sabato 22 marzo 2025

KOSOVO - Ulpiana


Ulpiana fu un'antica città romana nei Balcani, e capitale della regione storica della Dardania. Nei Balcani ci si riferisce a questa città anche col nome Moesia.
Ulpiana è compresa nella municipalità di Gračanica, in Kosovo. La cittadina Lipljan, nella cui municipalità si trovava fino al 2009, prende il nome dall'antica Ulpiana. Fu fondata nel II secolo durante l'impero di Traiano e rinnovata nel VI secolo durante l'impero di Giustiniano, a seguito del quale fu rinominata Iustiniana Secunda.
Resti della città, distrutta e ricostruita più volte, con la basilica, mosaici e tombe, sono stati trovati a ovest di Gračanica. Durante il periodo cristiano Ulpiana fu un importante centro episcopale. Ad Ulpiana sono stati ritrovati molti reperti come monete, ceramiche, armi, gioielli, ecc.
I resti della città, solo parzialmente portati alla luce, si trovano circa a 1,3 km a ovest di Gračanica, immediatamente a nord della strada che la connette a Laplje Selo.
Ulpiana è anche il nome antico dell'attuale Pristina.

CROAZIA - Spalato, Palazzo di Diocleziano

  

Il Palazzo di Diocleziano si trova in Croazia e, con le sue mura, coincide con il nucleo originario del centro storico della città di Spalato.
Si tratta di un imponente complesso architettonico fatto edificare dall'imperatore Diocleziano, molto probabilmente fra il 293 ed il 305 d.C., allo scopo di farne la propria dimora.
Dopo aver riformato l'Impero romano, con l'entrata in vigore del sistema della tetrarchia, Diocleziano si ritirò a vita privata nel palazzo appositamente fattosi costruire dopo dieci anni dalla sua elezione come Imperatore. Vi visse dal 305 fino alla morte, avvenuta nel 313.
Nel 614 gli Avari e gli Slavi distrussero la città romana di Salona, a pochi chilometri dal palazzo di Diocleziano, ed iniziò il declino della città, quando gli abitanti si trasferirono nel palazzo fortificato.
Il palazzo oggi è quindi il centro storico della città di Spalato e numerose parti di esso sono state riusate nei secoli, permettendo la loro conservazione, seppure con le inevitabili manomissioni stratificate, fino ai giorni nostri come il mausoleo ottagonale dell'imperatore che è diventato l'attuale Duomo in epoca costantiniana.
Nel 1979 è stato iscritto dall'UNESCO nell'elenco di siti e monumenti del Patrimonio dell'umanità ed è stato restaurato in quello stesso anno.
Il palazzo, una sorta di grande villa fortificata, si presentava come una struttura autonoma, cittadella dedicata alla figura sacra dell'imperatore, per il quale esisteva già un mausoleo, destinata quindi ad ospitarlo in eterno.
Strutturata con la pianta tipica degli accampamenti militari romani: due strade perpendicolari, il cardo ed il decumanus, che si intersecano e dalle quali si dipartono numerose vie trasversali perpendicolari a scacchiera, aveva una forma leggermente trapezoidale (il lato sud era leggermente irregolare per il declivio del terreno verso il mare), con un lato affacciato sul mare e quattro poderose torri quadrate agli angoli e il numero delle colonne è 50.
In origine, la sua cinta muraria in opus quadratum, alta 18 m e spessa 2 m, misurava 215,50 m per 175–181 m. In queste mura si aprono tuttora vari torrioni quadrati e quattro porte, affiancate da torri a base ottagonale: la Porta Aurea (a nord), la Porta Argentea (ad est), la Porta Ferrea (ad ovest) e la Porta Aenea o bronzea, sul mare a sud. Le poderose mura furono una sorta di novità rispetto alle ville romane dei secoli precedenti e si resero necessarie per via degli eventi turbolenti della storia romana dell'epoca.
La Porta Aurea è inquadrata da edicolette pensili e sormontata da archetti su colonnine pensili (oggi delle colonne restano solo le mensole di base e i capitelli). Le altre due porte (Argentea e Ferrea) hanno decorazione più semplice. Ciascuna era dotata di controporta e cortile d'armi. Da qui partivano le vie colonnate che dividevano il complesso in quattro riquadri principali: i due a nord ospitavano caserme, servizi e giardini (poco conosciuti, organizzati su peristili centrali e con file di stanzette lungo le mura), mentre la parte meridionale, ove si sono conservate più consistenti vestigia monumentali, ospitava il quartiere imperiale.
