Il
cantiere
navale di Stifone è un sito archeologico, si suppone di
origine addirittura Etrusca, rinvenuto nel 1969 in Umbria, in
località Le Mole del comune di Narni (TR),
all'interno di un canale artificiale adiacente al corso
del Nera, circa 900 metri più a valle rispetto alla frazione di
Stifone. La sua posizione è a ridosso di quello che era forse il
porto fluviale dell'antica Narnia.
Alcuni di questi resti sono ancora
visibili nell'alveo del fiume.
Il prof. Alvaro Caponi, docente,
artista e appassionato di archeologia, che si è occupato di numerose
ricerche effettuate in loco, tiene a precisare come l'origine del
sito non possa che essere addirittura anteriore alla fase romana:
troppi indizi ed elementi storici inducono a pensare come tutta
l'opera, la propria minuziosa e ricercata collocazione strategica
(lontano dal mare, lontano da attacchi nemici), fossero in origine
frutto dell'ingegnosa inventiva del popolo etrusco.
Elementi a suo dire a favore delle
origini etrusche del sito archeologico:
- la presenza di grosse pietre
informi, dalla facciata spianata, assemblate con pochissima malta,
senza l'impiego dell'"opus caementicium" caratteristico
viceversa delle costruzioni romane;
- lo studio della funzione
idrodinamica del Porto che per la sua geniale complessità e
funzionalità è attribuibile plausibilmente all'ingegneria
idraulica etrusca;
- il ritrovamento di numerose
antiche e pesanti ancore di pietra evidentemente dismesse in epoca
romana e la cui produzione ed utilizzo erano attribuibili secondo
Plinio il Vecchio al popolo Etrusco;
- la presenza di un bacino
idrografico tra i più grandi d'Italia fatto di centinaia di
rigagnoli, sorgenti, veri e propri fiumi sotterranei dalla
provenienza ancora sconosciuta che concorrono ad alimentare la
portanza del fiume Nera in quel preciso punto, rendendolo navigabile
proprio prima della sua confluenza nel fiume Tevere nei pressi di
Orte, sulla direttrice fluviale per il mar Tirreno;
- la protezione strategica offerta
dalle sovrastanti "gole" dal taglio fendente, così come
l'abbondanza di legname adatto alla produzione cantieristica navale
presente e disponibile nelle rigogliose foreste delle montagne
circostanti (Teofrasto racconta come gli Etruschi abbattessero nelle
foreste alberi talmente alti che il solo tronco bastava a fabbricare
la chiglia di una grande nave);
- la chiara citazione di Virgilio
quando nel libro VII, 716 dell'Eneide (le cui vicende sono collocate
intorno al sec. XIII a.C.), parla della necessità del Re Turno
(sentitosi minacciato dall'approdo di Enea nelle coste laziali) di
far giungere nel luogo della battaglia, in soccorso delle proprie
truppe, una flotta di navi partite da Orte ("hortiniae
classes"): difficile pensare, in tale contesto storico-poetico,
a luogo più adatto del Porto-cantiere di Stifone, posto nelle
immediate vicinanze di Orte, per assemblare, nascondere e preparare
alla battaglia navi da guerra che giungessero, eventualmente, in
soccorso di Turno ed avessero facile accesso al mare.
- Pertanto, niente vieta secondo lo
stesso Caponi che lo stesso Cantiere navale, oltre al Porto, sia di
origine etrusca e che anch'esso sia stato successivamente utilizzato
dai Romani, ai quali, in questo caso, si sarebbe presentata solo la
necessità di eseguire lavori di ristrutturazione con l'utilizzo
successivo anche dell'"opus caementicium".
Tali ipotesi sono del tutto ipotetiche
e prive di riscontri scientifici debitamente accertati.
Già prima del rinvenimento, la
storiografia locale aveva supposto l'antica presenza di una simile
struttura, riprendendo dei racconti popolari tramandatisi nel corso
dei secoli. Afferma in proposito il primo sindaco della
Narni liberata, Rutilio Robusti:
«
L'origine della parola "Stifone"
è greco-pelasgica e servì per indicare una località dove
si dovevano costruire e varare delle barche o zattere di legname per
essere inviate verso Roma o altrove, per poi servire a costruzioni
navali di mole maggiore» (Rutilio Robusti, Narni, guida
della città e dintorni, 1924)
L'idea era stata poi ripresa da altri autori, quali Italo
Ciaurro e Guerriero Bolli, il secondo associando il
cantiere al periodo bizantino (V-VI secolo d.C.).
