martedì 29 aprile 2025

FRANCIA - Glanum, Arco romano

 

L'arco di Glanum è un antico arco di trionfo situato presso le rovine di Glanum, vicino all'odierna Saint-Rémy-de-Provence, in Francia. Venne costruito in seguito alla vittoria romana sui popoli della Gallia nel 6 a.C., durante il principato di Augusto. È molto simile agli archi che si trovano nelle città di Orange e Carpentras, nella ragione di Vaucluse.
Ai lati dell'arco di trionfo, tra le colonne, si possono tuttora osservare due coppie di galli incatenati, simbolo del dominio romano su tali popolazioni. Anche il trofeo delle Alpi, situato a La Turbie, presentava sulla sommità l'imperatore Augusto e una coppia di barbari sottomessi. Il monumento si trova vicino al mausoleo di Glanum.
La costruzione di questo edificio non sembra essere tuttavia legata ad un evento militare particolare. Della struttura originaria rimane solamente la parte inferiore: l'attico in muratura è andato completamente distrutto, mentre si è conservata la volta a cassettoni dell'unico fornice presente, quello centrale. Le colonne addossate alla struttura (ora mutilate) sorreggevano probabilmente una trabeazione, andata perduta. Secondo alcuni esperti la parte superiore doveva essere abbastanza alta per equilibrarsi con la struttura sottostante, e presentava un frontone triangolare simile a quello dell'arco di Orange.

FRANCIA - Glanum, Mausoleo gallo-romano

 
Il mausoleo di Glanum è un monumento funerario gallo-romano situato nell'antica città di Glanum, vicino all'odierna città di Saint-Rémy-de-Provence, in Francia. Venne eretto tra il 30 a.C. e il 20 a.C., durante il principato di Augusto. È molto ben conservato sia per quanto riguarda la struttura sia per le decorazioni. L'iscrizione presente sul monumento recita:
SEX(tus) M(arcus) L(ucius) IVLIEI C(aii) •F(ilii) PARENTIBVS SVEIS
Sesto, Marco e Lucio Giulio, figli di Gaio, per i loro genitori.
Il nomen Giulio indica che i defunti sono Galli i cui antenati avevano ottenuto la cittadinanza romana combattendo nell'esercito romano, ai tempi di Giulio Cesare o di Augusto. Come di consueto questi antenati presero il cognome di coloro che li aveva liberati concedendogli la cittadinanza.
La forma del mausoleo è tipica di altri monumenti sepolcrali italiani e africani. La struttura, alta 16 metri, è divisa in tre parti:
- una parte inferiore, cubica e decorata con rilievi, come un sarcofago.
- una parte intermedia, a forma di arco quadrifronte.
- una parte superiore, a forma di tempio rotondo.
La parte inferiore non contiene una camera sepolcrale, il che rende il monumento un cenotafio. Quattro rilievi, decorati da festoni, occupano gran parte della base, e illustrano scene storiche e mitologiche:
Est: è ispirato alla lotta tra i Greci e le Amazzoni, si vede un combattente prendere un trofeo da un avversario morto.
Sud: è rappresentata la leggenda della caccia al cinghiale calidonio. Sono raffigurati Meleagro e i due Dioscuri, Castore e Polluce.
Ovest
: è rappresentata una scena della guerra di Troia e il combattimento per recuperare il corpo di Patroclo.
Nord: è rappresentata una battaglia senza chiari riferimenti mitologici. Rappresenta probabilmente una scena legata all'ottenimento da parte del defunto della cittadinanza romana.
Nella parte intermedia, quattro pilastri disposti lungo gli angoli di un quadrato e decorati con colonne corinzie addossate si intersecano tra di loro formando un arco quadrifronte (come l'arco di Giano del foro Boario). La sommità di questa struttura è decorata con creature marine che sorreggono un disco solare, presente su tutti i lati tranne che in quello nord.
Un piccolo tempio tondo (tholos) corona il monumento. Esso ospita la statua del defunto e probabilmente di suo figlio, entrambi raffigurati con indosso la toga, che poteva essere indossata solo da cittadini romani.


