martedì 15 aprile 2025

Lazio - Triade Capitolina dell'Inviolata

 

La Triade Capitolina dell'Inviolata è un gruppo scultoreo in marmo lunense ritraente la triade divina romana composta da Giove, Giunone e Minerva.
L'opera, pressoché intatta, si ritiene essere una riproduzione in scala delle sculture originali del tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio e risulta essere l'unica scultura ritraente la Triade Capitolina sopravvissuta.
La statua fu ritrovata nel criptoportico di una villa romana del parco naturale-archeologico dell'Inviolata, da cui prese il nome, nel 1992 durante uno scavo clandestino. I tombaroli vendettero il pezzo ad un antiquario svizzero, intenzionato a rivenderlo ad un collezionista straniero, ma esso fu ritrovato due anni dopo dai carabinieri del Comando per la tutela del patrimonio culturale e recuperato presso il passo dello Stelvio nell'ambito dell'"Operazione Giunone". I militari erano infatti entrati in possesso di un frammento della statua, una parte dell'avambraccio destro di Giunone, spezzato probabilmente durante gli scavi, che ne testimoniava la provenienza dall'Italia.
Inizialmente collocata presso il Museo archeologico nazionale di Palestrina, la statua è stata poi restituita nel 2012 al comune di Guidonia Montecelio ed esposta presso il Museo civico archeologico Rodolfo Lanciani.
Il gruppo scultoreo rappresenta la Triade Capitolina, ossia le tre divinità protettrici della Roma pagana, assise su un trono comune cerimoniale. Le divinità sono ritratte con i loro attributi: l'aquila ai piedi di Giove, che al centro della scultura stringeva in una mano lo scettro e nell'altra la folgore, alla sua sinistra Giunone velata, ai cui piedi è rappresentato un pavone, e alla sua destra Minerva e la sua civetta.
Sia Minerva che Giunone hanno perso le braccia che nel primo caso reggevano un'asta e probabilmente reggevano l'elmo corinzio sul capo della dea, mentre nel secondo caso stringevano probabilmente una patera e uno scettro. Sono perdute anche le statue delle piccole Vittorie che porgevano una corona trionfale sul capo delle divinità, di cui restano le parti inferiori.
Nel racconto Gli Dei dell'Impero dello scrittore e archeologo italiano Valerio Massimo Manfredi viene raccontato il ritrovamento e trafugamento del gruppo marmoreo, sventato dal colonnello Aurelio Reggiani.


Lazio - Tempio di Vesta a Tivoli (Lazio)

 

Il tempio di Vesta è un tempio di epoca romana situato nell'acropoli di Tivoli, in provincia di Roma, non distante dal tempio della Sibilla.
Costruito sul finire del II secolo a.C. da Lucio Gellio, in epoca medievale fu trasformato in una chiesa, con il nome di Santa Maria Rotunda. In epoca recente, dopo secoli di incuria e saccheggio, fu ripristinato quanto restava dell'antica struttura; tracce di pitture cristiane sopravvissero all'interno della cella fino all'inizio del XX secolo.
Il tempio a pianta circolare è di tipo monoptero, di 14,25 metri di diametro, su un podio in calcestruzzo alto 2,39 metri, cinto in origine da un ordine architettonico in travertino con 18 colonne d'ordine corinzio, finemente intagliate e scanalate. Restano solo 10 colonne sorreggenti una trabeazione il cui fregio è decorato con bucrani e festoni. All'interno, la cella presenta muri in calcestruzzo, trattati ad opus incertum. Se deriva dalla tradizione templare medio-italica l'alto basamento cilindrico rivestito in conci di travertino ad opus quadratum, il soffitto a cassettoni del portico anulare è un ulteriore elemento di evidente derivazione ellenistica. Sul tutto doveva innalzarsi un tipico tetto conico.
Il tempio fu riscoperto e studiato da famosi artisti del Rinascimento, come Sebastiano Serlio e l'architetto Andrea Palladio, che ne fecero studi accurati nei loro trattati sull'architettura. Nel 1740 il tempio di Vesta fu riprodotto nelle incisioni di Giovanni Battista Piranesi e nell'800 appare nei quadri di numerosi artisti romantici. Molti edifici neoclassici, riproducono in tutto o in parte lo stile armonioso del tempio di Vesta di Tivoli, come in Inghilterra il "Tivoli Corner" della Bank of England costruita nel 1794-79 da Sir John Soane, il Mussenden Temple in Irlanda del Nord e il tempio della Sibilla a Puławy in Polonia.

