Madīnat al-Zahrāʾ (ossia 'la
città dei fiori', ma anche 'la città di Zahrāʾ', inteso come nome
proprio di donna), è stata una residenza califfale omayyade tra
il X e l'XI secolo. Il sito archeologico è situato ai
piedi della Sierra Morena, a circa 5 km a ovest di Cordova,
in Spagna.
Chiamata anche Madinat Azahara, oppure Madinat az-Zahraʾ - dal nome
della presunta concubina preferita del califfo ʿAbd al-Rahmān
III,[1] al-Nāsir li-dīn Allāh, che ne avrebbe patrocinato la
costruzione - è stata dichiarata dall'UNESCO patrimonio
dell'umanità e ha ricevuto finanziamenti della Comunità
Europea perché si possano proseguire gli scavi intrapresi per
la prima volta nel 1911.
La costruzione di Madīnat al-Zahrāʾ cominciò nel 936 e fu
ordinata dal primo califfo andaluso, ʿAbd al-Rahmān III,
che decise di fondarla per farne il centro di rappresentanza del
nuovo califfato,[1] da lui stesso da poco proclamato, con
un progetto urbanistico che per immagine, importanza e utilizzo di
risorse può essere paragonato, facendo le dovute proporzioni, alla
realizzazione di San Pietroburgo, Caserta o Versailles,
tanto da essere da qualcuno definita proprio "la Versailles
dimenticata del Medioevo".
Fonti musulmane affermano che per la costruzione di questa
città, unica nel suo genere e paragonabile solo al palazzo
califfale abbaside di Samarra, vennero usati fino a
10.000 operai, che posero in opera fino a 6.000 pietre al giorno,
utilizzando circa 400 carichi di gesso e calce,
trasportati da circa 1.500 animali da soma. La reggia, che avrebbe
potuto ospitare fino a dodicimila persone, contava 4.300 colonne in
marmo.
Purtroppo, la parte visibile oggi del
sito archeologico costituisce solo il 10% della sua estensione
originale, che copriva 112 ettari ed era stata pensata e progettata
di proposito alle pendici della Sierra Morena per essere vista a
distanza di miglia, tanto dai sudditi del califfato quanto dagli
ambasciatori provenienti da altri paesi.
Il califfo ʿAbd al-Rahmān III volle
edificare una nuova città che fosse simbolo del suo potere e della
dignità della sua carica, imitando in questo altri califfi
orientali, ma soprattutto per mostrare la propria superiorità
rispetto agli Imam-califfi fatimidi del Cairo - sciiti e
nemici degli Omayyadi, in gran parte invece sunniti - ma
anche degli Abbasidi di Baghdad.
Al contrario della maggior parte delle
città islamiche tradizionali, carenti sotto il profilo
urbanistico (anche se a ciò facevano eccezione proprio Baghdad e il
Cairo), Madinat al-Zahrāʾ era a pianta rettangolare (circa 1500x750
m), con vie tracciate ortogonalmente, una rete fognaria e una di
canali per il rifornimento dell'acqua perfettamente progettate. È
considerata la superficie urbana più grande progettata e interamente
costruita nell'area mediterranea.

La sua moschea-cattedrale, o
congregazionale (in arabo al-jāmiʿ ), fu completata
nell'anno 941, ma la corte califfale si trasferì nella città
solamente nel 945, mentre la zecca (Dār al-sikka ) vi
fu trasferita nel 947/948. La città era collegata a Cordova da
almeno due strade: una, di cui restano tracce visibili, accedeva
direttamente al palazzo dal lato nord; l'altra, invece, entrava in
città dal lato sud. Il suo lusso e la sua bellezza divennero
proverbiali ai tempi del massimo splendore del
califfato omayyade in Andalusia (in
arabo al-Andalus).
Tale bellezza era però destinata a durare poco: già nel 1010,
infatti, cominciò la distruzione della città, che non aveva
nemmeno 80 anni, a seguito della guerra civile (in arabo fitna )
che pose fine al califfato e alla dinastia omayyade andalusa. La
distruzione proseguì fino al 1013, anche ad opera di una tribù
di puritani iconoclasti provenienti dal Nord
Africa e fu poi continuata dallo spoglio che durò fino al
secolo scorso, al fine di recuperare materiale da
costruzione per la vicina città di Cordova.