FRANCIA - Parigi, Louvre / Vaso Borghese

Il vaso Borghese è un monumentale cratere, scolpito ad Atene in marmo pentelico da un'officina neoattica nella seconda metà del I secolo a.C. come ornamento da giardino.
Fu rinvenuto nel Cinquecento a Roma, negli Horti Sallustiani e fece parte della collezione Borghese. Oggi è esposto al museo del Louvre a Parigi.
Il cratere è di dimensioni monumentali (alto 1,72 m e con un diametro di 1,35 m) e presenta una forma "a campana". Nella parte superiore concava del vaso presenta un fregio figurato a bassorilievo sormontate da due tralci di vite intrecciati sotto l'orlo rovesciato in fuori e decorato con un piatto kyma ionico e un astragalo. La parte inferiore convessa del vaso e il piede sono decorati con baccellature convesse e concave. Il piede poggia sopra un basso plinto ottagonale. Tra la parte concava e quella convessa del vaso si trovano coppie di teste di satiro, da cui si dipartivano le anse, oggi scomparse.
Il fregio raffigura un tiaso dionisiaco: con Dioniso, Arianna, satiri e, menadi che suonano strumenti e danzano. Uno dei satiri sorregge Sileno ubriaco.
Il vaso appartiene alla produzione della scultura neoattica di Atene del I secolo a.C., realizzata per la ricca clientela romana ed è datato al 60-40 a.C.. Alla medesima produzione appartengono il più piccolo vaso Medici e due esemplari più antichi, rinvenuti frammentari tra i materiali trasportati da una nave naufragata a Mahdia.
Il vaso venne alla luce prima del 1569 nel giardino di Carlo Muti, che occupava gli antichi Horti Sallustiani ed entrò a far parte della collezione Borghese nel 1645, quando fu esposto nella villa Pinciana della famiglia.
Fu ampiamente ammirato e riprodotto in stampe e copie in vari materiali tra il Seicento e il Settecento. Copie del vaso Borghese vennero realizzate in marmo come decorazione dei giardini di Versailles presso la fontana di Latona, in alabastro per Houghton Hall e in bronzo per Osterley Park. Calchi furono realizzati dallo scultore John Flaxman e per il ceramista Josiah Wedgwood.
Napoleone I lo acquistò nel 1807 insieme alla maggior parte della collezione Borghese dal cognato Camillo Borghese e alle altre opere oggetto di spoliazioni napoleoniche, in base ad una selezione operata da Ennio Quirino Visconti. A causa del blocco navale britannico le opere viaggiarono da Roma a Parigi via terra e poterono essere esposte nel Museo del Louvre solo a partire dal 1811.

FRANCIA - Parigi, Louvre / Diana di Gabi

 