Lazio - Templi romani di Cori

 
Cori, nella provincia di Latina, possiede diverse testimonianze di templi romani. Tra questi il più importante è quello di Ercole, seguito da quelli dei Dioscuri.
Il tempio di Ercole (foto a sinistra)venne eretto durante la dittatura di Silla, tra l'89 a.C. e l'80 a.C. sulla sommità del colle su cui era sorta la città di Cora, a 398 metri di altitudine, per volere di due magistrati locali, il cui nome è inciso sull'architrave della porta. Il tempio deve il suo stato di conservazione alla trasformazione in chiesa: all'interno della cella si insediò infatti la chiesa di San Pietro, distrutta dai bombardamenti alleati nel 1944.
L'edificio è tetrastilo, ossia con quattro colonne sul fronte principale. Altre quattro colonne per lato delimitavano il pronao, oltre il quale si apriva la cella. Le otto colonne del tempio, di ordine dorico si sono conservate, così come la trabeazione ed il frontone. Il tempio richiama fortemente la tradizione templare italica, derivante dagli esempi etruschi e repubblicani.
Il tempio domina la città dall'alto, tant'è che è visibile anche da lontano.
Il tempio dei Dioscuri (foto a destra) era invece situato nei pressi del foro. Costruito tra il IV secolo a.C. e il II secolo a.C. l'edificio venne restaurato, come testimoniato da un'iscrizione sull'architrave, verso il I secolo a.C. da due magistrati, che utilizzarono parte del tesoro del tempio ricostruendo l'edificio in stile corinzio. Il tempio, oltre a luogo di culto, aveva dunque anche la funzione di tesoriera della città, così come il Partenone e il Capitolium di Ostia.
L'edificio venne inglobato e sulle sue rovine sorsero diversi edifici privati e una chiesa, che venne dedicata a San Salvatore. Alcuni resti sono conservati nel chiostro della vicina chiesa di Sant'Oliva. Ciò che resta della struttura sono due colonne in stile corinzio che sorreggono un tratto di architrave attraverso cui è stato possibile risalire ai committenti dell'opera e alle divinità a cui il tempio era dedicato e parte del podio. Altri resti sono inglobati in un edificio moderno adiacente ai resti visibili. Le colonne sono alte 10 metri e rivestite di stucco in modo da sembrare di marmo, hanno un diametro di 90 centimetri e distano tre metri l'una dall'altra. Originariamente il tempio era esastilo, ossia con sei colonne sul fronte principale.
Dalle indagini archeologiche è risultato che la cella del tempio era tripartita, ossia divisa in tre ambienti distinti.
Di due templi dedicati alla dea Diana e alla dea Fortuna non rimangono testimonianze rilevanti, essendo stati inglobati dalla chiesa di Santa Maria della Pietà nel XVII secolo.
All'interno della Chiesa di Sant'Oliva, sul lato destro, sono visibili parte delle colonne di quello che era un tempio romano, la cui attribuzione è ancora ignota, anche se tradizionalmente è identificato come tempio di Giano.
Inoltre le fonti storiche hanno tramandato l'esistenza di templi dedicati a diverse divinità, tra cui Minerva, Apollo, Esculapio e Cerere. Alcuni resti delle colonne che li componevano sono visibili nei pressi del tempio dei Dioscuri, nell'area del foro, in via delle Colonne.