Non supportata dalle evidenze, quella
di una struttura cantieristica era rimasta comunque una storia poco
indagata, così da non potersi stilare un quadro conoscitivo che
andasse oltre la semplice menzione. Quindi, prendendo alla lettera la
citazione di Robusti e seguendo i dettami della logica tutto lasciava
ricondurre ad un sito atto alla costruzione di zattere fluviali,
destinate al trasporto delle merci o delle persone. Però, una volta
avvenuto il ritrovamento e constatate le significative dimensioni
dell'opera (nonché lo sforzo umano che si intuisce dietro alla sua
realizzazione), il campo ha lasciato immediatamente spazio ad altre
letture più suggestive: tra le più interessanti troviamo quella di
un collegamento con i fatti bellici di Roma legati alle Guerre
puniche (III-II secolo a.C.).
Che il Nera
venisse anticamente navigato, come tramite per i trasporti del
comprensorio umbro verso Roma, lungo la via naturale che prosegue ad
Orte con il fiume Tevere, si ricava dalle testimonianze di autori
classici quali Strabone e Tacito. Il geografo greco
fa riferimento a "imbarcazioni non di grosse dimensioni",
lo storico latino descrive invece nel dettaglio il viaggio del
console Gneo Calpurnio Pisone e di sua moglie Plancina che,
nel 19, di ritorno a Roma dalle province della Siria, decidono di
lasciare la Via Flaminia e di imbarcarsi appunto a Narni.
«
A partire da Narni, per evitare
sospetti o perché chi teme è incerto nei suoi disegni, seguì il
corso del fiume Nera e poi del Tevere. E accrebbe ancor più il
risentimento popolare, perché, approdati con la nave presso la tomba
dei Cesari, in pieno giorno e con la riva gremita di gente, si fecero
avanti, allegri in volto, lui tra uno stuolo di clienti e Plancina
con il suo seguito di donne» (Tacito, Annales, III, 9)
Quando si parla di navigabilità ci si riferisce tuttavia
generalmente solo all'ultimo tratto del fiume, compreso fra Stifone e
la confluenza del Nera con il Tevere. Le strette gole sotto Narni
rendono infatti impossibile tale pratica, per quanto alcuni autori
avessero ipotizzato la presenza di un antico punto per l'imbarco già
a partire dalla città di Terni. Di una simile struttura si
ha invece notizia certa relativamente all'altra frazione narnese
di Guadamello, qualche chilometro a valle lungo il fiume
rispetto a Stifone: qui esisteva uno scalo fluviale detto porto di
Santa Lucida, citato dalle Riformanze Narnesi del 1533.
Grazie ad un contributo lasciato nel
XVI secolo dal gesuita Fulvio Cardoli si hanno le coordinate
geografiche dell'antico porto fluviale di Narni, le cui vestigia
erano ancora visibili ai suoi tempi, come dimostrano queste parole:
«
Lunge da questo luogo circa mille
passi più in là di Taizzano dicemmo essere un tempo esistito un
porto alla ripa del Nera qualmente dimostrano alcuni vestigi...» (F.
Cardoli, Ex notis Fulvij Carduli S.J. presbyteri Narniensis de
Civitatis Narniae, Origine et antiquatibus)
Ed è ancora
in tale posizione che viene accertato da un informatore del marchese
Giovanni Eroli nel 1879, in occasione di un suo carteggio con il
primo bibliotecario di Terni, Ettore Sconocchia, che aveva come
riferimento proprio la navigabilità del fiume Nera. Dal resoconto
si evince tuttavia come i suoi resti fossero da considerarsi di
scarsa significatività (due grossi pilastri per legarvi le barche).
Della precisa posizione del porto non
si parla più nei contributi successivi, tanto da ritenerlo
tacitamente sommerso dopo l'innalzamento del fiume avvenuto a causa
della costruzione di dighe, di cui consistente quello avvenuto nel
1939 per opera della Soc. Valdarno. I resti del porto, a differenza
di quanto si riteneva, sono però rimasti sempre lì dove erano stati
visti dal gesuita e segnalati al marchese Eroli.
