Il
Museo archeologico nazionale di
Parma è situato in piazza della Pilotta a Parma, nell'ala
sud-occidentale del palazzo della Pilotta; fondato nel 1760, è
uno dei primi musei archeologici sorti nel
territorio italiano.
In seguito alla fortuita scoperta nel 1747 di alcuni frammenti di
una tavola bronzea d'epoca romana a Velleia, nel
1760 il duca di Parma Filippo di Borbone intraprese
una campagna di scavi archeologici, che permise di portare
subito alla luce il foro cittadino; le ricerche
consentirono di rinvenire anche una serie di pregevoli reperti, che
il Duca fece portare a Parma, fondando così, all'interno di un
piccolo edificio adiacente al complesso della Pilotta, il Ducale
Museo di Antichità.
La collezione si arricchì presto di nuovi materiali, provenienti sia
dagli scavi di Velleia, che nella prima fase proseguirono fino al
1765, sia dal sito di Luceria, che, all'epoca appartenente
al ducato di Parma e Piacenza, fu portato alla luce a partire
dal 1776; altri pezzi, già appartenuti ai Farnese e
ai Gonzaga, giunsero rispettivamente dal
colle Palatino di Roma e da Guastalla.
Nel 1803, in epoca napoleonica, i reperti di maggior valore
furono traslati a Parigi, ma dopo la Restaurazione furono
restituiti al museo.
Nei decenni seguenti, la duchessa Maria Luigia arricchì
ulteriormente il museo con nuovi materiali, in parte provenienti da
Velleia, ove promosse una nuova campagna, e in parte dalla città di
Parma, ove furono rinvenuti nel corso di scavi vari monumenti d'epoca
romana; altri reperti giunsero grazie all'acquisto di monete, oggetti
e ceramiche d'epoca greca, etrusca, italiota ed egizia,
su iniziativa della Duchessa, che nel 1817 decise di spostare il
museo nella sua sede definitiva, all'interno del palazzo della
Pilotta.
Dopo l'Unità d'Italia, nel 1866 le dodici statue in marmo
provenienti dalla basilica di Velleia, fino ad allora conservate
nella vicina galleria, furono spostate nel museo d'Antichità;
l'anno seguente il nuovo direttore Luigi Pigorini creò il
primo nucleo della sezione preistorica, che presto si arricchì anche
grazie alle ricerche di Pellegrino Strobel.
Nel
1965 il museo fu riallestito su due sezioni, corrispondenti a due
diversi livelli dell'ala sud-occidentale del palazzo della
Pilotta.
Nel 2009 la sezione dedicata all'Antico Egitto si arricchì grazie
all'acquisizione in comodato della collezione Magnarini
di scarabei, acquistata dalla Fondazione Cariparma l'anno
precedente.

Nel 2017 furono avviati i lavori di ristrutturazione dell'Ala Nuova,
per volere del direttore Simone Verde; il cantiere riguardò il
restauro delle facciate sul cortile della Cavallerizza, progettate
dall'architetto di Corte Ennemond Alexandre Petitot, e la
creazione di nuove sale del museo: l'ampia sala delle ceramiche, in
cui fu riportato alla luce l'antico soffitto ligneo a cassettoni,
e le sale egizie, che furono ricavate da ambienti precedentemente
occupati da uffici; le opere furono completate quattro anni dopo e il
22 dicembre 2021 ebbe luogo la cerimonia di
inaugurazione. Anche le vecchie sezioni del
museo, chiuso al pubblico dal 2019, furono completamente
risistemate e riallestite; al termine dei lavori, il 10 novembre 2023
si svolse la cerimonia di inaugurazione alla presenza del ministro
della cultura Gennaro Sangiuliano.
Il museo si articola in una serie di sezioni espositive.
Collezioni
storiche
La sezione delle collezioni storiche, esposta in gran parte nella
sala delle ceramiche, riunisce materiali raccolti dal museo tra
il XVIII e il XIX secolo e provenienti da
territori esterni al Parmense: gli oggetti d'epoca greca ed
etrusca furono acquistati in gran parte dopo il 1830, durante la
direzione di Michele Lopez; i marmi d'età romana, comprendenti una
testa di Zeus (collocata di fronte al teatro Farnese),
una copia del Satiro flautista di Lisippo, un torso
di Eros, una grande testa di Giove Serapide e
un busto di Lucio Vero, furono prevalentemente
acquisiti nei decenni precedenti dalle collezioni Farnese di Roma e
Gonzaga di Guastalla; i materiali paleocristiani, costituiti da
lapidi funerarie e manufatti tardoromani, furono acquistati in più
riprese.
Al centro della sala, dominata dal soffitto a cassettoni lignei, è
posto un grande tavolo antico, recuperato nel corso del restauro
dell'Ala Nuova; sul piano sono collocate, all'interno di teche in
vetro, numerose ceramiche d'epoca greca, etrusca, italiota e romana;
tra gli oggetti esposti, spiccano alcune anfore dipinte etrusche
rinvenute a Vulci e vasi italioti provenienti
dall'antica Apulia.
Lungo la corta parete settentrionale sono poste quattro vetrine,
contenenti altri oggetti d'età etrusca, tra cui vari bronzi,
specchi, statuette e terrecotte. Il lato occidentale, aperto
sul Lungoparma attraverso cinque finestroni, accoglie
quattro statue romane marmoree, collocate su piedistalli. Sul breve
fianco meridionale, tra due porte delimitate
da stipiti modanati e architravi in rilievo,
è posizionata una vetrina, al cui interno è esposto
un bassorilievo di Oceano. Infine, la lunga parete
orientale ospita, su alti basamenti, cinque busti e una testa in
marmo d'epoca romana, situati ai lati e in mezzo a due porte
anch'esse decorate con cornici.
Preistoria
La sezione della preistoria, esposta in varie sale del piano terreno,
riunisce materiali risalenti a un periodo compreso tra
il Paleolitico e l'età del bronzo, raccolti a partire
dall'insediamento nel 1867 del successore di Michele Lopez, Luigi
Pigorini; il nuovo direttore, studioso di paletnologia,
concentrò le proprie attenzioni soprattutto sulla
civiltà terramaricola, di cui, insieme a Pellegrino Strobel,
nel 1860 aveva rinvenuto le prime tracce di un villaggio a Castione
Marchesi e nel 1864 a Gaione; altri materiali giunsero in
seguito alla scoperta, nel 1871, di un'altra terramara a Quingento
di San Prospero. Nei decenni successivi, nuovi reperti furono
acquisiti dal museo grazie al ritrovamento di siti archeologici a
Parma e nei suoi dintorni, soprattutto durante la direzione, iniziata
nel 1991, di Maria Bernabò Brea, che concentrò le proprie ricerche
sull'età del bronzo e riallestì la sezione
preistorica.