Lazio - Mausoleo dei Plauzi

 
Il Mausoleo dei Plauzi (o Mausoleo dei Plautii), nei pressi di Tivoli, è una tomba monumentale databile ai primissimi anni del I sec. d. C. destinata ad ospitare i membri della ricca e influente famiglia romana dei Plauzi. L’iscrizione più antica ricorda infatti Marco Plauzio Silvano, console nel 2 a. C. con l’imperatore Augusto.
 A conferma dell'importanza della famiglia, la prima moglie dell'imperatore Claudio fu Plautia Urgulanilla. Conservatosi grazie al fatto di essere stato utilizzato anche dai discendenti dei primi Plauzi, il mausoleo era costituito in origine da un alto cilindro, sormontato da una cupola e poggiante su una base quadrata, tutto rivestito in travertino, con una struttura simile alla tomba di Cecilia Metella. Oggi ha oggi un aspetto profondamente mutato rispetto all’antichità per il fatto di essere stato svuotato all'interno e trasformato nel Quattrocento in una torre merlata, a protezione del passaggio sul vicino Ponte Lucano sull’Aniene.
Dopo un periodo di abbandono e successivi grandi lavori di restauro il mausoleo è ora nella disponibilità dell’Istituto Villa Adriana e Villa d’Este (MiBAC).
Accanto al mausoleo sono visibili due grosse lastre in marmo recanti due iscrizioni. Una terza iscrizione, più piccola, si trova incastonata nella parte alta del mausoleo, mentre una quarta è andata oggi perduta, ma ci è stata tramandata dagli scritti di Grutero, Poggioli, Nibby, Viola, che a sua volta afferma essere citata da Pichio, Redi, Antonio Agostino, Scaligero, Mazzocchi, Cudio e Desanctis. Alcune di queste fonti citano ripetutamente Grutero come fonte della trascrizione dell'iscrizione mancante.

Lazio - Cenotafio di Annia Regilla

 

Il cenotafio di Annia Regilla - spesso anche chiamato impropriamente la tomba di Annia Regilla - è un monumento sepolcrale della Roma antica situato tra il II e il III miglio della via Appia antica. È chiamato anche tempio del dio Rediculo.
Appia Annia Regilla era una nobildonna romana che in questa zona possedeva una grande villa e che fu uccisa o fatta uccidere in Grecia nel 160 dal marito Erode Attico, che trasformò la villa della moglie e fece erigere nei suoi pressi il cenotafio in memoria della moglie.
Il monumento, risalente alla seconda metà del II secolo d.C., completamente costruito in laterizio, è ben conservato ed è di grande interesse sia per la tipologia architettonica, che segna un'evoluzione nella tipologia sepolcrale romana, sia per la qualità artistica della decorazione in cotto.
L'edificio, ammirato da architetti rinascimentali quali Antonio da Sangallo il Giovane e Baldassarre Peruzzi e ritratto dal Piranesi e dal Labruzzi, venne usato come fienile per secoli, compromettendo alcuni elementi legati all'originaria funzione, ma permettendone la conservazione grazie alla manutenzione continua.
Fu chiamato anche "Tempio del dio Rediculo" in quanto nei secoli XVII-XVIII era ritenuto, interpretando Plinio, un tempio dedicato al dio protettore di coloro (rediculi) che ritornavano a Roma dopo essere stati a lungo lontani. Tale tempio è menzionato da Sesto Pompeo Festo che in un frammento cita un fanum Redicoli da collocarsi in un luogo imprecisato fuori Porta Capena. Il nome deriverebbe dalla tradizione secondo la quale in quel luogo Annibale, in procinto di attaccare Roma, avrebbe fatto marcia indietro allarmato da una visione sfavorevole.
Una errata traduzione del testo pliniano nel Dictionary of the Greek and Roman antiquities (1698) scritto da Pierre Danet, abate e studioso francese, portò a ribattezzare l'edificio con il nome totalmente fuorviante di Aedicula Ridiculi.
L'edificio (8,16 x 8,57 metri) è costruito a tempietto (naiskos) a due piani, su alto podio, con copertura a doppio spiovente retta da una volta a crociera impostata sui pilastri angolari. Questa tipologia divenne frequente dopo il I secolo d.C., con la cella sepolcrale su alto podio sormontata da un tempietto prostilo (anche se le colonne della tomba di Annia Regilla sono andate perdute).
L'esterno era movimentato dal doppio colore del laterizio, giallo per le pareti e rosso per gli elementi architettonici (lesene, architravi, frontone, ecc.). Le lesene hanno capitelli corinzi, con le pareti intermedie decorate da un fregio a meandro che corre a metà altezza, sopra il quale sono impostate delle finestrelle.
La parete sud è quella più ornata, forse perché si affacciava sulla strada che collegava la via Appia alla via Latina, poiché le lesene sono sostituite da due semipilastri poligonali, incassati nella parete, con al centro della parete la porta della cella superiore, inquadrata da colonne. Ricca è l'ornamentazione della trabeazione.
L'interno accoglie più nicchie, che dovevano ospitare le sepolture di più persone. Il pavimento che separava i due piani è crollato; al piano superiore, dove dovevano aver luogo i riti funebri, si aprivano finestre, mentre quello inferiore ne era privo.
Sepolture di stile simile si trovano sulla via Latina, al IV miglio della via Appia, sulla via Nomentana ("Sedia del Diavolo"), ecc.

