Tra il 1848 e il 1849 Mihajlo
Barić acquistò una mummia di una giovane donna
ancora avvolta nelle sue bende, che apparivano coperte da misteriose
scritte. Nel 1862 la mummia e le bende furono donate al museo
nazionale di Zagabria da Ilija Barić, fratello di Mihail
nel frattempo defunto. Quasi trent'anni dopo le bende furono inviate
a Vienna per essere studiate dell'egittologo Jacob
Krall, che tuttavia si rese conto che la lingua era l'Etrusco. Krall
ricostruì la forma che il libro doveva avere prima di essere
tagliato per creare le bende. In origine il libro era costituito da
un telo lungo circa 340 cm ed alto circa 40 cm; il libro, scritto nel
senso della lunghezza da destra verso sinistra, era distribuito su
dodici colonne larghe circa 24 cm; le varie colonne erano demarcate
da linee rosse. Probabilmente in origine il libro era piegato a
fisarmonica.
La mummia e il libro sono ora
conservati in una sala refrigerata del museo archeologico
di Zagabria, in Croazia.
Secondo lo studioso Van der Meer
sarebbe stato scritto da una confraternita
sacerdotale aruspicina dell'antica Ena, oggi San
Quirico d'Orcia. Pur non completamente decifrabile, il testo sembra
essere un calendario rituale.
Su basi paleografiche, il manoscritto è
datato al 250 a.C. circa (sebbene la datazione al
carbonio collochi la produzione del tessuto di lino nel 390
a.C. +/- 45 anni). Alcune divinità locali menzionate nel
testo permettono di restringere il luogo di produzione del Liber
Linteus a una piccola area nel sud-est della Toscana, vicino al Lago
Trasimeno, dove si trovavano quattro importanti città etrusche: le
attuali Arezzo, Perugia, Chiusi e Cortona.
Il libro è disposto in dodici colonne
da destra a sinistra, ognuna delle quali rappresenta una "pagina".
Gran parte delle prime tre colonne è mancante e non si sa dove inizi
il libro. Verso la fine del libro il testo è quasi completo (manca
una striscia che corre per tutta la lunghezza del libro). Alla fine
dell'ultima pagina la tela è vuota e la cimosa è intatta, mostrando
la fine definitiva del libro.
Ci sono 230 righe di testo, con 1330
parole leggibili, ma solo circa 500 parole o radici distinte.[8] Si
ritiene che solo il 60% circa del testo si sia conservato. È stato
utilizzato inchiostro nero per il testo principale e inchiostro rosso
per le linee e i diacritici.
In uso, sarebbe stato piegato in modo
da sovrapporre una pagina all'altra come un codice, anziché essere
avvolto come un rotolo. Si dice che Giulio Cesare abbia
piegato i rotoli in modo simile a fisarmonica durante le sue campagne
militari.
Sebbene la lingua etrusca non sia del
tutto comprensibile, è possibile decifrare molte parole e frasi,
sufficienti a darci un'indicazione dell'argomento trattato. Nel testo
si trovano sia date che nomi di divinità, dando l'impressione che il
libro sia un calendario religioso. Nel mondo romano sono noti
calendari di questo tipo, che riportano non solo le date delle
cerimonie e delle processioni, ma anche i rituali e le liturgie
previste, la disciplina etrusca perduta a cui fanno riferimento
diversi antiquari romani.
L'ipotesi che si tratti di un testo
religioso è rafforzata da parole e frasi ricorrenti che si suppone
abbiano un significato liturgico o dedicatorio. Alcune formule degne
di nota sul Liber Linteus includono una ripetizione simile a un inno
di ceia hia nella colonna 7, e variazioni della frase śacnicstreś
cilθś śpureśtreśc enaś, che viene tradotta da van der Meer come
"dalla sacra fraternità/prete di cilθ, e dalla civitas di
enaś".
Sebbene molti dettagli specifici dei
rituali non siano chiari, sembra che siano stati eseguiti al di fuori
delle città, a volte vicino a specifici fiumi, a volte su (o almeno
per) cime di colline/cittadelle, a volte apparentemente in cimiteri.
Sulla base delle due date inequivocabili sopravvissute - il 18 giugno
in 6.14 e il 24 settembre in 8.2 - si suppone che le colonne da 1 a 5
trattino dei rituali che si svolgevano nei mesi precedenti a giugno
(probabilmente a partire da marzo, e forse anche qui c'era del
materiale introduttivo o di altro tipo), la colonna 7 potrebbe
riferirsi ai rituali di luglio e forse di agosto, e le 9-12 ai riti
da eseguire da ottobre a febbraio. Vengono citati altri numeri che
probabilmente sono anche date, ma poiché i mesi non sono indicati,
non possiamo essere sicuri di dove cadano esattamente nell'anno.
