sabato 10 maggio 2025

SPAGNA - Canarie, Guatimac

 
Guatimac
 è un idolo guanci che si trova nel Museo archeologico di Puerto de la Cruz nell'isola di Tenerife (Canarie, Spagna).
L'idolo venne trovato nel 1885 avvolto in alcune pellicce all'interno di una grotta del burrone Herques (Fasnia) e, sebbene il suo significato preciso non sia ancora noto, viene messo in relazione con la religione magica dei Guanci. Si ipotizza che possa rappresentare un genio o uno spirito protettore.

SPAGNA - Museo di Almería

 
Il Museo di Almería è la più importante istituzione museale della provincia omonima e vi si conserva la maggiore e più rappresentativa collezione di reperti archeologici della stessa.
Il museo si trova ad Almería in Andalusia e venne inaugurato nella sua forma attuale nel 2006, in un edificio di nuova concezione, premiato nel 2004 con i riconoscimenti PAD e ARCO, nominato finalista nel 2005 nel premio FAD e che ha ottenuto nel 2008 la menzione d'onore del concorso per il Museo europeo dell'anno dall'European Museum Forum.
Il primo tentativo di creare un museo ad Almería risale al XIX secolo. Verso il 1880 l'ingegnere belga Louis Siret scopre quelli che a tutt'oggi sono considerati i principali giacimenti preistorici della regione. Come frutto di un'intensa attività archeologica, Siret formerà un'importante collezione di reperti, che alla fine dei suoi giorni donerà al Museo archeologico nazionale, con l'espresso desiderio che una parte di questi rimangano e si conservino ad Almería. Le condizioni perché questo avvenisse sarebbero maturate durante la Seconda Repubblica (Decreto del 28 marzo 1933). Il Museo Archeologico di Almería aprì dunque le sue porte in due piccole sale cedute dalla Scuola delle Arti e dei Mestieri nel 1934, ma all'interno della sua collezione non figureranno mai i reperti che Louis Siret volle che restassero ad Almería. In seguito a numerose vicissitudini e traversìe, che si produrranno lungo diversi anni, nel 2006 si inaugura la sua sede definitiva.
Il nuovo edificio è strutturato su tre piani nei quali è esposta la collezione museografica, e questi tre piani sono attraversati verticalmente da una colonna con base rettangolare detta “colonna stratigrafica”, che giunge quasi alla volta dell'edificio. La sequenza stratigrafica della colonna riflette i periodi storici dei reperti esposti nei tre piani. La maggior parte dell'esposizione è dedicata alla preistoria recente, ovvero al neolitico e alle età del rame e del bronzo.
Esposizione permanente

Questa comprende i primi due piani dell'edificio, interamente dedicati alle prime società di cacciatori e raccoglitori, la società dei Millares (Santa Fé de Móndujar, Almería), e la società dell'Argar (Antas, Almería). Particolarmente significativo, in questo primo piano, è il ciclo della vita, un cerchio in “pietra”, all'interno del quale sono raccolti, esposti in “finestre”, materiali pertinenti al commercio ed alla guerra della società dei Millares, insieme ad oggetti relativi alla vita quotidiana di un insediamento. Qui, un video che ricostruisce fasi della vita quotidiana accompagna la contemplazione dei reperti. Poco a lato del ciclo della vita si può entrare nel ciclo della morte nel quale gli elementi che lo compongono sono accompagnati e coadiuvati dalla proiezione di un video, che si riflette non sulla parete ma nello stesso spazio funerario di cui si compone il ciclo. In questo modo dinamico viene spiegato l'uso collettivo della tomba, e la sequenza rituale esperita ad ogni nuova inumazione. Nel secondo piano ci si trova di fronte ad una serie di muri consecutivi, che disegnano un percorso. Si tratta di una proposta simbolica che avanza dal basso verso l'alto e che rappresenta le terrazze artificiali sulle quali si costruirono le abitazioni a Fuente Álamo (Cuevas del Almanzora, Almería). Ad ogni svolta nel percorso ci si trova all'interno di piccole sale espositive, con vetrine che contengono grandi vasi, armi in bronzo, ceramica, oggetti d'argento ed uno straordinario bracciale d'oro, con al di sotto l'immagine della sua giacitura originaria al momento del ritrovamento.
Esposizione semipermanente

Il terzo piano ospita degli spazi espositivi temporanei di lunga durata. Attualmente vi si trova esposta una rappresentativa collezione di reperti romani ed islamici. Fra i primi emerge una bella statua mutila in marmo, installata su di un gran frammento di mosaico; si tratta del dio Bacco (proveniente da una villa romana scavata in località Chirivel, nel Nord della provincia di Almería). Accompagnano la statua di Bacco numerosi oggetti di cultura romana rinvenuti nei territori circonvicini ad Almería. L'arte islamica – di Al-Andalus – è rappresentata da un'ampia collezione di lapidi funerarie, delle quali Almería fu un importante centro di produzione. Il gran cubo che occupa la parte centrale della sala islamica, contiene al suo interno vetrine dedicate ad epoca califfale, nelle quali sono esposte ceramiche, giochi, monete ed epigrafi su lastre di calcare bianco.

