sabato 24 maggio 2025

Sicilia - Gibil Gabib, Caltanissetta

 

Gibil Gabib, altresì detto Gibil-Gàbel (dall'arabo ǧabal Ḥabīb 'monte di Habib', antroponimo), è un sito archeologico posto a 5 km a sud di Caltanissetta, in Sicilia, su una collina alta 615 m e domina la valle del fiume Salso.
Il sito è datato al VII secolo a.C. Nella metà del VI secolo a.C. il centro entra in contatto con i greci di Akragas, venendo ellenizzato e successivamente trasformato in phrourion, avamposto militare.
Gli scavi in quest'area furono iniziati alla metà dell'Ottocento dal Landolina di Rigilifi. Intorno al 1880 fu indagato da F. Cavallaro e da Antonino Salinas. Gli scavi vennero ripresi con maggiore vigore negli anni cinquanta del secolo scorso, con le ricerche condotte da Dinu Adameșteanu. L'ultima, infine, risale al 1984.
Proprio intorno alla metà del Novecento vennero portati alla luce alcuni ambienti risalenti al VI secolo a.C., parti della cinta muraria e alcuni oggetti di ceramica riferibile alla facies di Castelluccio Bronzo Tardo, mentre negli anni ottanta è stato riportato alla luce un vero torrione di difesa della metà del VI secolo a.C. Tale scoperta si è rivelata di notevole importanza, poiché ha consentito di chiarire la destinazione delle cinte murarie rinvenute quasi trenta anni prima.
Dagli scavi presso gli ambienti sono stati rinvenuti vasi, oggetti di uso quotidiano, piatti e lucerne. Sono state inoltre ritrovate anche una statua di divinità fittile femminile e una testina fittile di offerente che testimoniano l'esistenza di vari spazi dedicati al culto ed alla venerazione nell'abitato.
Ai piedi dell'altura si estendevano due necropoli da cui provengono i corredi con ceramica a figure rosse siceliota.
Principali caratteristiche del sito sono:
  • Tracce di insediamenti risalenti all'epoca preistorica.
  • Tracce di insediamenti indigeni risalenti al VII secolo a.C. Successivamente, tali nuclei abitati risentirono dell'influsso ellenico e in seguito (VI secolo a.C.) venne realizzata una fortificazione, che incluse al suo interno anche un edificio sacro dei primi del VI sec..
  • Due necropoli collocate ai piedi della collina, dalle quali provengono alcune ceramiche dell'arte siceliota.
  • Oggetti di uso quotidiano provenienti dagli insediamenti abitati, e testimonianze dell'esistenza di un culto rappresentato da una statua di divinità femminile.
I reperti di questo sito si trovano presso il Museo Archeologico di Caltanissetta.


Nelle immagini:
- coperchio pisside skyphoide nello stile gnathia
- cratere a calice siceliota a figure rosse (foto di Davide Mauro)

Sicilia - Cava Lazzaro, Rosolini

 


La cava Lazzaro è una delle numerose cave che attraversano la Sicilia sud-orientale, parte iniziale della cosiddetta cava Grande di Rosolini, sita a pochi chilometri dal comune omonimo. La cava prende il nome da un'immensa cavità naturale conosciuta anche come grotta Lazzaro. Essa si trova lungo la valle di un torrente localizzato tra i comuni di Modica in provincia di Ragusa e Rosolini in provincia di Siracusa in Sicilia.
La grotta fu abitata in età preistorica e nell'età del bronzo, nella cosiddetta facies castellucciana. Del periodo rimane una necropoli con la cosiddetta tomba Orsi (foto in alto) ben conosciuta degli studiosi. Oltre alle bellezze naturalistiche, l'area è importante da un punto di vista storico ed archeologico essendo stata abitata quasi ininterrottamente nel tempo. Oltre ai resti dell'età del bronzo vi si trovano tracce di epoca paleocristiana e due oratori rupestri bizantini riutilizzati nel corso dei secoli dai contadini della zona.
Gli importanti reperti archeologici rinvenuti sono conservati parte nel Museo civico di Modica, parte nel Museo archeologico ibleo di Ragusa ed altri nel Museo paleontologico ed etnografico Pigorini di Roma. Su un versante della terrazza calcarea è ubicata la famosa tomba del Principe, che sfoggia un monumentale prospetto, incavato nella roccia, a otto finti semipilastri, con incisioni a doppia lisca di pesce, a disco puntinato e a triangoli. Dalla grotta Lazzaro, già indagata dal barone Ferdinand Von Andrian verso la fine dell'Ottocento, proviene uno degli enigmatici "ossi a globuli" interpretati come manici di coltelli. Sulla stessa terrazza, si possono ammirare due grossi blocchi in calcare bianco-grigiastro della zona, che hanno costituito la parte centrale di un dolmen "semicircolare" (nella foto) paragonabile al dolmen di Cava dei Servi o ad altri presenti in Spagna, Corsica, Sardegna, Puglia e Malta.