Verso la fine degli anni Sessanta il prof. Alvaro Caponi, dopo avere
acquistato un vecchio molino sul fiume Nera, in località Le Mole (a
Nera Montoro di Narni), si accorse, dopo una piena invernale, che il
fondale del fiume si era ripulito lasciando affiorare una grossa
struttura in pietra sulla sponda destra, che egli fotografò nel
1969. Il prof. Caponi pensò subito che si trattasse dei resti del
porto fluviale citato da Fulvio Cardoli, porto che non poteva essere
cercato più a monte dove il fiume, restringendosi in piccola
cascata, diventa impetuoso e non navigabile. Nel 1992 l'archeologo
locale e speleologo Roberto Nini e, qualche anno dopo,
Daniela Monacchi, in qualità di Soprintendente archeologico
dell'Umbria, nomineranno il porto, riportando le indicazioni di
Cardoli, in un'ottica più contestualizzata alla storia del
territorio. Del resto Fulvio Cardoli aveva fornito delle coordinate
precise, dicendo: “
[…] Esistono ancor oggi, in ripa ad esso
fiume, passato il Castel di Taizzano, un tre miglia da Narni, alcune
vestigia del porto, dove alfin la Nera, dopo aver lottato,
strettamente rinchiusa tra mezzo altissimi monti, contro l'impaccio
degli scogli e de' sassi del suo letto, incomincia a sostenere le
barche, ed ivi veggonsi pure i ferrei anelli impiombati nel vivo
sasso, ai quali siccome a palo ferrato legavansi le barche […]”.
Dopo il ritrovamento del 1969, Roberto Nini inizialmente ipotizzò
che si trattasse dei resti di un antico molino, ma incoraggiato dal
ritrovamento delle strutture verosimilmente portuali, continuò
l'esplorazione dei luoghi adiacenti, indagando là dove il gesuita
Cardoli non si era spinto perché “
alcuni strati di acque stagnanti
impedivano di fare innanzi”. Queste ricerche lo portarono a
scoprire un'altra area archeologica che, per la vicinanza al porto e
per le sue caratteristiche, si configurava come un cantiere
navale, vicino al quale, sulla opposta sponda del fiume, era
situata una cava laboratorio per ancore in pietra. La notizia del
ritrovamento del porto e del cantiere navale venne divulgata (gennaio
1992) e riproposta (aprile 1997) dall'emittente locale ternana “Tele
Galileo” nel corso di due trasmissioni condotte da Wilma Lomoro a
cui partecipò lo stesso prof. Caponi. A gennaio del 2006, nel corso
di un'ulteriore trasmissione, viene annunciata l'imminente
pubblicazione (aprile 2006) del volume I segreti del porto
etrusco e il cantiere navale di Narnia, in cui Alvaro
Caponi raccoglie e documenta i risultati di anni di studi.
Nel 2006 è
nata l'associazione culturale Porto di Narni Approdo d'Europa con lo
scopo di porre il sito archeologico all'attenzione delle istituzioni.
Il 29 gennaio 2006 sono intervenute sul posto le telecamere di Rai 3
Umbria, mentre il 26 marzo 2006, in una visita guidata ai reperti
organizzata dai soci, anche il sindaco di Narni Stefano Bigaroni ha
voluto accertarsi di persona circa l'entità del reperto. Gli studi
condotti dai volontari, con l'avallo di alcuni esperti
dell'Università degli Studi di Perugia per conto di una casa
editrice, hanno poi faticato per reperire i fondi necessari per la
pubblicazione. Nel febbraio del 2012 è stata pubblicata una ricerca
scritta da Christian Armadori, con l'obiettivo di stimolare il
recupero dell'area archeologica e di incentivare gli studi sul luogo.
