martedì 29 luglio 2025

Sicilia - Akrai

 


Akrai fu una sub-colonia greca edificata in Sicilia nel 663 a.C. dai Siracusani. Sorgeva nei pressi dell'attuale Palazzolo Acreide.
Akrai fu la prima colonia di Siracusa, fondata da Corinzi giunti nei territori siciliani; dopo Akrai, sita nei pressi di Pantalica, ci furono Casmene (avamposto militare sul monte Lauro), fondata nel 643 a.C., Akrillai (sulla strada per Gela) e Kamarina, la più lontana delle colonie, fondata nel 598 a.C.
Costruita in cima ad un colle, Akrai era difficilmente attaccabile e al tempo stesso costituiva un punto ideale per vigilare sui territori circostanti. Grazie all'importanza della sua posizione strategica, la città si sviluppò fino a raggiungere il massimo splendore sotto il regno di Gerone II (275 a.C.-215 a.C.). Fedele a Siracusa, ebbe però vita politica, amministrativa e militare autonome, al punto che un suo esercito intercettò quello di Nicia (421 a.C.) nel Val di Noto o nella Valle dell'Anapo e contribuì alla sua sconfitta.
Nel 211 a.C., dopo la caduta di Siracusa, passò a far parte della provincia romana, assumendo il nome latino Acrae; in seguito passò sotto il dominio bizantino fino all'invasione araba.
La cittadina fu completamente distrutta dagli Arabi nell'827 e il sito, rimasto abbandonato, pian piano venne ricoperto da terriccio e vegetazione spontanea scomparendo alla vista e venendo dimenticato per quasi otto secoli.
Il primo studioso a individuare il sito della città scomparsa fu nel XVI secolo lo storico siciliano Tommaso Fazello; ma fu il barone Gabriele Iudica, che all'inizio del XIX secolo intraprese i primi scavi archeologici nel sito di Akrai e descrisse le sue ricerche nel libro Le antichità di Acre, pubblicato con la data del 1819.
Gli scavi successivi della città arcaica hanno riportato alla luce il Teatro, di piccole dimensioni, ma in ottimo stato di conservazione; la scoperta fu annunciata da Gabriele Iudica nel 1824. Sulla parte posteriore sorgono due latomie, cave di pietra, denominate Intagliata e Intagliatella, della metà del IV secolo a.C.. Sul pianoro sopra la latomia dell′Intagliata si trovano i blocchi di base dell′Aphrodision, il Tempio di Afrodite, eretto nel VI secolo a.C. Sul lato occidentale sorge il Bouleuterion, dove il consiglio cittadino si riuniva, scoperto sempre da Iudica nel 1820. Ad est del colle sorgono i Templi Ferali dedicati al culto dei morti.
Da ricordare pure i notevoli lavori compiuti da Luigi Bernabò Brea nel secondo dopoguerra.

Sicilia - Teatro di Hippana

 


Il teatro di Hippana è un teatro di età ellenistica dell'antica città di Hippana sito nell'area archeologica di Prizzi, comune italiano della città metropolitana di Palermo in Sicilia. Il teatro risale alla seconda metà del IV secolo a.C.; fu distrutto nel 258 a.C., anno del saccheggio della città di Hippana da parte dei Romani nell'ambito della prima guerra punica.
I resti dell'orchestra e la parte inferiore del koilon (52 metri di diametro) sono stati messi in luce grazie agli scavi svolti dalla Soprintendenza di Palermo nel 2007. L'edificio è posto a 1 007 metri di altezza sulla montagna dei Cavalli, all'esterno delle fortificazioni dell'acropoli della città: detiene, pertanto, il primato dell'altitudine tra tutti i teatri del mondo greco.

Sicilia - Teatro di Monte Jato

 

Il Teatro di Monte Jato è un antico teatro della Sicilia posizionato in provincia di Palermo, nel comune di San Cipirello. È inserito nel sito archeologico di Iaitas.
Venne costruito alla fine del IV secolo a.C. in un luogo già abitato dagli Elimi. Il teatro aveva probabilmente come modello il teatro di Dioniso, edificato ad Atene all'inizio del secolo precedente.
Molti elementi furono utilizzati per la costruzione di edifici attigui o sovrastanti il complesso, che sarà infatti sepolto dalla rete viaria: in età romana una casa fu addossata al portico esterno dell'edificio, mentre furono gli Arabi a costruire un rione abitativo sulla cavea.
Come consueto negli antichi teatri fra i greci, il teatro di Monte Jato aveva una caratteristica forma semicircolare: la cavea divisa in sette settori e solcata da otto scalinate era composta da 35 gradinate e sfruttava il pendio naturale fornito dal versante dell'omonimo monte, offrendo così la capienza di 4.500 posti a sedere. Anteriormente erano poste delle gradinate riservate agli ospiti d'onore, quali ambasciatori, sacerdoti, politici: solo queste presentavano lo schienale e si pensa fossero decorate. Nella struttura era presente un sistema per lo scolo dell'acqua piovana.
L'edificio scenico vero e proprio, munito di parasceni laterali, risulta essere l'elemento meglio conservato nonostante le numerose ristrutturazioni subite: la prima venne effettuata verso il 200 a.C., mentre l'ultima risale al I secolo d.C. Durante gli scavi all'interno dell'edificio scenico sono stati trovati rinvenuti numerosi pezzi di pavimento provenienti dal piano superiore e tegole rotte.


