lunedì 7 aprile 2025

KERAMOS - Forme ceramiche greche: XX, Pithos

 

Il pithos (plurale pithoi), talvolta detto anche pithari (plurale pitharia), è un'antica parola greca (πίθος, πίθοι) che significa grande giara per immagazzinamento avente una forma caratteristica. Originariamente questo termine veniva usato dagli archeologi classici occidentali per indicare le giare scoperte negli scavi a Creta e in Grecia; attualmente il termine è stato preso nella lingua inglese americana in un senso più generale per significare una giara di immagazzinamento proveniente da un orizzonte culturale qualsiasi.
Sebbene la parola sia greca, molti dei pithoi dell'antico Mediterraneo non furono prodotti dagli abitanti della Grecia continentale; per esempio, essi sono noti a Creta e nel Levante in contesti non-ellenici. Molti pithoi furono trovati nel Palazzo di Cnosso e nell'antico relitto di Uluburun. Anche l'antica cultura iberica di El Argar usava pithoi per sepolture nella sua fase B (1500-1300 a.C.).
Il pithos è meglio noto nella sua forma latina come fiscus, dove i fondi venivano immagazzinati. Qualsiasi cosa potrebbe essere posta in un pithos; tuttavia, i pithoi furono usati principalmente per cereali, semi, vino e olio; furono inoltre associati comunemente al centro amministrativo e commerciale, il quale trasportava, teneva o ne riceveva grandi quantità.
I pithoi furono quasi universalmente di ceramica, materiale ideale per tenere fuori l'acqua, lo sporco, gli insetti e i roditori. La maggior parte erano alti quanto o più di un essere umano. La base era piatta in modo che potessero essere sistemati in fila in un magazzino o allineati lungo un eventuale corridoio o strada di passaggio, o anche sui gradini delle scale. I lug o più raramente i più fragili manici erano situati ai lati superiori per agevolarne il maneggiamento. Alcuni pithoi furono situati in buchi del pavimento. Essi venivano manovrati con funi. Alcuni vasi mostrano funi decorative in bassorilievo.
L'utilità di un pithos per immagazzinamento sfortunatamente era tutta troppo facilmente volta a vantaggio del nemico, il quale doveva soltanto urtare un pithos pieno di olio e toccarlo con una fiaccola per produrre una grande conflagrazione. La maggior parte dei palazzi dell'età del bronzo egea furono bruciati in una maniera o nell'altra proprio in questo modo.
Riguardo a più note positive, l'estesa area di superficie di un pithos era un campo allettante per la decorazione. Per esempio, i pithoi recuperati a Cnosso mostravano disegni in bassorilievo di funi simulate. La migliore decorazione era riservata per il vasellame da tavola e servizio, ma la maggior parte dei pithoi hanno alcuni tipi di motivi o scene, molto spesso in bassorilievo, e ornati con bande intorno alla giara.
Come la ceramica delle vasche da bagno di alcuni periodi, la dimensione di un pithos lo rendeva adatto per una più conveniente cassa da morto, specialmente dove il legno scarseggiava. Esiste l'attestazione di sepolture nel Medio Elladico a Mycenae, a Thapsos e a Creta dove le ossa del defunto venivano poste dentro i pithoi.



Nelle foto, dall'alto:
Pithoi a Knossos
Pithos greco proveniente da Creta
Pithos della media età del Bronzo con decorazioni geometriche dipinte (1900-1800 a.C.), Museo archeologico di Aegina, Grecia

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KERAMOS - Forme ceramiche greche: XIX, Ariballo