Foto dall'alto in basso:
- Vaso di alabastro, età del Bronzo
- Buon Pastore, scultura in marmo, Almeria
- Ceramica verde, Al-Andalus
- Bacco in marmo, Chirivel


SPAGNA - Museo nazionale archeologico di Tarragona


 
Il  (in spagnolo: Museo Nacional Arqueológico de Tarragona; in catalano: Museu Nacional Arqueològic de Tarragona; MNAT) è un museo archeologico di Tarragona che conserva numerosi reperti di epoca Romana provenienti in larga parte dal sito archeologico di Tarraco.
Il museo, che è gestito dal Dipartimento della cultura del Consiglio esecutivo della Catalogna, include anche la Villa romana di Centcelles, la Necropoli paleocristiana, la Villa dels Munts, il Teatro romano, l'Arco di Berà, la Torre degli Scipioni e lo spazio espositivo Tinglado 4. L'edificio principale del museo è tutelato come Monumento storico.
Le origini del museo vanno ricercate nella costituzione del Museo delle antichità, annesso all'Accademia di disegno di Tarragona, operata tra il 1834 e il 1836 su iniziativa di Vicenç Roig i Besora, direttore della stessa accademia che si adoperò insieme ad altri nel recupero di numerosi reperti di epoca romana, emersi prevalentemente in occasione delle trasformazioni urbanistiche che interessarono Tarragona e modificarono l'assetto dei resti dell'antica città di Tarraco; alla costituzione e gestione del museo partecipò anche il governo locale della città.
Il museo ottenne lo status di istituzione pubblica intorno al 1845 su iniziativa della Commissione provinciale dei monumenti, istituita per salvaguardare il patrimonio secolarizzato in seguito alla desamortización operata dal governo di Juan Álvarez Mendizábal nel 1836. Nel 1849 il museo fu trasferito presso la sede della Società archeologica tarraconense dove rimase fino al 1853, quando l'ispettore delle antichità Buenaventura Hernández Sanahuja ne decretò lo spostamento presso il convento di San Domenico, dove rimase per i successivi 100 anni (fatta eccezione per una parantesi durante la Guerra civile spagnola, nell'ambito della quale il governo catalano ordinò lo spostamento delle collezioni presso il Palazzo arcivescovile).
Nel 1960 il museo si trasferì presso una nuova sede, appositamente progettata da Francisco Monravá Soler su un pre-esistente muro romano e realizzata tra il 1940 e il 1943.
A partire dal 2018 l'edificio principale del museo è chiuso per lavori di ristrutturazione e parte della collezione è stata trasferita presso lo spazio espositivo Tinglado 4, ricavato presso un edificio del porto di Tarragona, dove è stata allestita la mostra TARRACO/MNAT.



SPAGNA - Los Millares

 


Los Millares è un sito archeologico risalente al calcolitico situato a 17 km a nord di Almería nel municipio di Santa Fe de Mondújar in Andalusia (Spagna meridionale). Consisteva in un insediamento circondato da mura con numerosi torrioni e da un cimitero esteso per circa 5 acri. Nei dintorni dell'insediamento erano scaglionati numerosi piccoli avamposti fortificati. Venne scoperto nel 1891 durante la costruzione di una ferrovia e fu scavato per la prima volta negli anni successivi da Luis Siret. Gli scavi continuano ancora oggi. Si stima che possa aver raggiunto i 1000 abitanti. Gli appartenenti a questa cultura erano agricoltori e allevatori, e praticavano la metallurgia del rame. Los Millares era parte della cultura megalitica e del vaso campaniforme che caratterizzava larga parte dell'Europa nello stesso periodo. Le analisi sulle circa 70 tombe a thòlos del sito rivelerebbero, secondo gli archeologi, che la società di Los Millares era fortemente stratificata e bellicosa, spesso in guerra con i suoi vicini. La cultura di Los Millares venne rimpiazzata nell'età del bronzo (1800 a.C. circa) dalla cultura di El Argar.
Un altro insediamento contemporaneo a Los Millares, scoperto nella stessa regione, è quello di Los Silillos.

(da Wikipedia, l'enciclopedia libera)

SPAGNA - Madīnat al-Zahrāʾ

 


Madīnat al-Zahrāʾ (ossia 'la città dei fiori', ma anche 'la città di Zahrāʾ', inteso come nome proprio di donna), è stata una residenza califfale omayyade tra il X e l'XI secolo. Il sito archeologico è situato ai piedi della Sierra Morena, a circa 5 km a ovest di Cordova, in Spagna.
Chiamata anche Madinat Azahara, oppure Madinat az-Zahraʾ - dal nome della presunta concubina preferita del califfo ʿAbd al-Rahmān III,[1] al-Nāsir li-dīn Allāh, che ne avrebbe patrocinato la costruzione - è stata dichiarata dall'UNESCO patrimonio dell'umanità e ha ricevuto finanziamenti della Comunità Europea perché si possano proseguire gli scavi intrapresi per la prima volta nel 1911.
La costruzione di Madīnat al-Zahrāʾ cominciò nel 936 e fu ordinata dal primo califfo andaluso, ʿAbd al-Rahmān III, che decise di fondarla per farne il centro di rappresentanza del nuovo califfato,[1] da lui stesso da poco proclamato, con un progetto urbanistico che per immagine, importanza e utilizzo di risorse può essere paragonato, facendo le dovute proporzioni, alla realizzazione di San Pietroburgo, Caserta o Versailles, tanto da essere da qualcuno definita proprio "la Versailles dimenticata del Medioevo".
Fonti musulmane affermano che per la costruzione di questa città, unica nel suo genere e paragonabile solo al palazzo califfale abbaside di Samarra, vennero usati fino a 10.000 operai, che posero in opera fino a 6.000 pietre al giorno, utilizzando circa 400 carichi di gesso e calce, trasportati da circa 1.500 animali da soma. La reggia, che avrebbe potuto ospitare fino a dodicimila persone, contava 4.300 colonne in marmo.
Purtroppo, la parte visibile oggi del sito archeologico costituisce solo il 10% della sua estensione originale, che copriva 112 ettari ed era stata pensata e progettata di proposito alle pendici della Sierra Morena per essere vista a distanza di miglia, tanto dai sudditi del califfato quanto dagli ambasciatori provenienti da altri paesi.
Il califfo ʿAbd al-Rahmān III volle edificare una nuova città che fosse simbolo del suo potere e della dignità della sua carica, imitando in questo altri califfi orientali, ma soprattutto per mostrare la propria superiorità rispetto agli Imam-califfi fatimidi del Cairo - sciiti e nemici degli Omayyadi, in gran parte invece sunniti - ma anche degli Abbasidi di Baghdad.
Al contrario della maggior parte delle città islamiche tradizionali, carenti sotto il profilo urbanistico (anche se a ciò facevano eccezione proprio Baghdad e il Cairo), Madinat al-Zahrāʾ era a pianta rettangolare (circa 1500x750 m), con vie tracciate ortogonalmente, una rete fognaria e una di canali per il rifornimento dell'acqua perfettamente progettate. È considerata la superficie urbana più grande progettata e interamente costruita nell'area mediterranea.