Sicilia - Colle Madore

 


Colle Madore è un sito archeologico sicano, situato a circa 1,5 km dal paese di Lercara Friddi, in provincia di Palermo.
Il colle venne sfruttato in passato per l'estrazione dello zolfo. Vi si trovava anche una cava di estrazione di gesso nel lato opposto a quello interessato dagli odierni scavi archeologici.
L'attuale toponimo "Madore", che deriva dal greco madarόs ("bagnato"), è collegato trasversalmente al tema (per via della presenza di falde acquifere nella zona del colle). Nel 1992 furono trovati accidentalmente da parte di Antonino Caruso alcuni reperti, che furono consegnati al comune. Successivamente negli anni 1995, 1998 e 2004 sono state condotte campagne di scavo, a cura della Soprintendenza ai beni culturali e ambientali di Palermo, che hanno riportato alla luce un'antica area sacra (situata poco sotto la cima sul versante sud) affiancata da vani dedicati alla produzione metallurgica. I reperti rinvenuti negli scavi sono esposti presso il locale Museo civico.
I reperti più antichi risalgono all’età del bronzo con le fasi di Rodì Vallelunga e Thapsos, intorno al II millennio a.C. Si tratta di 13 frammenti come asce, lame, punte di giavellotti e spade databili al XI secolo a.C.
Gli scavi hanno riportato alla luce motore i resti di un insediamento sicano arcaico, risalente all'VIII-VII secolo a.C. Intorno alla metà del VI secolo a.C., grazie alla sua collocazione sulle vie delle valli dei fiumi Torto e Platani, subì una profonda ellenizzazione. I materiali archeologici testimoniano contatti con le colonie greche Imera e Agrigento e con i coevi centri indigeni.
A questa fase risale la presenza di un edificio circolare di 8/10 m di diametro e un sacello (550-525 a.C.), che ha restituito un rilievo raffigurante una figura umana seduta sul bordo di una vasca: interpretato inizialmente come Eracle alla fontana, raffigura Minosse, che morì in una vasca da bagno. In un lavoro di ricerca dello studioso Danilo Caruso viene esibito con prove come il sacello sia identificabile con il tempio di Afrodite presso il quale si trovava il finto sepolcro di Minosse, ucciso nella leggenda di cui parla Diodoro Siculo nella Biblioteca storica dal re sicano Cocalo: il mito fu rielaborato da Terone, tiranno di Agrigento all'inizio del V secolo a.C. nell'ambito della sua politica d'espansione territoriale a scapito di Himera.
Lo documentano, tra l'altro, una serie di reperti archeologici (soprattutto una statuetta acefala di divinità femminile che ha in braccio una lepre, un pezzo di scodella con sul fondo riprodotta una svastica e una lamina decorata da protomi taurine: tre rappresentazioni esplicitamente collegate ad Afrodite) e la posizione strategica di Colle Madore (nell'area che domina le vie di comunicazione poste tra Tirreno a nord e Mediterraneo a sud). Un bacino liturgico inoltre è da collegare alla centralità dell'acqua, elemento sacrale in questo santuario, così come la presenza di molti vasi.
Il primo insediamento risale all’età del bronzo di cultura sicana e dimostra la presenza di una continuità grazie a lavorazioni artigianali e un’economia florida.
Dopo la conquista di Terone intorno al 483 a.C. la titolarità del santuario potrebbe essere passata da Afrodite-Astarte a Demetra. Durante questo periodo il sito subì una prima parziale distruzione. L'insediamento proseguì in forma ridotta fino a essere definitivamente abbandonato intorno alla fine del V secolo, in seguito alla conquista cartaginese e alla distruzione di Imera e di Selinunte nel 409-405 a.C. Sul sito infatti numerosi oggetti recano le stracce di un violento incendio che prefigura la devastazione avvenuta.