L'ariballo (in greco antico: ἀρύβαλλος, arýballos) è un piccolo vaso (la dimensione tipica è circa 7 o 8 cm) con corpo globulare, senza distinzione tra spalla e pancia, e con un corto e stretto collo e un ampio orlo piatto dotato però di una piccola apertura; l'unica ansa si impostava sull'orlo e sulla spalla.
Era in uso soprattutto nell'antica Grecia. L'uso del termine applicato esclusivamente a questa forma vascolare è una convenzione stabilita in epoca moderna. Si distingue dal piccolo alabastron che invece ha corpo piriforme.
Era utilizzato per contenere olii profumati e veniva utilizzato dagli atleti durante i loro allenamenti: le raffigurazioni vascolari lo mostrano appeso con un laccio al polso del proprietario o ad un gancio.
La forma, derivata dall'oinochoe globulare del IX secolo a.C., si diffonde a partire dall'VIII secolo a.C. nella ceramica protocorinzia. Poteva anche assumere forme plastiche, raffigurando piccoli animali o teste, o altre forme decorative, come quella ad anello.
L'ariballo globulare è diffuso a Corinto, nella ceramica etrusco-corinzia e nella ceramica laconica del VI secolo a.C.; è raro in ambiente attico, dove, alla fine del VI secolo a.C., diviene comune una variante con orlo a campana rovesciata, fondo piatto, due anse o nessuna negli esemplari più recenti.



KERAMOS - Forme ceramiche greche: XVIII, Phiale

 

La phiale (φιάλη, plurale φιάλαι, phiàlai) è un antico vaso rituale greco, in ceramica o in metallo.
Ha la forma di un recipiente circolare, con bordi bassi, senza piede o maniglie (a differenza della kylix). Si trova inizialmente a Corinto e a Chio, all'inizio del VI secolo a.C. Gli esemplari metallici sono più diffusi, forse modellati a partire da lavori toreutici orientali.
Alcune phialai, dette mesonfaliche, presentano una depressione al centro della parete esterna dell'invaso, la quale si presenta all'interno come un elemento, più o meno elaborato, a rilievo.
Le phialai venivano usate per il rituale della libagione, cioè lo spargimento di vino, olio, latte o altra sostanza gradita offerta alla divinità.
L'uso della phiale durante la cerimonia è testimoniato da numerose rappresentazioni vascolari; l'omphalos aveva una funzione nella manipolazione della phiale la quale veniva tenuta con una sola mano inserendo il dito medio nella depressione esterna e tenendo il pollice sul bordo.
Tipologie di phialai (o patere a medaglione), sono presenti anche nella produzione ceramica calena.
Phialai si trovano anche in scultura riprodotte nei rilievi come elementi decorativi, per esempio al centro di festoni come nell'Ara Pacis.


KERAMOS - Forme ceramiche greche: XVII, Olpe

 
L'olpe era una brocca, con corpo allungato e imboccatura rotonda, diffusa nella ceramica corinzia e attica, derivante da prototipi metallici (le due rotelle presenti all'attaccatura dell'ansa rappresentano le borchie necessarie al fissaggio). È un tipo di oinochoe con profilo continuo e con ansa unica e alta che si estende al di sopra dell'imboccatura. Veniva usata come le altre oinochoai per versare il vino.
In un sepolcro della necropoli Ara del Tufo a Tuscania, ne è stata ritrovata una di produzione etrusca, a figure nere attribuita al Pittore di Micali (VI secolo a.C.), comprovante l'influsso delle civiltà greca su quella etrusca.

KERAMOS - Forme ceramiche greche: XVI, Stamnos

 

Uno stamnos (al plurale stamnoi) è un contenitore per liquidi, in argilla, creato in Grecia e prodotto dalla fine del VI secolo a.C. alla fine del V, in Etruria fino al IV. Ha corpo globulare, spalla larga, piede e collo bassi, con una larga apertura e anse orizzontali all'altezza della spalla. 
Gli esemplari più recenti tendono a snellirsi e ad alzarsi. L'esistenza di esemplari dotati di coperchio indica che la forma poteva essere utilizzata per la conservazione dei liquidi, come l'anfora, mentre fonti letterarie e rappresentazioni vascolari ne mostrano l'utilizzo per la mescita del vino nei banchetti, similmente al modo in cui venivano impiegati i crateri. Le fonti letterarie inoltre indicano che il nome veniva impiegato nell'antichità non esclusivamente per questa forma particolare, ma più generalmente per grandi vasi contenitori, tipologia entro la quale rientravano anche le anfore.
Benché se ne conoscano alcuni esemplari decorati a figure nere, lo stamnos è una delle forme vascolari impiegate e adattate soprattutto per la decorazione a figure rosse, nel periodo in cui nasceva il nuovo stile e venivano elaborati e sperimentati nuovi
rapporti tra forma e decorazione. Un esempio precoce e sperimentale è lo stamnos dipinto da Oltos (Londra, British Museum E437), mentre la decorazione diviene canonica e si stabilizza a partire dal Gruppo dei pionieri.