La Diana di Gabi è una statua del IV secolo a.C. Alta 1,65 metri raffigurante una donna avvolta in un drappeggio; con molta probabilità rappresenta la dea Artemide, ed è tradizionalmente attribuita a Prassitele. In passato era parte della collezione Borghese ed è conservata presso il Museo del Louvre. La statua fu scoperta nel 1792 da Gavin Hamilton, nelle proprietà del principe Marcantonio IV Borghese nei pressi di Roma, dove in antichità sorgeva la città di Gabi, e fu immediatamente inserita nella collezione del principe. Nel 1807, a causa di difficoltà finanziarie, il principe Camillo II Borghese, figlio di Marcantonio, fu costretto da Napoleone a vendere alla Francia 344 opere provenienti dalla collezione Borghese. Dal 1820 la Diana di Gabi è quindi in mostra al Louvre.
La statua divenne molto popolare nel XIX secolo: un calco in gesso fu collocato al Club Athenaeum di Londra; una copia marmorea era presente tra le riproduzioni di statue antiche volte a decorare la Cour Carrée, la Corte Quadrata del Louvre, e una sua copia decorava una fontana nel comune francese di Grancey-le-Château-Neuvelle, nella Côte-d'Or. Inoltre, riproduzioni in scala ridotta venivano realizzate e poi vendute agli appassionati d'arte.
La giovane donna è rappresentata a grandezza maggiore di quella naturale. Il peso del corpo è scaricato sulla gamba destra, rinforzata con un ceppo d'albero; la gamba sinistra, invece, non contribuisce in alcun modo a sostenere la figura: il piede sinistro, infatti, ha il tallone rialzato e le dita rivolte verso l'esterno.
La statua è generalmente identificata come Artemide, dea della verginità, della caccia e delle selve, esclusivamente per via delle sue vesti. Indossa, difatti, un chitone non particolarmente lungo con ampie maniche, tipico della dea. Il chitone è legato da due cinturini, uno visibile attorno alla sua vita, l'altro invece nascosto, i quali trattengono parte del tessuto, accorciando il chitone e mostrando le ginocchia. La dea è rappresentata nell'atto di fissare con una spilla il suo mantello: la mano destra stringe una fibula e tiene sollevata una piega del vestito sulla spalla destra, mentre quella sinistra trattiene un'altra piega del vestito all'altezza del petto. Il movimento fa cadere il colletto del chitone, lasciando scoperta la spalla sinistra.
La testa è lievemente rivolta a destra, ma la dea non presa attenzione su ciò che sta facendo. Al contrario, il suo sguardo volge all'ambiente che la circonda, caratteristica tipica delle statue classiche. La sua chioma fluente è tirata indietro da una fascia legata al di sopra del collo, poi raccolti in una crocchia contenuta da un secondo nastro non visibile.
Stando a quanto scrive Pausania, Prassitele creò la statua di Artemide Brauronia per l'Acropoli di Atene. Gli inventari del tempio, datati al 347-346 a.C., fanno menzione di una "statua dedicata", descrivendola come raffigurante la dea in un chitoniskos. È anche noto che il culto di Artemide Brauronia prevedesse anche la consacrazione di capi offerte dalle fanciulle.
La statua di Prassitele è stata a lungo associata alla Diana di Gabi: la dea appare nell'atto di indossare il dono dei suoi devoti. In aggiunta, la testa ricorda molto quelle dell'Afrodite cnidia e dell'Apollo sauroctono, entrambi attribuiti a Prassitele. D'altro canto, l'identificazione della statua è stata messa in discussione per diversi aspetti. Innanzitutto, per quanto riguarda gli inventari scoperti ad Atene, è stato dimostrato si tratti di copie di quelli riguardanti il santuario principale a Braurone e non è quindi certo che il culto ad Atene includesse anche la consacrazione delle vesti. Inoltre, il chitone corto è anacronistico per il IV secolo a.C., suggerendo quindi una collocazione ellenistica. Infine, una recente ipotesi mette in relazione la statua di Artemide Brauronia con una testa presente al Museo dell'agorà antica di Atene, nota come Testa Despinis.
La Diana di Gabi è nondimeno considerata un'opera di impressionante qualità e si adegua a quello che è comunemente considerato lo stile prassitelico, portando alcuni studiosi a continuare a reputare la statua opera di Prassitele o uno dei suoi figli.