Lazio - Villa dei Volusii

 

La Villa dei Volusii o Villa dei Volusii-Saturnini è un sito archeologico situato nel comune di Fiano Romano, nelle vicinanze del santuario di Lucus Feroniae, lungo l'antica Via Tiberina.
Questa villa rappresenta un esempio finora unico di grande proprietà senatoria scavato per intero in Italia.
La villa fu rinvenuta a poche centinaia di metri dal santuario di Lucus Feroniae in modo fortuito nel 1962 duranti i lavori per la costruzione dell'Autostrada del Sole all'altezza del casello di Fiano Romano anche se già era nota da tempo la presenza nell'area di strutture relative ad un criptoportico di età romana.
Dal 1962 al 1971 furono condotti, in accordo tra la Sovrintendenza per l'Etruria Meridionale e la Società Autostrade S.p.A., gli scavi integrali dell'ampio complesso, tagliato in due dalla rampa di accesso autostradale. In seguito, fino agli anni '90, si è provveduto alla sistemazione del sito, con il restauro delle strutture e dei pavimenti a mosaico, l'allestimento di un piccolo antiquarium e per ultimo l'installazione di coperture in legno a protezione degli ambienti della villa esposti agli agenti atmosferici.
La villa rustica si inserisce perfettamente nel novero di quelle ville costruite in età repubblicana dalle famiglie senatorie a poca distanza da Roma, in un territorio fertile e molto conteso dal punto di vista del mercato immobiliare dell'epoca, essendo non solo una residenza di campagna ma anche sede di strutture produttive.
La villa fu edificata intorno alla metà del I sec. a.C. dalla famiglia senatoria dei Volusii Saturnini, probabilmente su una struttura preesistente appartenuta alla famiglia degli Egnatii, oppositori di Augusto ai quali fece sequestrare i beni dopo la loro morte. Da Quinto Volusio, personaggio noto a Cicerone, la villa passò al figlio Lucio Volusio Saturnino, console nel 12 a.C., che ampliò la costruzione, adattandola allo stile delle ville ellenistiche, in voga nell'età augustea, dotandola di impianti residenziali e termali, arricchendola con nuove decorazioni a mosaico e ampliando il settore signorile con l'edificazione di un gigantesco peristilio con all'interno il lararium con le statue degli antenati della famiglia.
Alla morte dell'ultimo discendente della famiglia dei Volusii, Quinto Volusio Saturnino che fu console nel 56 d.C., la villa probabilmente fu acquisita dal demanio imperiale. Il complesso fu ulteriormente ampliato in età adrianea-traianea, subì restauri tra il III e il IV secolo d.C. e fu frequentata fino al V secolo d.C. quando nella parte residenziale fu impiantato un piccolo cimitero.
A partire dall'alto medioevo, vi fu prima realizzato un edificio religioso e poi un piccolo centro fortificato con torri ed, infine, un casale rustico riportato nelle mappe della zona del XVI secolo.
La villa, costruita su un terrapieno che offre una vista panoramica sulla bassa valle del Tevere, si estendeva su due livelli con quello superiore che ospitava la residenza signorile dotata di un atrio polistilo, stanze sul lato sinistro, cubicoli e triclinio su quello destro, tablino sul fondo, mentre sul fianco destro del quartiere signorile sorgeva il peristilio nord con il lararium e ambienti realizzati in epoca imperiale, con funzionalità residenziali. Il peristilio sud, invece, ospitava ambienti produttivi, come ad esempio un frantoio, una cisterna e, forse, dei ninfei.

