La
villa di Faràgola è
una villa romana tardo antica presente nel territorio
di Ascoli Satriano in provincia di Foggia.
La villa, che conobbe la fase di
massima espansione tra il IV e il VI secolo, occupa
un'area molto estesa presso il fiume Carapelle, distante 9 km
da Herdonia (presso Ordona) e 5 km
da Ausculum (Ascoli Satriano), lungo il percorso della via
Aurelia Aeclanensis (che collegava Herdonia ad Aeclanum,
mettendo in comunicazione la via Appia e la via
Traiana).
La villa, forse appartenente alla
famiglia senatoria degli Scipioni Orfiti, era sorta sui
resti di un insediamento daunio del IV-III secolo
a.C. (con tracce risalenti ai secoli precedenti), di una villa
di epoca romana (I-III secolo d.C.). La villa
tardoantica ebbe due fasi principali: una relativa al III-IV secolo,
caratterizzata da una pianta legata alla tradizione delle ville
romane classiche, con un grande peristilio e un atrio, con numerosi
vani disposti intorno; l'altra, databile al V-VI secolo,
profondamente modificata, pur riutilizzando in parte vani e spazi
della villa precedente, con grandi terme, una spettacolare sala da
pranzo estiva (cenatio), numerosi ambienti di servizio e uno sviluppo
in altezza, con ambienti residenziali posti al piano superiore,
secondo un modello tipico della tarda antichità.
Il sito venne quindi occupato da un
villaggio altomedievale (VII-VIII secolo), probabilmente
identificabile con una curtis longobarda.
L'area,
acquisita nel 1997 dal comune di Ascoli Satriano, è stata
oggetto di scavi archeologici sistematici da parte dell'Università
di Foggia a partire dal 2003,. sotto la direzione
di Giuliano Volpe e Maria Turchiano. Nel 2009 il
sito è stato parzialmente aperto al pubblico (parco archeologico di
Faragola), con la musealizzazione della sala dal pranzo estiva
(cenatio). Negli anni successivi la sistemazione museale ha
riguardato anche le terme e alcuni ambienti di servizio.
Nella notte
tra il 6 e il 7 settembre 2017 un incendio doloso ha
distrutto l'intera copertura danneggiando buona parte delle strutture
della villa e delle sue decorazioni. I colpevoli non sono stati
individuati.
Della villa tardoantica sono stati
rimessi in luce in particolare il grande settore termale e
una lussuosa sala da pranzo (cenatio), oltre a vari ambienti di
servizio, magazzini, cucine e anche una fornace per la produzione
di laterizi.
La villa del III-IV secoloIl primo impianto della villa è stato
individuato solo in parte. I resti finora evidenziati dimostrano che
la villa aveva sicuramente grandi dimensioni ed era caratterizzata da
notevole lusso: si tratta di un nucleo residenziale, posto nella
stessa area in cui successivamente verrà edificata la
grande cenatio, di un grande peristilio porticato e, forse,
dell’originario impianto termale ubicato a Sud-Ovest. Il peristilio
si presenta di forma quadrangolare, circondato su quattro lati da un
portico probabilmente scandito da pilastri e, con un cortile centrale
scoperto (Amb. 100). Le ali settentrionale, orientale e occidentale
si presentano uguali dal punto di vista dimensionale (lungh. m 35 ca.
e largh. m 5 ca.), mentre l’ala meridionale si contraddistingue per
una superficie leggermente inferiore (lungh. m 25 ca. e largh. m 3
ca.). L’estensione complessiva (1225 m2 ca.) permette di
collocare il peristilio della residenza ascolana nel gruppo di ville
di maggiori dimensioni a cui appartengono, ad esempio, le ville
di piazza Armerina e Patti Marina.