FRANCIA - Parigi, Louvre / Antinoo Mondragone

 
L'Antinoo Mondragone è la scultura (del II secolo d.C.) di una testa alta 95 cm e largo 37 costituita da un unico blocco di marmo bianco; rappresenta l'iconografia di Antinoo, il ragazzo amato dall'imperatore romano Adriano e da questi portato in apoteosi dopo la sua morte, avvenuta nel 130 d.C. per annegamento sul fiume Nilo. È conservata nel Louvre.
Il soggetto può essere facilmente identificato dalle peculiari caratteristiche di tutte le sue raffigurazioni: sopracciglia striate, labbra carnose, espressione accigliata e quasi cupa con torsione della testa in basso verso destra, il che ricorda molto la statua di Athena Lemnia; mentre la pelle liscia e fortemente elaborata e l'acconciatura dei capelli è del tutto simile alle immagini ellenistiche di Dioniso e Apollo.
Faceva originariamente parte di un'immagine di culto o idolo, oppure di un acrolito colossale, utilizzato per il culto rivolto al ragazzo-dio; 31 fori di tre differenti dimensioni servivano probabilmente per il fissaggio di un oggetto sul suo capo, forse una corona dionisiaca o un ureo di metallo, avorio o pietra colorata. Negli occhi dovevano essere inserite delle pupille di marmo e pietre dure.
I resti sono stati ritrovati a Frascati tra il 1713 e il 1729 e subito inseriti come parte della collezione Borghese a Villa Mondragone. Johann Joachim Winckelmann ne fece presto conoscere la testa al grande pubblico, lodandola nella sua "Storia dell'arte antica", definendola gloria e corona dell'arte di quest'età, di una freschezza immacolata che pare provenire direttamente dalle mani dell'artista.
«La testa colossale di Mondragone è sì intera che sembra ora uscita dalle mani dello scultore, e sì bella che io non credo di troppo dire, se la chiamo, dopo l’Apollo di Belvedere e ’l Laocoonte, il più bel monumento dell’arte che siaci rimasto. Se fosse permesso averne copia in gesso, dovrebbe l’artista studiarlo come uno de’ più sublimi modelli di beltà; poiché le forme colossali, richiedendo un grande artefice, il quale sappia per dir così oltrepassare i limiti della natura, ci danno una prova dell’abilità del disegnatore, senza tuttavia perdere ne’ grandi contorni la morbidezza e ’l dolce passaggio da una all’altra forma. Oltre la bellezza delle sembianze i capelli sono in tal maniera lavorati, che nulla v’è di simile in tutti gli avanzi dell’antichità. Ho parlato altrove degli occhi incastrativi» (Winckelmann, Storia delle Arti del Disegno presso gli Antichi)
Nel 1807 è stato acquisito dall'imperatore dei francesi Napoleone Bonaparte, assieme a gran parte delle collezioni appartenenti alla famiglia Borghese e alle altre opere oggetto di spoliazioni napoleoniche. Ne venne in seguito aggiunto provvisoriamente uno strato di cera marrone per darne una finitura opaca, assieme ad un nuovo strato di gesso attorno alla base del collo per darne l'apparenza di un busto completo; entrambi furono poi rimossi durante i lavori di restauro e pulizia.

FRANCIA - Parigi, Louvre / Dama di Auxerre

 
La Dama di Auxerre è una scultura greca in calcare conchiglifero del VII secolo a.C. conservata nel Museo del Louvre di Parigi. La sua provenienza originaria è sconosciuta: fu acquistata nel 1895 da un impresario teatrale di Auxerre, che la cedette in seguito al locale museo. Venne ritrovata nei depositi del museo nel 1907 da Maxime Collignon, curatore del Museo del Louvre, al quale venne ceduta nel 1909.
Fu in seguito attribuita alla scuola dedalica cretese e datata tra il 650 e il 625 a.C.
La scultura rappresenta una figura femminile nella posizione dell'offerente (kore, dal greco, significa "ragazza" in italiano), è raffigurata in piedi, con i piedi uniti e con la mano destra al petto in un gesto di preghiera e la sinistra distesa lungo il fianco. Indossa il peplo, stretto in vita da un'alta cintura e con le spalle coperte da una mantellina. La veste era in origine decorata in policromia (tracce di colore rosso sono ancora presenti sul busto), sulla base di un disegno reso con sottili incisioni sulla superficie della pietra.
Secondo lo stile della scultura (scultura dedalica), segue uno schema rigidamente frontale e la struttura corporea scompare nascosta dalla pesante veste. Il volto si presenta di forma triangolare, incorniciato dai due simmetrici triangoli della capigliatura, con grandi occhi spalancati. Conserva la vita sottile delle sculture minoiche, mentre la forma della capigliatura rivela influssi della scultura egizia.
Negli anni novanta alcuni frammenti analoghi scoperti negli scavi di Eleutherna (necropoli di Orthi Petra) hanno contribuito a definirne l'originario luogo di provenienza.