Il sito archeologico della Villa dei Volusii è accessibile attraverso quello di Lucus Feroniae tramite un ponte pedonale che permette ai visitatori di attraversare la strada provinciale 15/A Tiberina che separa i due siti.
Il sito è anche accessibile, previa prenotazione, dall'Area di Servizio Feronia Ovest dell'Autostrada A1 (direzione Roma).
Il sito archeologico della Villa dei Volusii, così come Lucus Feroniae, è stato inserito nel progetto del Museo Virtuale della Valle del Tevere. Questo progetto, realizzato dal CNR, mirava a produrre un sistema integrato di conoscenza e valorizzazione culturale della media Valle del Tevere finalizzato alla promozione del territorio e la disseminazione culturale. In particolare, uno degli obiettivo del progetto è stato realizzare una ricostruzione in 3D degli ambienti della villa.
La gestione della villa è in concessione ad Autostrade per l'Italia. L'ingresso è gratuito.

Lazio - Insediamento di Palazzolo

L'insediamento di Palazzolo (identificato da alcuni studi come l'antico Castrum Amerinum) si trova a nord di Vasanello (un comune italiano di 3 960 abitanti della provincia di Viterbo) e a sudest di Bassano in Teverina. Ubicato su un pianoro di forma allungata, ad un'altezza variante tra i 270 e i 200 metri, è delimitato, a nord, dal torrente Valle Canale e a sud dal fosso delle tre Fontane.

