martedì 25 marzo 2025

Lazio - Ostia, Mitrei


  • Mitreo del caseggiato di Diana (I, III,4): ricavato agli inizi del III secolo in due stanze all'angolo nord occidentale della casa di Diana; comprende un'anticamera con ingresso spostato di lato, un pozzo e banconi e una stanza più interna, con altri banconi laterali e sul fondo un'edicola arcuata su podio, inquadrata da semicolonnine in stucco sorrette da mensoline in travertino; davanti all'edicola è un altare marmoreo reimpiegato.

  • Mitreo di Lucrezio Menandro (I, III,5): ricavato agli inizi del III secolo in un passaggio tra il caseggiato del Mitreo di Menandro e un caseggiato adiacente, presenta un ingresso con gradini e due banconi laterali; sul fondo è un mosaico geometrico in bianco e nero che precede un podio con altare in muratura rivestito da una lastra di marmo con foro a forma di crescente lunare, dietro il quale veniva posta una lampada; l'altare fu donato dallo schiavo Diocle in onore del sommo sacerdote (pater) Caio Lucrezio Menandro.

  • Mitreo di Fruttuoso (I, X,4): ricavato nel podio destinato ad ospitare il tempio collegiale della corporazione degli stuppatores, iniziato sotto Alessandro Severo e mai realizzato; sotto la parte anteriore del podio è presente un corridoio trasversale, accessibile da un ingresso laterale; da un lato del corridoio una porta con scalini permette di arrivare alla stanza interna, dove il pavimento era stato abbassato e fu costruita una volta a crociera più alta di quella inizialmente prevista; erano presenti banconi sulle pareti, dipinte di bianco e una piccola nicchia sul muro di fondo, tra colonnine in marmo, in origine rivestita di cementizio ad imitazione della grotta natale del dio e dipinta di blu, che doveva ospitare una piccola statua; davanti alla nicchia erano supporti in marmo per una tavola e due piccoli basamenti, uno in marmo e uno in travertino, dovevano ospitare le statue dei geni Cautes e Cautopates. Una piccola cornice marmorea riporta l'iscrizione di dedica da parte di Fruttuoso, patrono del corpus stuppatorum. Il mitreo venne distrutto da un incendio da parte dei Cristiani.

  • Mitreo di Felicissimo (V, IX,1): costruito nella seconda metà del III secolo all'interno di un edificio del II secolo, presenta, nel pavimento, un mosaico in bianco e nero in cui sono raffigurati, entro specchiature nere, i simboli dei sette gradi dell'iniziazione mitraica, dal più basso (in prossimità dell'ingresso) al più alto (in prossimità della parete di fondo e dello scomparso altare); nell'ultimo pannello è anche l'iscrizione dedicatoria FELICISSIMVS / EX VOTO F(ecit). Lungo le pareti laterali sono i podi per i fedeli. All'ingresso - cui si accede dalla strada tramite una porta decentrata rispetto all'asse del sacello, al fine di impedire ai passanti di scorgere i riti che si svolgevano all'interno - è una nicchia in cui doveva trovarsi la statua di uno dei due geni portatori di fiaccola.

  • Mitreo delle Terme del Mitra (I, XVII,2): costruito nella prima metà del III secolo in ambienti voltati di servizio nei sotterranei delle terme del Mitra, ospita una statua in marmo del dio che si accinge ad uccidere il toro, del II secolo, restaurata per l'occasione. Sul petto del toro è l'iscrizione in greco Kriton di Atene fece, che si riferirebbe allo scultore, oppure al donatore. La statua è disposta scenograficamente su un basamento obliquo, illuminato dalla luce diurna che arriva da un lucernario superiore. Vi furono rinvenute anche delle piccole piramidi in tufo che simboleggiavano la nascita del dio dalla roccia e tracce di pitture sulle pareti.

  • Mitreo del Palazzo imperiale: costruito nel 162, come testimonia l'iscrizione di dedica sul pavimento in mosaico di tessere bianche. Alle pareti, rivestite da semplice intonaco rosso, aveva podi, con nicchia centrale per statuette di Cautes e Cautopates, poste su basi con bassorilievi che li raffigurano, accanto all'iscrizione di dedica di un sovraintendente del luogo sacro. Sul lato di ingresso, all'angolo sud-est è presente una nicchia con base dotata di un foro per la collocazione di una lampada. Sul muro di fondo c'è un basamento in tufo preceduto da gradini in marmo, sormontati al centro da una base in muratura con sopra un altare in marmo, offerto dallo stesso donatore delle statuette. In una stanza adiacente è stata trovata una nicchia con mosaico policromo raffigurante Silvano.

  • Mitreo Fagan, scavato tra il 1794 e il 1802 dal pittore Robert Fagan, doveva trovarsi tra il cosiddetto "Palazzo imperiale" e la foce. Vi fu rinvenuto un gruppo marmoreo di Mitra che uccide il toro, ora ai Musei Vaticani e una statua di Aion, dedicata nel 190.