(a destra, un calco con la ricostruzione dell'originaria policromia della scultura presso l'Università di Cambridge)

FRANCIA - Parigi, Louvre / Hera di Samo

 
L'Hera di Samo è una scultura in marmo (h. 192 cm), databile al secondo quarto del VI secolo a.C. e conservata nel Museo del Louvre a Parigi. Si tratta di una delle sculture greche più antiche, dedicata alla dea Hera nel santuario di Samo, da un membro dell'aristocrazia ionica di nome Cheramyes, come indicato dall'iscrizione incisa lungo il bordo del velo (epiblema). Dal 1881 è conservata al Museo del Louvre dove è registrata con il numero di inventario Ma 686.
È una statua acefala, cioè senza testa.
La statua riassume in sé tutte le caratteristiche della scultura ionica: la forma quasi cilindrica della figura viene enfatizzata dalle pieghe verticali e dritte del chitone ionico, mentre il mantello obliquo è animato dal movimento del braccio che viene portato al petto, attributo della dea. Forse anticamente la mano sollevata teneva una melagrana. Nonostante la forma cilindrica, simile a una colonna, i volumi suggeriti dalle vesti eliminano l'idea di immobilità, conferendo alla figura un'aria di ieratica maestà. la struttura compatta è ingentilita dalla sinuosità della linea di contorno.
La mano sinistra, scomparsa, probabilmente teneva un dono votivo, in questo caso si pensa una melagrana.
La κόρη (kòre), che rappresenta la dea Era o una giovane sacerdotessa che reca offerte al tempio della dea, è formata da una base cilindrica sulla quale si posa il busto nascosto da un himation dal quale esce solo un braccio (è pervenuta acefala e senza il braccio sinistro). Le scanalature sul chitone e quelle sull'himation, da cui nasce l'idea della colonna scanalata del tempio greco, mostrano come la luce si identifichi con la materia nel momento del contatto con questa.

FRANCIA - Parigi, Louvre / Vecchio pescatore

 

Il Vecchio pescatore, anche noto come Seneca morente, è una statua realizzata in marmo nero ed alabastro, copia romana del II secolo di un originale ellenistico; la figura è posizionata su di un supporto, di età moderna, a forma di bacino, in breccia purpurea.
L'insieme della statua e del bacino raggiungono l'altezza di 1,83 metri. Rinvenuta a Roma, l'opera è inizialmente menzionata nel 1599 all'interno della collezione della famiglia Altemps; successivamente viene acquistata dal cardinale Scipione Borghese, per poi far parte della collezione Borghese fino al 1807, quando Camillo II Borghese vendette la statua a Napoleone Bonaparte, che la collocò al Museo del Louvre (attualmente si trova nella Salle du Manège).
Il soggetto della statua è identificato come Seneca, precettore dell'imperatore Nerone e costretto al suicidio, anche se con buone probabilità si tratta della rappresentazione di un pescatore, soggetto tipico della statuaria di epoca ellenistica.
L'opera, ampiamente restaurata, fu posizionata su di una superficie color rosso sangue di un catino realizzato in breccia purpurea.
Nel corso del tempo ha conosciuto grande notorietà: Rubens, ad esempio, la considerò riferimento per diverse versioni - con diversi gradi di somiglianza alla scultura - per la realizzazione della sua Morte di Seneca, di cui se ne conservano una al Museo del Prado di Madrid ed un'altra presso l'Alte Pinakothek di Monaco di Baviera. Al Louvre, inoltre, si trova una tela di Luca Giordano del 1684 che riprende lo stesso tema, elaborandolo tuttavia attraverso uno schema differente e posizionando Seneca di profilo.