Lungo il braccio occidentale del
peristilio sono stati indagati una serie di ambienti (Amb. 97, 98,
99), verosimilmente preesistenti, inglobati e ristrutturati
contestualmente alla realizzazione del monumentale giardino. Tali
interventi sono leggibili nel rialzamento dei livelli di calpestio e
nello spostamento dell’accesso ai vani sul fronte orientale, con
una apertura diretta sul portico. La mancata conservazione dei piani
pavimentali, dei rivestimenti parietali e delle stratigrafie
pertinenti alle fasi di frequentazione, impedisce di cogliere la
destinazione funzionale di tali vani, probabilmente interpretabili
come sale da pranzo e aule di rappresentanza.

Gli interventi di profonda
ristrutturazione effettuati nel pieno V secolo, con la
sovrapposizione delle nuove monumentali strutture di questa fase (in
particolare la cenatio), la demolizione sistematica, la rasatura
dei muri del settore occidentale del peristilio e degli ambienti
gravitanti sul lato orientale del portico e l’asportazione dei
rivestimenti, impediscono di ricostruire, se non nelle grandi linee,
l’articolazione planimetrica generale della villa di III-IV secolo.
Oltre al nucleo del peristilio sono stati individuati un atrio (Amb.
66), circondato da un portico (Amb. 61, 64, 65) e da una serie di
ambienti (Amb. 67, 68, 69, 70) la cui destinazione funzionale è
ancora ipotetica (cubicula, ambienti di servizio, vani riscaldati) e
alcuni vani delle terme (Amb. 14, 18, 25, 19, 20, 21, 22, 23, 31)
riutilizzati nelle grandi terme del V-VI secolo.
Molte di queste strutture furono
abbandonate intorno alla seconda metà del IV secolo d.C., mentre
altre, come ad esempio le terme e il corridoio orientale del grande
peristilio, furono inglobate dalla nuova costruzione. Non sappiamo se
tali significativi cambiamenti siano stati determinati dai danni
provocati dai terremoti che colpirono la Daunia con epicentro in
Irpinia, il più grave dei quali, quello del 346 d.C., danneggiò
numerosi edifici pubblici e privati nella vicina città di Herdonia,
oppure se siano stati legati ad un cambio di proprietà e/o, più
semplicemente, alle scelte di un dominus facoltoso e
desideroso di attribuire una veste ancor più monumentale e ‘à la
page’ alla propria residenza rurale.
La villa tardoantica del V-VI secoloLa villa fu interessata da notevoli
interventi edilizi nel V secolo, quando, in particolare, fu costruita
una lussuosa sala da pranzo, le terme conobbero un notevole
ampliamento e abbellimento, acquisendo la fisionomia di un doppio
impianto termale e furono realizzati vari ambienti di servizio e
magazzini.
La pianta risulta attribuibile al tipo
della villa a padiglioni, con una distribuzione orizzontale degli
spazi, non priva di anomalie se rapportata ai modelli classici, forse
per effetto della stratificazione delle fasi edilizie. Secondo una
tendenza propria dell’edilizia tardoantica, che si caratterizza per
una predilezione per lo sviluppo verticale, analogamente ai casi di
San Giovanni di Ruoti e di Quote S. Francesco, anche la villa di
Faragola era dotata di un piano superiore, come confermano alcune
scale e i sistemi di sostruzione, anche se non è possibile
ricostruirne l’aspetto.
Le
termeLa centralità delle terme
nell’articolazione planimetrica della residenza tardoantica è
leggibile anche nella volontà di creare un collegamento tra la sala
da pranzo e il balneum, attraverso un lungo corridoio, concepito
come un vero e proprio percorso ufficiale (Amb. 5/26). L’ampio e
articolato complesso, con un nucleo originario forse già risalente
al I-II secolo d.C., fu oggetto di successive ristrutturazioni,
ampliamenti e modifiche nel corso del III, IV e V secolo d.C. Le
terme di Faragola, sia pur parzialmente indagate, rappresentano uno
dei più grandi complessi termali privati finora individuati in
Italia. L’impianto sinora esposto, esteso su una superficie di
oltre 1000 m2, si compone di due corpi di fabbrica contigui,
contraddistinti da accessi indipendenti e da caratteri edilizi e
dimensionali differenti e forse connotati da diverse tipologie di
fruitori o da una frequenza d’uso diversificata. Il
piccolo balneum, ubicato a Nord-Ovest del grande complesso
termale (Amb. 27, 28, 32, 40, 41, 43, 44), sembrerebbe essere stato
costruito in una fase posteriore e dotato prevalentemente di ambienti
riscaldati concepiti in alternativa o in sostituzione
dei caldaria e tepidaria originari, forse poco
frequentati per problemi tecnici o per le dimensioni notevoli e
probabilmente non più utilizzati o solo parzialmente usati quando fu
edificato il secondo impianto termale.