  • Mitreo Aldobrandini (II, I,2): addossato nel tardo II secolo ad una delle torri e ad un tratto del lato orientale delle mura del I secolo a.C., nella proprietà della famiglia Aldobrandini, in una zona non accessibile al pubblico; è stato scavato solo nella parte settentrionale, addossata alla torre. Si conserva la fine dei banconi laterali. L'estremità nord era leggermente rialzata e preceduta da un'area pavimentata in marmi colorati e limitata da pilastri in laterizio e da una tavola in lastre di marmo; sul fondo è presente un altare in lastre marmoree con l'iscrizione di dedica da parte del pater Sesto Pompeio Massimo, sacerdote del Sole. L'iscrizione menziona il rivestimento in marmo dei banconi (indicati come praesepia e segnalando la loro lunghezza complessiva di 68 piedi), di un trono e di un rilievo in marmo, quest'ultimo in sostituzione di una pittura su stoffa, danneggiata dall'umidità.

  • Mitreo di Porta Romana (II, II,5): venne realizzato in opera listata in un ambiente alle spalle di un piccolo sacello affacciato sul decumano massimo, nel corso del III secolo. L'ingresso si trovava sul lato nord e sui muri laterali erano allineati i podi. All'ingresso si trova una piccola vasca per l'acqua, nei pressi della quale si è conservato un tratto del rivestimento marmoreo del pavimento e dei podi. Sul lato di fondo, verso sud, i podi laterali si interrompono e restano le fondazioni di un altare.

  • Mitreo dei Marmi Colorati (IV, IX, 5). In un ambiente di una caupona di III sec. d.C. edificata fuori Porta Marina, in prossimità delle Terme di Porta Marina, viene a installarsi, nel IV sec., un mitreo - l'unico extraurbano finora noto a Ostia - che trasforma completamente la destinazione d'uso dell'edificio. Rialzando un ambiente semisotterraneo, si realizzò lo speculum mitraico, ossia l'aula di culto, che venne pavimentato con circa un migliaio di piccole lastrine irregolari di marmi colorati provenienti dai quattro angoli dell'Impero, tutte di reimpiego, che valgono al mitreo la sua attuale denominazione. Nella nicchia absidale dovevano trovarsi un thronum e un rilievo marmoreo, entrambi perduti. Lungo uno dei lati c'è un podium, anch'esso ricoperto dalle crustae marmoree e, in prossimità dell'ingresso, si trovano un pozzo e un'aiuola. Le pareti sono dipinte con una decorazione imitante il marmo. Affreschi decorano anche gli altri ambienti del complesso, nei quali si trovano anche dei graffiti legati al culto mitraico. Gli studiosi che lo hanno riportato alla luce nel 2014 ritengono che possa essere l'ultimo mitreo edificato nell'Impero Romano. Dopo neppure un secolo di vita, il complesso venne messo fuori uso e smantellato. Un successivo crollo ne sancì il definitivo abbandono.



Lazio - Ostia, Teatro romano

 

Il teatro romano di Ostia fu edificato in età augustea e rimaneggiato alla fine del II secolo. Nella numerazione data agli edifici ostiensi dagli scavatori nel dopoguerra corrisponde al II,VII,2 (regione II, isolato VII, edificio 2). Fu edificato nella zona che in età repubblicana era stata delimitata ad uso pubblico dal pretore urbano di Roma lungo il Tevere, ad est delle mura del castrum repubblicano. Nella fase augustea poteva ospitare 3000 spettatori, che divennero 4000 dopo il rifacimento.
Venne costruito alla fine del I secolo a.C. da Agrippa, amico e genero di Augusto, in opera reticolata e opera quadrata di tufo per il portico in facciata, insieme al piazzale delle Corporazioni, posto alle spalle della scena.
Subì rimaneggiamenti all'edificio della scena, ricostruita di maggiore altezza, intorno alla metà del I secolo e in epoca adrianea. Alla fine del II secolo d.C. venne restaurato e ingrandito in laterizio. Alla fine del IV secolo l'edificio venne restaurato dal prefetto dell'annona Ragonio Vincenzio Celsio che vi realizzò un impianto idraulico che permetteva di allagare l'orchestra e di svolgervi rappresentazioni acquatiche. Tra la fine del V secolo e il VI secolo le arcate del primo ordine vennero murate per trasformare il teatro in una fortezza difensiva.
Venne scavato negli anni tra il 1880 e gli inizi del Novecento e ampiamente restaurato nel 1927. Ospita oggi rappresentazioni e spettacoli.
Era un tipico teatro romano, con cavea sostenuta da arcate, affacciate sul decumano massimo: gli spazi tra questo e la facciata curvilinea del teatro erano stati pavimentati in travertino e delimitati da cippi ugualmente in travertino, dotati di catene, e vi erano sorti due ninfei (fontane monumentali) semicircolari (II,VII,6-7).
Davanti al teatro sul decumano sorgevano due archi, di cui restano le coppie di pilastri in laterizio, che si addossarono alle arcate del teatro e al portico degli Archi trionfali, sul lato opposto della via. Si trattava dell'arco onorario dedicato a Caracalla dai cittadini di Ostia nel 216. Forse i due archi furono collegati da una copertura lignea, fungendo in questo modo da atrio di ingresso per il teatro.
Le arcate della facciata, ampiamente restaurate, poggiavano su massicci pilastri in laterizio con uno zoccolo in travertino. Sopra questo si alzavano le lesene tuscaniche che inquadravano le arcate del primo ordine, con capitelli, basi e trabeazione realizzate con mattoni appositamente sagomati. La facciata presentava in origine due ordini di arcate, sormontati da un attico con finestre; al secondo ordine le lesene laterizie erano di ordine ionico e altre lesene più piccole erano presenti ai lati delle finestre dell'attico, forse di ordine corinzio. Sopra le finestre dell'attico erano presenti mensole sporgenti, destinate a sostenere i robusti pali in legno che reggevano il velario, inseriti nel cornicione di coronamento.
All'interno delle arcate si apriva un portico-deambulatorio concentrico, che dava su una serie di sedici ambienti disposti radialmente, a cui si alternavano l'ingresso centrale verso i posti situati più in basso e le quattro scale che permettevano di raggiungere i posti al secondo e al terzo livello. I sedicii ambienti radiali ospitavano taberne (botteghe) dotate di retrobottega e di mezzanino, raggiungibile da una scala di cui restano i primi gradini in muratura. Le taberne erano decorate con semplici affreschi. Nel deambulatorio, a destra dell'ingresso principale, è presente un pozzo con puteale in travertino.
Il corridoio di accesso centrale aveva rivestimenti in marmo su pavimento e pareti e la volta decorata in stucco. Nel rifacimento del IV secolo nella parte più interna furono collocati dei sedili marmorei, che reimpiegano delle basi provenienti dal piazzale delle Corporazioni, non più in uso. La parte più esterna e gli ambienti adiacenti (taberne con retrobottega) divennero delle cisterne, con le pareti rivestite in signino: da qui l'acqua arrivava nell'orchestra attraverso due fori ricavati nei muri laterali della parte più interna del corridoio.
In origine il corridoio permetteva invece di raggiungere l'orchestra, anch'essa pavimentata in origine in marmo. I primi tre gradini della cavea, bassi e con rivestimenti in marmo tuttora conservati, erano destinati ad ospitare i seggi per i posti riservati ai personaggi più importanti. Seguivano i settori superiori e un portico in summa cavea (alla sommità della cavea) con colonne marmoree (oggi rialzate fuori posto dietro la scena).
Una di queste reca il rilievo di un genio davanti ad una edicola, vestito con un mantello che sorregge una cornucopia con la sinistra, mentre con la patera nella destra compie una libazione su un altare cilindrico. L'iscrizione sottostante dedica il rilievo al genio dei Castra peregrina da parte dei fratelli Optaziano e Pudente, appartenenti al corpo militare dei frumentarii.
Le parodoi, corridoi tra la cavea e l'edificio scenico, ai lati dell'orchestra) conservano resti della muratura originaria di epoca augustea.
Il proscenio rialzato rispetto all'orchestra era decorato sulla fronte con una serie di nicchie alternativamente semicircolari e rettangolari, rivestite in marmo e inquadrate da colonnine che sorreggevano un coronamento sporgente. Vi sono collocate sopra delle mensole decorate con maschere teatrali, che dovevano appartenere alla decorazione dell'edificio nella fase severiana.
Il frontescena (frons scaenae) era privo di articolazione in nicchie, riprendendo la pianta lineare di quello di epoca augustea. Vi si addossavano pilastri e colonne in marmo, disposti su tre ordini.