La sua moschea-cattedrale, o congregazionale (in arabo al-jāmiʿ ), fu completata nell'anno 941, ma la corte califfale si trasferì nella città solamente nel 945, mentre la zecca (Dār al-sikka ) vi fu trasferita nel 947/948. La città era collegata a Cordova da almeno due strade: una, di cui restano tracce visibili, accedeva direttamente al palazzo dal lato nord; l'altra, invece, entrava in città dal lato sud. Il suo lusso e la sua bellezza divennero proverbiali ai tempi del massimo splendore del califfato omayyade in Andalusia (in arabo al-Andalus).
Tale bellezza era però destinata a durare poco: già nel 1010, infatti, cominciò la distruzione della città, che non aveva nemmeno 80 anni, a seguito della guerra civile (in arabo fitna ) che pose fine al califfato e alla dinastia omayyade andalusa. La distruzione proseguì fino al 1013, anche ad opera di una tribù di puritani iconoclasti provenienti dal Nord Africa e fu poi continuata dallo spoglio che durò fino al secolo scorso, al fine di recuperare materiale da costruzione per la vicina città di Cordova.
Madīnat al-Zahrāʾ fu dimenticata e per secoli fu conosciuta solo come 'Cordova vecchia', finché fu finalmente ritrovata nel 1911 quando vennero effettuati i primi scavi archeologici. Nel 1985 il sito archeologico passò sotto la giurisdizione della Junta de Andalucia, che proseguì gli scavi. La parte ancora ricoperta da terriccio è minacciata dalla costruzione di case residenziali nei dintorni di Cordova, come è stato denunciato sia dal governo locale sia dal quotidiano statunitense The New York Times.
Dall'aprile 2007 sono iniziati gli scavi all'esterno del palazzo, per documentare il tracciato della muraglia sud della città e per localizzare alcune delle porte secondarie e delle strutture inframurarie corrispondenti alla periferia della città.
Sotto il profilo architettonico, Madīnat al-Zahrāʾ ha grandemente contribuito a definire lo stile moresco, cioè il gusto architettonico indipendente del bilād al-Andalus.
La costruzione di Madīnat al-Zahrāʾ cominciò nel 936 e fu ordinata dal primo califfo andaluso, ʿAbd al-Rahmān III, che decise di fondarla per farne il centro di rappresentanza del nuovo califfato,[1] da lui stesso da poco proclamato, con un progetto urbanistico che per immagine, importanza e utilizzo di risorse può essere paragonato, facendo le dovute proporzioni, alla realizzazione di San Pietroburgo, Caserta o Versailles, tanto da essere da qualcuno definita proprio "la Versailles dimenticata del Medioevo".
Fonti musulmane affermano che per la costruzione di questa città, unica nel suo genere e paragonabile solo al palazzo califfale abbaside di Samarra, vennero usati fino a 10.000 operai, che posero in opera fino a 6.000 pietre al giorno, utilizzando circa 400 carichi di gesso e calce, trasportati da circa 1.500 animali da soma. La reggia, che avrebbe potuto ospitare fino a dodicimila persone, contava 4.300 colonne in marmo.
Purtroppo, la parte visibile oggi del sito archeologico costituisce solo il 10% della sua estensione originale, che copriva 112 ettari ed era stata pensata e progettata di proposito alle pendici della Sierra Morena per essere vista a distanza di miglia, tanto dai sudditi del califfato quanto dagli ambasciatori provenienti da altri paesi.
Il califfo ʿAbd al-Rahmān III volle edificare una nuova città che fosse simbolo del suo potere e della dignità della sua carica, imitando in questo altri califfi orientali, ma soprattutto per mostrare la propria superiorità rispetto agli Imam-califfi fatimidi del Cairo - sciiti e nemici degli Omayyadi, in gran parte invece sunniti - ma anche degli Abbasidi di Baghdad.
Al contrario della maggior parte delle città islamiche tradizionali, carenti sotto il profilo urbanistico (anche se a ciò facevano eccezione proprio Baghdad e il Cairo), Madinat al-Zahrāʾ era a pianta rettangolare (circa 1500x750 m), con vie tracciate ortogonalmente, una rete fognaria e una di canali per il rifornimento dell'acqua perfettamente progettate. È considerata la superficie urbana più grande progettata e interamente costruita nell'area mediterranea.