Sicilia - Teatro di Morgantina

 

Il Teatro di Morgantina è un edificio teatrale risalente all'epoca greca sito in provincia di Enna. Il teatro era stato edificato dal ricco cittadino Archela figlio di Eukleida e da questi consacrato a Dionisio, come si legge su un'iscrizione. L'attuale cavea del teatro fu costruita nel III sec. a.C. dove già sorgeva un altro edificio teatrale, di dimensioni più ridotte.
Dopo i primi ritrovamenti, risalenti al 1956 e al 1959 e consistenti in due pezzi di muro, iniziarono gli scavi sul luogo: nel 1960 vennero rinvenuti gli analemmata del teatro e i resti di un edificio scenico sotto la guida di Erik Sjöqvist dell'Università di Princeton. È questi a realizzare i primi sopralluoghi sul sito, datando il teatro ai primi anni del governo di Agatocle: l'iniziale ipotesi (310 a.C.) è stata però ritenuta in seguito scorretta e si può ipotizzare che esso sia invece stato edificato da Ierone II. L'edificio è stato ristrutturato sia a partire dal 1963 sia a partire dal 2003.
Il teatro fa parte di un grande complesso collegato all'agorà. La cavea, costruita in pietra calcarea, raggiunge il diametro di 57,70 metri. Era suddivisa in due settori: uno inferiore, costituito da sedici ordini di sedili, e uno superiore, in terra battuta. Poggia su uno spiazzo in leggera pendenza del dorsale roccioso, che venne rinforzato con materiale di riporto (sabbia e da terra). Questo materiale era contenuto dalle spesse mura, il cui peso era sostenuto da contrafforti.



Sicilia - Catania, Teatro romano

 

Il teatro romano di Catania è situato nel centro storico della città etnea, tra piazza S. Francesco, via Vittorio Emanuele, via Timeo e via Teatro greco. Il suo aspetto attuale risale al II secolo ed è stato messo in luce a partire dalla fine del XIX secolo. A est confina con un teatro minore, detto Odeon. Di un teatro a Catania si fa riferimento nelle fonti classiche in merito alla consultazione delle polis siceliote da parte di Alcibiade, che tenne nel 415 a.C. un discorso all'assemblea civica riunita appunto nel teatro. Di questo teatro però non era chiara l'ubicazione e la tradizione tendeva a identificarlo con il teatro di età romana oggi visibile. Tale associazione diede adito a numerose fantasticherie sull'edificio, al punto che è ancora oggi chiamato Tiatru grecu dalla comunità locale, mentre la strada che lo costeggia a nord è chiamata via Teatro Greco. Ciò che ha dunque mosso gli studiosi dell'edificio sin dai primi lavori di sgombero delle strutture antiche è stato anche il quesito se il teatro delle fonti fosse il medesimo che si ammira oggi, ossia se su una preesistente struttura greca possa essere nata la struttura romana. Per un certo periodo venne persino messo in dubbio che potesse esistere davvero un teatro in epoca greca a Catania e che si trattasse di una errata traduzione delle fonti ad aver generato la credenza di detto edificio. Diverse quindi le ipotesi a favore dell'identificazione del teatro romano con quello greco: la posizione alla base di una collina a differenza dell'usanza romana di edificare in pianura o la scena rivolta verso il mare. Sul monumento però le fonti sono piuttosto silenti e ne tacciono le vicissitudini storiche: per capirne quindi la storia si fa ricorso ai ritrovamenti archeologici che gettano un po' di luce sull'edificio.
Le fasi più antiche testimoniano la presenza di un edificio teatrale costruito con grossi blocchi di pietra arenaria con lettere in greco in pianta rettangolare, un tipo di planimetria più diffusamente ellenistica. Tale struttura, già identificata negli anni 1884 e 1919 e attribuita a un teatro greco di V-IV secolo a.C., potrebbe essere propriamente il teatro in cui Alcibiade tenne il discorso ai Katanaioi per convincerli ad allearsi con Atene contro Syracusae.
Il teatro di epoca greca venne dunque restaurato nel corso del I secolo, probabilmente a seguito dell'elezione a colonia romana di Catania, avvenuta ad opera di Augusto. A questo periodo appartengono un rifacimento della cortina quadrangolare con la sostituzione dei blocchi in arenaria mancanti con conci lavici squadrati, l'aggiunta della scena e le gradinate più antiche dell'edificio.
Nel corso del II secolo, forse a seguito di finanziamenti ottenuti da Adriano, assistiamo a un progressivo processo di monumentalizzazione dell'area che coinvolge anche le vicine strutture termali e numerosi edifici cittadini (tra cui anche l'anfiteatro). A questo periodo risale il plinto conservato nel museo civico al Castello Ursino, in cui è rappresentata una vittoria che incorona un trofeo su un lato e dei barbari resi schiavi a lato; tale plinto potrebbe rappresentare una vittoria sui Germani di Marco Aurelio o di Commodo. Le tracce della monumentalizzazione si notano anche nell'assunzione di una pianta emiciclica dell'edificio, la realizzazione di un proscenio decorato da lussuosi marmi, l'ampliamento della scena e la realizzazione di due massicce torri laterali, atte a ospitare le scale d'accesso ai diversi piani dell'edificio. La struttura si dota in questo periodo di numerosissimi elementi architettonici, tra fregi, statue, bassorilievi e colonne, in passato spesso trafugati o raccolti ed usati come materiale da costruzione per gli edifici della città barocca, come ad esempio per la facciata della Cattedrale di Sant'Agata.