Dalla prosecuzione colonnata della strada nord-sud si poteva giungere al portico detto "peristilio", con quattro colonne sostenenti un archivolto a serliana. Attraverso il peristilio verso sud si accedeva a un vano a base circolare coperto da cupola e poi ad un vano rettangolare con colonne che faceva da vestibolo d'accesso agli appartamenti privati dell'imperatore, disposti sul lato lungo il mare, sul quale si affacciavano con un loggiato a semicolonne che inquadravano gli archi; alle estremità e al centro si trovavano tre serliane.
Il peristilio è uno degli ambienti meglio conservati tutt'oggi, e pare che avesse la funzione di scenografia per le cerimonie ufficiali alle quali partecipava come protagonista l'imperatore. Dal peristilio infatti si accedeva ad est e ad ovest ad ambienti di culto:
- A ovest erano presenti due edifici rotondi, di uso sconosciuto, ed un tempio tetrastilo probabilmente dedicato a Giove, del quale restano ancora oggi delle rovine, poi trasformato in battistero (il pronao è però perduto);
- A est si ergeva l'edificio a base ottagonale del mausoleo imperiale (tomba di eccezionale monumentalità destinata all'imperatore), cinto da una serie di colonne (peristasi) e coperto a cupola, all'esterno protetta da un tetto piramidale; in seguito il mausoleo venne trasformato in cattedrale, permettendone la sopravvivenza.
L'appartamento privato era diviso in due metà simmetriche, divise dalla prosecuzione sotterranea della via colonnata. Si conoscono nella parte occidentale le sostruzioni verso il mare e una basilica privata, affiancata da una doppia fila di stanze a pianta centrale, oltre a un complesso termale. La metà orientale del palazzo è conosciuta in maniera scarsa e lacunosa. Il palazzo è un palese esempio dell'architettura nell'età di Diocleziano, improntate a tendenze conservatrici, come per esempio anche nelle terme di Diocleziano a Roma, di impostazione analoga a quelle di Caracalla.
La villa, come alcuni altri esempi tardo-imperiali, è costruita a modello di un castrum, con le mura di cinta e i torrioni, ma fece da ispirazione anche il complesso dei palazzi imperiali del Palatino.
Come tipologia di villa fortificata si conoscono alcune derivazioni coeve, come quella di Mogorjelo in Erzegovina. Suggestioni assolutistiche e orientali sono date dagli ambienti di rappresentanza (soprattutto il "peristilio" con le due ali sacre), assimilabili a quelli del palazzo imperiale di Antiochia e, nel secolo successivo, di Costantinopoli. Orientale è anche la scelta di porre sul fondo gli ambienti di rappresentanza, l'uso di sfingi e delle vie colonnate. La sostanza e la componente ideologica, invece, sono più schiettamente romane, soprattutto nell'aspetto militarizzato e nelle scelte conservatrici dell'impianto.
L'edificio è l'antecedente più vicino ai castelli medievali, ma anche ai monasteri fortificati, con il peristilio che funge da centro. Si ipotizza inoltre che la struttura ottagonale della cattedrale-mausoleo abbia costituito un modello per la tipologia del battistero.

CROAZIA - Tilurium


Tilurium
 è stato un insediamento fortificato degli Illiri in Dalmazia. Fu fortezza legionaria nel I secolo subito dopo la fine della rivolta dalmato-pannonica del 6-9. Qui risiedettero infatti le legioni VII Claudia e XI Claudia.
I Romani, memori della recente fatica per riportare l'intera area sotto il loro dominio (vedi rivolta dalmato-pannonica del 6-9), decisero di lasciare a guardia della nuova provincia di Dalmazia due legioni (la Legio XI a Burnum e la VII a Tilurium) anche come "riserva strategica" a ridosso del limes danubiano, oltre a fondare numerose colonie.
Al tempo dell'Imperatore romano Antonino Pio, poi di Caracalla, fino almeno a Filippo l'Arabo il castellum ausiliario ospitò l'unità cohors VIII voluntariorum Philippiana.

