è un'antica città nabatea, situata
nel deserto del Negev, in Israele, a circa quarantatré
chilometri a sud-ovest di Be'er Sheva. Nel 2005 le città nel
deserto del Negev, sulla via dell'incenso, di cui fa parte anche
Shivta, sono state dichiarate dall'UNESCO patrimonio
dell'umanità.
Il
nome Shivta potrebbe provenire dal nome aramaico dell'insediamento,
ma non è registrato in alcuna fonte, oppure dall'appellativo
bizantino di Σουβαιτα (Soubaita)
o Σοβατα (Sobata) o ancora dal nome arabo
moderno es-Subeṭa, come testimoniato da due papiri risalenti
al VI secolo.

Shivta
venne fondata al I secolo dai Nabatei, probabilmente alla fine del
regno di Obodas III o l'inizio di quello di Areta IV:
le prime monete e iscrizioni nabatee ritrovate sul luogo risalgono
all'inizio del II secolo; tuttavia è possibile che la zona fosse
abitata già prima della fondazione della città, nel I secolo a.C.,
in quanto si trovava sulla rotta commerciale verso il mar
Mediterraneo, tra Odoba e Nessana. Il periodo di
maggiore splendore nabateo fu intorno al 150. L'apertura delle rotte
commerciale dall'impero romano verso l'India, all'inizio del III
secolo, portò le carovane ad abbandonare la via che passava per
Shivta: il declino di questo settore causò lo sviluppo
dell'agricoltura e della produzione del vino.
Sotto l'influsso dei bizantini, la
città si ripopolò intorno al 450: in questo periodo si raggiunsero
circa duemila abitanti e ogni famiglia era mediamente composta dalle
otto alle sedici persone. Agli abitanti si aggiungevano i pellegrini
che si recavano al monastero di Santa Caterina sul Sinai.
Tra il
634 e il 640 Shivta venne conquistata dagli arabi: sotto il
califfo ʿOmar ibn al-Khaṭṭāb la convivenza
tra musulmani e cristiani fu pacifica e durò poi
fino alla fine dell'esistenza della città. La diminuzione
dell'attività agricola e quindi l'assenza di mezzo di sostentamento
portarono nell'VIII secolo al graduale spopolamento: la città fu
completamente abbandonata nel IX secolo.
La prima descrizione delle rovine fu fatta da Edward Henry
Palmer nel 1870: il sito veniva descritto in un eccellente
stato di conservazione, con mura di difesa alte sette metri; furono
identificate tre chiese. Alois Musil visitò le rovine tra
il 21 e il 23 luglio 1901. Altra spedizione venne effettuata nel
1905 da Antonin Jaussen e Raphaël Savignaci, i quali
identificarono un cimitero bizantini risalente al quarto secolo.
Altre indagini furono svolte nel 1914 da Leonard
Woolley e Thomas Edward Lawrence: questi individuarono
la zona dove veniva prodotto il vino e realizzarono i disegni delle
chiese e degli edifici residenziali, pubblicati nel 1915. Nel
1916 Theodor Wiegand confermò quanto affermato dagli
esploratori precedenti ma smentì l'esistenza delle mura e documentò
l'architettura delle chiese e delle case, che considerò erroneamente
a un piano; nello stesso anno vennero realizzate le foto dell'area
dall'alto.
I primi scavi sistematici di Shivta avvennero tra il 1933
e il 1938 e furono condotti da Harris Dunscombe Colt: Glenn
Peers sostiene che la campagna di scavi fu interrotta quando il
deposito utilizzato da Colt venne distrutto e tutta la documentazione
e i reperti andarono perduti. Tra il 1958 e il 1960 il sito è stato
restaurato grazie a Michael Avi-Yonah. Tra il 1979 e il 1982
furono condotti scavi su piccola scala da Artur Segal: fece una
mappa della città e la proiezione della chiesa centrale e di cinque
case private, anche se tali studi non sono mai stati pubblicati. Nel
1985 la chiesa nord venne studiata da Josef Szereszewski. Nel 2005
con la denominazione di Via dell'incenso - città nel deserto
del Negev, comprendente anche Shivta, la zona è stata dichiarata
patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
All'epoca di massima espansione, il clima di Shivta era
stagionalmente umido e piovoso, in modo da permettere l'agricoltura:
gli abitanti del luogo coltivavano uva, fichi e olive. Da una
mappatura della città fatta nel 2009, tra il VI e il VII secolo
erano presenti 1 262 stanze e 141 cortili appartenenti a 117
unità immobiliari, di cui 75 abitazioni e 29 fattorie. L'estensione
massima fu di venti acri. Shivta non aveva una cinta muraria: la
difesa era organizzata tramite una serie di case, unite tra loro, che
nel lato esterno non avevano né porte, né finestre; il perimetro
era di 1 597 metri. Le strutture erano realizzate in pietra
calcarea dura, mentre per gli elementi architettonici, come ad
esempio per gli archi, venivano usate pietre più morbide: secondo
gli archeologi, una normale casa, poteva essere realizzata in circa
due anni.