L'esposizione
prende avvio dagli utensili del Paleolitico rinvenuti da Pellegrino
Strobel, tra cui compare una serie di lame e punte. Segue la sezione
dedicata al Neolitico, che raccoglie numerosi oggetti, comprese
varie asce, provenienti da necropoli e villaggi scoperti
nel Parmense; in particolare, alla cultura dei vasi a bocca
quadrata appartengono i reperti portati alla luce nelle
necropoli di Gaione e Vicofertile. L'età del bronzo occupa poi
una porzione importante, grazie all'abbondanza di manufatti
provenienti dalla zona; all'età del bronzo antica appartengono vari
reperti lignei provenienti dal villaggio di Castione Marchesi, mentre
all'età del bronzo media risalgono i numerosi oggetti rinvenuti
nelle terramare di Parma, Quingento di San Prospero, Castione
Marchesi e Vicofertile.
Degna di nota per la sua rarità è una statuetta perfettamente
integra riferibile alla cultura dei vasi a bocca quadrata, rinvenuta
nel 2006 nella necropoli di Vicofertile all'interno della tomba di
una donna, accanto a una piccola olla e a un vaso; la
scultura, risalente alla metà del V millennio a.C., rappresenta
una figura femminile seduta, probabilmente la Madre Terra,
inserita nella sepoltura per proteggere nell'aldilà la defunta, che
doveva sicuramente rivestire un ruolo importante all'interno del
villaggio; il manufatto, realizzato in ceramica scura,
presenta alcune tracce di pittura bianca.
Età romana, Parma romana, Veleia e Territorio parmense
Le sezioni, in fase di riallestimento, riuniscono materiali rinvenuti
tra la città di Parma, fondata nel 183 a.C., e i siti archeologici
di Velleia, Luceria e varie località del Parmense; i primi reperti
romani, provenienti da Velleia, giunsero al museo tra il 1760 e il
1765, quando, alla morte del duca Filippo di Borbone, gli scavi
furono interrotti; successivamente, grazie alla scoperta del sito di
Luceria nel 1776, la collezione si arricchì di nuovi oggetti, che
verso il 1785 furono accorpati dal direttore Paolo Maria
Paciaudi, insieme ad altri provenienti dal capoluogo e da Fornovo
di Taro. In epoca napoleonica, nonostante la spoliazione dei pezzi
più importanti del museo, l'amministratore ducale Médéric
Louis Élie Moreau de Saint-Méry promosse tra il 1803 e il 1805
nuovi scavi a Velleia, che tuttavia non consentirono di arrestare il
degrado del sito archeologico. Dopo la Restaurazione e la
restituzione delle opere trafugate in Francia, il museo divenne
assegnatario di tutti i reperti antichi rinvenuti nel territorio
ducale, per volere di Maria Luigia, che nel 1816 intraprese una nuova
campagna a Velleia, durata a fasi alterne fino al 1847; la collezione
si arricchì così di un notevole patrimonio, proveniente sia da enti
religiosi e privati sia da rinvenimenti nel corso di opere pubbliche,
che in quegli anni, su impulso della Duchessa, interessarono in
particolare la città di Parma. Dopo anni di interruzione, gli scavi
veleiati ripresero nel 1876, durante la direzione di Giovanni
Mariotti, che vi rinvenne una necropoli dei Liguri veleiati, ma
in seguito non avvennero più scoperte di rilievo nel sito.
Successivamente il museo si arricchì grazie a scoperte fortuite nel
corso di lavori pubblici e privati, avvenute sia in città che in
provincia.