Tipologie architettoniche peculiari e
alto livello degli apparati decorativi pavimentali e parietali
consentono di accostare il complesso termale della villa di Faragola
ai balnea delle più lussuose residenze aristocratiche
tardoantiche, sebbene la planimetria generale del complesso appaia
discostarsi dai modelli canonici. Colpiscono le dimensioni di alcuni
ambienti, quali un vano (Amb. 3) grande m2 100 ca.,
caratterizzato da versatilità funzionale, destinato ad area per gli
incontri, stanza per l’intrattenimento, i massaggi e forse per
limitati esercizi ginnici, decorato con raffinato rivestimento musivo
policromo con un ampio repertorio di motivi geometrici inseriti
all’interno di una articolata composizione, o il
grande frigidarium (Amb. 19) dotato di due vasche (Amb. 20,
23) e di una natatio (Amb. 31), con volte ornate con
tessere musive policrome in pasta vitrea e decorazioni parietali
verosimilmente realizzate in opus sectile con zoccolo in
marmo cipollino, e una pavimentazione in lastre lisce di marmo bianco
con emblema centrale. Mosaici, rivestimenti parietali
in crustae marmoree e stucco con cornici a palmette e
ovoli, connotano anche i due tepidaria indagati (Amb. 18,
25), mentre le superfici pavimentali del lungo caldarium rettangolare
tripartito da pilastrini aggettanti (Amb. 21, 22, 23) e delle
due sudationes (Amb. 24-27) sono realizzate con l’impiego
di lastre marmoree in breccia di colore rosato. L’uso differenziato
di marmi bianchi e del cipollino per gli ambienti freddi e la messa
in opera di litologie dai colori rosati nei vani caldi, tradisce una
combinazione cromatica studiata in relazione alla destinazione
funzionale delle architetture, parallelamente ad una omogeneità
modulare e compositiva, riscontrabile in tutti gli ambienti del
complesso termale, che rinvia all’utilizzo di marmi di primo
impiego, forse commissionati appositamente per la decorazione
dell’edificio, a differenza di quanto riscontrato nella cenatio.

Non si conservano tracce
dell’originario apparato decorativo scultoreo, ad eccezione di una
scultura in marmo raffigurante un bambino cacciatore, con le
sembianze di un satirisco, databile al II secolo d.C., ed esposta
forse in uno dei vani del complesso come pregevole oggetto d’arte
di reimpiego. La statua è stata rinvenuta tra le stratigrafie di
crollo della pavimentazione del caldarium del piccolo
impianto termale, ma è probabile che originariamente fosse destinata
alla decorazione della natatio (Amb. 31)
La
cenatioLa cenatio, con il suo ricco
apparato decorativo parietale e pavimentale, fornisce senza dubbio le
indicazioni più chiare sul progetto architettonico, decorativo e
ideologico posto alla base dell’intervento edilizio promosso
dal dominus, pienamente integrato nelle forme di vita e nelle
manifestazioni tipiche della classe aristocratica tardoantica cui
apparteneva e finalizzato ad esaltare il banchetto come momento
centrale nelle pratiche aristocratiche.
Nella sua prima fase, databile agli
inizi del V sec., la cenatio presentava una pavimentazione
musiva simile a quella delle terme, mentre l’imponente
ristrutturazione, consistente nella costruzione del divano per il
banchetto e nella ripavimentazione, è collocabile intorno alla metà
del secolo.