Caduto in declino e abbandonato nel corso del VI e del VII secolo come per molti altri edifici monumentali di età classica, venne presto sfruttato per ricavarne modeste abitazioni già dall'Alto Medioevo. L'area dell'orchestra fu interessata da una macelleria bovina, mentre lentamente e inesorabilmente le strutture venivano intaccate e scavate per ricavarne nuovi edifici.
Nonostante le dure manipolazioni nel corso dei secoli, tra cui l'aggiunta nel XVI secolo di piccole stradelle che tagliavano il monumento da parte a parte, l'emiciclo dell'ultimo ambulacro era perfettamente leggibile dall'esterno e tale veniva riprodotto dai cartografi cinque e secenteschi. Il terremoto del Val di Noto del 1693 rovinò molte abitazioni che erano nate sulla cavea, le cui macerie vennero sfruttate per realizzare le fondamenta di nuove abitazioni. Nel XVIII secolo viene eretta la via Grotte, i cui archeggiati sono ancora visibili a testimonianza della sua esistenza, che tagliava in senso sud-nord l'edificio, mettendo in comunicazione la strada del corso (oggi via Vittorio Emanuele II) con lo spiazzo alle spalle del teatro. La strada, come si nota da alcune fotografie precedenti al suo abbattimento, era in comunicazione con alcune stradelle minori e persino una piazza, ricavate sulla cavea tra il XVIII e il XIX secolo.
Sul finire del XIX secolo il proprietario del palazzo che si addossa all'adiacente odeon, il barone Sigona di Villermosa, fece abbattere l'ultimo fornice del medesimo odeon, per ampliare il suo immobile. Questo increscioso avvenimento mobilitò la Soprintendenza alle Antichità per la Sicilia Orientale, all'epoca diretta da Paolo Orsi, che adottò il pugno duro nei confronti di chi abitava sopra i due teatri e avviò una campagna di esproprio e liberazione delle antiche strutture mai del tutto completata. Da un primo sgombero della fine dell'Ottocento che interessò quasi esclusivamente l'odeon, si riprese solo negli anni cinquanta del XX secolo in misura massiccia l'opera di sgombero, interrotta dopo una ventina d'anni. Una campagna di scavo venne condotta nei primissimi anni ottanta che restituì nel 1981 l'ingresso orientale degli attori, costituito da una scaletta e un accesso trabeato, realizzato in grossi blocchi di pietra lavica.
Dalla seconda metà degli anni novanta venne riaperto il cantiere di scavo, con un obbiettivo diverso da quello che aveva caratterizzato i lavori fin lì condotti. Il servizio per i Beni Archeologici della Soprintendenza BB. CC. AA. di Catania, sotto la direzione della dottoressa Maria Grazia Branciforti, ha infatti intrapreso una nuova serie di campagne di scavo, demolizione atto allo sgombero, rifunzionalizzazione e restauro di ciò che rimane ancora ingombrato del monumento con la finalità di conservare alcuni edifici rappresentativi del proprio periodo, sorti sul teatro e ritenuti utili testimoni della storia del monumento e della città successivi all'abbandono della funzione teatrale della struttura. Sotto quest'ottica infatti sono nati gli ambienti allestiti per ospitare l'Antiquarium regionale del Teatro Romano, con sede in Casa Pandolfo (del Settecento) e nella Casa Libérti (realizzata nel secolo successivo su una struttura del Cinquecento di cui rimangono due eleganti portali), situata nella zona nord-est della summa cavea. Dagli anni settanta fu utilizzato per spettacoli estivi, ma questo utilizzo fu abbandonato dal 1998, quando gli fu preferito l'anfiteatro del Centro fieristico le Ciminiere. Attualmente è quasi interamente visitabile ad eccezione delle parti ancora in restauro e degli approfondimenti in corso sulle vestigia greche che si stanno esplorando.
Il Teatro di epoca romana, ben visibile nel tessuto urbano della città medioevale, venne studiato per primo dal Bolano e dal Fazello, trattato dai vari autori secentisti che si occuparono delle antichità di Catania, così come da Vito Maria Amico. La prima vera indagine archeologica compiuta in un'area adiacente al Teatro venne compiuta nel XVIII secolo dal principe Ignazio Paternò Castello, che in anticipo sui tempi sperimentò nell'area est - forse perché costretto dalla situazione - la trincea di scavo e ad occidente ricolmò lo scavo con il materiale di risulta dello stesso, rendendolo riconoscibile per le future indagini, probabilmente perché - come egli stesso avrà modo di scrivere in proposito - intenzionato a completare le indagini archeologiche qualora ne avesse avuta l'occasione. Lo scavo occidentale mise in luce un lastricato romano che chiudeva nella scala d'accesso orientale dell'edificio, un monumentale arco che venne prontamente rilevato da Sebastiano Ittar, che ne realizzò un rilievo su lamina di rame oggi esposta al Museo civico.
Alla fine del XIX secolo Adolf Holm ne visita la struttura e ne ipotizza per primo la capienza di 7000 persone, un dato poi non più verificato, ottenuto da un calcolo relativo alle dimensioni dell'edificio che poté desumere all'epoca, mettendole a confronto con gli edifici teatrali a lui noti. Nello stesso periodo inizia la lunga opera di sbancamento delle abitazioni che alterarono la natura dell'edificio, coronata nel 1884 dal ritrovamento di un muro in pietra arenaria identificato con parte dell'antico teatro greco delle fonti e successivamente nella campagna del 1919-1920 col rinvenimento di blocchi cui era incisa la sigla KAT, interpretata come l'abbreviazione di Katane, antico nome della città.
Durante gli anni cinquanta vennero compiuti i più impegnativi lavori di sbancamento sotto la direzione di Guido Libertini che riportarono alla luce gran parte della cavea, partendo dal settore orientale, e restituirono una grande quantità di marmi decorativi, accatastati man mano che si procedeva lungo il corridoio nord. Gli scavi, interrotti durante il ventennio successivo, ebbero seguito a partire dal 1980 nel settore orientale e in diversi punti della cavea, oltre che focalizzati sull'orchestra per liberarla dai detriti e dal materiale di crollo del sisma del 1693. In quest'ultima zona si rinvenne un frammento della testa di Marco Aurelio, completata grazie ad un secondo frammento rinvenuto durante la campagna dei primi anni 2000. In quest'ultima campagna, iniziata nel 1998, si sono liberate ampie porzioni del settore occidentale e nel contempo è stato predisposto un percorso visite, preservando diversi ambienti sorti sull'edificio per ricavarne uffici amministrativi o sale espositive. Gli scavi, condotti dall'allora soprintendente ai BB.CC.AA. Maria Grazia Branciforti, hanno anche permesso di conoscere meglio l'edificio nel suo rapporto con la città e con la storia, nel suo evolversi nel tempo e nello spazio, mettendo in luce anche le parti più antiche dell'edificio, quali ad esempio un ambiente chiuso creato con gli stessi blocchi in arenaria siglati kat che hanno permesso di datare meglio le strutture sfruttate dal teatro romano al IV secolo a.C., piuttosto che al V come si credette nel 1919. Inoltre si è potuta ricostruire l'estensione del primo impianto e identificare l'area sacra del tempio cui il teatro era legato.