La morfologia a terrazzamenti del territorio e la sua natura tufacea hanno fatto sì che il sito si prestasse benissimo per la realizzazione di strutture ipogee. La presenza umana è attestata dall'età romana repubblicana ma molti indizi fanno ritenere che la zona fosse abitata fin dai tempi più remoti: il vicino paese di Vasanello era un centro falisco ed è molto probabile che, già in quel periodo, avesse collegamenti con il sito di Palazzolo. Le vie principali che si collegavano all'area dell'abitato erano cinque: la più importante era la via Amerina che, partendo da una zona a nord di Roma (la Valle di Baccano), arrivava a Chiusi passando per Amelia (Ameria in latino, da cui la strada prende il nome).Per quanto riguarda le altre 4 vie vi era: una che portava a Vasanello, una che portava a Santa Maria di Luco, un'altra che conduceva ad Orte ed infine la via Cimina che, provenendo da Gallese, proseguiva per i monti Cimini.
L'abitato di Palazzolo fu sede in antichità, e poi anche nel periodo medioevale, di importanti officine ceramiche che, sfruttando la presenza di cave di argilla rossa, producevano pregevoli terrecotte per uso domestico, della tipologia di |"terra italica sigillata" proveniente da Arezzo. La prova di tale attività è attestata dalla presenza di scarti di fornaci in varie zone dell'abitato, dal ritrovamento di una fornace di età augustea nell'area di Cesurli nel 1974, e, indirettamente, dall'esistenza di un cunicolo che, passando attraverso il sito, convogliava le acque dei torrenti e forniva il necessario approvvigionamento idrico per le lavorazioni della ceramica. Tra le testimonianze archeologiche più rilevanti vi sono, a nord dell'abitato, i resti di ville romane rustiche, evidentemente collegate alle attività produttive del posto. Con la fine dell'impero romano, iniziò un periodo di grande sviluppo per Palazzolo: infatti, a causa delle incursioni barbariche, ci fu un incremento di popolazione proveniente dal vicino Vasanello e l'abitato venne fortificato tramite lo scavo di fossati e opere murarie difensive. Di questo periodo vi sono le prime testimonianze del diffondersi del culto cristiano nel paese, come la necropoli “dei Morticelli”.
La rilevanza di Palazzolo crebbe poi tra il V e IX secolo, perché in tale periodo, la via Amerina era una strada di cruciale importanza che collegava i domini bizantini (poi papali) del Lazio a quelli della Romagna, attraverso il territorio umbro, passando in mezzo ai territori longobardi, il castrum esercitava un forte controllo sui traffici che qui avvenivano. Con la caduta del dominio longobardo, tale percorso perse d'importanza e, con esso, anche il sito. Palazzolo subì nel tempo varie distruzioni, alcune dovute alle guerre e altre a calamità naturali come i terremoti, e venne più volte ricostruita. Dal XII-XIII al XIV sec. venne spesso contesa fra i domini di Viterbo e quelli di Orte, che ne aveva la giurisdizione. Tra i monumenti di una certa rilevanza vi era la chiesa di San Giovanni che, dopo la sua distruzione, venne ricostruita come rocca. Dopo il XIV secolo l'abitato iniziò un progressivo ed irreversibile spopolamento. Secondo una leggenda locale, Santa Rosa da Viterbo si rifugiò per un certo periodo in uno dei locali ipogei di Palazzolo, la cosiddetta "Grotta Delle Monache", per sfuggire alle persecuzioni del Barbarossa

Lazio - Complesso delle Mura di Santo Stefano

 

Il complesso delle Mura di Santo Stefano è una villa romana che si trova nel territorio del comune di Anguillara Sabazia, in provincia di Roma.
Era situata lungo la via Clodia, a circa 3 km a sud di Anguillara, e venne edificata alla fine del II secolo d.C., probabilmente su precedenti strutture di una villa rustica risalente al I secolo.
Si conservano per circa 18 m di altezza, i resti di un edificio su tre piani, in cementizio con rivestimento in laterizio. Sono presenti aperture ad arco verso l'esterno, inquadrate da un ordine di lesene realizzate sempre in laterizi gialli e rossi. All'interno l'edificio presenta un cortile centrale a pilastri e i tre piani coperti con volte a crociera oggi scomparse. I corridoi coperti laterali conservano tracce di rivestimento marmoreo sulle pareti.
Nelle vicinanze si conserva inoltre una cisterna.
In epoca medievale fu forse sede di una domusculta. Nel IX secolo l'edificio venne utilizzato come chiesa dedicata a Santo Stefano: a questa fase appartiene il resto di un'abside costruita in opera listata insolitamente regolare .
All'XI secolo risale la sepoltura di circa 90 individui, rinvenuta negli scavi. Il convento venne soppresso da papa Pio II.
Nel XVI secolo le strutture furono oggetto di attenzione da parte di Andrea Palladio e di Pirro Ligorio.
Alla metà dell'Ottocento la struttura venne utilizzata come cimitero in concomitanza con le epidemie di malaria.
Tra il 1977 e il 1981 vi furono condotti scavi archeologici ad opera della Scuola britannica.

