fianco di una collina, a poco più di 1 km di distanza dal lago artificiale di Monte Pranu, ed è composto da alcune domus de janas, tombe ipogeiche scavate nella roccia. Al loro interno sono stati rinvenute testimonianze delle culture archeologiche della Sardegna prenuragica, tra cui frammenti fittili collegabili alla cultura del vaso campaniforme.

Sardegna - Grotta di Punta Niedda

 

La grotta di Punta Niedda (Punta nera in italiano) è un piccolo anfratto naturale scavato nell'andesite situato nel territorio del comune di Portoscuso, nella provincia del Sud Sardegna.
La grotta, profonda circa 4,5 metri e alta 1, si compone di due camere separate, chiuse all'ingresso da un muretto a secco. Al suo interno nel 1942 furono rinvenuti i resti di 6 individui e un corredo funebre composto da collane, oggetti in rame e bronzo e ceramiche appartenenti alla cultura di Bonnanaro (prima metà del II millennio a.C.).

Sardegna - Ipogeo di Padru Jossu


 L'ipogeo di Padru Jossu è un sito archeologico prenuragico situato nel territorio di Sanluri, nella provincia del Sud Sardegna
L'ipogeo venne ricavato scavando nella roccia arenaria ed è composto da una camera di forma rettangolare; l'ingresso alla tomba era situato nella parete ovest. Il sito venne utilizzato durante il calcolitico e la prima età del bronzo dalle genti della cultura di Monte Claro e del Vaso Campaniforme. Tra gli oggetti di corredo rinvenuti si segnalano ceramiche, collane, oggetti in argento e rame e brassard. I resti di scheletri di animali fanno ipotizzare delle offerte rituali in onore dei defunti.
Circa 20 crani appartenenti allo strato del campaniforme permettono di stabilire che quella di Padru Jossu fosse una popolazione eterogenea in cui convivevano genti indigene dolicomorfe (77%) e brachimorfe presumibilmente provenienti dall'esterno (23%), da associare ai portatori del vaso a campana giunti sull'Isola dall'Europa continentale.

Sardegna - Complesso archeologico di Pranu Muttedu, Goni

 

Il complesso archeologico di Pranu Muttedu è una delle più importanti aree funerarie della Sardegna prenuragica ed è situato nei pressi di Goni, piccolo centro abitato nella provincia del Sud Sardegna. L'area del parco ha un'estensione di circa 200.000 metri quadrati. Il complesso presenta un'alta concentrazione di menhir e megaliti circa sessanta (seconda solo al vasto complesso di "Biru 'e Concas" di Sorgono, dove sono stati censiti circa 200 menhir) variamente distribuiti in coppie, allineamenti o gruppi.
Nell'area è inoltre presente una necropoli ipogeica a domus de janas con tre circoli tombali.
Il complesso è stato oggetto di scavo da parte di Enrico Atzeni, in più riprese a partire dal 1980.
In una delle più diffuse guide sulla Sardegna è definita "la Stonehenge sarda", benché possa comunque essere considerata più antica della Stonehenge inglese.

Sardegna - Sa Perda Pintà

 
Sa Perda Pintà (La pietra incisa in sardo) o Stele di Boeli è una stele megalitica, o menhir, ritrovata in Sardegna che si stima risalga al 3500 a.C. La stele si trova a Mamoiada, all'interno del giardino privato in cui è stata rinvenuta in modo accidentale nel 1997 durante i lavori di costruzione di una casa. Per via delle sue dimensioni probabilmente è da ritenersi unica in Europa.
Il megalito ha un'altezza sopra suolo di 2,67 metri, una larghezza massima di 2,10 e uno spessore di 0,57 metri non uniforme; presenta una sezione piano concava e superfici ben lavorate anche nella parte posteriore. La parte anteriore è decorata da sette motivi composti da un minimo di due a un massimo di sette cerchi concentrici intorno ad una coppella centrale.
Dalle coppelle maggiori parte un'incisione rettilinea con appendice uncinata che attraversa tutti i cerchi. Completano la superficie ventitré coppelle di varie dimensioni poste in modo casuale sulla superficie piana.

(foto di Raffaele Graziano Ballore)

Sardegna - Menhir di Genna Prunas

 Il menhir di Genna Prunas è un monumento preistorico situato nel comune di Guspini, lungo la SS126 all'altezza del chilometro 99, in un terreno agricolo presso casa Usai. Il menhir è datato alla cultura di Ozieri (IV millennio a.C.) e rappresenta la Dea Madre. Raggiunge un'altezza max di circa 1,70 metri e presenta una forma abbastanza tozza alla base con una larghezza di 60 cm per poi assumere nell'estremità una forma molto più arrotondata.
Rispetto agli altri menhir ha la peculiarità di essere interessato dalla presenza di trenta coppelle realizzate sulla superficie basaltica, che ricoprono i quattro lati del monumento.