KERAMOS - Forme ceramiche greche: XV, Pelike

 
La pelìke (πελίκη, al plurale πελίκαι, pelìkai) è un vaso, utilizzato come contenitore di liquidi, con imboccatura larga e profilo continuo e con il massimo diametro del corpo in prossimità del piede, al quale si unisce senza stelo (una forma simile all'anfora di tipo C). Ha due anse verticali a nastro o con costolatura centrale.
Comparve ad Atene nell'ultimo quarto del VI secolo a.C., solo in seguito all'introduzione della tecnica a figure rosse, benché ne esistano esemplari dipinti a figure nere, e la sua produzione continuò fino al IV secolo a.C. Sembra essere stata una creazione del Gruppo dei pionieri. Col tempo tende ad assumere un orlo più ampio il quale, nel IV secolo a.C., raggiunge il diametro massimo del ventre. Esiste una variante della pelike che presenta il collo distinto; è meno comune, ma si ritiene sia stata la variante più antica.
Il termine è impiegato dagli archeologi moderni per indicare questa particolare forma di anfora, ma era usato in antichità
per indicare una indifferenziata serie di oggetti a forma aperta.
Dal 450 a.C. circa vengono impiegate anche come contenitori per le ceneri dei defunti.
Fu particolarmente usata, in una versione di minori dimensioni, nella ceramica di Gnathia.

KERAMOS - Forme ceramiche greche: XIV, Cratere

 
Il cratere (κρατήρ, plurale κρατῆρες, kratḕres; dal verbo greco κεράννυμι kerànnymi, "mischiare") era un grande vaso utilizzato per mescolare vino e acqua nel simposio greco. Nel corso del banchetto i crateri venivano posti al centro della stanza e venivano riempiti di vino, a cui veniva aggiunta acqua per diluirlo ed abbassare il contenuto alcolico. La distinzione che si effettua tra il lebes o dinos a fondo tondeggiante e il cratere dotato di piede è una convenzione moderna.
Presenta un corpo tondeggiante, con corte anse per il trasporto e una larga imboccatura. Se ne conoscono numerose varianti. Le forme più antiche presentano forma simile allo skyphos, una coppa per bere, e sono conosciute già in epoca micenea. In epoca protogeometrica le anse si
impostavano sul ventre; nella forma diffusa durante il periodo geometrico il corpo si ergeva talvolta su di un piedistallo svasato e le anse potevano collegarsi all'orlo. Nel tardo geometrico e nel protoattico il corpo si allungava e stringeva assumendo una forma ad uovo; inoltre, nei grandi crateri funerari del tardo geometrico si aggiungeva un collo che allontanava le anse dall'orlo del vaso. Una forma particolare inventata ad Atene e diffusa nella seconda metà del VII secolo a.C. era lo skyphos-krater o kotyle-krater, dotato di alto piedistallo svasato e coperchio (esemplari celebri sono quelli rinvenuti a Vari). Cratere a colonnette (kelébe)
Inventato a Corinto nell'ultimo quarto del VII secolo a.C., si sviluppa dal
cratere geometrico e sembra fosse conosciuto in antichità come cratere corinzio; ha corpo di forma globulare, corto piede a doppio gradino, largo collo e orlo piatto e sporgente. Le anse, la cui forma ha dato il nome al tipo, sono costituite da due elementi cilindrici verticali che partono dal corpo e si uniscono superiormente alla sporgenza sagomata dell'orlo, senza superarla in altezza. Era particolarmente comune nel periodo delle figure nere.
Cratere a volute
Forse originato nel VII secolo a.C. da modelli bronzei peloponnesiaci[1] fu adottato dai ceramisti attici tra il 570 a.C. e il IV secolo a.C. e fu particolarmente apprezzato nel periodo delle figure rosse. A forma di anfora con corto piede e ampio collo svasato e distinto dalla spalla, il cratere a volute si caratterizza per le anse che, impostate orizzontalmente sulla
spalla, proseguono verticalmente oltrepassando l'orlo e assumendo una forma a voluta. Un esempio celebre è il vaso François. Si parla anche di cratere a mascheroni, quando nelle anse sono inserite appunto delle testine.
Cratere a calice
Si diffonde a partire dalla seconda metà del VI secolo a.C., l'esemplare più antico conosciuto appartiene ad Exekias (Atene, Agorà AP1044) che si pensa sia l'inventore della forma, ma diviene comune nel periodo delle figure rosse. Presenta un corpo alto e svasato, talvolta a profilo convesso come il calice di un fiore, le piccole anse, leggermente oblique, sono impostate nella parte inferiore del corpo. Il piede è allungato e a doppio gradino.
Cratere a campana
È una variante che ha origine nel periodo delle figure rosse, all'inizio del V secolo a.C.; si presenta con forma di campana rovesciata e con orlo svasato, rialzato su un piede con corto stelo e ha due piccole anse orizzontali nella parte superiore del corpo.