La cenatio esprime, tradotta
in pietra, l’adesione culturale e ideologica del dominus al
sistema sociale tardoantico, come emerge dalla concezione gerarchica
della grande sala (m2 128,50), dall’articolazione su tre
differenti livelli pavimentali, dalla accentuata verticalità in
corrispondenza dello stibadium, dalla presenza di percorsi
cerimoniali sottolineati dai tre ingressi, uno centrale, ‘ufficiale’,
sormontato da un grande arco in mattoni, ad uso del proprietario e
dei suoi ospiti, e due laterali, minori e di servizio, verosimilmente
utilizzati dagli inservienti. Il ricco apparato decorativo,
l’evidente ricerca di effetti scenografici dal forte impatto, lo
spiccato gioco cromatico dei rivestimenti, la studiata collocazione
degli elementi d’arredo e la definizione di percorsi e spazi
riservati a varie funzioni e a diversi frequentatori, e, non ultima,
l’integrazione tra la struttura architettonica e il paesaggio
circostante, fanno della cenatio di Faragola uno dei
migliori e più eloquenti documenti materiali del ruolo svolto nelle
ricche dimore dai riti conviviali nel quadro dell’ideologia
aristocratica tardoantica..
Le esigenze sociali e di rappresentanza
del dominus sembrano ‘modellare’ non solo
l’organizzazione architettonica ma anche l’apparato decorativo:
se i raffinati rivestimenti dello stibadium sottolineano
l’importanza di questo dispositivo quale elemento di maggior spicco
all’interno della sala da pranzo, la studiata collocazione dei
pannelli in opus sectile vitreo e marmoreo, inseriti
quali emblemata sull’asse centrale dell’ambiente, è
strettamente legata al punto di vista dei commensali sistemati sul
letto semicircolare. Il pavimento, composto da lastre marmoree
prevalentemente di reimpiego (forse recuperate dai vani abbandonati
delle villa precedente), è organizzato in maniera da suggerire la
specializzazione dei vari spazi della cenatio, con una maggiore
regolarità nella porzione centrale ed una significativa assenza di
decorazione nel settore prossimo all’ingresso, dove la presenza di
lastre in marmo bianco sembra legata alla necessità di uno spazio
destinato ad accogliere giochi e spettacoli ben visibili dalla
posizione frontale degli ospiti. La posizione differente dei due
tappeti quadrangolari con specchiature in giallo antico e
pavonazzetto inquadrate da cornici in serpentino, collocati
specularmente ai lati dello stibadium, oltre a sottolineare
l’accesso al settore più importante della sala, sembra indicare un
preciso percorso all’interno della sala in relazione al complesso
cerimoniale tardoantico.
Completano il quadro complesso
decorativo originale e ricercato anche nella qualità redazionale i
pannelli in opus sectile vitreo e marmoreo, estremamente
rari e attestati solo in edifici particolarmente lussuosi.
La sala da pranzo doveva avere,
mediante grandi aperture sui lati lunghi con l’utilizzo di colonne
o di pilastri, un contatto visivo diretto con il paesaggio
circostante, evidenziando una volontà di ‘sfondare’ le pareti e
di fare della cenatio una sorta di lussuoso gazebo per
banchetti in campagna. Efficaci dovevano essere i giochi di luce
naturale (in particolare al tramonto, quando il sole calante inondava
di luce lo stibadium) e artificiale, come dimostra il
ritrovamento di lampade vitree.