Lazio - Ostia, Capitolium

 


Il Capitolium è un tempio romano che si trova nell'area archeologica di Ostia, a Roma. L'edificio è ben visibile, poiché si erge al di sopra di tutte le altre rovine, ed è posizionato all'area anticamente occupata dal foro, all'incrocio tra cardo e decumano massimo.
Tempio maggiore della colonia romana, esso era probabilmente dedicato alla Triade Capitolina.
Il Capitolium fu eretto nel 120, sotto il regno dell'imperatore Adriano, durante i lavori di ampliamento di Ostia e di sistemazione del foro, come dimostrano i bolli laterizi presenti sui mattoni utilizzati per la costruzione del tempio. L'edificio fu dedicato alla Triade Capitolina, composta da Giove, Giunone e Minerva, come era in uso presso le colonie romane.
Chiuso e abbandonato dopo il 394, quando il cristianesimo venne adottato come religione ufficiale dell'Impero romano, il tempio divenne ben presto preda di razzie per via dei marmi di pregiata qualità di cui era rivestito. La distruzione della città avvenne in maniera sistematica dal IX secolo, fino a quando non fu ricoperta di detriti dalle inondazioni del Tevere. Il Capitolium rimase, insieme al teatro, uno dei pochi resti visibili. Il tempio fu trasformato in un ovile, e assunse il nome di "casa rossa", per via della sua struttura in laterizio.

Con l'inizio degli scavi ad Ostia antica, nel 1854, il Capitolium fu dapprima identificato come un tempio dedicato a Vulcano, il cui culto era molto diffuso nella città, per poi essere riconosciuto effettivamente come un edificio consacrato alla Triade grazie alla scoperta di una lapide votiva.
Il tempio si affacciava sul foro cittadino, di fronte al tempio di Augusto e Roma, innalzato su un alto podio a imitazione del tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio di Roma, a cui si accedeva con 21 gradini, parzialmente ricostruiti con i materiali originali. Era un tempio prostilo esastilo, ossia con sei colonne in facciata, ma senza colonne sui lati della cella. Due colonne erano sui lati del pronao, di ordine corinzio. Misurava 35 m di lunghezza, 15,5 m di larghezza e raggiungeva in origine i 20 m di altezza (attualmente 17 m in seguito alla perdita del tetto).