Nelle foto, dall'alto:
Cratere a calice
Cratere a colonnette con Dioniso e due satiri
Cratere a volute con donna seduta, Apulia, 320 a.C.
Cratere a calice, da Attica o Beozia, Museo di Marseille
Cratere a campana con Cadmo che assale il dragone, Saticula, Museo archeologico di Napoli

KERAMOS - Forme ceramiche greche: XIII, Anfora

 


L'anfora (dal greco ἀμφορεύς, da ἀμφί + φέρομαι, "esser portato da entrambe le parti", attraverso il latino amphora) è un vaso di terracotta a due manici, definiti anse, di forma affusolata o globulare utilizzato nell'antichità per il trasporto di derrate alimentari liquide o semiliquide, come vino, olio, salse di pesce, conserve di frutta, miele, ecc. Si possono classificare in fenicie o puniche, greche, etrusche, della Magna Grecia (greco-italiche antiche) e romane.
L’anforologia è la disciplina che si occupa di studiare le anfore per migliorare le conoscenze archeologiche e storiche dei popoli antichi che le utilizzarono; le anfore, infatti, costituiscono una ricca testimonianza del proprio tempo: attraverso di esse si possono capire le tecniche di fabbricazione utilizzate, si
possono individuare i centri di produzione dei contenitori e dei contenuti, si possono ricostruire le antiche rotte commerciali e così via.
Per comodità le anfore vengono catalogate secondo “tipi” definiti dalla somma delle caratteristiche di alcuni elementi morfologici, considerati nel loro insieme; tuttavia, bisogna considerare che il concetto di “tipo anforico” è abbastanza elastico: di uno stesso tipo esistono numerose varianti dovute alla fabbricazione manuale, all’evoluzione locale e a quella imitativa di questi contenitori. La denominazione dei tipi anforici può discendere: dal nome di una località (es. Camuludunum 184), dal nome di uno studioso (es. Keay VI), dal nome di un inventario o da quello del contesto di scavo (es. Agora M273), o ancora da caratteristiche fisiche dell'anfora stessa (es. "hollow foot amphora")
o dall'arco cronologico di diffusione (es. "Late Roman Amphora 2").
Per quanto riguarda le anfore di età romana, il primo studioso che si occupò di classificare tutti questi recipienti fu Heinrich Dressel. Nel 1872, con l'aiuto di padre Luigi Bruzza, iniziò a classificare i frammenti di anfore rinvenute sul monte Testaccio (Roma) e aventi almeno un bollo o un titulus pictus.
L'anfora come unità di misura 
Nell'antica Grecia le misure di capacità variavano a seconda che fossero destinate ai liquidi (μέτρα ὑγρά) o ai solidi (μέτρα ξηρά); nel caso dei liquidi, ad esempio, si utilizzava l'anfora (in greco antico: ἀμφορεύς?): un'unità di misura del volume che nel sistema attico di Solone corrispondeva a 72 cotili o a 1/2 metreta (19,44 litri).
Con il termine anfora veniva indicata nel Cinquecento un'unità di peso e di capacità, utilizzata dai commercianti italiani, soprattutto veneziani. Veniva abbreviata con il segno @. 
L'anfora nella ceramica greca 
Il termine anfora (dal greco amphorèus) è utilizzato per una forma ceramica greca decorata, caratterizzata da un corpo rastremato inferiormente, con collo più stretto e due anse impostate sul collo e sulla spalla. A differenza dei contenitori da trasporto sopra descritti, che presentavano un piede appuntito atto a facilitare l'immagazzinamento sulle navi, le anfore avevano un fondo piatto che permetteva ad esse di sostenersi. Erano destinate a contenere liquidi o granaglie ed in alcuni periodi furono destinate ai rituali di sepoltura,
impiegate come urne cinerarie o come segnacoli tombali.
Già conosciute in epoca micenea, in epoca greca se ne distinguono due principali tipi in base al profilo tra spalla e collo che può seguire una curva continua, ovvero presentare uno stacco netto. Per ciascuna forma sono osservabili sistemi decorativi precipui e determinati dalla tecnica di decorazione impiegata e dal periodo storico.
Anfore a profilo continuo
Questa forma è raramente presente al di fuori dell'Attica e compare già nel VII secolo a.C. divenendo comune in una forma rimodellata nel VI secolo a.C. Viene prodotta fino all'ultimo quarto del V secolo a.C. Se ne distinguono tre standard tipologici:
- il più antico (diffuso nella prima metà del VI secolo a.C.) e più comune tra