In questo calendario c'è anche una
progressione abbastanza chiara di quali tipi di divinità devono
essere propiziate in quali mesi e stagioni. Solo due divinità sono
precedute dal termine farθan fleres, probabilmente "il
Genio (o Padre?) dello spirito di/in..."; si tratta
di Crap- e Neθuns, il primo probabilmente equivalente
a Tinia, il secondo approssimativamente equivalente
al Nettuno latino. È da notare che Crap-/Giove è
menzionato nella prima metà del testo (nelle colonne 3, 4 e 6), cioè
fino a giugno (in particolare prima del solstizio d'estate del 21
giugno), ma non è mai menzionato in seguito nel calendario (per
quanto possiamo vedere nel testo leggibile). D'altra
parte, Neθuns/Nettuno non compare (di nuovo, per quanto
possiamo vedere) in questi passaggi/mesi/stagioni precedenti, ma solo
dopo l'equinozio di primavera del 21 settembre (in particolare subito
dopo il 24 settembre, menzionato in 8.3, poi anche 8.11, 9.18 e
9.22). Allo stesso modo, da un lato, altre divinità della luce,
come θesan "l'alba" e Lusa, sono menzionate
solo nella parte iniziale del calendario: θesan a 5.
19-20 θesan tini θesan eiseraś śeuś probabilmente
"Alba di Giove (luminoso) (e) Alba delle divinità oscure",
(probabilmente riferendosi a Venere come stella del mattino
e della sera) e Lusa a 6,9; mentre, d'altra parte, vari
termini che si pensa o si sa che si riferiscono a divinità
specificamente infere compaiono esclusivamente più avanti nel
calendario: Satrs "Saturno/Crono"
(11,f4), Caθ- (nelle colonne 10 e 12), Ceu- (a
7,8), Velθa (7, 10 e 11) e Veive-/Vetis
= Veiovis/Vedius latino, (descritto da van der Meer come un
"Giove sotterraneo", il Veiove latino) in 10 e
11. Ma alcune delle apparenti divinità infere, come Zer,
compaiono in entrambe le metà (4, 5, 9), mentre Lur, anch'essa
ritenuta ctonia, appare solo nelle colonne 5 e 6. van der Meer
sostiene che molte delle posizioni nell'anno dei rituali di queste
divinità corrispondono alle posizioni delle stesse divinità
sul Fegato di Piacenza e in altre fonti etrusche che
alludono al modo in cui dividevano i cieli o il regno divino. D'altra
parte, Belfiore considera Crap una divinità degli inferi.
Nel testo sono descritti diversi tipi
di rituali (il cui termine generale sembra essere eis-na/ ais-na,
letteralmente "per gli dèi, atto (divino)"). I più
frequentemente citati includono vacl, probabilmente "libagione",
di solito di vinum "vino" (a volte specificamente
"vino nuovo") ma anche di olio, ossia faś, ed altri
liquidi la cui identità non è chiara; nunθen "invocare"
o forse "offrire (con un'invocazione)"; θez- probabilmente
"sacrificio" ma forse "presentare" sacrifici o
offerte (fler(χva)) spesso di zusle(va) "maialino(i)"
(o forse qualche altro animale). Le offerte e i sacrifici venivano
collocati su un indefinito hamΦeś leiveś destro e/o
sinistro oppure sul fuoco raχθ; su una pietra
(altare?) luθt(i); sul terreno cel-i; o con/su un lettino
decorato (?) cletram śrenχve. Venivano spesso eseguiti tre
volte ci-s-um/ci-z e spesso avvenivano o si concludevano
durante la mattinata cla θesan (un termine che sembra
segnare la fine dei rituali in questo testo, dato che le righe vuote
lo seguono, seguite da una nuova data (parziale o completa)). La
colonna 7 (luglio e/o agosto?) potrebbe essere dedicata alla
descrizione di una serie di riti funebri legati alla festa
dell'Adonia, in cui si piangeva ritualmente la morte dell'amante
di Afrodite, Adone. Vengono menzionati diversi tipi di
sacerdote cepen (ma in particolare non le autorità
civili), ma le distinzioni esatte tra loro non sono del tutto
chiare: tutin "del
villaggio"(?); ceren, θaurχ entrambi "della
tomba"; cilθ-l/cva "della/e cittadella/e /
della/e cima/e". Meno chiari sono i tipi di sacerdote indicati
dai seguenti (se si riferiscono a
sacerdoti): zec, zac, sve, θe, cluctra, flanaχ, χuru ("arco"?), snuiuΦ ("permanente"?), cnticn- (ad
hoc?), truθur ("interprete del presagio del
fulmine"?), peθereni ("del dio
Peθan"?), saucsaθ ("sacerdote" o "area
sacra del dio Saucne") a 3,15. Se l'ultima equazione è
corretta, potrebbe indicare un collegamento tra il Liber Linteus e il
secondo testo etrusco più lungo, che si dà il caso sia anche un
calendario rituale, la Tabula Capuana (riga 2), dal momento
che la radice sauc- sembra comparire in entrambi i testi in
una parte che probabilmente corrisponde al mese di marzo (anche se
questo mese non è nominato direttamente in alcun modo evidente in
nessuno dei due testi).