FRANCIA - Parigi, Louvre / Apollo di Piombino


L'Apollo di Piombino o Kouros di Piombino è una statua in bronzo e rame greco antica alta 115 cm; in stile tardo arcaico, raffigura il dio Apollo come giovane uomo-"kouros", ma potrebbe anche rappresentare un suo devoto mentre sta portando un'offerta. Il bronzo è intarsiato con rame per le labbra, le sopracciglia e i capezzoli del ragazzo. Gli occhi, che mancano, erano di un altro materiale, forse osso o avorio.
È stato rinvenuto nel 1832 a Piombino (per la precisione l'antica "Populonia" romana in Etruria), nella zona portuale appena fuori il punto di sud-ovest ed è stato acquistato per il Museo del Louvre nel 1834. Il suo stile arcaico ha condotto certi studiosi come Reinhard Lullies e Max Hirmer a datarlo almeno al V secolo a.C. e ad ipotizzarne la fattura in Magna Grecia, l'area cultura ellenica del sud Italia.
Kenneth Clark lo ha illustrato in "The Nude" (1956), Karl Schefold lo ha incluso nel suo "Meisterwerke Griechischer Kunst" (1960) e calchi di esso si trovano in sedi universitarie e nelle collezioni museali per motivi di studio. Invece, BS Ridgeway (Ridgeway 1967) ha proposto invece che sia semplicemente una scultura arcaizzante del I secolo a.C., del genere di quelle progettate per rivolgersi ad un pubblico romano con gusti raffinati; un consapevole falso fabbricato in epoca romana, con una falsa iscrizione intarsiata di argento in caratteri arcaici sulla gamba sinistra.
L'iscrizione dedica questo Apollo alla Dea Atena, e ciò risulta essere un'anomalia. I due scultori responsabili non hanno potuto resistere dall'inserire i propri nomi all'interno della scultura, incisi nel piombo; essi sono stati scoperti quando la scultura è stata sottoposta al primo approfondito studio nel 1842. Uno era un certo Tiro emigrato a Rodi. Il sito web del Louvre aggiunge che un lavoro simile è stato rinvenuto nel 1977 a Pompei antica nella villa di C. Giulio Polibio; ciò verrebbe a corroborare l'ipotesi di un pastiche arcaizzante, realizzato per un cliente romano nel I secolo a.C.
Lo studio della scultura greca arcaica negli ultimi decenni si è allontanato dalla pratica tradizionale di identificare le opere sulla base di brevi descrizioni letterarie o di riconoscere il modo caratteristico di alcuni nomi famosi, come risultato di riproduzioni del loro lavoro e di varianti in base al loro stile, per concentrarsi invece sul mondo sociopolitico in cui la scultura è stata creata ed altri criteri meno soggettivi.

FRANCIA - Parigi, Louvre / Tesoro di Boscoreale

 