le varianti della forma è il tipo "B" che presenta anse cilindriche e piede "ad echino rovesciato";
- il tipo "A", successivo (intorno alla metà del secolo), presenta un orlo svasato (trapezoidale) con anse quadrangolari solitamente decorate con foglie d'edera e piede a doppio scalino;
- la variante meno diffusa è il tipo "C", utilizzato tra il 580 e il 470 a.C. circa. Si caratterizza per l'orlo a profilo rotondo invece che trapezoidale, mentre anse e piede variano.
Anfore a collo distinto
Furono le più antiche, ereditate dalla ceramica micenea. Per il periodo protogeometrico se ne conoscono con anse orizzontali, impostate sul ventre, e con anse verticali; queste ultime sono le più diffuse e danno origine
alla forma più allungata che diviene comune durante il periodo geometrico.
Per i periodi orientalizzante e a figure nere l'anfora a collo distinto assume diverse forme, ma la più diffusa resta quella tipica del periodo geometrico. Una nuova forma viene modellata a metà del VI secolo a.C. ad Atene, dove diviene la forma tipica nelle figure nere del periodo maturo: il corpo assume forma ovoidale e la spalla si appiattisce. La forma tipica del periodo a figure rosse si presenta smagrita e frequentemente con anse intrecciate.
Anfore panatenaiche
Tra le anfore con il collo distinto una variante è rappresentata dall'anfora panatenaica, con collo sottile e corpo largo fortemente rastremato verso il piede, creata ai tempi di Pisistrato e offerta come premio per le competizioni nelle Panatenee di Atene: presenta una decorazione dipinta tipica, sempre a
figure nere (la dea Atena su un lato e la gara vinta sull'altro), fino al II secolo a.C. A partire dal IV secolo a.C. le anfore panatenaiche sono datate dall'iscrizione del nome dell'arconte eponimo. La forma tende a smagrire e ad allungarsi col tempo fino a perdere nel IV secolo a.C. l'aspetto originario dell'anfora a collo distinto. Furono prodotte anche anfore della medesima forma ma con diverse decorazioni, a volte più piccole, forse come souvenir.
Anfore nicosteniche
Un'altra variante particolare era l'anfora nicostenica, che prende il nome dal suo creatore, il vasaio Nikosthenes, il quale ne produceva esemplari destinati unicamente al mercato etrusco. Presenta anse piatte che partono dall'orlo e collo a profilo tendenzialmente conico che raggiunge alla base quasi la larghezza massima del ventre. La forma dell'anfora nicostenica deriva da quella dell'anforetta a spirale, una tipologia vascolare frequentemente
rinvenuta nelle sepolture villanoviane e orientalizzanti.
Anfore nolane
Prendono il nome da Nola, luogo di rinvenimento di numerosi esemplari; sono una versione più piccola dell'anfora a collo distinto, frequenti nella prima metà del V secolo a.C. Presentano collo svasato, ampio orlo convesso e anse crestate; la versione con anse doppie, ciascuna composta da due sezioni cilindriche, è chiamata doubleen.
Anfora tirrenica
È una variante con corpo meno espanso prodotta a partire dal 575 a.C. circa e destinata all'esportazione in Etruria.
Anforisco
È un'anfora di piccole dimensioni con piede a punta usata per la conservazione degli oli profumati.