I resti si trovano all'interno di un canale artificiale scavato nella
roccia, lungo circa 280 m, un tempo unito al fiume Nera, a monte ed a
valle, come rilevano alcune mappe catastali. Si tratta di due pareti
tagliate, opposte e distanti l'una dall'altra circa 16,5 m, che
presentano una serie di buchi squadrati su tre file, per un totale di
30 incisioni a parete secondo le misurazioni effettuate sul posto da
chi si era preso cura di ricostruirne il disegno (sono 27 in totale
quelli ancora visibili). La funzione di tali fessure è stata
interpretata facendo riferimento al bisogno di stabilità
dell'imbarcazione in fase di assemblaggio, potendo fare da incassi
per l'inserimento laterale di puntelli a sostegno. Intervallandosi i
buchi per circa 13m a parete, e considerando come la puntellatura non
riguarderebbe prua e poppa (ovvero le parti più sottili di
un'imbarcazione), le misure sono parse piuttosto consistenti per dei
semplici zatteroni fluviali, tanto più considerando la notevole
distanza tra una parete e l'altra. Si è preferito finora adoperare
prudenza nel parlare di quinqueremi o triremi romane
senza avere i necessari raffronti, specie se si considera come
neppure gli storici abbiano stabilito con esattezza la misura di tali
navi da guerra. Si è tuttavia concordi nel parlare di imbarcazioni a
ridotto pescaggio quindi potenzialmente adatte per
discendere l'ultimo tratto del fiume Nera, copiosissimo, prima di
gettarsi nel Tevere. Le ragioni di una struttura cantieristica
piuttosto lontana dal mar Tirreno, ma comunque ad esso ben
collegata attraverso la via d'acqua, si rifanno invece all'abbondanza
di materie prime offerte dal territorio dell'Umbria (legname di
diversa qualità), con il comprensorio narnese caduto sotto la
dominazione romana già dal 299 a.C. È interessante poi constatare
come gli autori classici del periodo, incluso quel Polibio da
ritenersi lo storico per eccellenza delle Guerre puniche, non
abbiano fornito grosse indicazioni rispetto alla posizione dei
diversi arsenali romani. L'esigenza di sicurezza potrebbe collegarsi
alla scelta di costruire imbarcazioni nell'entroterra, senza quindi
esporsi alle potenziali minacce nemiche dal mare. Ed è difatti
all'interno della città di Roma, nella zona del Campo
Marzio, che gli storici moderni pongono la collocazione dei
"Navalia", dovendosi ritenere che quella di Stifone,
laddove venisse confermata una qualsiasi attinenza con quel periodo,
possa essere stata solo una delle diverse strutture cantieristiche
utilizzate all'epoca. Noto peraltro quanto fu imponente lo sforzo
bellico che nel 261 a.C. vide la flotta romana scendere sul mare a
combattere contro Cartagine nella prima guerra punica.
Doveroso però ribadire come, per alcuni aspetti della scoperta, si
tratti al momento di ipotesi generalmente condivise ma ancora al
vaglio.
Che la zona a ridosso del porto romano avesse potuto ospitare in
passato un certo insediamento abitativo era emerso da tutta una serie
di reperti venuti alla luce dai terreni circostanti. Nel 1914 venne
accertata la presenza nei pressi di un antico bagno
termale (l'area è ricchissima di sorgenti), mentre due lapidi
vennero rispettivamente in superficie poco distanti nel 1850 e
nel 1970 Ad avvalorare l'importanza che dovette avere la
zona in epoca romana ha inoltre contribuito la scoperta, ad opera di
A. Caponi nel maggio 2007, di una cisterna lunga circa 25 metri,
proprio a poca distanza dal Cantiere e che in antichità i
Romani considerassero quella specifica parte dell'Umbria pure per la
sua importanza strategica lo rivela un passo di Tito Livio da
riferirsi all'anno 207 a.C. Intercettata una corrispondenza
tra Asdrubale Barca e suo fratello Annibale Barca,
le legioni decisero di sbarrare il passo al nemico nelle
vicinanze di Narni, dovendosi ritenere che il fatto avvenne nelle
immediate prossimità del Cantiere Navale viste le indicazioni
geografiche fornite dall'autore
«
Due cavalieri di Narni erano giunti
dalla battaglia nell'accampamento collocato all'ingresso della
stretta che si apre sull'Umbria» (Tito Livio, Ab Urbe condita
libri, XXVII)
La stretta gola che si apre sull'Umbria
è infatti proprio quella alle spalle dell'area archeologica, la cui
ubicazione è esattamente allo sbocco di essa.
I resti archeologici del Cantiere
Navale, nonostante gli appelli, si trovano ancora oggi in stato di
abbandono, avvolti dalla vegetazione e circondati da acque stagnanti,
con il rischio che la testimonianza possa subire ulteriori danni che
ne mettano a repentaglio la già parziale integrità. L'area,
soggetta peraltro al rischio di piene improvvise, vista la presenza
di dighe più a monte, è di proprietà della multinazionale
dell'energia Endesa Italia: l'organizzazione di eventuali visite
guidate deve sottostare quindi al rilascio di particolari permessi
per l'accesso all'area di proprietà privata. Inoltre, tutta la zona,
interessata in epoca medievale da una fiorente industria basata sui
mulini ad acqua, sia stata fortemente stravolta nella sua originaria
natura.