È preceduto da un altare in muratura, rivestito da lastre di marmo decorate a rilievo con armi.
Sotto il podio erano state ricavati tre ambienti, accessibili dal retro, probabilmente utilizzati come sede dell'erario cittadino.
A differenza di altri capitolia, l'ampia cella a pianta rettangolare, costruita in opera laterizia, non era tripartita: le statue delle tre divinità erano allocate in tre nicchie sul fondo, quella centrale semicircolare e le altre due rettangolari. Altre tre nicchie si aprivano su ognuna delle due pareti laterali. La cella era in passato ricoperta da lastre di marmo bianco e colorato, di cui rimangono scarsi resti, ma la cui disposizione è riconoscibile in base alle tracce dei fori per le grappe di sostegno rimasti sulla parete. Il portale di ingresso della cella doveva avere una grande porta in bronzo, simile a quelle preservatesi del Pantheon e del cosiddetto tempio di Romolo a Roma.

La spoliazione del rivestimento marmoreo subita dalle pareti della cella ha però messo in vista gli archi di scarico inseriti nelle pareti in laterizio, con una tecnica visibile anche sulla muratura del Pantheon, destinati a deviare il peso dei muri sui punti più resistenti delle fondazioni.

Lazio - Ostia, Case a giardino

 


Le Case a giardino sono le rovine e resti di un complesso residenziale (giardini, appartamenti e taberne (botteghe), della città romana di Ostia, databile intorno all'anno 128 d.C., ai tempi di Adriano.
Le abitazioni, destinate alla classe media, sono costituite da appartamenti a medianum, articolati cioè intorno ad una stanza su cui si aprivano finestre e la porta di ingresso. In questo caso gli appartamenti si aprono al piano terra su un giardino interno privato e sono riccamente affrescati.
Il complesso residenziale delle Case a giardino doveva essere abitato da mercanti agiati, ed era situato vicino alla costa ma lontano dal porto e dalle sue attività.
Il complesso era costituito da una serie di blocchi perimetrali intorno ad un ampio spazio rettangolare a giardino, che ospitavano una decina di appartamenti e domus, oltre a numerose taberne. Altre abitazioni ai piani superiori erano raggiungibili tramite scale che si aprivano direttamente dallo spazio interno. Al centro dello spazio interno erano presenti due edifici centrali a quattro piani, con otto appartamenti al piano terra, ognuno costituito da varie stanze e articolato su due piani; sono presenti ambienti di rappresentanza più ampi e illuminati da finestre e piccole camere da letto prive di finestre, che prendevano luce dalla stanza centrale, definita medianum. Ai due lati del cortile vi erano sei fontane per l'approvvigionamento idrico.
Il complesso poteva ospitare un numero variabile da cinquanta a cento appartamenti, quindi un numero di abitanti oscillante fra quattrocento e settecento.


Lazio - Ostia, Terme di Nettuno

 