La sua moschea-cattedrale, o congregazionale (in arabo al-jāmiʿ ), fu completata nell'anno 941, ma la corte califfale si trasferì nella città solamente nel 945, mentre la zecca (Dār al-sikka ) vi fu trasferita nel 947/948. La città era collegata a Cordova da almeno due strade: una, di cui restano tracce visibili, accedeva direttamente al palazzo dal lato nord; l'altra, invece, entrava in città dal lato sud. Il suo lusso e la sua bellezza divennero proverbiali ai tempi del massimo splendore del califfato omayyade in Andalusia (in arabo al-Andalus).
Tale bellezza era però destinata a durare poco: già nel 1010, infatti, cominciò la distruzione della città, che non aveva nemmeno 80 anni, a seguito della guerra civile (in arabo fitna ) che pose fine al califfato e alla dinastia omayyade andalusa. La distruzione proseguì fino al 1013, anche ad opera di una tribù di puritani iconoclasti provenienti dal Nord Africa e fu poi continuata dallo spoglio che durò fino al secolo scorso, al fine di recuperare materiale da costruzione per la vicina città di Cordova.
Madīnat al-Zahrāʾ fu dimenticata e per secoli fu conosciuta solo come 'Cordova vecchia', finché fu finalmente ritrovata nel 1911 quando vennero effettuati i primi scavi archeologici. Nel 1985 il sito archeologico passò sotto la giurisdizione della Junta de Andalucia, che proseguì gli scavi. La parte ancora ricoperta da terriccio è minacciata dalla costruzione di case residenziali nei dintorni di Cordova, come è stato denunciato sia dal governo locale sia dal quotidiano statunitense The New York Times.
Dall'aprile 2007 sono iniziati gli scavi all'esterno del palazzo, per documentare il tracciato della muraglia sud della città e per localizzare alcune delle porte secondarie e delle strutture inframurarie corrispondenti alla periferia della città.
Sotto il profilo architettonico, Madīnat al-Zahrāʾ ha grandemente contribuito a definire lo stile moresco, cioè il gusto architettonico indipendente del bilād al-Andalus.
A ovest del giardino oggi esistente, di fronte alla caserma, si trovavano le stalle e la zona residenziale privata del castello, con la 'Casa di Jaʿfar', hājib del califfo ʿAbd al-Rahmān III, e le stanze della servitù.
A est si trova il 'Portico Grande', collegato alla caserma da una serie di viuzze a rampa, probabilmente per poterne permettere il transito a truppe a cavallo. Il Portico Grande era la facciata con portici di una piazza d'armi molto grande dove è probabile che si tenessero le parate militari.
Scendendo ulteriormente verso l'ultimo livello terrazzato, si può vedere la moschea-cattedrale, orientata verso sud-est ed esterna alle mura, così da poter essere fruita dalla popolazione che viveva intorno alla città califfale. Esisteva comunque un passaggio ad uso esclusivo del califfo, in arabo detto sabat. Davanti alla moschea si trova ancora un gruppetto di stanze che vengono identificate come la 'Casa dell'elemosina' (in arabo dār al-sadaqa). La moschea è a pianta rettangolare e le sue parti fondamentali (cortile, sala delle preghiere e minareto, sono disposte secondo lo schema classico dell'occidente islamico.
Infine, attraverso un passaggio sul quale si apre una serie di stanze rivestite di marmo bianco, tra le quali si trovano i bagni (in arabo hammām), si giunge al salone di 'Abd al-Rahmān III, che doveva essere una sala di ricevimento tra le più sontuose e maestose mai viste, posta al centro di un insieme formato da un padiglione, quattro piscine e un grande giardino. Il salone era decorato con grandi pannelli di pietra intagliata a motivi floreali e geometrici, oltre ad iscrizioni epigrafiche, che attestano gli anni di costruzione: tra il 953 e il 957. Esso costituisce una novità assoluta nell'arte islamica dell'epoca, dal momento che ha pianta rettangolare, come quella di una basilica a tre navate longitudinali, con una navata trasversale all'entrata che fa da portico.
Nella parte più alta del castello si trovavano gli appartamenti reali (in arabo dār al-mulk, la 'Casa del potere sovrano').
La città era racchiusa da una muraglia, che comunque costituiva più un limite territoriale che un dispositivo di vera difesa. È stato scavato solo il tratto centrale del muro a nord, costruito in pietra calcarea, come tutta la città. All'esterno la muraglia è rinforzata da torri rettangolari e all'interno presenta dei contrafforti di rinforzo strutturale, per contenere il terreno di riporto.
La strada che portava a Cordova partiva da una porta che si apriva al centro della parte nord della muraglia. È questo l'accesso al castello che presenta la forma 'a gomito', frequentemente utilizzata nell'architettura militare islamica.
Lo stato della muraglia come la si osserva oggi, è frutto del restauro realizzato negli anni trenta del secolo XX da Félix Hernández, poiché la quasi totalità della struttura muraria originale era scomparsa a seguito delle spogliazioni sofferte dalle mura.

SPAGNA - Baelo Claudia

 

Baelo Claudia è un'antica città romana, situata a 22 km da Tarifa, in prossimità del villaggio di Bolonia, nella provincia di Cadice, nel sud della Spagna.
Adagiata su di una spiaggia nei pressi dello stretto di Gibilterra, la città originariamente era un villaggio di pescatori, la cui fondazione risale a circa 2.000 anni fa. Raggiunse la prosperità sotto l'imperatore Claudio, grazie alla posizione geografica (vero ponte tra la penisola iberica e le coste dell'Africa settentrionale), e alle intense relazioni commerciali con il porto dell'attuale città marocchina di Tangeri.
Alcuni terremoti accentuarono il progressivo declino della città, che fu totalmente abbandonata nel VI secolo d.C..
Baelo Claudia fu fondata alla fine del II secolo a.C. per effetto degli scambi commerciali con il Nord Africa. Può essere che Baelo Claudia svolgesse alcune funzioni amministrative governative, ma le primarie fonti di ricchezza erano la pesca del tonno, la salatura e la produzione del garum La città era tanto prospera da meritare il titolo di municipium dall'imperatore Claudio.
Il tenore di vita dei suoi abitanti raggiunse il massimo splendore tra il I secolo a.C. e il II secolo d.C.. Comunque, verso la metà del II secolo d.C., la città iniziò a declinare, probabilmente a seguito di un intenso terremoto, che ne distrusse una gran parte. Oltre a questi disastri naturali, verso il III secolo d.C. la città fu assediata da orde di pirati, sia celtici sia barbari. Sebbene successivamente, nello stesso secolo, la città abbia visto una debole rinascita, verso il VI secolo fu definitivamente abbandonata.
Gli scavi hanno rivelato le vestigia più complete per una città romana dell'intera penisola iberica, con monumenti di estremo interesse come la basilica (nella foto a sinistra), il teatro (nella foto in alto), il macellum e il tempio di Iside. Il contesto spettacolare nel Parco Nazionale dello Stretto di Gibilterra permette al visitatore di vedere la costa del Marocco. Un moderno centro visite mostra molteplici manufatti e un'introduzione completa al sito. Il centro visite è anche dotato di parcheggio, aree in ombra, toilette, negozio e belle vedute del mare. L'ingresso è gratuito ai cittadini dell'Unione europea esibendo un documento d'identità.
Il sito archeologico di Baelo Claudia conserva gli elementi più rappresentativi di una tipica città romana. In particolare, vi sono: una cerchia di mura a protezione dell'abitato, in cui si aprono le porte principali; edifici amministratitivi, come la curia (senato locale), l'archivio pubblico (tabularium), il foro, la basilica per la celebrazione dei processi, un tempio per la dea egiziana Iside, come pure dei templi per Giunone, Giove e Minerva. Ciascun dio ha un suo proprio tempio individuale, piuttosto che un tempio loro dedicato in forma collettiva. L'unica altra città che si ritiene abbia avuto una simile disposizione è Sbeitla in Tunisia; oltre a ciò, vi si trovano vestigia di tabernae, un macellum, bagni (termae) e di un teatro.
Tre acquedotti rifornivano di acqua la città. Vi sono poi evidenze di una zona industriale di cui rimangono strade, installazioni per la produzione di garum e di un sistema fognario.
Nessun altro sito nella penisola iberica rende una tale visione completa dell'esperienza urbana romana, esperienza che i visitatori moderni possono effettuare percorrendo il sentiero che circonda la città.