Con gli ultimi scavi degli anni 2014-2015, diretti da Fabrizio Nicoletti, è stato del tutto liberato l'atrio orientale con la facciata d'ingresso su piazza San Francesco, è stata restaurata la cavea, e, sul lato esterno nord, è stata messa in luce una sequenza stratigrafica di epoca neolitica ed eneolitica.
La struttura teatrale visibile appartiene alle grandi costruzioni del genere di epoca antonina, composta da una complessa scena, originariamente decorata da colonne marmoree in seguito resa monumentale con l'aggiunta di nicchie e finti ambienti prospettici che dovevano creare l'illusione di una più vasta profondità, un pulpitum riccamente strutturato e decorato da marmi, l'orchestra dal diametro di circa 22 metri originariamente rivestita in opus sectile con una fantasia di cerchi inscritti in quadrati, danneggiata più volte e restaurata un'ultima volta malamente nel IV secolo, e sovente allagata da una polla di acqua sorgente scambiata in passato con l'Amenano, i due parodoi fortemente rovinati dai lavori effettuati per ricavarne ambienti e persino scarichi per le acque nere, una delle carceris resa nel XVIII secolo una palazzina privata, l'ampia cavea dal diametro di 98 metri costituita da ventuno serie di sedili, divisi orizzontalmente da due praecinctiones e verticalmente da nove cunei e otto scalette. Le due precinzioni separano le tre parti della cavea: ima (poggiata direttamente sul declivio del colle Montevergine), media e summa (queste ultime messe in comunicazione dagli ambulacri che si aprono verso l'esterno tramite diversi vomitoria ai vari cunei e tra loro con un fitto sistema di scale).
Gli ambienti scenici erano riccamente decorati da marmi, tra colonnati, statue e bassorilievi con un repertorio iconografico legato al mondo mitologico quanto alla celebrazione di eventi o personalità pubbliche. Tra le figure a carattere mitologico spicca il gruppo scultoreo della Leda col cigno copia romana di un originale del 360 a.C. di Timotheos, mentre tra gli ornamenti funzionali del teatro una lastra di marmo bianco rappresentante un delfino, ritenuto quale bracciolo per un seggio d'onore o più probabilmente (vista la certa presenza di almeno altri due delfini identici immortalati dalle foto degli anni trenta) divisori per segnalare la zona riservata al pubblico più importante. In marmo bianco erano pure i rivestimenti dei sedili, costruiti in blocchi di arenaria per la ima cavea e in opus coementitium per le altre due cavee, i quali dovevano creare un singolare aspetto cromatico con il nero delle otto scalinate in pietra lavica. Molti elementi decorativi vennero trafugati o adoperati per la realizzazione della cattedrale del 1094, dove ancora si possono notare alcuni capitelli, colonne o elementi decorativi in marmo. Secondo la ricostruzione di Sebastiano Ittar le colonne - numerose - dovettero costituire un loggiato sulla sommità della scalea, analogamente al teatro antico di Taormina, esemplare più grande e reso famoso dai viaggiatori del Grand Tour. All'esterno si aprivano diversi accessi, molti dei quali sono oggi liberi sebbene non praticabili a causa della mancanza delle scale, chiusi da lesene che creavano un notevole gioco di ombre e luci, tendenza chiaroscurale già presente in Sicilia dai tempi del Teatro di Thermae Himerae; quattro grandi avancorpi emergevano dalla facciata curvilinea dell'edificio e vi erano ricavate altrettante nicchie, probabilmente ospitanti statue di divinità.
La scena è ancora ingombrata da palazzi del XVIII secolo, tra cui una palazzina a un piano che funge da ingresso e che conserva notevoli resti di epoca medioevale, tra cui una scalinata e una colonna, ricollocata a reggere il soffitto ligneo settecentesco. Questa palazzina è anche sede dell'antiquarium, in cui sono esposti i rilievi architettonici dell'edificio, dal I al XVII secolo, e vi si possono osservare i resti di un abitato del XVI secolo dall'orientamento diverso rispetto al Teatro, segno che il tessuto strutturale del medesimo era ormai illeggibile. Sull'orchestra si possono ancora vedere gli archi della vecchia via Grotte, una interessante struttura che testimonia l'edilizia del XVIII secolo. Sulle carceris e su una piccola parte della cavea sono ancora presenti diverse abitazioni, una di esse è il Palazzo Gravina Cruyllas che confina ad est. La media cavea presenta le maggiori manipolazioni subite nei secoli, con ampie parti di sedili asportate per ricavare dei pavimenti piani. Tra le residenze sorte nella zona della summa cavea di notevole importanza è la Casa del Terremoto, una vera e propria capsula del tempo, che ha preservato integro il corredo abbandonato l'11 gennaio 1693: le macerie che la ostruirono vennero quindi sfruttate per ricavare le fondamenta di una casa settecentesca, resa oggetto di discordia tra il comune che intendeva espropriarla e due anziane signore che vi risiedevano. Altre due case che insistono nella zona orientale sono la Casa dell'Androne e la Casa Libérti, entrambe sfruttate come spazi espositivi o per conferenze.
Ai lati due diversi ingressi confinano uno a est con la trincea di scavo effettuato da Ignazio Paternò Castello situata tra le proprietà dei Principi di Valsavoja e i Gravina, l'altro a ovest con l'odeon. A nord-est, all'interno di uno dei locali della Casa dell'Androne si sono rinvenuti i resti di un temenos, il recinto sacro del tempio cui il Teatro era legato. La presenza di una stipe votiva: quella della vicina piazza San Francesco d'Assisi ha fatto pensare che possano essere messi in relazione col culto di Persefone o Demetra.