CROAZIA - Sito archeologico di Krapina


Il Sito archeologico di Krapina è un sito archeologico sulla collina di Hušnjak, nei dintorni occidentali della città di Krapina, dove nel 1899 l'archeologo e paleontologo Dragutin Gorjanović-Kramberger, scoprì fino a 900 fossili di uomini di Neanderthal, alcuni dei quali risalenti a 125 000 anni fa.
Alcuni resti neanderthaliani ritrovati in questo sito, sono stati indicati come prova che tra questi ominidi si praticasse il cannibalismo.

CROAZIA - Grotta di Vindija


La Grotta di Vindija è un sito archeologico scoperto a circa 20 chilometri dall'abitato di Donja Voća nella regione di Varaždin, è un sito archeologico associato all'uomo di Neanderthal e all'uomo moderno, di rilevante importanza, in quanto dimostrerebbero la compresenza delle due specie. Tre di questi uomini di Neanderthal sono stati selezionati come fonti primarie per il progetto di studio del genoma dei Neanderthal.



CROAZIA - Atleta di Lussino

 


L'Atleta di Lussino (in croato chiamato anche Hrvatski Apoksiomen, cioè Apoxyómenos croato) è un'antica opera scultorea greca in bronzo, databile tra il I secolo a.C. e il II secolo d.C. Fu rinvenuta per caso nel 1996 da un turista belga durante un'immersione subacquea nel mare presso Lussino, ma il suo recupero fu possibile solo nel 1999. Alta circa 192 cm, essa si inquadra nella ben nota tipologia dell'Apoxyómenos, ovvero la rappresentazione di un atleta colto nell'atto di detergersi il corpo da polvere e sudore per mezzo di uno strigile.
Secondo l'accademico Nenad Cambi, dell'Università di Spalato, l'opera sarebbe una copia di bottega ellenistica del II-I secolo a.C., risalente a un originale scultoreo greco della metà del IV secolo a.C.
Il professor Vincenzo Saladino, dell'Università di Firenze, ritiene invece che il prototipo originale risalga a un'epoca ellenistica, intorno al 300 a.C., di cui l'atleta di Lussino costituisce una riproduzione in copia del I-II secolo d.C.
Un tentativo di attribuzione è stato compiuto dal prof. Paolo Moreno, che ha ricondotto la tipologia della statua a un originale di Dedalo di Sicione, «artista di scuola policletea di terza generazione».
La statua fu scoperta nel 1996 da un turista belga, il sommozzatore René Wouters, presso l'isola di Oriule Grande (Vele Orjule), a una profondità di circa 45 m, adagiata tra due rocce sul fondo sabbioso. La notizia venne inizialmente tenuta segreta per motivi di sicurezza e solo nel 1998 venne portata a conoscenza del Ministero della cultura croato. Il ministero deliberò di affrontare una complessa operazione di prospezione subacquea, con recupero della statua e messa in atto dell'opera di restauro. Per ragioni di opportunità, il ministro Bozo Biskupic decise di riportare in superficie la statua prima di dare inizio alle esplorazioni, ad evitare così che immersioni illegali potessero comprometterne la sicurezza. Fu così che il 27 aprile 1999 la statua fu fatta riemergere, per essere sottoposta a un lungo ciclo di desalinizzazione e restauro conservativo, condotto a Zagabria sotto la guida del prof. Giuliano Tordi dell'Opificio delle pietre dure di Firenze, del prof. Antonio Šerbetić, capo restauratore e direttore del laboratorio per i metalli dell'Istituto Croato per il Restauro di Zagabria e del prof. Andrea Šimunić, dell'ufficio dell'Istituto Croato per il Restauro di Zagabria, con la collaborazione di esperti dei Musei civici di Como.
Ultimati gli interventi conservativi, la statua è stata esposta presso il Museo Archeologico di Zagabria dal 17 maggio al 30 settembre 2006. Dal mese di ottobre 2006, e fino al 30 gennaio 2007, l'opera è stata in tour in Italia: esposta a Firenze nelle sale del Palazzo Medici Riccardi, è stata visitata da circa 80.000 visitatori, facendo registrare un notevole incremento della normale affluenza al museo.
La statua affondò in mare in un'epoca sicuramente non vicina alla data della sua fusione, come è stato rivelato dall'esame del materiale presente nella parte cava del bronzo. Essa - in base alla radio-datazione al carbonio-14 del materiale organico trovato all'interno della statua (un nocciolo di pesca e un rametto) - risalirebbe a un'epoca di prima età imperiale, tra il 20 a.C. e il 110 d.C. All'inizio del II secolo d.C. la statua atletica era quindi già antica ed era anche passata per alcune traversie: alcuni danni ne avevano resa necessaria la deposizione in orizzontale per qualche tempo, come dimostrato dall'esistenza, nella parte cava, di una tana di roditori. È possibile che, al momento dell'affondamento, la statua fosse in procinto di essere trasferita in una grande città, come Aquileia, Ravenna o Pola, viaggiando su una nave che percorreva una rotta di cabotaggio.