Madīnat al-Zahrāʾ fu dimenticata e
per secoli fu conosciuta solo come 'Cordova vecchia', finché fu
finalmente ritrovata nel 1911 quando vennero effettuati i primi scavi
archeologici. Nel 1985 il sito archeologico passò sotto la
giurisdizione della Junta de Andalucia, che proseguì gli scavi. La
parte ancora ricoperta da terriccio è minacciata dalla costruzione
di case residenziali nei dintorni di Cordova, come è stato
denunciato sia dal governo locale sia dal quotidiano statunitense The
New York Times.
Dall'aprile 2007 sono iniziati gli
scavi all'esterno del palazzo, per documentare il tracciato della
muraglia sud della città e per localizzare alcune delle porte
secondarie e delle strutture inframurarie corrispondenti alla
periferia della città.
Sotto il profilo architettonico,
Madīnat al-Zahrāʾ ha grandemente contribuito a definire lo stile
moresco, cioè il gusto architettonico indipendente del bilād
al-Andalus.
La costruzione di Madīnat al-Zahrāʾ cominciò nel 936 e fu
ordinata dal primo califfo andaluso, ʿAbd al-Rahmān III,
che decise di fondarla per farne il centro di rappresentanza del
nuovo califfato,[1] da lui stesso da poco proclamato, con
un progetto urbanistico che per immagine, importanza e utilizzo di
risorse può essere paragonato, facendo le dovute proporzioni, alla
realizzazione di San Pietroburgo, Caserta o Versailles,
tanto da essere da qualcuno definita proprio "la Versailles
dimenticata del Medioevo".
Fonti musulmane affermano che per la costruzione di questa
città, unica nel suo genere e paragonabile solo al palazzo
califfale abbaside di Samarra, vennero usati fino a
10.000 operai, che posero in opera fino a 6.000 pietre al giorno,
utilizzando circa 400 carichi di gesso e calce,
trasportati da circa 1.500 animali da soma. La reggia, che avrebbe
potuto ospitare fino a dodicimila persone, contava 4.300 colonne in
marmo.
Purtroppo, la parte visibile oggi del
sito archeologico costituisce solo il 10% della sua estensione
originale, che copriva 112 ettari ed era stata pensata e progettata
di proposito alle pendici della Sierra Morena per essere vista a
distanza di miglia, tanto dai sudditi del califfato quanto dagli
ambasciatori provenienti da altri paesi.
Il califfo ʿAbd al-Rahmān III volle
edificare una nuova città che fosse simbolo del suo potere e della
dignità della sua carica, imitando in questo altri califfi
orientali, ma soprattutto per mostrare la propria superiorità
rispetto agli Imam-califfi fatimidi del Cairo - sciiti e
nemici degli Omayyadi, in gran parte invece sunniti - ma
anche degli Abbasidi di Baghdad.
Al contrario della maggior parte delle
città islamiche tradizionali, carenti sotto il profilo
urbanistico (anche se a ciò facevano eccezione proprio Baghdad e il
Cairo), Madinat al-Zahrāʾ era a pianta rettangolare (circa 1500x750
m), con vie tracciate ortogonalmente, una rete fognaria e una di
canali per il rifornimento dell'acqua perfettamente progettate. È
considerata la superficie urbana più grande progettata e interamente
costruita nell'area mediterranea.

La sua moschea-cattedrale, o
congregazionale (in arabo al-jāmiʿ ), fu completata
nell'anno 941, ma la corte califfale si trasferì nella città
solamente nel 945, mentre la zecca (Dār al-sikka ) vi
fu trasferita nel 947/948. La città era collegata a Cordova da
almeno due strade: una, di cui restano tracce visibili, accedeva
direttamente al palazzo dal lato nord; l'altra, invece, entrava in
città dal lato sud. Il suo lusso e la sua bellezza divennero
proverbiali ai tempi del massimo splendore del
califfato omayyade in Andalusia (in
arabo al-Andalus).
Tale bellezza era però destinata a durare poco: già nel 1010,
infatti, cominciò la distruzione della città, che non aveva
nemmeno 80 anni, a seguito della guerra civile (in arabo fitna )
che pose fine al califfato e alla dinastia omayyade andalusa. La
distruzione proseguì fino al 1013, anche ad opera di una tribù
di puritani iconoclasti provenienti dal Nord
Africa e fu poi continuata dallo spoglio che durò fino al
secolo scorso, al fine di recuperare materiale da
costruzione per la vicina città di Cordova.