Sicilia - Tempio di Diana a Cefalù

 


Il tempio di Diana è una struttura megalitica risalente al IX secolo a.C. che risiede sulla rocca posta a nord della città di Cefalù. La destinazione d'uso del complesso è ancora incerta ma è chiaro il valore strategico della vista sulla costa sottostante. La parte più antica del sito è la cisterna. Probabilmente destinato al culto di divinità pagane è stato costruito in più fasi nell'antichità con blocchi di roccia squadrati. Il sito è stato infine ristrutturato durante il II secolo a.C. 
Il tempio è il soggetto di un disegno dell'artista francese Jean-Pierre Houël, realizzato durante il suo viaggio in Sicilia (Grand Tour). Il disegno si trova attualmente nel museo dell'Ermitage.
 


(foto di Ghigo Roli)

Sicilia - Necropoli Anguilla

 

La necropoli Anguilla è un sito archeologico rinvenuto nel territorio di Ribera, comune italiano della provincia di Agrigento in Sicilia. La necropoli della media e tarda età del bronzo (XIII secolo a.C.) è stata rinvenuta nel 1982 a sud dell'abitato di Ribera, in località contrada Anguilla.
È costituita da tombe di due tipi: a grotticella artificiale e a camera. Alcune sono precedute da un "dromos", un corridoio lungo da 1,5 a 5 m da dove si accede alla vera e propria tomba. Quest'ultima consiste in una o due camere con volta a cupola (Thòlos), con un gradino sul quale veniva adagiato il defunto e gli oggetti votivi (vasi, anelli, armi, utensili).
Sono le uniche tombe per dimensione e tipologia nella Sicilia occidentale.

Sicilia - Grotta dell'Uzzo

 


La grotta dell'Uzzo si trova a cala dell'Uzzo, a 10 km a SE di San Vito Lo Capo, all'interno della Riserva naturale orientata dello Zingaro sulla costa settentrionale siciliana del Mar Tirreno, in provincia di Trapani.
La grotta dell'Uzzo è uno dei più importanti siti preistorici dell'intera Sicilia. All'interno di essa sono state rinvenute tracce di presenze umane risalenti a circa 10.000 anni fa.
Probabilmente ancora anteriori sono i resti di alcuni animali ritrovati nell'antro quali, rinoceronti, leoni e mammuth.
Dall'esame dei resti trovati, sia umani che degli utensili da loro adoperati, è stato possibile ricostruire, con una certa approssimazione, le loro abitudini di vita. La stratificazione emersa dagli scavi fatti nella grotta, ha altresì reso possibile conoscere l'evoluzione dell'uomo negli ultimi 10.000 anni. La comunità che occupava la grotta era costituita da un piccolo gruppo di cacciatori che vivevano nella zona. La grotta doveva servire come riparo per la notte e difesa contro gli animali feroci. Con il passare dei secoli la comunità imparò a coltivare la terra ed a cibarsi del pesce che doveva esistere copioso nel mare vicinissimo alla grotta.
Le pareti interne della grotta hanno rivelato quella che può essere definita una necropoli "ante litteram", evidentemente realizzata negli ultimi millenni a noi più vicini. I resti umani risalenti al Mesolitico recuperati dagli scavi eseguiti nella grotta sono conservati presso il Museo archeologico regionale Antonino Salinas di Palermo.