SPAGNA - Acinipo

 

Acinipo , o Acinippo, fu una città romana situata nel comune di Ronda , nella provincia di Málaga , in Spagna . I suoi resti si trovano a 999 metri sul livello del mare, in posizione strategica su un'altura di terreni calcarei di origine terziaria con terreni di grande fertilità agricola. Occupato fin dal Neolitico , Acinipo offre reperti appartenenti all'età del Rame e del Bronzo , come rivelano una serie di capanne circolari protostoriche rinvenute negli ultimi scavi effettuati in città. Nonostante ciò, il momento di maggior splendore della città di Acinipo è senza dubbio il periodo romano, soprattutto a partire dalla fine del  i secolo , come si può dedurre dai grandi edifici che vi si trovavano.
Il suo nome appare per la prima volta come Acinippo nei testi di Tolomeo e Plinio il Vecchio , nonché sulle monete, in un'iscrizione e nel concilio di Iliberri . Fu studiato anche da studiosi  del xvi secolo , come Lorenzo de Padilla , anche se fu nel  xvii secolo che Fariña del Corral identificò il teatro esistente come romano nel 1650. È conosciuta fin dall'antichità come Ronda la Vieja in quanto è considerato l'antico insediamento di questa città; La realtà è che entrambe le città, Acinippo e Arunda, hanno coesistito nel tempo.
La città decade per tutto il  iii secolo ; Nel  iv secolo questo centro urbano perse la sua importanza nella zona, passando l'egemonia nel territorio più vicino ad Arunda, l'attuale Ronda . Secondo le ultime ricerche e il ritrovamento di resti di ceramica nel sito, la città potrebbe essere stata disabitata non prima del  vii secolo .modificare
La città è costruita su un ripido pendio che ha costretto a costruire tutti gli edifici della città in modo sfalsato.modificare
Il teatro Acinipo (foto in alto) è l'elemento meglio conservato del sito; Questa costruzione sfrutta la pendenza stessa per le tribune , scavate direttamente nel substrato roccioso. La scena teatrale è stata realizzata con i materiali di risulta della costruzione delle tribune e si presenta in quasi tutta la sua alzata, anche se gli elementi architettonici più rappresentativi sono scomparsi secoli fa. All'epoca era dotato di due vomitori laterali per l'accesso del pubblico e di un muro perimetrale non conservato.
Le terme (foto qui a sinistra), costruite nel  i secolo  a.C. C. si trovano nella parte bassa della città, sono state parzialmente scavate negli ultimi anni. È possibile vedere calidarium , tepidarium ed altri ambienti oltre a varie condutture idriche ed elementi architettonici come colonne.
LA città possedeva un muro attorno a tutto il suo perimetro di cui sono ancora visibili resti in superficie anche se non si conosce l'altezza; Della maggior parte delle torri circolari che doveva possedere è visibile anche in superficie una piccola parte del prospetto. La città murata di Acinipo aveva il privilegio di coniare monete, fatto attestato da numerosi ritrovamenti numismatici.


SPAGNA - Italica

 