Nei pressi del sito di ritrovamento è stata compiuta una ricerca subacquea ad ampio raggio, estesa su un'area di 10.000 metri quadrati, con uso di metal detector e altri strumenti. È stata effettuata, inoltre, una prospezione con sonde robotiche estesa su una più ampia area di 50.000 metri quadrati, che non ha rilevato tracce di un antico naufragio, ma ha portato alla luce solo parti di ancore romane in piombo, cinque frammenti di anfore del II secolo d.C. e la base della statua. Questi risultati fanno presumere che la scultura fosse a bordo di una nave oneraria romana, dalla quale sarebbe caduta accidentalmente per la rottura delle corde nel mare agitato, o sarebbe stata deliberatamente abbandonata in mare per alleviare il peso durante una tempesta. Ma l'esatto motivo che avrebbe indotto i marinai a sacrificare proprio una parte così preziosa del carico rimane ancora oggi oscuro.
L'atleta di Lussino si presta a un immediato confronto con altri celebri esempi della stessa tipologia dell'Apoxyómenos. Esso differisce dalla realizzazione di Lisippo, conosciuta da una copia romana ora ai Musei Vaticani (nella foto a siistra), in primo luogo per la diversa impostazione del gesto: l'atleta di Lussino non deterge l'avambraccio sollevato ma, con gli arti rivolti in basso, pulisce lo strigile con l'altra mano.
La tipologia richiama invece un'identica statua bronzea, rinvenuta a Efeso nel 1896, ora esposta al Kunsthistorisches Museum di Vienna e dimostratasi essere il calco bronzeo di altra opera in fusione.
La popolarità di cui, nell'antichità, dovette godere la tipologia iconografica dell'Apoxyómenos, è testimoniata dal gran numero di reperti frammentari che ripropongono il medesimo tipo, forse tutte variazioni sul tema dell'esemplare originario di Lisippo.
A causa della lunga permanenza in acqua di mare, l'Apoxyomenos di Lussino, al momento del ripescaggio, si presentava ricoperto da una spessa patina di concrezioni minerali di origine organica, che ne aveva protetto la lega da fenomeni di corrosioni di origine galvano-chimica. Per la rimozione di tali incrostazioni non si è fatto alcun uso di prodotti chimici. Tutto l'intervento di conservazione e restauro infatti, il primo nel suo genere mai posto in essere in Croazia, si è servito di metodologie esclusivamente meccaniche con l'uso di utensili di precisione manovrati manualmente o, talvolta, con l'aiuto della macchina.
La statua presentava una serie di grandi fessurazioni e danni nell'area ischiatica della gamba destra, che hanno richiesto un intervento di ricomposizione; si è resa necessaria anche la realizzazione di una speciale struttura in grado di sorreggere l'intera statua all'interno.
Il piedistallo originale della statua si presenta decorato da ornamenti quadrati e da svastiche.
Nella cavità interna della statua sono stati trovati diversi materiali organici, come pezzi di legno, rami, semi, pezzi di frutta, noccioli di olive e ciliegie, e un nido di piccoli roditori, che, studiati da esperti dei Musei civici di Como e dell'Università di Zagabria, hanno fornito importanti informazioni sulle vicende e sulla datazione dell'opera.
Fin dalla scoperta della statua, gli archeologi sono divisi sulla questione se il modello utilizzato dallo scultore fosse mancino o destrorso. Il Ministro della pubblica istruzione italiano Giuseppe Fioroni, medico per professione, durante una visita alla statua all'epoca dell'esposizione fiorentina, ha notato un più accentuato trofismo dei muscoli della spalla sinistra rispetto a quelli della destra, una circostanza che farebbe supporre un modello mancino.
L'intervento di restauro sull'Apoxyomenos ha ricevuto dall'Unione europea il premio Europa Nostra per la tutela del patrimonio culturale.
ll 30 aprile 2016 a Lussinpiccolo è stato inaugurato il museo appositamente ideato per l'esposizione dell'Apoksiomen. La statua ha fatto così ritorno nell'isola il cui mare l'ha conservata per così lungo tempo.