Le terme di Nettuno (in antico note come lavacrum ostiense) sono un complesso termale pubblico della città romana di Ostia, costruito da Adriano e da Antonino Pio ed inaugurato nel 139.
Sono collocate lungo il decumano massimo, ad est del centro cittadino (nella Il delle cinque regioni in cui Ostia è stata divisa dagli scavatori, isolato IV, edificio 2). Il complesso termale vero e proprio è separato dal decumano per mezzo di un portico monumentale a pilastri, che prosegue anche davanti agli isolati adiacenti (portico di Nettuno, II,IV,1) e sul cui fondo si aprono delle taberne (botteghe).
La zona era rimasta priva di costruzioni e riservata ad uso pubblico a seguito della delimitazione da parte del pretore urbano di Roma Gaio Caninio, probabilmente allo scopo di facilitare le attività portuali. La necessità venne probabilmente meno con la costruzione del porto di Claudio e vi venne costruito un primo impianto termale ("terme sotto via dei Vigili" o "terme delle Province"), i cui resti sono visibili all'incrocio stradale a nord-est (tra via dei Vigili ad est e via della Palestra a nord), ad un livello inferiore rispetto a quello generale adrianeo. Nella zona delle terme fu costruito un impianto commerciale, i cui resti sono stati visti in scavi archeologici.
Sotto Domiziano la zona fu completamente ristrutturata, con un uniforme rialzamento del terreno e la realizzazione della rete fognaria. Nella stessa posizione dell'attuale complesso venne costruito un grande complesso termale, con piscina (natatio) circondata da un colonnato e con ricca decorazione marmorea di cui restano i frammenti.
La ricostruzione adrianea è testimoniata dall'iscrizione di dedica, che menziona la spesa di due milioni di sesterzi, somma alla quale Antonino Pio aggiunse il necessario per il completamento, per dedicarla nel suo primo anno di regno (139). La pianta ricalcava il precedente impianto domizianeo, ma ne venne abolita la piscina, rimpiazzata da una serie di ambienti di ingresso e disimpegno.
Sotto Marco Aurelio subirono danni a causa di un incendio e furono restaurate da Publio Lucilio Gamala. Altre modifiche furono apportate alla fine del III e nel IV secolo: il calidario originale (10) venne abbandonato e il precedente laconicum fu trasformato in calidario, un piccolo tepidario venne aggiunto nello spazio del frigidario. Intorno al 350 i pilastri del portico di Nettuno davanti alle terme vennero rafforzati, forse in seguito ai danni subiti a seguito di un terremoto nel 346.
Alla fine del IV - inizi del V secolo la palestra doveva essere in disuso e alcuni dei fusti di colonna furono reimpiegati in un portico ad est del teatro. In epoca alto-medievale l'area delle terme divenne zona di sepoltura.
Il complesso è stato scavato da Rodolfo Lanciani nel 1888 e da Dante Vaglieri nel 1909-1910.
L'ingresso principale, decorato da piccoli pilastri in laterizio, avveniva dal lato orientale, lungo la via dei Vigili, attraverso un vestibolo (1) fiancheggiato da una latrina (2), dal quale si accedeva ad un ampio disimpegno 3. Questo dava a sud in un ambiente accessibile anche dal portico in facciata (4), ad ovest verso la palestra (11) e a nord alla serie degli ambienti termali. Accessi secondari direttamente sulla palestra si aprivano anche su via della Fontana (ovest) e su via della Palestra (nord)
Il grande frigidario (5) era dotato di una vasca più grande verso est, decorata con tre nicchie sulle tre pareti e con fronte a due colonne, con fusti in granito grigio e sorreggenti arcate. Una vasca più piccola era sul lato ovest, con nicchie semicircolari sulle pareti laterali e un'altra nicchia semicircolare, affiancata da nicchie rettangolari, sulla parete di fondo. Entrambe le vasche erano rivestite in marmo e nella sala sono state rinvenute numerose statue e ritratti.
Seguivano due tepidari (7 e 8) e una sauna (laconicum, 9) e da un calidario (10). In una fase successiva il calidario più antico venne abbandonato e il laconicum ne assunse la funzione, con due vasche rettangolari ai lati, rivestite da marmi colorati. Il calidario più antico era affiancato a nord-est e a nord-ovest dagli ambienti delle fornaci per il riscaldamento.
La grande palestra nel settore occidentale era circondata su tre lati da un portico colonnato, con fusti in marmo portasanta e con capitelli ionici e corinzi. Sui lati sud ed ovest del portico si aprivano gli ambienti di servizio. L'ambiente centrale del lato ovest (13), più ampio e con passaggio segnato da due colonne, ospitava una statua di Sabina, con gli attributi di Cerere e doveva essere dedicato al culto imperiale. All'angolo nord-occidentale era un'altra latrina. La palestra era decorata di statue onorarie di cui si sono rinvenute numerose basi.
Un corridoio di servizio costeggiava gli ambienti riscaldati e all'angolo nord-est un ambiente con le mura particolarmente spesse (15) era una cisterna. Una più antica grande cisterna, abbandonata con la costruzione delle terme, è ancora in parte accessibile sotto la palestra del complesso. Era divisa in sei scompartimenti coperti a volta e disposti in senso nord-sud.
Sui lati sud ed ovest i piani superiori dovevano ospitare appartamenti in affitto, serviti da scale indipendenti aperte sulle strade e collocate tra gli ambienti delle terme.
Numerosi ambienti delle terme erano decorati da grandi mosaici figurati in bianco e nero, realizzati sotto Antonino Pio.
- Nella latrina a fianco del vestibolo di ingresso è raffigurata una scena nilotica (un pigmeo inseguito da un coccodrillo e al centro una barca che trasporta anfore).
- Il disimpegno a cui si accede dal vestibolo di ingresso (3), ospita il mosaico che ha dato il nome al complesso: Nettuno su un carro trainato da cavalli marini e circondato da tritoni, nereidi e animali e mostri marini.
- Nell'ambiente a sud del disimpegno (4) il mosaico raffigura Anfitrite su cavallo marino, accompagnata da Imeneo e circondata da creature marine. Il mosaico è in collegamento con quello del disimpegno: Anfrite si dirige ad incontrare il suo sposo Nettuno.
- Il frigidario ospita una raffigurazione di Scilla con lunghi e sinuosi tentacoli da piovra, in lotta con un remo contro altri mostri marini.
- In un ampio ambiente a nord del frigidario, a lato dei due tepidari, si trova un mosaico rifatto forse nella fase dei restauri della seconda metà del III secolo, con numerosi simboli cristiani.
- Un ambiente (12) che si apriva sul lato est della palestra, accessibile anche dal disimpegno, era decorato da un mosaico con coppie di atleti intente a praticare il pugilato e il pancrazio, caratterizzate dal ciuffo di capelli legati sulla nuca (cirrus).
Le terme sotto la via dei Vigili, o delle Province, dell'epoca di Claudio, hanno restituito un grande mosaico suddiviso in riquadri con varie decorazioni: al centro sono quattro delfini e ai lati raffigurazioni di teste (quattro province, Spagna, Sicilia, Egitto e Africa e quattro venti).

Lazio - Ostia, Caserma dei vigili

 