Italica (in latino Italĭca) era un'antica città della Spagna romana, vicino all'attuale Siviglia, e prima colonia di italici, da cui il nome, nella penisola iberica. Le stirpi italiche più illustri che la popolarono furono quelle, imparentate tra loro, degli imperatori Marco Ulpio Traiano (gli Ulpi Traiani originari di Todi in Umbria) e Publio Elio Adriano (gli Aeli Adriani originari di Atri), che vi si insediarono in un qualsiasi momento tra la fondazione della città nel III secolo a.C e il I secolo d.C. Vi nacque forse anche Teodosio I, secondo altri nato a Coca.
Italica fu la prima di importanti colonie romane che costituirono la diaspora italica in Spagna, quali ad esempio anche Colonia Patricia (Cordova; vi nacquero Seneca e Lucano), Augusta Bilbilis (Calatayud; vi nacque Marziale), Colonia Claritas Iulia Ucubi (Espejo; vi nacquero degli antenati di Marco Aurelio), Iulia Traducta detta Tingentera (Algeciras o Tarifa; vi nacque Pomponio Mela) e Iulia Nasica (Calahorra; vi nacque Quintiliano).
Italica fu fondata nel 206 a.C. da Publio Cornelio Scipione Africano sulla destra del fiume Guadalquivir, in corrispondenza dell'odierna Santiponce, in provincia di Siviglia, per insediarvi i soldati italici, tra cui sia socii e foederati sia cittadini romani, feriti nella battaglia di Ilipa (Seconda guerra punica). Da qui il nome Italica.
Aveva un'ottima posizione strategica nel cuore della regione Bética, la più meridionale della Spagna: divenne municipium nel I secolo a.C., fino ad assumere, al tempo di Adriano, il titolo di Colonia Aelia Augusta, ossia venerabile colonia di Elio (Adriano).
Vicino ad essa si sviluppò la cittadina di Hispalis, che dopo la distruzione di Italica nel sesto secolo d.C. la sostituì nella regione e col tempo divenne l'attuale Siviglia.
Annoverava tra i suoi abitanti parecchi veterani e fu l'unica città della provincia romana patria di ben due imperatori: Traiano e Adriano.
Italica fu devastata dalle invasioni barbariche, ma continuò ad essere parzialmente abitata fino all'anno Mille sotto gli Arabi. Dalle sue rovine furono presi molti materiali da costruzione per la vicina Siviglia. Nei secoli del Rinascimento le sue rovine venivano definite come "Sevilla la vieja".
Presso gli scavi archeologici di Italica si possono oggi ammirare diverse case e strade, un grande anfiteatro, le terme romane, sculture e mosaici, sebbene sia i cristiani che gli Arabi abbiano riutilizzato diversi materiali da lì provenienti per alcune costruzioni di Siviglia. L'agglomerato primitivo, la vetus urbs corrisponde all'attuale abitato di Santiponce; possedeva un foro con un tempio dedicato a Diana, le terme e il teatro, costruito all'epoca di Augusto.
L'imperatore Adriano decise un nuovo ampliamento della sua città natale e fece costruire la nova urbs, che coincide con il sito archeologico. Circondata da mura, la città nuova aveva al centro il grande Foro con il tempio dedicato a Traiano e ampie terme. Il tessuto urbano era disegnato da larghe vie perpendicolari fra loro che disegnavano lotti perpendicolari (insulae).
Tra le dimore aristocratiche, un posto di rilievo è occupato dalla Casa dell'Esedra, così chiamata per l'esedra semicircolare che si trova al termine di un lungo cortile; l'edificio occupa un'area di 4000 metri quadrati, coprendo l'intera superficie dell'insula. Notevoli anche la Casa degli Uccelli, dove uno splendido mosaico rappresenta Orfeo circondato da 32 uccelli diversi, e la Casa del Planetario, con un mosaico rappresentante gli dei, da cui prendono il nome i giorni della settimana.
L'edificio più importante di Italica resta il Traianeum, un immenso recinto adibito al culto degli imperatori Adriano e Traiano. In assenza di fonti epigrafiche, si ipotizza che questo sia stato fatto costruire da Adriano in omaggio al suo predecessore Traiano. Il complesso è formato da un immenso portico (è stata ripresa la biblioteca di Adriano ad Atene specialmente nel colonnato interno, nella cadenza ondulata delle esedre e nella ricerca cromatica, marmo di Carrara e cipollino), al quale si accedeva nel lato corto meridionale da una terrazza con scale laterali, posta proprio sul cardo maximus.
Il tempio (che riprende come modello il tempio di Mars Ultor nel foro di Augusto a Roma) è un octastilo corinzio con colonne scanalate alte 9,20 metri. Il tempio ha un'unica cella. Inoltre tra il tempio e il portico si trovavano due file di cinque statue ciascuna. Di queste sono state rinvenute solo dei frammenti enormi che fanno supporre che la grandezza di queste statue fosse veramente considerevole (ad esempio un frammento di un dito lungo 30 cm). Le maestranze che realizzarono il complesso non erano tutte di elevata capacità; lo confermano alcuni frammenti realizzati da mani diverse, diversità data però dalla fretta di realizzazione.

SPAGNA - Galleci

 

I Galleci (greco: Kallaikoi; latino: Callaici, Callaeci o Gallaeci) erano una tribù celtica della Spagna preromana. Il loro territorio, da Diocleziano denominato Gallaecia, si estendeva a nordovest della penisola iberica, nell'attuale Galizia, dal nord del Portogallo fino al fiume Douro, nell'ovest delle Asturie e nell'occidentale León. Questo corrisponde all'estensione della Castrocultura, risalente all'età del ferro, che tuttavia in Galizia lasciò appena qualche testimonianza. Poi i Romani estesero il loro nome a tutta la regione spagnola che oggi si chiama Galizia.


Il nome Callaeci probabilmente deriva da Calle, la fortezza principale della tribù. Sulla costa c'era il porto detto Portus Calle, poi Portus Cale (oggi Porto). Altri pensano che il nome significhi "gli adoratori di Cailleach", una presunta antica dea poi diventata una figura della mitologia irlandese e della mitologia scozzese.
I Galleci fanno la loro entrata nella storia scritta nel I secolo d.C. tramite il poema epico Punica di Silio Italico riguardante la prima guerra punica; ,a i contatti con il mondo romano risalgono a prima. Infatti, intorno al 139 a.C., al tempo di Quinto Servilio Cepione, i Romani entrarono per la prima volta in contatto con i Gallaeci; il proconsole Decimo Iunio Bruto Callaico combatté contro la tribù dal 138 al 136 a.C., anche se non riuscì a sottometterla completamente. Altre campagne si svolsero dal 96 al 94 a.C. ad opera di Publio Licinio Crasso e dal 61 al 60 a.C. ad opera dell'allora propretore e governatore della provincia di Hispania, Gaio Giulio Cesare. La romanizzazione fu avviata, ma mai portata a termine, poiché i Romani erano interessati soprattutto alle vie di accesso ai giacimenti minerari della Gallaecia e al trasporto agevole.