CROAZIA - Spalato, Porta Aurea


La Porta Aurea di Spalato è la principale porta monumentale della cinta muraria della città croata.
Come il resto del centro storico, la porta faceva parte del palazzo di Diocleziano, edificato verso il 300 d.C. come residenza privata fortificata e divenuta in seguito, con le invasioni barbariche del IV secolo, vera e propria città quando vi si rifugiarono gli abitanti della vicina Salona.
La porta era la più importante della città, posta sull'asse nord-sud e opposta all'affaccio sul mare.
Come le altre due porte monumentali (Argentea e Ferrea) era affiancata da due torrioni a base ottagonale (oggi scomparsi), ma la sua decorazione era più ricca, con nicchie ai lati dell'arco di passaggio (probabilmente contenenti in antico statue) e sormontata da archetti su colonnine pensili (oggi delle colonne restano solo le mensole di base e i capitelli).
Sul retro esisteva il cortile d'armi e la controporta.

CROAZIA - Burnum


Burnum
 era un'antica fortezza legionaria e poi città romana in Illiria, oggi localizzata a Ivosevci, nei pressi di Chistagne in Croazia.
Il sito dell'antica città di Burnum sorge sulla sponda destra del fiume Cherca (Krka in croato, l'antico Titus di età romana), all'interno del Parco nazionale della Cherca. L'area in cui sorse l'insediamento rappresenta uno dei pochi punti di agevole guado del fiume: si tratta infatti di una possente barriera naturale, che già in antico separava il territorio dei Liburni, alleati dei Romani, da quello dei Dalmati, ostili a Roma.
L'occupazione romana del sito a fini militari iniziò dalla fine del I secolo a.C., concretizzandosi nella costruzione di un grande castrum destinato ad ospitare una legione impegnata nell'area. Secondo Plinio il vecchio, Burnum divenne così uno dei centri militari più importanti della provincia romana dell'Illyricum prima e della Dalmazia poi (8/9-14). Faceva parte di una delle 14 civitates della Liburnia amministrate dal conventus di Scardona.[9] Già alla fine delle campagne illiriche di Ottaviano (35-33 a.C.) qui è attestata la Legio XX Valeria Victrix. Intorno al 10 d.C. questa legione lasciò il presidio dalmata per passare in Germania e fu rimpiazzata dalla Legio XI Claudia Pia Fidelis.
Nell'86 d.C. la Dalmazia viene proclamata Provincia inermis e la difesa del territorio non viene più effettuata dalle legioni ma dalle truppe ausiliarie. Il castrum, così, si trasforma in una città vera e propria, che nel corso del II secolo d.C. diventa municipium.
La guerra greco-gotica, che coinvolse anche diversi centri della Dalmazia settentrionale, determinò, tra il 536 e il 537, il definitivo abbandono dell'area.
Tra l'età medievale e quella moderna, una chiesa dovette occupare parte dei resti ancora visibili, dal momento che il sito archeologico è oggi noto col nome di (HR) Suplja crkva (= chiesa in rovina) o (HR) Supljaja (= rovine).


Le evidenze archeologiche del castrum si riducono oggi alle due arcate in blocchi di calcare locale, attribuibili con buona certezza alla basilica del Foro della città romana. Già nel 1700 i resti erano stati segnalati, in migliore stato di conservazione, nel Viaggio in Dalmazia dell'abate padovano Alberto Fortis (1774). Per il resto la conoscenza di questo sito è affidata agli scavi archeologici. Nel 1912-1913 e poi nel 1973-1974 l'Istituto Archeologico Austriaco di Vienna conduce scavi estensivi alla ricerca della forma urbana del centro antico.
Dal 2003 il Dipartimento di Archeologia dell'Università di Zara e il Museo Civico di Dernis hanno iniziato le ricerche nel vicino anfiteatro, la cui principale fase edilizia è riconducibile all'imperatore Vespasiano.
Dal 2005 il Dipartimento di Archeologia dell'Università di Bologna, in collaborazione con l'Università di Zara e col Museo Civico di Dernis, ha iniziato una nuova fase di sperimentazione di metodologie di indagine non intrusiva e sondaggi archeologici.