La caserma dei vigili è un edificio della città romana di Ostia utilizzato come sede di un distaccamento dei vigili (cohortes vigilum) che si occupavano dello spegnimento degli incendi.
L'edificio venne costruito in epoca adrianea nell'area cittadina tra il decumano massimo e il Tevere, ad est del centro cittadino (nella Il delle cinque regioni in cui Ostia è stata divisa dagli scavatori, isolato V, edificio 1-2).
Per la protezione dagli incendi delle abitazioni e dei granai, Claudio distaccò a Ostia una coorte dei vigili da Roma. Sotto Domiziano venne creata una vexillatio, o distaccamento permanente, di 320 uomini e, nell'ambito di un intervento urbanistico su tutta l'area, che fu rialzata di livello, fu costruita una prima caserma.
L'edificio fu interamente ricostruito nello stesso luogo in età adrianea (132-137). Poco dopo vi fu aggiunta una serie di taberne sul lato ovest (via della Fontana).
In epoca severiana (205) venne stanziato un secondo distaccamento presso Porto. Nella caserma ostiense (207) venne ingrandito il sacello di culto imperiale e le taberne occidentali furono chiuse sul lato esterno e inglobate nella caserma.
Le dediche delle statue imperiali terminano dopo Gordiano III e il distaccamento di Ostia cessò probabilmente di essere attivo intorno alla metà del III secolo, mentre rimase in funzione quello di Porto. L'edificio dovette essere utilizzato per altri usi fino a dopo la metà del IV secolo e si ebbero alcuni piccoli interventi murari.
La caserma venne scavata nel 1888-1889 da Rodolfo Lanciani e nel 1911-1912 da Dante Vaglieri. Altre indagini archeologiche furono condotte nel 1964 da Fausto Zevi.
L'ingresso principale avveniva dal lato orientale (via dei Vigili) attraverso un portale con lesene e basi in laterizio che dava su un ampio vestibolo; nella fase severiana venne fiancheggiato all'esterno da ambienti di cui restano mosaici raffiguranti dei crateri, con iscrizione di Proclo, che si qualifica come soldato della coorte. Gli ambienti sono stati interpretati come mescite di vino per i vigili, ma le loro ridotte dimensioni e la loro posizione insolita potrebbe invece indicare una funzione religiosa.
Sui lati nord e sud (via della Palestra) si aprivano al centro altri due vestiboli e quattro corridoi alle estremità, che permettevano di accedere all'interno. Anche l'ingresso centrale del lato sud presentava un portale architettonico in laterizio.
Sul lato occidentale si addossò nel corso del II secolo una fila di taberne (II,V,2), aperte su via della Fontana e con scala al centro per l'accesso ai piani superiori.
All'interno l'edificio si articolava intorno ad un ampio cortile, pavimentato con bipedali e circondato da un portico in pilastri di laterizio e con grandi vasche per l'acqua agli angoli del lato orientale, aggiunte nel corso del II secolo.
Sui lati nord, est e sud si affacciavano sul portico diversi piccoli ambienti, che dovevano essere utilizzati come alloggi per i vigili. Altri alloggi si dovevano trovare al primo piano, accessibile da quattro scale disposte alle estremità dei lati nord e sud. All'angolo nord orientale un ambiente era adibito a latrina ed ospitava una piccola edicola e un altare dedicati alla Fortuna da parte del prefetto della quarta coorte.
L'ambiente a nord dell'ingresso principale sul lato est presentava dipinti parietali su fondo rosso e un pavimento a mosaico geometrico in bianco e nero.
Sul lato occidentale del cortile si apriva un'aula dedicata al culto imperiale, rialzata di un gradino e con ingresso a pilastri. L'ingresso venne monumentalizzato in epoca severiana creando davanti ad esso un pronao per mezzo di tramezzi che chiudevano il braccio del portico. I due pilastri centrali del portico vennero sostituiti dalle colonne con fusti in marmo portasanta e basi in marmo bianco di Luni che precedentemente segnavano l'ingresso della cella, sostituite da pilastri in laterizio. Nel pronao venne inoltre realizzato un mosaico in bianco e nero con scene di sacrificio: al centro un toro viene condotto ad un altare con un sacerdote che regge un'ascia (popa) e con due attendenti, uno dei quali suona un doppio flauto, mentre l'altro regge una patera; ai lati sono due scene con il vittimario con ascia sopra il toro sdraiato a terra. Anche la cella aveva un pavimento a mosaico, con decorazione geometrica, risalente alla originaria fase costruttiva di epoca adrianea. Le pareti degli ambienti, i gradini e il podio in fondo alla cella avevano un rivestimento in marmo.
Sul fondo dell'ambiente di culto si trova un podio con sopra cinque basi marmoree, dedicate ad Antonino Pio, Lucio Vero, Settimio Severo, Marco Aurelio e ancora a Marco Aurelio come erede designato, che dovevano sorreggere statue in bronzo degli imperatori. Sulla parete destra è un'altra base dedicata a Lucio Elio Cesare nel 137, contemporanea all'inaugurazione della caserma. Al centro dell'aula di culto al momento dello scavo venne rinvenuto un altare.
Altre basi per statue furono inserite davanti alle colonne e ai pilastri del pronao, con dediche a Settimio Severo, a Giulia Domna, a Geta (erasa in seguito alla damnatio memoriae) e a Caracalla. Sul lato sud seguono basi in onore di Gordiano III e della moglie Furia Sabina Tranquillina e un'altra base di Caracalla.
Ai lati dell'ambiente di culto sono due ampi ambienti affacciati sul portico: in quello meridionale e nel pronao furono rinvenuti numerosi graffiti, spesso invocazioni di ringraziamento all'imperatore regnante, da parte dei vigili, caratterizzati dal loro grado e funzione (come bucinator, o suonatore di tromba, exactus lanternarum, o sovraintendente alle lampade e alle torce). Nello stesso ambiente e in altri presso l'ingresso principale sul lato orientale sono state rinvenute anche iscrizioni dipinte che attestano il ricevimento delle distribuzioni di frumento riservate ai vigili dopo tre anni di servizio.
Sul retro dell'ambiente di culto si trovava un settore separato, accessibile da due corridoi. Gli ambienti a nord del corridoio settentrionale erano in questa fase delle taberne aperte solo verso l'esterno e con scala indipendente al centro per i piani superiori.
Il settore occidentale consisteva nella fase adrianea in un corridoio lungo il lato ovest della caserma, con vasca all'estremità sud, sul quale si affacciavano una serie di piccoli ambienti intercomunicanti posti alle spalle dell'ambiente di culto. All'esterno si erano addossate all'edificio su questo lato una fila di taberne.
Nel rimaneggiamento della fase severiana le taberne esterne del lato ovest e dell'angolo nord-ovest, furono chiuse verso le vie esterne e aperte con porte verso l'interno dell'edificio; vennero inoltre chiusi i passaggi che collegavano tra loro gli ambienti aperti sul corridoio occidentale. Le due serie di ambienti che ora si fronteggiavano ai due lati del corridoio, divennero in questa fase probabilmente gli alloggi per gli ufficiali, con una latrina a loro forse riservata che occupò una delle ex taberne sul lato nord.
In seguito alla fine del servizio dei vigili in Ostia, l'edificio fu riadattato per altri scopi e alcuni interventi murari, in particolare all'angolo nord-orientale, impostarono piccole modifiche alla disposizione degli ambienti.