Sicilia - Teatro greco di Siracusa

 


Il teatro greco di Siracusa è un teatro situato all'interno del Parco archeologico della Neapolis, sulle pendici sul lato sud del colle Temenite, a Siracusa, in Sicilia. Costruito nel V secolo a.C., subì interventi nel III secolo a.C. e ancora in epoca romana. Questo edificio è il più antico teatro di tutto l’occidente.
L'esistenza di un teatro a Siracusa (nella foto, il teatro arcaico o lineare, a pochi metri dal teatro antico) viene menzionata già alla fine del V secolo a.C. dal mimografo Sofrone, che cita il nome dell'architetto, Damocopos, detto Myrilla per aver fatto spargere unguenti (“myroi”) all'inaugurazione. Non è dimostrato, però, che il passo ricordi questo monumento, potendosi pensare ad altro teatro posto in un altro luogo. È stato ipotizzato che in quest'epoca il teatro non avesse ancora la forma a semicerchio, che diventerà canonica alla fine del IV secolo a.C. e nel corso del III a.C., ma potesse essere costituito da gradinate rettilinee, disposte a trapezio.
Diodoro Siculo riferisce l'arrivo a Siracusa di Dionisio nel 406 a.C. nel momento in cui il popolo usciva da un teatro. Plutarco racconta invece dell'irruzione di un toro infuriato nel teatro durante un'assemblea cittadina (355 a.C.), e dell'arrivo in carro di Timoleonte nel 336 a.C., mentre il popolo vi era riunito, testimoniando l'importanza dell'edificio nella vita pubblica.
Sembra che il teatro sia stato sottoposto a un intervento di ristrutturazione nel III secolo a.C. dopo il 238 e certamente prima della morte di Gerone II il 215 a.C., nella forma che oggi vediamo. La sua costruzione era stata progettata tenendo conto sia della forma naturale del colle Temenite, che della possibilità di sfruttare al massimo l'acustica. Tipica caratteristica dei teatri greci è anche la valorizzazione della visione panoramica, cui il teatro di Siracusa non doveva essere esente, offrendo la visione dell'arco del porto e dell'isola di Ortigia, nonostante la scena probabilmente coprisse parte della visuale.
La cavea aveva un diametro di 138,60 metri, uno dei più grandi del mondo greco, ed era in origine costituita da 67 ordini di gradini, per la maggior parte scavati nella roccia viva e divisi in 9 settori ("cunei") da scalinate. A metà altezza correva una precinzione ("diazoma") che la divideva in due settori. Sulla recinzione sono incisi in corrispondenza dei cunei nomi (vedi foto) di divinità (Zeus Olimpio, Eracle) e di membri della famiglia reale (lo stesso Gerone II, sua moglie Filistide, la nuora Nereide, figlia di Pirro e il figlio Gelone II), che hanno spinto alcuni autori a considerare le iscrizioni medesime utili per una datazione del monumento e se non della costruzione della sua rilavorazione. Le file superiori di gradini, oggi scomparse, erano costruite e poggiavano sopra un terrapieno sostenuto da muri di contenimento. Sull'asse centrale della gradinata è scavata nella roccia una zona che può aver consentito la realizzazione di una tribuna, forse destinata a personaggi di particolare rilievo politico-sociale.
L'orchestra era in origine delimitata da un ampio euripo (canale scoperto), oltre il quale una fascia precedente l'inizio dei gradini era destinata ad ospitare il pubblico.
L'edificio scenico è interamente scomparso e ne sono visibili solo i tagli realizzati nella roccia, riferibili a diverse fasi e di difficile lettura. All'epoca di Gerone II appartiene probabilmente un passaggio scavato sotto l'orchestra, accessibile con una scaletta dal palcoscenico e terminante in una stanzetta: questo allestimento è stato ipoteticamente identificato con le "scale carontee", che permettevano improvvise scomparse o apparizioni degli attori. Ancora a questa fase dovrebbe appartenere una prima fossa per il sipario (che nel teatro antico non veniva calato dall'alto, bensì issato verso l'alto). Le tracce di un elemento a cui dovevano sovrapporsi colonne e pilastri sono state interpretate come residui di una piccola scena mobile per le farse fliaciche. Alla decorazione della scena apparteneva probabilmente la statua di una cariatide, attualmente conservata nel Museo che riunisce i materiali scavati o recuperati nel Teatro Museo archeologico regionale Paolo Orsi.
Al di sopra del teatro, si trova una terrazza, scavata nella roccia, accessibile da una gradinata centrale e da una strada incassata, nota come "via dei Sepolcri". in origine la terrazza ospitava un grande portico ed al centro della parete di fondo fu inquadrata una preesistente grotta-ninfeo scavata nella roccia, fiancheggiata da nicchie destinate probabilmente ad ospitare statue e in origine probabilmente inserita tra membranature architettoniche di ordine dorico intagliate nella parete (di esse restano solo parti di un fregio). All'interno il vano (9,35 x 6,35 m, alt. 4,75 m) era dotato di una vasca rivestita in cocciopesto, nella quale sgorgava l'acqua dell'antico acquedotto greco detto "del ninfeo". 
Da qui l'acqua si immetteva nel sistema idraulico del teatro. L'insieme è forse identificabile con il Mouseion, o santuario delle Muse, sede della corporazione degli attori. Secondo l'anonima "Vita di Euripide" Dionigi I avrebbe dedicato nel santuario oggetti appartenuti al tragediografo Euripide, acquistati in Grecia a caro prezzo.
È incerto se il teatro sia stato utilizzato sin da periodo protoclassico, non rimanendo tracce della parte di tale periodo, e quindi non è sicuro se vi si sia svolta l'attività teatrale del commediografo Epicarmo e dei contemporanei Formide e Deinoloco. Eschilo rappresentò a Siracusa nel 470 a.C. Le etnee (tragedia scritta per celebrare la rifondazione di Catania con il nome di Aitna o di un centro con nome Aitna dove avevano trovato rifugio gli esuli catanesi in seguito alla distruzione della calcidese Katane ad opera di Gerone I). Anche I Persiani, già rappresentata ad Atene nel 472 a.C., venne rappresentata a Siracusa. Quest'ultima opera è giunta fino a noi, mentre la prima è andata perduta. Alla fine del secolo V a.C. o agli inizi del IV a.C. vi furono rappresentate probabilmente le opere di Dionisio I e dei tragediografi ospitati alla sua corte, tra cui Antifonte. In merito all'uso del teatro Luciano Canfora aggiunge:
«Prestigio durevole, se si considera la grande richiesta di teatro Euripideo da parte dei siracusani e di altre città della Sicilia, di cui parla Plutarco negli ultimi capitoli della Vita di Nicia, quando racconta che pochi prigionieri ateniesi erano riusciti a riscattarsi recitando pezzi di tragedie Euripidee. Naturalmente le strutture teatrali di cui Eschilo si è servito per la messinscena delle Etnee o nel suo secondo viaggio in Sicilia, quello del 456 a.C. conclusosi con la sua morte, non saranno servite unicamente per l’illustre ospite ateniese. Ci sarà stata un'attività teatrale più o meno continua legata a tali istituzioni.» (Storia della Letteratura Greca, p.112)
Secondo la tradizione greca l'attività teatrale, essendo considerata una forma di attività istituzionale, era concessa a tutti i cittadini, anche ai più poveri, tramite il Teorico (fondo), un fondo creato per le attività di questo tipo.
Le attività teatrali persero di importanza durante la dominazione romana, dove presero il sopravvento anche gli spettacoli dei gladiatori.
Importanti modifiche furono attuate nel teatro, forse al momento della deduzione della colonia, nella prima età augustea. La cavea venne modificata in forma semicircolare, tipica dei teatri romani, anziché a ferro di cavallo, come d'uso per i teatri greci e furono realizzati i corridoi che permettevano l'accesso all'edificio scenico (parodoi). La stessa scena venne ricostruita in forme monumentali con nicchia rettangolare al centro e due nicchie a pianta semicircolare sui lati, nelle quali si aprivano le porte sceniche. Fu inoltre scavata una nuova fossa per il sipario, con la sua camera di manovra. Nell'orchestra venne interrato l'antico euripo, sostituito da un nuovo canale, molto più stretto e a ridosso dei gradini della cavea, ampliando il diametro da 16 m a 21,40 m. La decorazione della scena subì forse dei rifacimenti in epoca flavia e/o antoniniana.
In epoca tardo-imperiale si ebbero altre consistenti modifiche, destinate ad adattare l'orchestra a giochi acquatici e fu probabilmente arretrata la scena. Non esistono invece tracce di adattamenti che consentissero di ospitare combattimenti di gladiatori o spettacoli con belve in genere rappresentati dall'eliminazione dei primi gradini della cavea allo scopo di consentire la realizzazione di un podio a protezione degli spettatori. Del resto questi spettacoli continuavano probabilmente a tenersi nell'anfiteatro, presente a Siracusa sin dall'epoca augustea.
Un'iscrizione oggi perduta menzionava un Nerazio Palmato come autore di un rifacimento della scena: se si tratta dello stesso personaggio che restaurò a Roma la Curia dopo il sacco di Alarico, gli ultimi lavori nel teatro di Siracusa potrebbero essere datati agli inizi del V secolo d.C.
Rimasto in abbandono per lunghi secoli, subì a partire dal 1526 una progressiva spoliazione a opera degli Spagnoli di Carlo V, che sfruttarono i blocchi di pietra già tagliati per costruire le nuove fortificazioni attorno Ortigia: scomparvero in tal modo l'edificio scenico e la parte superiore delle gradinate. Dopo la seconda metà del Cinquecento, il marchese di Sortino, Pietro Gaetani, riattivò a proprie spese l'antico acquedotto che portava l'acqua sulla sommità del teatro, favorendo l'insediamento di diversi mulini installati sulla cavea: di questi resta ancora visibile la cosiddetta “casetta dei mugnai” che si erge sulla sommità della cavea.
«Egli il era accerchiato d'intorno intorno di grandissime mura fatte di sassi grossissimi intagliati e aveva parte che guardava verso Tica una fonte che veniva per condotti sotterranei cavati con bellissimo artificio la qual fonte havendo perduto il nome si chiama Saracinamente Garelme che in lingua nostra vuol dire buco d'acqua e hoggi con voce corrota si chiama Galermo.» (Tommaso Fazello)
Sul finire del Settecento riprese l'interesse per il teatro che venne menzionato e riprodotto dagli eruditi dell'epoca (Arezzo, Fazello, Mirabella, Bonanni) e da famosi viaggiatori (d'Orville, von Riedesel, Saint-Non, Houel, Denon ecc.). Nel secolo successivo si ebbero vere e proprie campagne di scavo, grazie all'interesse del Landolina e del Cavallari che si occuparono di liberare il monumento dalla terra che vi si era accumulata. Successivamente le indagini archeologiche proseguirono ad opera di P. Orsi e di altri archeologi, fino a quelle del 1988 ad opera di Voza.
A partire dal 1914 l'Istituto nazionale del dramma antico (INDA) inaugurò nell'antico teatro le annuali rappresentazioni di opere greche (la prima fu la tragedia Agamennone di Eschilo, curata da Ettore Romagnoli). Dopo l'interruzione degli spettacoli causata dalla prima guerra mondiale, le rappresentazioni classiche ritornarono sulla scena nel 1921 con le Coefore di Eschilo. Per l'occasione giunge a Siracusa anche Filippo Tommaso Marinetti che il 18 e il 19 aprile terrà delle conferenze per ribadire la posizione progressista del Futurismo di fronte ad una rappresentazione del passato. Per l'occasione viene anche scritto il Manifesto futurista per le rappresentazioni classiche di Siracusa con cui si ribadisce la linea critica dei futuristi. Proprio per l'importanza delle rappresentazioni nel 1930 il re Vittorio Emanuele III in visita a Siracusa assisterà ad una delle rappresentazioni al teatro greco.
Dal 2010 il Teatro è uno dei monumenti del Servizio Parco Archeologico di Siracusa e delle aree archeologiche dei Comuni limitrofi, organo periferico della Regione Siciliana, Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana.