Sicilia - Monte Turcisi

 

Monte Turcisi, in Sicilia, è un modesto rilievo collinare alto circa 303 m, compreso nel comune di Castel di Iudica (Catania). Esso è posto ai margini occidentali della Piana di Catania tra i fiumi Dittaino e Gornalunga, che formano rispettivamente due vaste vallate.
Il sito, brullo e caratterizzato da calanchi a nord e da ripide balze calcarenitiche a sud, era in antico sede di una possente fortezza greca (III secolo a.C.), che godeva di una formidabile ed esclusiva posizione strategica.
Interessante è l'accesso alla fortificazione, in discreto stato di conservazione, difeso da una torre, il cui paramento murario pseudoisodomo caratterizzato da uno zoccolo di monoliti di grandi dimensioni accresce la monumentalità dell'edificio.
All'interno della fortezza, nel XVIII secolo è stato fondato un eremo dedicato a San Giacomo di cui si conservano i resti della chiesa e alcune stanze dell'edificio conventuale. Il predetto eremo aveva contatti con altro eremo sul M. Scalpello, a circa 10 km verso ovest.


Sicilia - La tazza di Filo Braccio

 
Dal villaggio di Filo Braccio (isola di Filicudi) proviene uno dei più interessanti reperti di tutta la cultura dell'età del bronzo, nelle Eolie detta di Capo Graziano. Si tratta di una tazza con decorazioni incise, rinvenuta presso la capanna F. L'importanza di questa tazza risiede nel fatto che probabilmente è uno dei più antichi esempi di raffigurazione della preistoria italiana (Graziano I). Per quanto faccia parte della cosiddetta cultura di Capo Graziano si può dire che si discosta rispetto ai comuni reperti e trova confronto grafico in un elemento decorativo inciso in un vaso scoperto a Lipari loc. Pignataro di fuori, nel quale è segnato un incrocio di linee forse raffigurazione della divisione dello spazio celeste e terrestre. Il disegno di Filicudi rappresenta un insieme di linee che secondo alcuni autori può raffigurare una figura umana a braccia aperte, in cui sarebbe possibile notare anche le membra e il corpo. Secondo altri potrebbe essere un'immagine di un panorama con un elemento lineare, quale limite o approdo. Chiaramente l'intera rappresentazione è stilizzata, così come le onde del mare rappresentate con delle linee a zig-zag e, forse, delle barche formate da linee orizzontali con altre minori verticali. Nel caso della lettura della figura non è chiaro chi sia rappresentato, se un uomo o una divinità, se le barche partono o arrivano, tuttavia è importante dire che è l'unico esempio di rappresentazione complessa, rispetto alle semplici linee di decorazione che troviamo nelle ceramiche anche della seconda fase di Capo Graziano e del Bronzo medio.

Sicilia - Elmo di Polizzello

 