Nelle foto, dall'alto:
    Parete di anfore al Macquarie University History Museum
    Anfora a profilo continuo di tipo B del Pittore di Nesso
    Anfora a profilo continuo di tipo A, Atena ed Ercole, Staatliche Antikesammlungen
    Anfora a profilo continuo di tipo A, La partenza dei guerrieri, Louvre
    Anfora a collo distinto di tipo ovoide, diffusa nel secondo quarto del VI secolo a.C, Morte del       Minotauro, Atene
    Anfora panatenaica
    Anfora nicostenica, Louvre
    Anfora nolana con donna con mantello, Pittore di Achille
    Anforisco con animali e sirene, Louvre
    Anforisco per olio
    Vari tipi di anfore, esposte nei Mercati di Traiano - Museo dei Fori Imperiali, Roma.  

KERAMOS - Forme ceramiche greche: XII, Lekanis

 

La lekanis (pl. lekanides) è una forma vascolare in uso nella Grecia antica. Era una coppa bassa, con piede ad anello e due anse orizzontali a nastro impostate sotto l'orlo, quest'ultimo dotato di una modanatura adatta ad accogliere il coperchio con il quale forma una parete continua. A parte alcuni precedenti in epoca geometrica, la forma compare stabilmente nella seconda metà del VI secolo a.C. e diviene frequente nel periodo a figure rosse.
Gli esemplari a figure nere e a vernice nera possono essere privi di coperchio, mentre quelli a figure rosse sono tipicamente dotati di un coperchio decorato. Col tempo il coperchio a cupola tende ad appiattirsi e a formare un angolo retto tra la superficie superiore e le pareti verticali.
La lekanis veniva usata per contenere diverse sostanze e oggetti; era un vaso da toilette, un contenitore per unguenti o per piccoli oggetti. Come risulta anche da alcune rappresentazioni vascolari la lekanis rientrava nella complicata meccanica del matrimonio antico (così in qualche circostanza è chiamato il vaso in cui venivano posti i gioielli che il
padre donava alla sposa) e Luciano di Samosata ne descrive una d'argento posta fra gli oggetti di una donna. Nel periodo a figure rosse la decorazione della parte superiore del coperchio è frequentemente a tema nuziale e le immagini possono proseguire lungo la parete del contenitore senza soluzione di continuità.
Il coperchio della lekanis è dotato di una impugnatura con stelo che, quando sufficientemente ampia, fungeva da piede per il coperchio che diveniva a sua volta contenitore se rovesciato. Su queste lekanides reversibili, a causa dell'ingombro creato dall'impugnatura, la decorazione del coperchio si
limita a fregi animalistici.
Esiste una versione ad uso domestico della lekanis, usata per contenere o servire piccole quantità di cibo, formalmente più semplice, decorata con semplici bande orizzontali o priva di decorazione.

Nelle foto, dall'alto:
- Lekanis nuziale, 370-360 a.C., Museo della ceramica, Atene
- Lekanis attica a vernice nera, 450-440 a.C., Louvre
- Lekanis da Chios del Gruppo di Afrodite, British Museum
- Lekanis con decorazione vegetale

KERAMOS - Forme ceramiche greche: XI, Epinetron

 

L'epinetron (plurale - epinetra) era un semi cilindro cavo, chiuso ad una estremità, utilizzato dalle donne greche durante la filatura della lana. 
Gli strumenti realmente utilizzati dovevano essere costruiti in materiali meno nobili, mentre i preziosi epinetra in ceramica, decorati a figure nere o figure rosse con temi a soggetto mitologico o di vita quotidiana, restituiti da contesti tombali e dall'acropoli di Atene dovevano essere considerati come offerte o doni preziosi che potevano essere ulteriormente impreziositi da una testa o un busto di Afrodite sulla parte chiusa del cilindro.

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...