Il
sistema viario di Shivta era irregolare e seguiva lo sviluppo urbano
della città da sud, la parte più antica, verso nord: ciò ha
determinato che nella parte più antica le strade risultano essere
più strette rispetto alla parte settentrionale. Solitamente erano in
terra battuta e potevano avere una larghezza fino ai 4 o 5 metri; le
strade erano nove, chiuse da cancelli.
Da una porta sul lato occidentale
partiva la strada principale, lungo la quale, su entrambi i lati, si
sviluppavano i quartieri residenziali: le case erano a due piani,
spesso con cortili, e possedevano scuderie e mangiatoie per il riposo
delle carovane e dei pellegrini; le unità abitative avevano una
dimensione di circa trecentocinquanta metri quadrati e avevano, come
tutti gli edifici pubblici, una cisterna per la raccolta dell'acqua
piovana. Nella parte nord si trovava la piazza principale, centro
sociale e economico della città: le case che si affacciavano sul
lato ovest della piazza erano provviste di panchina, forse il luogo
dove si discuteva dei problemi e dei bisogni della comunità. Nella
zona, secondo gli archeologi, si trovava anche un ostello e due
taverne. La zona commerciale di Shivta era posta nella parte est:
sono stati ritrovati due torchi per il vino e un forno per la cottura
e produzione di ceramiche.

Il fabbisogno religioso era soddisfatto da tre chiese
cristiane, tutte simili nella forma, ossia a pianta
basilicale, con tre navate. La chiesa meridionale, dedicata
probabilmente a santo Stefano, secondo un'iscrizione, sarebbe
stata costruita tra il 415 e il 430 ed è la chiesa più antica di
Shivta: nel suo vestibolo si trova un fonte battesimale cruciforme a
immersione, realizzato in un unico blocco di roccia, mentre, dopo
l'invasione araba del 640, come afferma un'altra iscrizione, venne
rifatta la pavimentazione con lastre di pietra. La chiesa aveva
decorazioni a mosaico e l'abside affrescato: un frammento è stato
staccato e trasferito al Museo Rockfeller di Gerusalemme;
nelle altre absidi presenti era posti i reliquiari, dov'era praticato
il culto dei santi e dei martiri. A nord di questa chiesa, nel VII
secolo, venne costruita una moschea di dimensioni
modeste e dalla forma trapezoidale, con due file di tre
colonne ciascuna: parte degli abitanti di Shivta era araba. La
chiesa centrale fu costruita intorno al 600 ed è la più nuova di
Shivta: aveva tre absidi ed era dotato di torri per il rifugio dei
monaci in caso di attacco. La chiesa nord (
nella foto), la più elegante della
città, fu costruita nel IV secolo e subì lavori di ampliamento nel
VI secolo, quando vennero aggiunte nicchie laterali per conservare le
reliquie: queste erano conservate anche nell'abside principale. La
chiesa aveva parti delle pareti e pavimenti in marmo, mentre una
delle cappelle era decorata a mosaico; sull'architrave dell'ingresso
si riconosce una croce con il monogramma di Cristo. Nell'atrio
erano custodite tombe che andavano dal 506 al 646: altre tombe si
trovavano vicino al battistero ed erano datate dal 614 al 679.
Nell'atrio è conservata una cisterna e resti di una colonna, la
quale, secondo alcuni archeologi, apparteneva a un monumento dedicato
a un monaco santo che viveva nei pressi della città. Accanto a
questa chiesa era presente un monastero, il quale aveva una sorta di
chiostro con varie stanze, tra cui un refettorio, collegate tra loro
da un corridoio. Resti di una scala confermano l'esistenza di un
piano superiore. Il ritrovamento di un torchio nell'area del
monastero conferma l'ipotesi che i monaci, oltre che a occuparsi
dell'accoglienza di pellegrini, si dedicavano all'agricoltura.

Tra la chiesa nord e quella centrale
era posto il municipio con un torre (
nella foto a sinistra), i cui resti arrivano a
un'altezza di sei metri: si ipotizza che la torre, utilizzata come
casa, potesse raggiungere un'altezza di dodici metri.
Il fabbisogno idrico della comunità
era garantito tramite un acquedotto che originava a circa due
chilometri e mezzo a nord-est di Shivta per terminare all'interno
della città, in una cisterna posta nei pressi della chiesa nord;
sono state inoltre ritrovate, sempre in città, altre due piscine
poligonali per la raccolta dell'acqua, che insieme avevano un volume
di circa duemila metri cubi ed erano a uso pubblico. Nella periferia
di Shivta venne costruito un sistema di irrigazione per
l'agricoltura, che comprendeva cisterne per la raccolta delle acque
piovane in inverno, dighe, canali e terrazze.
A circa sei chilometri dal centro di
Shivta si trovano i resti di quello che potrebbe essere un monastero.
Venne esplorato da Edward Henry Palmer nel 1870 e da Alois Musil nel
1901 che lo identificarono come una fortezza romana. Leonard Woolley
e Thomas Edward Lawrence invece, dallo studio delle strutture e dei
frammenti di ceramica, sostennero che si trattasse di un monastero.
La struttura era realizzata in pietra e in parte intagliata nella
roccia. Accanto al monastero, una casa di preghiera con fondo
absidato: l'edificio è parzialmente scavato.
Adiacente ai resti della città di
Shivta si trova una fattoria che utilizza tecniche agricole simili a
quelle utilizzata dei Nabatei per quanto riguarda l'irrigazione, la
semina e la raccolta: si coltivano fichi, melograni, albicocche,
arachidi e carrube, olivi e uva.