Madīnat al-Zahrāʾ fu dimenticata e
per secoli fu conosciuta solo come 'Cordova vecchia', finché fu
finalmente ritrovata nel 1911 quando vennero effettuati i primi scavi
archeologici. Nel 1985 il sito archeologico passò sotto la
giurisdizione della Junta de Andalucia, che proseguì gli scavi. La
parte ancora ricoperta da terriccio è minacciata dalla costruzione
di case residenziali nei dintorni di Cordova, come è stato
denunciato sia dal governo locale sia dal quotidiano statunitense The
New York Times.
Dall'aprile 2007 sono iniziati gli
scavi all'esterno del palazzo, per documentare il tracciato della
muraglia sud della città e per localizzare alcune delle porte
secondarie e delle strutture inframurarie corrispondenti alla
periferia della città.
Sotto il profilo architettonico,
Madīnat al-Zahrāʾ ha grandemente contribuito a definire lo stile
moresco, cioè il gusto architettonico indipendente del bilād
al-Andalus.
A ovest del giardino oggi esistente, di
fronte alla caserma, si trovavano le stalle e la zona residenziale
privata del castello, con la 'Casa di Jaʿfar', hājib del
califfo ʿAbd al-Rahmān III, e le stanze della servitù.
A est si trova il 'Portico Grande',
collegato alla caserma da una serie di viuzze a rampa, probabilmente
per poterne permettere il transito a truppe a cavallo. Il Portico
Grande era la facciata con portici di una piazza d'armi molto grande
dove è probabile che si tenessero le parate militari.
Scendendo ulteriormente verso l'ultimo
livello terrazzato, si può vedere la moschea-cattedrale, orientata
verso sud-est ed esterna alle mura, così da poter essere fruita
dalla popolazione che viveva intorno alla città califfale. Esisteva
comunque un passaggio ad uso esclusivo del califfo, in arabo
detto sabat. Davanti alla moschea si trova ancora un gruppetto
di stanze che vengono identificate come la 'Casa dell'elemosina' (in
arabo dār al-sadaqa). La moschea è a pianta rettangolare e le
sue parti fondamentali (cortile, sala delle preghiere e minareto,
sono disposte secondo lo schema classico dell'occidente islamico.
Infine, attraverso un passaggio sul
quale si apre una serie di stanze rivestite di marmo bianco, tra le
quali si trovano i bagni (in arabo hammām), si giunge al salone
di 'Abd al-Rahmān III, che doveva essere una sala di ricevimento tra
le più sontuose e maestose mai viste, posta al centro di un insieme
formato da un padiglione, quattro piscine e un grande giardino. Il
salone era decorato con grandi pannelli di pietra intagliata a motivi
floreali e geometrici, oltre ad iscrizioni epigrafiche, che attestano
gli anni di costruzione: tra il 953 e il 957. Esso costituisce una
novità assoluta nell'arte islamica dell'epoca, dal momento che ha
pianta rettangolare, come quella di una basilica a tre navate
longitudinali, con una navata trasversale all'entrata che fa da
portico.
Nella parte più alta del castello si
trovavano gli appartamenti reali (in arabo dār al-mulk, la
'Casa del potere sovrano').
La città era racchiusa da una
muraglia, che comunque costituiva più un limite territoriale che un
dispositivo di vera difesa. È stato scavato solo il tratto centrale
del muro a nord, costruito in pietra calcarea, come tutta la città.
All'esterno la muraglia è rinforzata da torri rettangolari e
all'interno presenta dei contrafforti di rinforzo strutturale, per
contenere il terreno di riporto.
La strada che portava a Cordova partiva
da una porta che si apriva al centro della parte nord della muraglia.
È questo l'accesso al castello che presenta la forma 'a gomito',
frequentemente utilizzata nell'architettura militare islamica.
Lo stato della muraglia come la si
osserva oggi, è frutto del restauro realizzato negli anni
trenta del secolo XX da Félix Hernández, poiché la quasi
totalità della struttura muraria originale era scomparsa a seguito
delle spogliazioni sofferte dalle mura.