Sicilia - Teatro antico di Taormina

 

Il teatro antico di Taormina è il secondo teatro antico per dimensioni in Sicilia, dopo il teatro greco di Siracusa. L'impianto originario risale al III secolo a.C. A documentarlo sono i resti del muro a blocchi isodomi , inglobati nell'edificio della scena e tre sedili con iscrizione dalla cavea. Alla stessa epoca risalgono gli avanzi del piccolo edificio sacro alla sommità della cavea. Tuttavia, in parte si presenta romano nel suo aspetto oggi visibile. La struttura originaria era legata ad un piccolo santuario di cui resta il basamento sul belvedere che sovrasta la cavea.
Una prima ricostruzione dell'edificio si ebbe in età repubblicana o primo Impero, forse sotto Augusto, ma ad un ampliamento nella prima metà del II secolo d.C. risalgono le forme oggi note. L'edificio raggiunse i 109 metri di diametro massimo, con un'orchestra dal diametro di 35 metri, per una capienza di circa 10.000 spettatori.
In pieno e nel tardo Impero l'edificio venne adattato ad ospitare le venationes (spettacoli di lotta tra gladiatori e bestie feroci): l'orchestra venne mutata in arena sostituendo le gradinate inferiori con un corridoio a volta che connetteva ad un ipogeo al centro dello spiazzo, dove le macchine sceniche permettevano gli "effetti speciali" del combattimento. Infine, in epoca tardo antica, venne realizzato il portico alle spalle della scena. Il suo abbandono probabilmente è da ascriversi all'assedio dei Vandali e alla conseguente decadenza dell'Impero.
Durante il Medioevo, l'edificio scenico e le due turris scalae vennero riutilizzate per ricavarne un palazzo privato. Durante il Grand Tour crebbe la fama romantica dell'edificio, un monumento decaduto, attorniato da rigogliosa vegetazione con un'inusuale visuale sull'Etna, visuale questa per nulla esistente ai tempi della sua massima estensione, in quanto coperta dagli edifici scenici in muratura.
Nel 1787 Goethe visitò il teatro rimanendo estasiato dal bel panorama che si ammirava dalla cavea:
«Se ci si colloca nel punto più alto occupato dagli antichi spettatori [del Teatro antico], bisogna riconoscere che mai, probabilmente, un pubblico di teatro si vide davanti qualcosa di simile. Sul lato destro si affacciano castelli dalle rupi sovrastanti; più lontano, sotto di noi, si stende la città e, nonostante le sue case siano d'epoca recente, occupano certo gli stessi luoghi dove in antico ne sorgevano altre. Davanti a noi l'intero, lungo massiccio montuoso dell'Etna; a sinistra 1a sponda del mare fino a Catania, anzi a Siracusa; e il quadro amplissimo è chiuso dal colossale vulcano fumante, che nella dolcezza del cielo appare più lontano e più mansueto, e non incute terrore.» (Johann Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia)
Esso risulta scavato nella roccia e la scena ha per sfondo il mar Ionio e l'Etna. Ha un diametro massimo di circa 109 metri ed un'altezza di circa 20 metri. La cavea è suddivisa in nove settori da otto scale che consentono l'accesso degli spettatori. La stessa è circondata, nella parte alta, da una doppia galleria ad archi sorretti all'esterno da dei semplici pilastri e all'interno da colonne di marmo. Il fondo della scena, di epoca romana e parzialmente aperto al centro, è delimitato da un muro sul cui sfondo sono adagiate alcune colonne residue in marmo che fanno comprendere come dovesse essere in origine. Il teatro, oggi, ha una capienza agibile di 4.500 posti a sedere.
A partire dagli anni cinquanta il teatro è stato impiegato come struttura teatrale all'aperto per varie forme di spettacolo che spaziano dal teatro ai concerti, dalle cerimonie di premiazione del David di Donatello ai concerti sinfonici, dall'opera lirica al balletto. Dal 1983 è sede di Taormina Arte, manifestazione di spettacoli che si svolge tutti gli anni nel periodo estivo, e del Taormina Film Fest. Il teatro è stato anche sede di alcune riprese del film La dea dell'amore di Woody Allen.
Nel 2017 il teatro è stato il palcoscenico per dei concerti nonché per la sfilata principale del G7 tenutosi a Taormina.