L'elmo di Polizzello è un elmo di produzione cretese in bronzo del VII secolo a.C., perfettamente conservato, presenta incisa sul paraguancia la figura di un guerriero.
Esso proviene dagli scavi del sito archeologico di Polizzello vicino a Mussomeli in provincia di Caltanissetta. Esso, dopo un accurato restauro, è conservato ed esposto nei moderni locali del Museo archeologico regionale di Caltanissetta sito in Contrada Santo Spirito vicino all'Abbazia di Santo Spirito.
Un altro esemplare, gemello di questo manufatto, è conservato al Museum für Kunst und Gewerbe di Amburgo.
L'elmo in bronzo manca del cimiero posto al suo vertice, la forma è a globo leggermente allungata verso il vertice punto di inserimento del cimiero. Sono quattro i fogli di bronzo, di spessore medio pari ad 1 cm, con cui è stato realizzato il manufatto. I fogli sono tutti fissati tra loro con dei rivetti, la coppia superiore forma la calotta vera e propria, mentre due coppie più piccole formano la protezione laterale dell'elmo. Le due lamine inferiori sono rivolte leggermente all'esterno definendo così il paranuca. Sul lato sinistro è possibile osservare un'incisione con un motivo a freccia a due linee che forma una cornice entro la quale si scorge il disegno di un oplita con elmo e scudo.
Il reperto è stato trovato, nella campagna di scavi che si è protratta dal 2000 al 2006, nel sacello B insieme ad altri importantissimi reperti quali il guerriero di Polizzello (figurina fittile di un guerriero itifallico) ed una lunga lancia (vedi qui: https://mondoarkeo.blogspot.com/2023/09/guerriero-di-polizzello-sicilia.html)
Questo elmo di fattura cretese, gemello di un elmo proveniente da Afrati (Aphratì-Arkades nella provincia cretese di Candia) del tutto identico, anche per il disegno dell'oplita inciso sul paraguance, fu probabilmente prodotto dallo stesso artigiano I due elmi, unici conosciuti di questa fattura al mondo, sono stati esposti insieme in occasione della mostra "Sikania" insieme ad altri reperti della Sicilia centro-meridionale. Il secondo elmo è di proprietà del Museum für Kunst und Gewerbe di Amburgo, questo prima era di un privato Cretese.
L'elmo è di poco successivo alla fondazione di Akragas, esso potrebbe essere stato un oggetto preda di guerra oppure un dono di un oplita cretese. Poiché mancante del cimiero, che non è stato ritrovato nel sito, si ritiene possa esserne stato privo nel momento della posa nel sito di Polizzello e quindi era un manufatto privato di un qualunque uso bellico, ciò spiega l'ipotesi del dono o della preda bellica.
L'importanza storica del reperto sta nel fatto che esso testimonia della relazione esistente tra i cretesi siciliani, che furono i fondatori di Gela, e i cretesi della madre patria. Probabilmente è questo reperto l'ultimo testimone della lunga storia dei Cretesi in Sicilia.
Infatti, il sito del ritrovamento è stato abbandonato, probabilmente per la conquista da parte del tiranno agrigentino Falaride, successivamente al 560-550 a.C..

Sicilia - Villaggio di Punta Milazzese

 


Il villaggio di Punta Milazzese (o villaggio di Capo Milazzese) è un villaggio dell'età del bronzo medio sito a Panarea in Sicilia. Il sito venne scoperto nel 1948 da Luigi Bernabò Brea e poi portato alla luce dai successivi scavi del 1949-1950 e nel 2008-2009. Posto nel promontorio di Punta Milazzese in una posizione particolarmente indicata per la difesa, essendo difficilmente raggiungibile dal mare per la presenza di pareti rocciose scoscese con un unico accesso stretto e difeso da una torre a pianta quadrata.
Il villaggio è ben conservato nella sua struttura centrale, salvo per le altre parti marginali distrutte da frane e dall'erosione della costa. Esso è datato (grazie ai reperti micenei) tra il XIV e gli inizi del XIII sec. a.C. Sono state scoperte 23 capanne ovali inglobate in un recinto rettangolare, probabilmente lo spazio aperto per gli animali. I muri erano costruiti con blocchetti e ciottoli disposti a doppia fila con prospetto interno ed esterno. In alcuni casi le pietre erano disposte a spina di pesce, una tecnica utilizzata anche nei siti egei. Le pietre erano tenute assieme da impasti di fango. All'interno delle abitazioni vi erano dei sedili in pietra.
La capanne XVI si distingue da tutte le altre per il fatto d'essere rettangolare e con una porta al centro del lato sud (mentre nelle altre capanne le porte sono difficilmente individuabili perché poste ad un livello maggiore). Questa differenza rispetto alle altre strutture fa ipotizzare la sua funzione di santuario o edificio pubblico anche perché al suo interno furono trovati i più bei vasi in ceramica micenea delle Eolie.
Da questo villaggio prende il nome la Cultura del Milazzese.







(nella foto, un esempio di decorazione a croce proveniente dal villaggio di Punta Milazzese)  

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...