I Galleci erano un gruppo di tribù o popoli divisi in numerosi populi, ogni populus contava circa dieci-dodicimila persone. Si dice che i Gallaeci non avessero un proprio dio, sebbene Strabone menzioni anche un "dio senza nome" al quale i Celtiberi sacrificano e per il quale eseguono danze di culto durante la luna piena. Sono note anche varie divinità della natura e le Matres Gallaicae (iscrizione da Clunia, l'odierna Peñalba de Castro a Huerta de Rey). In epoca romana, esistevano anche alcune divinità galiziano-romane, come lo Iuppiter Candamius. Venivano venerati anche il Serapide egiziano e il Mitra iraniano.
Dal punto di vista archeologico, i Galleci si sono evoluti dalla locale cultura atlantica dell'età del bronzo (1300-700 a.C.). Durante l'Età del Ferro ricevettero ulteriori influenze, tra cui quelle delle culture iberica e celtiberica meridionale, dell'Europa centro-occidentale (cultura di Hallstatt e, in misura minore, di La Tène) e del Mediterraneo (fenici e cartaginesi). I Gallaeci abitavano in fortezze collinari (localmente chiamate castri) e la cultura archeologica da loro sviluppata è nota agli archeologi come Castrocultura, una cultura di fortezze collinari (di solito, ma non sempre) con case rotonde o allungate.
Lo stile di vita dei Galleci si basava sull'occupazione del territorio, in particolare su insediamenti fortificati, noti in lingua latina come castra (castelli) o oppida (cittadelle); le loro dimensioni variavano da piccoli villaggi di meno di un ettaro (più comuni nel territorio settentrionale) a grandi cittadelle murate con più di 10 ettari, talvolta denominate oppida, essendo queste ultime più comuni nella metà meridionale del loro insediamento tradizionale e intorno al fiume Ave.
A causa della natura dispersa dei loro insediamenti, le grandi città erano rare nella Gallaecia preromana, anche se sono stati identificati alcuni oppida di medie dimensioni, come gli oscuri Portus Calle (noto anche come Cales o Cale; Castelo de Gaia, vicino a Porto), Avobriga (Castro de Alvarelhos - Santo Tirso?), Tongobriga (Freixo - Marco de Canaveses), Brigantia (Braganza?), Tyde/Tude (Tui), Lugus (Lugo) e il porto commerciale atlantico di Brigantium (detto anche Carunium; Betanzos - La Coruña).


Questo tipo di sostentamento nei castelli era comune in tutta Europa durante l'età del bronzo e del ferro, ottenendo nel nord-ovest della penisola iberica il nome di "cultura di Castro" (cultura Castrum) o "cultura del castelliere", che allude a questo tipo di insediamento prima della conquista romana. Tuttavia, diversi castellieri galiziani continuarono a essere abitati fino al V secolo d.C..
Questi villaggi o città fortificate tendevano a essere situati sulle colline e, occasionalmente, su promontori rocciosi e penisole vicino alla costa, per migliorare la visibilità e il controllo del territorio. Questi insediamenti erano situati in posizione strategica per un migliore controllo delle risorse naturali, compresi i minerali come il ferro. I castellieri e gli oppida gallaziani mantengono una grande omogeneità e presentano chiari punti in comune. Le cittadelle, invece, funzionavano come città-stato e potevano presentare tratti culturali specifici.


Gli insediamento autosufficienti, legati da vincoli di parentela, era retti da un capo guerriero sostenuto da un consiglio di anziani. I guerrieri occupavano una posizione importante nella tribù. Le donne svolgevano un ruolo importante nella coesione delle famiglie e dei clan ed è probabile che la successione matrilineare fosse predominante. L'economia era basata sull'agricoltura, l'allevamento e la pesca. Anche l'attività estrattiva nelle miniere di minerali e un famoso commercio di oreficeria erano importanti fonti di reddito; lo sfruttamento di giacimenti di stagno, tungsteno e oro e la lavorazione di gioielli d'oro sono archeologicamente provati anche per il periodo preromano. Specifico della Gallaecia è anche il vasellame dell'Età del Ferro decorato con bolli, che altrimenti compare solo in aree europee ben definite (Spagna centrale, cultura di La Tène, Bretagna).

Nelle immagini, dall'alto: Castro de Santa Trega, Castro de Barona, Castro de San Sibrao de Las, Castro de Trona, Castro de Viladonga