Sardegna - Dolmen di Motorra, Dorgali


Il dolmen di Motorra è un monumento sepolcrale preistorico situato nel comune di Dorgali, in provincia di Nuoro, da cui dista circa due chilometri. È ubicato su un piccolo altopiano basaltico ad una altezza di 287 m s.l.m. in prossimità dell'omonimo nuraghe (di cui sono presenti soltanto i resti) e non distante dai dolmen di Campu de Pistiddori, Cucché, Mariughia e Neulé. Come tutti i dolmen la sua destinazione era quella di ospitare una sepoltura collettiva.
Il sepolcro è considerato uno dei più importanti della Sardegna sia perché raro esempio di dolmen "a corridoio", sia per i reperti archeologici rinvenuti che hanno contribuito ad una più approfondita conoscenza delle tombe dolmeniche sarde.
Costruito in pietra basaltica, il dolmen è costituito da otto ortostati rettangolari, finemente lavorati nella faccia interna e con la sommità superiore opportunamente appiattita, sovrastati da un lastrone di copertura irregolarmente circolare del diametro di m 3,00 per 0,30 di spessore. Il tutto a circoscrivere un vano funerario di circa 1,80 x 2,10 x 0,80 m.
Come detto, l'ingresso all'ambiente sepolcrale interno era preceduto da un corridoio, che era originariamente delimitato da due coppie di pietre ortostatiche di forma rettangolare, posate parallelamente, e tre lastre di copertura a formare un breve corridoio della sezione di m 0,50 x 0,65 lungo 2,10 m.
Il vano funerario è racchiuso in un doppio peristalite (anello di lastre di pietra infisse nel terreno "a coltello") di forma lievemente ellittica, che aveva la funzione di contenere il tumulo di terra e pietrame minuto che ricopriva la tomba.
I reperti archeologici rinvenuti a Motorra consentono di ricostruire le diverse fasi di utilizzo della tomba. I più antichi e significativi sono quattro frammenti fittili, ornati a solcature e coppelle, riferibili alla cultura di Ozieri (periodo di tempo che va dal 3200 a.C. al 2800 a.C.) ed un piccolo brassard a tre fori, riutilizzato probabilmente come pendaglio e riferibile alla cultura del vaso campaniforme (2700 - 2200 a.C.).


Sardegna - Dolmen di Sa Coveccada


Il dolmen di Sa Covaccada o S'Accovaccada (dal sardo, "ciò che è coperto") è un monumento archeologico situato in un ampio tavolato trachitico del Meilogu, regione storico-geografica della Sardegna, appartenente amministrativamente al comune di Mores da cui dista circa sette chilometri.
Sia per le notevoli dimensioni, sia perché considerato elemento importante nell'evoluzione delle architetture sepolcrali della preistoria della Sardegna, il dolmen di Sa Covaccada è considerato uno tra i più importanti al mondo. Al di fuori dell'isola si possono trovare raffronti con i dolmen della necropoli di Ala Safat in Cisgiordania e con quello di Coste-Rouge Héraulte in Francia.
Realizzato in trachite tufacea grigio-rosa, il monumento presenta pianta rettangolare dalle dimensioni di m 5 x 2,20 ed è formato da tre grandi lastre ortostatiche ben squadrate, collocate verticalmente in appositi canali di alloggiamento predisposti nel suolo roccioso prima della posa. Poggiato sopra, ad un'altezza di 2 m e 10, un quarto lastrone di m 6 x 3 x 0,60 del peso di circa 18 tonnellate funge da copertura. È andata perduta la parete posteriore del dolmen e la relativa copertura, che doveva raggiungere un peso di circa 27 tonnellate.
L'accesso al dolmen era garantito da un'apertura piuttosto piccola (0,50 x 0,50), ricavata nella lastra frontale, ma adeguata all'introduzione dei defunti nella camera funeraria. Il vano interno, che misura m 4,18 per 1,14, fungeva da tomba collettiva e i cadaveri venivano introdotti al suo interno solo dopo un processo di scarnificazione. Alla sinistra del varco, all'interno del vano, una nicchia ricavata nella parete sembra funzionale alla deposizione del corredo funerario e delle offerte.
In assenza di depositi stratigrafici, quindi sulla base di confronti tipologici e degli esigui reperti ceramici rinvenuti, si ritiene che il monumento sia ascrivibile alla cultura di Ozieri del Neolitico recente (3500-2900 a.C.). Il dolmen infatti venne edificato nel periodo che vide il graduale superamento delle domus de janas, tombe ipogeiche, a favore delle costruzioni subaeree come appunto i dolmen e le simili allée couvertes. Un'ulteriore evoluzione delle architetture sepolcrali, in particolare l'aggiunta della stele anteriore e dell'esedra, portò alla tipologia impiegata nelle tombe dei giganti. A circa un centinaio di metri dal dolmen è presente un menhir, riverso sul terreno e spezzato in diversi tronconi. Anch'esso realizzato con pietra del luogo, ossia in trachite tufacea, risulta accuratamente lavorato col metodo chiamato "a martellina". Ha una sezione rettangolare da 125 per 86 cm e originariamente aveva un'altezza di m 2 e 40. In seguito ad un accurato monitoraggio della struttura del dolmen che ha evidenziato problematiche di disequilibrio statico dovute a molteplici concause, nel 2011 il monumento è divenuto oggetto di una complessa operazione di restauro conservativo monitorato dal MIBAC, che ha visto coinvolti tecnici ed esperti della Soprintendenza per i beni archeologici per le province di Sassari e Nuoro, coadiuvati da archeologi, architetti, restauratori, geologi, geofisici e geoingegneri oltre che da un esperto dell'Opificio delle pietre dure di Firenze.
L'intervento ha mirato non soltanto al ripristino dei parametri di sicurezza del dolmen ma anche ad un'adeguata valorizzazione dell'intera area archeologica di Sa Coveccada, compresa l'acquisizione di un'area circostante di circa dodici ettari.

(da Wikipedia, l'enciclopedia libera)

#Sardegna #Dolmen #Neolitico

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