Lazio - Ostia, domus di Amore e Psiche


La domus di Amore e Psiche è una domus tardoantica della città romana di Ostia, costruita in opera listata nel secondo quarto del IV secolo, su una precedente fila di taberne di II secolo.
L'ingresso si apre su un diverticolo di via del tempio di Ercole, nel settore a nord di via della Foce, poco fuori dalla porta occidentale dell'antico castrum. Nella numerazione data dagli scavatori l'edificio è il n.5 dell'isolato XIV della regione I (I,XIV,5).
Prende il nome da un piccolo gruppo statuario con Amore e Psiche, rinvenuto in uno dei cubicoli (stanze da letto) e sostituito da un calco in gesso danneggiato da azioni vandaliche.
Due delle taberne sul lato ovest, con ingresso indipendente su via del tempio di Ercole, sono rimaste in attività, espandendosi anche nel portico che in origine le precedeva.
L'accesso è da un vestibolo sul lato sud, con banchi in muratura rivestiti in marmo, addossati alle pareti. Il vestibolo si apre con una porta laterale su un ambiente centrale con banco addossato all'estremità sud e pavimentato con un mosaico geometrico policromo. Di fronte all'ingresso un corridoio accede ad una piccola latrina privata.
A sinistra si aprono tre piccole stanze (probabilmente cubicoli, o stanze da letto). Le due laterali sono pavimentate con mosaico geometrico in bianco e nero e una aveva pareti affrescate. Il cubicolo centrale aveva pavimento in opus sectile e rivestimento in lastre di marmo della parte bassa delle pareti; al centro un sostegno marmoreo reggeva un piccolo gruppo scultoreo sempre in marmo con Amore e Psiche, che ha dato il nome alla casa.
Sul lato opposto dell'ambiente centrale, quattro arcate su colonne danno su un piccolo giardino interno, con ninfeo (fontana monumentale) sul lato di fondo. Il ninfeo presenta un podio con cinque nicchie semicircolari, con un piccolo scivolo scalettato in marmo per far scendere l'acqua; al di sopra la parete presenta altre cinque nicchie per statue, alternativamente rettangolari e semicircolari, in origine rivestite a mosaico, inquadrate da colonnine in marmo lunense.
Sul fondo sopraelevata con un gradino, si apre la sala di rappresentanza, che probabilmente doveva avere un'altezza di due piani, con pavimento in opus sectile di grande qualità e con parte inferiore delle pareti rivestita in marmo. Sulla parete di ingresso è una nicchia con fontana. Dalla sala si apre sul lato sinistro l'accesso alla scala interna per il piano superiore che probabilmente si estendeva solamente sulle quattro stanze più piccole.

Lazio - Ostia, Santuario di Attis

 

Il Santuario di Attis (IV,1,3), anche noto come Attideum, era un tempio dedicato a Attis, il paredro di Cibele, che si trovava nella regio IV della città romana di Ostia. Il santuario si trova all'estremità sud est della vasta area nota come Campo della Magna Mater, posta nell’angolo tra il Cardine massimo e le mura in un’area periferica della città adibita ai culti orientali; in quest'area si trovano anche il tempio della Magna Mater (IV,I,1), il tempio di Bellona (IV,I,4) è due sacelli ( (IV,I,7) e (IV,I,7) ), di incerta attribuzione.
Il santuario è preceduto da un'area abbastanza ampia scoperta, circondata da un muro in opus reticulatum del I secolo d.C., ma il santuario vero e proprio risale terzo quarto del III secolo d.C. . L'ingresso è decorato da un portico con due pilastri in marmo e ha tre gradini all'esterno e due all'interno. In quest'area aperta ci sono tre vasche; si ipotizza che si trattasse di stagni per pesci, perché ci sono alcuni riferimenti a pesci offerti ad Attis.
L'ingresso è fiancheggiato da due semicolonne con grandi rilievi in marmo di Pan, ciascuna con una zampogna da pastore a sei canne e un bastone da pastore. I rilievi, datati alla seconda metà del III secolo, sembra che siano stati danneggiati di proposito, presumibilmente dai cristiani. La parete di fondo contiene un'abside, nelle pareti laterali ci sono due nicchie rettangolari poco profonde. Al centro dell'abside, a un'altezza di circa 3 metri, c'è una piccola finestra rettangolare e nella parte inferiore c'è una sporgenza semicircolare in travertino, presumibilmente per offerte votive.