La collezione, divisa nelle varie sezioni, comprende oggetti
etruschi, liguri, romani e longobardi, provenienti da Parma e il
Parmense, tra cui sculture, mosaici, epigrafi funerarie,
frammenti architettonici, gioielli e utensili, la maggior parte dei
quali risalente all'età romana.
Velleia
Il cuore del museo è costituito dalla sezione dedicata a Velleia,
che raccoglie numerosi reperti provenienti dalla città romana,
fondata sui resti di un villaggio ligure veleiate nel 158 a.C., in
seguito alla conquista romana del territorio, e abitata fino
all'incirca al V secolo d.C.
La collezione è costituita innanzi tutto da una serie di bronzi
figurati, in ottime condizioni di conservazione, tra cui una Testa
di fanciulla del I secolo a.C., una Vittoria alata del
I secolo d.C., un Ercole ebbro del II secolo d.C. e una
coeva Testa di imperatore, raffigurante verosimilmente Antonino
Pio.
Di particolare importanza risulta poi il ciclo statuario
giulio-claudio, conservato nell'antica sala delle medaglie dal
1965. L'ambiente presenta, incastonato al centro del
pavimento, un mosaico romano rinvenuto nel 1833 in
una villa a Pontenure, mentre la volta a padiglione,
affrescata da Francesco Scaramuzza nel 1845, è ornata con
l'allegoria del Trionfo dell'Archeologia nel mezzo, quattro
tondi ai lati raffiguranti i busti degli archeologi Giovanni
Battista Visconti, Luigi Antonio Lanzi, Johann Joachim
Winckelmann e Jean-François Champollion e sul contorno, tra
ottagoni contenenti putti, i quattro principali siti
archeologici d'epoca romana, etrusca, greca ed egizia, dipinti
in chiaroscuro.
Il gruppo di sculture, costituito da 12
statue marmoree provenienti dalla basilica a sud del foro
di Velleia, raffigura vari membri della dinastia giulio-claudia;
realizzato in tre fasi differenti intorno alla metà del I secolo,
raccoglie nel primo gruppo le figure di Tiberio, Augusto, Livia
Drusilla, Druso maggiore, Druso minore e Lucio
Calpurnio Pisone, patrono di Velleia; del secondo gruppo
fanno parte Caligola (nella terza fase modificato
sostituendo la testa con quella di Claudio), Drusilla e Agrippina
maggiore; nel terzo compaiono, accanto al suddetto Claudio, Agrippina
minore e un giovane Nerone; infine un'ultima statua viene
identificata dagli esperti come raffigurazione di Germanico o
di Domiziano.

Un ruolo di considerevole rilievo è poi assunto dalla tabula
alimentaria traianea, che costituisce la più grande iscrizione
bronzea romana mai rinvenuta. L'ampia tavola rettangolare, della
superficie di circa 3,9 m², fu scoperta fortuitamente nel 1747
dal sacerdote Giuseppe Rapaccioli e venduta a pezzi a più fonderie,
ma, prima della sua distruzione, fu individuata come un reperto di
notevole antichità e salvata dai conti Giovanni Roncovieri e Antonio
Costa; trafugata ancora smembrata in 11 frammenti a Parigi nel 1803,
fu restituita dal museo del Louvre nel 1816 e l'anno
seguente fu ricomposta e restaurata da Pietro De Lama. L'iscrizione
che ricopre la faccia anteriore della lastra si riferisce
all'istituzione degli alimenta, prestiti ipotecari versati in
due fasi tra il 101 e il 114 dall'imperatore Traiano ai
proprietari di terreni nei dintorni di Velleia, i cui interessi,
ammontanti al 5% di quanto percepito, erano destinati al mantenimento
di giovani poveri nati liberi tra le città di Piacenza,
Parma, Libarna e Lucca; la tabula riporta,
su sei colonne, i dati dei percettori dei prestiti e delle loro
proprietà e l'entità di quanto loro corrisposto.

Il museo espone inoltre la cosiddetta Lex Rubria de Gallia
Cisalpina, frammento di una grande lastra bronzea rinvenuto nel 1760
nel portico ovest del foro di Velleia. La tavola rettangolare,
realizzata presumibilmente tra il 49 e il 42 a.C., riporta, su due
colonne, tre capitoli interi e due parziali della tavola IV di una
legge riguardante la Gallia Cisalpina.
La collezione raccoglie inoltre numerosi reperti legati alla vita
privata quotidiana, tra cui pinzette, spatole, anelli, fibule,
contenitori in vetro per unguenti e strigili per la pulizia
del corpo.
Infine, una sezione è dedicata agli oggetti legati al culto
domestico dei lari e, d'epoca imperiale, della
dea Iside.