CROAZIA - Bijaći


Bijaći
 è una località del comune di Castelli, in Dalmazia, antica città croata capitale della Croazia Bianca di cui oggi i resti sono riemersi in un'importante area archeologica. In italiano la località è storicamente nota come Santa Marta.
La città fu fondata nel 100 da veterani e coloni romani con il nome di Siculi, a pochi chilometri da Salona, tra quest'ultima, la costa e la città di Trogirium (Traù). Nel 700 la città fu conquistata dai croati che le diedero il nome slavo attuale. Nel IX secolo fu costruita dal re Trpimir la basilica di Santa Marta.
Attualmente della città restano solo le rovine, fra cui le fondamenta della basilica di Santa Marta e la tomba di un principe croato non identificato. Fra i resti di quello che presumibilmente dovette essere un trono è stata rinvenuta una delle prime testimonianze dell'uso del termine "croati" nei balcani (CROATORUM), VIII secolo.

CROAZIA - Salona, Anfiteatro romano

 

L'anfiteatro romano di Salona è un monumento di architettura antica situato in Croazia, i cui resti sono stati scoperti nel 1846 nell'area dell'antica città di Salona. La ricerca scientifica dell'anfiteatro venne condotta dagli archeologi Don Frane Bulić, croato, e Ejnar Dyggve, danese.
L'anfiteatro si trova nell'angolo nord-occidentale dell'antica Salona. Dopo la costruzione delle mura, fu integrato nel sistema difensivo della città, perché i suoi lati nord e ovest si addossavano al sistema di fortificazione della città.
L'edificio presentava una pianta di forma ellittica, misurava 125x100 metri, mentre l'arena, dove si svolgevano i combattimenti dei gladiatori, misurava 65x40 metri. La facciata esterna dell'anfiteatro era sostenuta da massicci piloni decorati con semicolonne sulle quali poggiava la trabeazione dei solai. Aveva tre piani sul lato sud e solo uno a nord, perché l'anfiteatro poggiava sul fianco della collina.
La cavea poteva contenere circa 17.000-18.000 spettatori ed era suddivisa in tre ordini, i due inferiori erano destinati a sedersi mentre in quello superiore si stava in piedi. I passaggi di comunicazione furono realizzati attraverso un sistema di passaggi e scale radiali e concentriche. Al tempo di Diocleziano la fascia più alta era coperta da un portico. Sul lato sud dell'anfiteatro c'era una loggia onoraria per il governatore della provincia, e sul lato nord una loggia destinata ai magistrati della città.
I combattenti entravano nell'arena attraverso gli ingressi principali (portae pompae), sui lati est e ovest. Accanto a questi ingressi c'erano le gabbie per gli animali (carceses). Al centro dell'arena si apriva un corridoio sotterraneo (porta libitinaria), costruito verso la fine del III secolo, che veniva utilizzato per portare via i gladiatori feriti e morti.
All'interno delle strutture dell'anfiteatro meridionale si trovavano due stanze a volta dove i gladiatori adoravano il culto della dea della vendetta e del destino, Nemesis. In epoca cristiana queste sale erano dedicate alle cappelle commemorative dei martiri di Salona.


L'anfiteatro di Salona fu costruito nella seconda metà del II secolo durante il regno dell'imperatore Marco Aurelio (161-180), con l'aiuto finanziario di un ricco mecenate, come testimonia un'iscrizione lapidea non completamente conservata che un tempo si ergeva sopra il corridoio settentrionale dell'arena. Nell'aprile del 304, durante la persecuzione dei cristiani sotto Diocleziano, il sacerdote Asterio e quattro soldati della guardia imperiale furono uccisi nell'arena dell'anfiteatro.
Nel Medioevo e durante l'amministrazione veneziana della Dalmazia, l'anfiteatro fungeva da cava, dalla quale venivano asportati materiali lapidei, motivo per cui cadde gradualmente in rovina. I resti dell'anfiteatro furono in gran parte distrutti durante la guerra di Candia, nel 1647, quando il provveditore veneziano della Dalmazia Leonardo Foscolo li fece demolire per paura che potessero fungere da roccaforte per i turchi.

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...