SPAGNA - Colonia di Clunia Sulpicia

 
La Colonia di Clunia Sulpicia è una città romana localizzata nell'Alta Castiglia, a più di 1.000 m s.l.m., tra le località di Coruña del Conde e Peñalba di Castiglia, nel Sud della Provincia di Burgos tra Coruña del Conde e Peñalba de Castro (Spagna). Può essere considerata una delle città romane più importanti della Meseta settentrionale della Spagna e fu la capitale di una circoscrizione giuridica nella provincia della Spagna Citeriore Tarragonese, denominata Giurisdizione di Clunia. La città sorgeva sulla strada che collegava Caesaraugusta (Saragozza) con Asturica Augusta (Astorga). Clunia è un toponimo di origine celtiberica (tribù degli Arévaco).
La città di Clunia fu fondata su una collina non distante da un insediamento celtibero denominato Cluniaco o Kolounioukou, nome facente capo alla cultura degli Arévaco, una tribù preromana appartenente alla etnia delle popolazioni celtibere.
A Clunia il politico e militare romano Quinto Sertorio resistette ad un assedio durato 20 anni ad opera di Pompeo, che nel 72 a.C. distrusse tutto ciò che esisteva della città.
Diversi anni più tardi la città fu fondata di nuovo durante l'impero di Tiberio, all'interno della Provincia romana denominata Spagna Citeriore Tarragonese. Inizialmente essa fu eletta al rango di municipium, ed emise moneta propria in formati che rappresentavano i quattro dirigenti locali che costituivano il quadriumvirato ai cui comandi era la città.
In un certo momento tra gli imperi di Tiberio e di Claudio essa divenne sede di uno dei Legati Giuridici della Provincia di Tarragona, assumendo il ruolo di capitale della Giurisdizione Cluniense.
Clunia acquisì il rango di colonia romana assumendo la denominazione di Sulpicia in quanto in essa si autoproclamò imperatore il generale Servio Sulpicio Galba, che vi si rifugiò durante la rivoluzione anti-neroniana. Quivi egli fu raggiunto dalla notizia della morte di Nerone e di essere stato nominato Imperatore dai legionari (perciò alcuni storici aggiungono il nome di Galba alla denominazione della città).
Il definitivo riconoscimento dello stato di colonia romana è da attribuirsi all'imperatore Vespasiano. Ai tempi di Sulpicio Galba, Clunia fu la capitale dell'Impero.
Lo splendore della città romana di Clunia si estese durante i secoli I e II della nostra era, alla stessa stregua di altre città della Meseta Settentrionale, come Asturica Augusta o Iuliobriga, nelle province di León e della Cantabria, rispettivamente.
Durante il massimo del suo apogeo si calcola che la città di Clunia arrivò a contare oltre 30.000 abitanti.
Nel corso del III secolo si verifica un decremento della popolazione collegato alla crisi di tale secolo ed alla incipiente decadenza dell'Impero Romano d'Occidente. Esistono evidenti riscontri di incursioni barbariche a Clunia.
Inoltre, è storicamente certo che alla fine del terzo secolo la città fu incendiata ad opera dei Barbari, per l'esattezza ad opera di popolazioni franco-germaniche. Questo contribuì alla inesorabile decadenza della città. Ciononostante, pare che non si trattò di una distruzione violenta e generalizzata, tuttavia fu il preludio della fine della influenza della cultura romana nella città di Clunia e nel territorio ad essa circostante.
Durante la conquista della Spagna Visigota da parte dei Mori, la città ed i suoi dintorni furono conquistati dalle truppe del generale berbero Ṭāriq ibn Ziyād intorno all'anno 713.
Più tardi, i cristiani la rioccuparono nel 912, ricostruendo la città nel luogo occupato attualmente da Coruña del Conde, località da cui si possono contemplare i notevoli resti romani della città di Clunia.
In seguito, si ricostituì la popolazione di Peñalba de Castro che riscattò la meseta dell'enclave di Clunia in cambio di acqua in un'epoca in cui il valore dell'acqua era molto più prezioso dei pochi resti ancora non interrati che testimoniavano della città romana abbandonata.
Clunia costituisce un sito archeologico di interesse eccezionale nel contesto della intera Penisola Iberica. Tale interesse deriva sia dalla sua morfologia urbanistica che per la stratificazione storica dei reperti che vi si ritrovano. D'altronde, le sue rovine sono tra le più rappresentative di tutte le testimonianze dell'epoca romana nel nord della Spagna.
Le prime operazioni di scavo risalgono al 1915, ma i lavori furono ripresi nel 1931 prima ed infine nel 1958. Alla fine è stato riportato alla luce il passato glorioso di una delle principali città antiche della Penisola Iberica, la cui superficie - a giudicare dagli esiti dei lavori di scavo in questo prezioso giacimento archeologico - si aggirava attorno ai 120 ettari, essendo questa una delle città di maggior rilevanza di tutta la Spagna romana. Gli scavi consentirono di portare alla luce - dopo secoli di occultamento - un teatro scavato nella roccia, innumerevoli case con mosaici, strade, resti degli edifici del foro ed una grande cloaca, così come importanti reperti scultorei, quali una effigie di Iside (qui a destra) ed un busto di Dioniso, che si conservano nel Museo Archeologico Nazionale di Madrid ed in quello di Burgos, oltre ad una grande quantità di monete, resti di epigrafi, ceramica romana come la terra sigillata, vetri, oggetti di bronzo, eccetera.
Come accade in ogni città, a Clunia la maggior parte dello spazio edificato era occupato dalle abitazioni dei residenti.
Gli scavi archeologici hanno consentito di conoscere l'evoluzione dell'urbanistica residenziale e di esaminare alcuni dei suoi tratti più caratteristici.
Nel giacimento archeologico si possono osservare i seguenti edifici
Teatro romano di Clunia Sulpicia
L'edificio più significativo è il teatro, scavato nella roccia, capace di contenere fino a 10.000 spettatori, il che lo fa annoverare in uno dei maggiori della sua epoca in Spagna. Esso fu costruito allo scopo di rappresentarvi le opere teatrali del periodo classico.
Il suo recupero ha costituito la motivazione del premio conferito nella sezione di Restauro e Risanamento nell'ambito dei Premi biennali di Architettura di Castiglia e León per il 2004-2005. Nella fattispecie il testo mette in luce «il rispettoso restauro del teatro e la cura dell'inserimento paesaggistico in generale».


Foro romano di Clunia Sulpicia
Il centro delle città romane, lì dove si incrociavano il Cardo massimo ed il Decumano massimo, frequentemente era il luogo in cui sorgeva il foro della città, una piazza pubblica delimitata da un colonnato. In esso si svolgevano attività politiche, commerciali, giudiziarie e, abitualmente, anche religiose. A Clunia, il foro si trova non molto lontano dal teatro, e nelle sue vicinanze si ergono i resti di tre domus, una basilica e un macellum (mercato).
Richiamano inoltre l'attenzione dei visitatori i mosaici, le abitazioni sotterranee ed i sistemi di distribuzione del riscaldamento in alcune di queste case. Nel secolo XVII sul mercato fu edificato un eremo di scarso valore artistico, danneggiando il giacimento sottostante.


Terme romane di Clunia Sulpicia
Accanto al foro romano si trovano le rovine delle terme romane, dalla mole maestosa e rivestite di mosaici anche se più semplici di quelli presenti nel foro. Anche qui è ben visibile il sistema di distribuzione del calore dei distinti settori delle terme e l'ipocausto.
Altri edifici
Nel sottosuolo della città, non visitabili a causa della loro vulnerabilità, sono molto interessanti i sistemi di approvvigionamento dell'acqua, che si sviluppano su più livelli con le loro corrispondenti canalizzazioni di presa dell'acqua, costruite utilizzando le grotte naturali esistenti nel sottosuolo calcareo dello sperone sopra il quale si eleva la città, e anche un santuario priápico.


ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...