Lazio - Mausoleo di Ummidia Quadratilla

 


Il mausoleo di Ummidia Quadratilla è un sepolcro sito nell'area archeologica di Cassino. La poderosa struttura sorge sulle pendici sud orientali di Montecassino, incorporata nelle mura di quella che fu la città di Casinum. Edificata con grandi blocchi squadrati e perfettamente connessi senza malta, tenuti insieme solo da graffe di piombo all'interno, ha resistito all'usura del tempo, ai terremoti e, per ultimo, alla furia della guerra, senza subire sostanziali danni. La pianta a croce greca, con bracci simmetrici (prof. 2,75 m ognuno), ad arco piuttosto ribassato e volta perfettamente circolare (alt. 8,50 m), senza finestre - salvo quattro feritoie in corrispondenza dei bracci - fanno escludere la tesi del tempio, facendo, invece, propendere per una cripta o tomba gentilizia: lo confermerebbero analoghi esempi di tombe romane e soprattutto la struttura a cripta sotterranea senza finestre, accessibile dall'esterno della città tramite un dromos. Infondate sono le ipotesi dei secoli passati su una ascendenza etrusca della costruzione, piuttosto l'edificio si presenta come un'interessante anticipazione di mausolei simili, di molto posteriori: quello di Teodorico e quello di Galla Placidia. La costruzione risale al I-II secolo a.C. Nel 1757 venne ritrovata una lapide che recita: Ummidia C.F. Quadratilla anphitheatrum et tem plum Casinatibus sua pecunia fecit (Ummidia Quadratilla, figlia di Caio, fece costruire l'anfiteatro e il tempio per i Cassinesi a sue spese)[1]. Si credette pertanto di poter identificare il mausoleo con il "tempio" citato dall'iscrizione. Anche perché, nel frattempo, il mausoleo era stato effettivamente trasformato in chiesa: intorno al 1000 fu integrato in una chiesa dedicata a san Nicola di Bari, con affreschi in stile benedettino, poi rinominata al santo Crocefisso (probabilmente proprio per coerenza con la pianta a croce del mausoleo) e arricchita di decorazioni barocche nel Seicento. Oggi tuttavia questa interpretazione è considerata del tutto erronea a causa delle caratteristiche dell'edificio, tipiche di un sepolcro patrizio, anche se permane la tradizionale attribuzione (sia pure senza prove positive) alla benefattrice cassinate Ummidia Quadratilla, figlia del console Ummidio Durmio Quadrato. Si aggiunga che il cronista cassinese Leone Ostiense (secoli XI-XII), riferisce di un "templum idolorum in Castro Casino" trasformato, nel sec. VIII, nella chiesa in onore di san Pietro: questo potrebbe essere il templum dell'antica iscrizione, chiaramente distinto quindi dal mausoleo, a quel tempo dedicato a San Nicola.
In seguito ai bombardamenti dell'ultima guerra, delle antiche chiese si è salvato ben poco: alcuni importanti affreschi sono stati recuperati e conservati in Montecassino; oggi resta solo il mausoleo, ripulito dei resti delle costruzioni sovrapposte. All'esterno, tuttavia, sono ancora visibili alcuni resti murari della chiesa del Crocifisso ed una parte della scala a chiocciola del campanile.

Lazio - Interamna Lirenas

 

Interamna Lirenas è un'antica colonia latina costituita nell'ager casinas e che sorgeva presso l'attuale Pignataro Interamna, nel sud del Lazio.
Fu fondata dai Romani come colonia latina nel 312 a.C. nell'ager casinas sul percorso della via Latina. La città sorgeva presso la confluenza del fiume Liri e del Rio Spalla Bassa, posizione dal quale deriva il nome di Interamna ("tra i fiumi").
Fu base militare nella guerra contro i Sanniti, dai quali fu distrutta nel 294. Fu devastata anche da Annibale nel 212 ed essendosi schierata quindi dalla sua parte dovette in seguito pagare pesanti tributi. Divenne un municipium nel 90 a.C., iscritto alla tribù Teretina.
In epoca imperiale decadde e scomparve infine durante il periodo delle invasioni barbariche. I suoi abitanti secondo la tradizione avrebbero fondato in luogo poco distante Pignataro e nel medioevo il sito fu occupato dal castello di "Teramen" o "Termine".
Il sito ha restituito numerose iscrizioni e si conservano alcuni resti di antichità.



ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...