Il tesoro di Boscoreale è un insieme di 108 pezzi di oreficeria, soprattutto in argento, del I secolo d.C. Fu rinvenuto nel 1895 negli scavi di una villa romana della Pisanella, in contrada Pisanella-Settermini a Boscoreale, attualmente conservato presso il museo del Louvre di Parigi.
Il tesoro è costituito da 108 pezzi e comprende un servizio da tavola quasi completo e tre specchi in argento, più alcuni monili d'oro. Venne rinvenuto il 9 aprile del 1895 presso il lacus del torcularium (ambiente che ospitava il torchio per la spremitura dell'uva) della villa.
Gli scavi della villa erano iniziati nel 1876 ad opera del proprietario del terreno in cui si trovava parte della villa, Modestino Pulzella, ma dovettero essere interrotti in corrispondenza dell'appezzamento confinante, di proprietà di Angelandrea De Prisco. Alla morte di questi nel 1894 i figli vennero autorizzati a riprendere gli scavi nel loro terreno, nei quali rinvennero i preziosi pezzi. Nel maggio successivo alla scoperta i pezzi, esportati clandestinamente [dagli interrogatori effettuati dopo la ricomparsa del tesoro in Francia, risulta che i fratelli De Prisco, aiutati dall'operaio Michele Finelli, avessero eluso la vigilanza durante gli sterri, nascondendo gli oggetti più preziosi man mano che li rinvenivano] in Francia dai fratelli Canessa, antiquari napoletani, furono donati al museo del Louvre dal barone Edmond James de Rothschild, che li aveva acquistati per mezzo milione di franchi. Il barone acquistò nel settembre dello stesso anno altri cinquantaquattro oggetti del servizio da tavola, donandoli ancora al museo, e venne in seguito imitato da altri collezionisti che avevano acquistato altri pezzi del tesoro, mentre i monili d'oro vennero acquistati dall'amministrazione dei musei nazionali. Con la realizzazione di una copia della testa di Agrippina, conservata al British Museum di Londra, l'intero tesoro venne ricomposto ed esposto nella "sala dei gioielli antichi al Museo del Louvre.
Gli scavi della villa furono poi ripresi nel maggio 1896 sotto la vigilanza dell'archeologo Angiolo Pasqui, rimettendo in luce tutto il fabbricato: si trattava di una villa rustica, composta da una pars urbana, cioè la residenza padronale, a nord-ovest, e da una pars rustica, gli ambienti produttivi e di servizio, nella zona orientale. Vi si praticava l'allevamento di animali da cortile nell'aia e la maggior parte degli ambienti al piano terreno erano dedicati alla lavorazione e alla conservazione di olio, vino e cereali. Il tesoro era stato rinvenuto nel torcularium, che al momento dell'eruzione del Vesuvio nel 79, era uno degli ambienti più sicuri della villa: probabilmente il proprietario diede ordine a un uomo di fiducia di occultarlo in attesa di tempi migliori.
Gli oggetti facenti parte del servizio da tavola erano costituiti da molti utensili adatti a mescere e versare il vino, bevanda che doveva essere filtrata dalle spezie prima di essere consumata (mestoli, cucchiai, colini, oinochoi); sono presenti inoltre alcuni vassoi, utilizzati per portare le vivande in tavola, e saliere e recipienti per salse.
Gli oggetti più raffinati sono le coppe per bere, accoppiate generalmente a due a due per tematica decorativa: sono presenti motivi del mondo animale e vegetale, della mitologia, ma anche temi politici (come per le coppe dette "di Augusto" e "di Tiberio") e ironici, come la coppa degli scheletri, che invita il commensale a godersi la vita data la sua brevità. La decorazione di coppe e skyphoi era, nell'ambito del banchetto, un argomento di conversazione. Altri tipi di coppe probabilmente non servivano per bere, ma erano oggetti da esibizione, come la "coppa d'Africa" e due coppe con al centro applicato un busto in rilievo, i ritratti di un uomo e di una donna sconosciuti con un'acconciatura di moda nel 20-40, interpretati come i genitori dell'ultimo proprietario del tesoro, dal nome ignoto.
I tre specchi d'argento, insieme ai gioielli aurei, dovevano appartenere alla moglie del proprietario: tutti e tre presentano tematiche afferenti al mondo della sensualità femminile. Il cosiddetto "specchio di Leda" presenta al centro un medaglione in cui è raffigurata Leda che abbevera il cigno (Giove); il secondo presenta al centro l'immagine di Dioniso con sguardo patetico, e l'ultimo, nonostante il disco sia vuoto, ha il manico a forma di clava che termina in una pelle di leone, chiaro riferimento ad Omphale.

(da Wikipedia, l'enciclopedia libera)

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