Sicilia - Teatro di Tindari

 


Il teatro di Tindari è nel suo genere il secondo polo monumentale presente nella provincia di Messina. Costruito in forme greche alla fine del IV secolo a.C. e in seguito rimaneggiato in epoca romana, con una nuova decorazione e l'adattamento a sede per i giochi dell'anfiteatro.
Rimasto a lungo in abbandono e conosciuto solo per le illustrazioni del XIX secolo, era appoggiato alla naturale conformazione a conca della collina, nella quale furono scavate le gradinate dei sedili (0,40 m di altezza e 0,70 m di profondità) della cavea, che doveva raggiungere una capienza di circa 3000 posti. In età romana vi si aggiunse un portico in opera laterizia e la ricostruzione della scena, di cui restano solo le fondazioni e un'arcata, restaurata nel 1939. L'orchestra venne trasformata in un'arena, circondando la cavea con un muro e sopprimendone i quattro gradini inferiori
Dal 1956 vi ha sede un festival artistico che annovera tra le manifestazioni danza, musica, e ovviamente teatro.
Dal 2001 vi ha sede, assieme a Taormina, il Festival del teatro dei due mari

Sicilia - Teatro di Solunto

 

Il teatro di Solunto è un antico edificio teatrale sito in provincia di Palermo, nell'antica città di Solunto, e risalente alla colonizzazione greca dell'Italia insulare.
Venne con molta probabilità fondato attorno al IV secolo a.C..
Il teatro tornò alla luce inaspettatamente nel 1953, il 19 maggio: prima degli scavi archeologici, essendo stato interamente ricoperto dalla terra, appariva come un pendio che ben si confondeva nell'andamento collinare del paesaggio circostante. A maggior ragione, i primi scavi portarono alla luce resti di decorazioni a mosaico, il che fece pensare alla presenza di una casa più che di un edificio pubblico. Gli scavi furono interrotti per un lungo periodo a causa di mancanza di fondi: ripresero solo nel 1958. Durante questa seconda campagna, vennero disotterrati il teatro maggiore e un edificio minore, forse usato come odeon o come bouleuterion.
Gli scavi sono stati promossi anche da Vincenzo Tusa.
Il teatro è collocato nei pressi di una grande piazza, alla quale era collegato da una scalinata; presenta all'incirca 2500 posti a sedere.
La cavea (di raggio complessivo 23,30 metri) è orientata a nord-est e la sua disposizione offre agli spettatori la visuale del mare: fu edificata su un pendio calcareo spianato artificialmente per la posa dei sedili. Si sviluppa su 23 gradinate (ciascuna delle quali alta 38 centimetri e ospitante nella parte anteriore un sedile, in quella posteriore lo spazio poggiapiedi) e 5 settori, divisi da 4 scalette, il cui gradino era alto la metà di un livello della gradinata.
La cavea presenta due fasi di costruzione: la seconda, più alta di 25 centimetri, si sviluppa secondo la tradizionale forma circolare, mentre la prima appariva più ridotta e quasi semicircolare.
Gli edifici costitutivi del teatro si trovano attualmente in cattive condizioni: probabilmente, esso venne abbandonato ancora durante l'epoca greca e smantellato di conseguenza per realizzare edifici civili.

Sicilia - Teatro di Segesta

 

Il teatro di Segesta è un teatro greco dell'antica città di Segesta sito nell'area archeologica di Calatafimi Segesta, comune italiano della provincia di Trapani in Sicilia.
Alla fine del III secolo a.C., gli abitanti di Segesta costruirono il loro teatro sulla cima più alta del Monte Barbaro, in un sito, alle spalle dell'agorà, che era già sede di un luogo di culto molti secoli prima.
Orientato a nord, verso il Golfo di Castellammare, il teatro di Segesta sfrutta come scenografia lo splendido panorama del mare e delle colline a perdita d'occhio.
Il teatro fu costruito secondo i dettami dell'architettura greco-ellenistica, con blocchi di calcare locale. Si discosta dalla struttura tipica dei teatri greci perché la cavea non poggia direttamente sulla roccia ma è stata appositamente costruita ed è sorretta da muri di contenimento. Consta di due ingressi, leggermente sfalsati rispetto all'asse principale dell'edificio ed è in grado di contenere circa 5000 persone.
La cavea del teatro di Segesta ha un
diametro di 63 m ed è divisa in due da un corridoio centrale, il diazoma. Ne derivano due sezioni: una più in basso e una più in alto. La prima conta 21 file di posti divise da 6 scalette in 7 piccoli cunei di dimensioni variabili, la seconda era fornita invece di sedili con schienale. Delle gradinate della summa cavea rimangono però solo poche tracce.
Recenti ricerche hanno mostrato l'esistenza anche di un settore di gradinata più in alto, tra i due ingressi, parzialmente riutilizzato nella necropoli musulmana (prima metà del XII secolo). Ad ovest il Teatro è costeggiato da una strada lastricata che arriva fino ad una grotta naturale, in cui si trova una sorgente sacra. Usata durante l'età del bronzo, fu poi inglobata nel muro di sostegno della cavea.
L'orchestra di forma semicircolare ha un diametro di 18,4 m. L'ingresso è consentito attraverso due aperture, i parodoi, poste ai lati del semicerchio, ortogonalmente rispetto all'asse centrale. Come nel teatro di Siracusa, quello di Segesta è munito di corridoi sotterranei che venivano usati per il passaggio degli attori. Da queste entrate non vi potevano entrare gli stranieri ed i più poveri.

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...