Altro elemento caratterizzante era
l’acqua. La parte centrale della sala da pranzo, posta ad una quota
più bassa rispetto alle ali laterali e chiusa su tutti i lati, si
ricopriva di un velo di acqua, trasformandosi in una sorta di
laghetto artificiale, grazie ad un effetto assai scenografico: una
cascatella che sgorgava dallo stesso stibadium, la cui vasca
sottostante la mensa marmorea si riempiva d’acqua per mezzo di un
complesso sistema di adduzione. In tal modo l’acqua corrente non
solo rinfrescava l’ambiente nelle calde giornate estive, ma
enfatizzava anche l’effetto cromatico dei pannelli in opus
sectile e delle lastre marmoree, rendendo lo spazio assai
scenografico. L’acqua fuoriusciva dal vano, trasformato in una
sorta di ninfeo, verso l’esterno tramite un pozzetto di scarico nel
pavimento e un canale di scolo in muratura, probabilmente a vista,
che attraversava il portico dirigendosi verso valle, dando vita a una
sorta di ‘ruscello’, e confluiva in un pozzo. Si tratta di
espedienti di un uso ‘architettonico’ dell’acqua proprio di
tali strutture per banchetto, come nei celebri casi del ninfeo
imperiale di Punta Epitaffio a Baia, o delle note descrizioni
dello stibadium della villa di Plinio e
della cenatiuncula della villa di Avitacum di Sidonio
Apollinare, o, ancora, del monumentale stibadium del Canopo
di villa Adriana a Tivoli, in particolare del
giardino-cenatio, il cosiddetto ‘ninfeo-stadio’, o
della cenatio della villa spagnola di El Ruedo, della
“fontana” Utere Felix di Cartagine, o, infine,
della villa del Casale di Piazza Armerina.
In particolare in quest’ultimo caso
si riscontrano alcune interessanti analogie, nonostante le evidenti
diversità planimetriche, dimensionali e strutturali, tra
la cenatio di Faragola e il cd. portico
ovoidale-xystus antistante la sala tricora, un complesso ora
assegnato, in maniera convincente, ad una fase costruttiva
collocabile tra tardo IV e V secolo. In particolare gli scavi recenti
hanno dimostrato che lo spazio centrale, scoperto e delimitato da
muretti, e pavimentato significativamente con un mosaico con un
motivo ad onda, era destinato ad essere coperto dall’acqua.
Giustamente si è pensato, in analogia con il caso di Faragola, che,
in occasione dei banchetti organizzati nella sala triabsidata, questo
‘laghetto’ realizzato al centro del portico ovoidale potesse
garantire refrigerio e giochi di luce e riflessi. Gli ospiti
dovevano, dunque, godere uno spettacolo davvero straordinario, con
effetti scenografici molto simili a quelli descritti da Sidonio
Apollinare grazie alla visione del lago dalla cenatio estiva
della sua villa. Non si può escludere, inoltre, che lo stesso
portico ovoidale fungesse da cenatio estiva, grazie alla
possibile sistemazione di uno stibadium in legno
all’interno dell’abside, in particolari occasioni di banchetti
riservati ad un numero più ristretto e selezionato di convitati, ai
quali, grazie ad un complesso sistema di rubinetterie, pompe,
tubature e fontane, era riservato uno spettacolo molto suggestivo,
simile a quello prodotto da un banchetto allestito al bordo di un
laghetto.
Altri
ambientiA sud della cenatio erano
posti alcuni vani utilizzati come magazzini e dispense, oltre ad una
latrina. Altri vani al piano superiore erano raggiungibili mediante
una scala di cui restano cospicui resti.
A nord della cenatio è stato
rinvenuto un altro blocco di ambienti, con vari spazi di servizio al
piano terra (cucine, magazzini) e verosimilmente residenze al primo
piano, secondo un modello edilizio tipico dell'epoca tardoantica.
Ad alcune decine di metri
dalla cenatio si collocava un edificio di grandi
dimensioni, interpretabile forse come un horreum, un grande
magazzino granario.
La
fase altomedievaleMolto importante anche la fase
altomedievale, dopo la fine della villa, quando furono realizzati sia
nuovi ambienti residenziali e strutture produttive (fornaci, vasche
di decantazione dell'argilla, fosse per la fusione di metalli, ecc.),
sia furono riutilizzati gli ambienti della precedente villa, e
capanne lignee disposte nell'area della antica villa. La fase
altomedievale si articolò di un due momenti con caratteri distinti,
rispettivamente nel VII e nell'VIII secolo d.C. Sulla base di vari
indizi, si ritiene che possa trattarsi di una azienda agricola
(curtis) appartenente alle proprietà fiscali beneventane.