Nell'abside c'è un calco in gesso (l'originale è nei Musei Vaticani) di una statua di Attis sdraiato, dopo l'evirazione. Nella sua mano sinistra c'è un bastone da pastore, nella sua mano destra un melograno. La sua testa è coronata da raggi di sole in bronzo e sul suo berretto frigio c'è una luna crescente. È appoggiato a un busto, probabilmente la personificazione del fiume Gallos, dove era morto. La sua postura ricorda quella delle divinità fluviali, ma la statua richiama anche alla mente i sarcofagi, con una raffigurazione del defunto sul coperchio. Fu trovata nel 1867 nel porticus lungo il lato sud, insieme a una statua in bronzo di Venere e a una statua di un gallo dedicata da Marco Modio Massimo.


Molte piccole statue e rilievi, ora visibili nel museo archeologico ostiense, furono trovati nel XX secolo dentro o vicino al santuario da Guido Calza:
- statuette e rilievi di Attis: cavalca un leone, suona la zampogna del pastore seduto su una roccia in mezzo alla sua mandria, morente sotto un pino dopo la sua evirazione, Attis - Dioniso, Attis - Apollo, Attis - Ermafrodito;
- un altare rotondo con dodici dei: Giove, Giunone, Minerva, Magna Mater / Cibele o Cerere, Venere, Diana, Vesta, Apollo, Vulcano, Mercurio, Nettuno e Marte;
- diverse statuette di Venere;
- statua di Fortuna o Cerere;
- un guerriero con un elmo, che porta un piccolo scudo rotondo;
- un rilievo di un leone che attacca un cervo, una pantera e alcuni orsi, tutti animali della foresta, di cui la dea è la padrona;
- un toro.

Lazio - Ostia, Tempio di Ercole

 

Il Tempio di Ercole (I,XV,5) era un tempio dedicato alla figura mitologica romana di Ercole, che si trovava nella regio I della città romana di Ostia. Il tempio, dopo il Capitolium, il più grande di Ostia, fu edificato tra la fine del II secolo e l'inizio del I secolo a.C., quindi verso la fine dell'età repubblicana a Roma; il tempio subì quindi ulteriori interventi tra il III e IV secolo d.C., mentre il mosaico della cella risale al III secolo d.C. .
L'edificio, tra i primi ritrovamenti di rilievo degli scavi condotti da Guido Calza tra il 1938 e il 1942 in vista dell'Esposizione Universale di Roma programmata per il 1942, si trovava all'interno della cosiddetta Area Sacra Repubblicana, un'area della città delimitata a partire dal III secolo a.C. appena fuori dall'originario Castrum ostiense, dove si trovavano anche il cosiddetto Tempio Tetrastilo (I,XV,2) e il Tempio dell’Ara Rotonda (I,XV,6).
Il tempio presentava l'usuale struttura dei templi italici, con una cella, dove trovava posto la statua della divinità, preceduta da un'area coperta sostenuta da alte colonne, il pronao, ed era solitamente costruito in posizione elevata su di un podio, cui vi si accedeva tramite una scalinata, in questo caso di otto scalini costruita in travertino. Il podio di questo tempio era edificato in tufo con il basamento in travertino.
Il frontone era orientato esattamente verso oriente, e il pronao aveva una profondità di quattro, ed una larghezza di sei colonne. Alla fine del III secolo d.C., al centro del pronao fu collocato un altare in marmo. Nel tempio è stata rinvenuta una statua di un atleta a riposo, dono di Gaio Cartilio Poplicola, e un rilievo votivo del I secolo a.C., era affisso sul podio, con scene del ritrovamento in mare della statua Ercole in armi, il che fa ipotizzare che il tempio avesse una connotazione militare.
Tra i reperti più rilevanti ritrovati nell'Area sacra repubblica e riferibili al Tempio di Ercole, c'è il Rilievo dell’aruspice Saluis, dal nome del committente, l'aruspice C. Fulvio Salvis inciso in alto nel rilievo. Questo si compone di tre scene: al centro raffigura Ercole che consegna le sortes a un fanciullo, a destra due gruppi di tre pescatori ciascuno, che traggono da una barca affondata la statua del dio che tiene in mano l'urna utilizzata per la diviniazione, e a sinistra l’aruspice che mostra la sortes a un personaggio non più visibile.
Un altro importante rilievo trovato in quest'area, sempre nella primavera del 1938, è il cosiddetto Rilievo di Teseo e Arianna, anch'esso esposto al Museo Ostiense, che ha dato luogo a diversi studi e interpretazioni tra gli studiosi dell'arte antica. Se c'è generale accordo sulla figura del giovane, identificato con Teseo, lo stesso non si può dire per l'identificazione della donna.
Iscrizioni
Sul rilievo con le scene di Ercole, è riportato C(aius) FVLVIVS SALVIS HARVSPEXS D(onum) D(edit) (o D(edit) D(edicavit)), che si riferisce all'aruspice, Fulvius Salvis, a cui fu portata la tavoletta oracolare.
Sulla base di una statua, andata perduta, è stata incisa l'iscrizione P(ublius) LIVIVS P(ubli) L(ibertus) HER(culi) DA[t] ; il liberto Publio Livio dedicava la statua al dio. Si tratta della più antica iscrizione romana ritrovata ad Ostia.
La base della statua acefala dell'Atleta a riposo conserva l'iscrizione C. CARTILIVS C(ai) F(ilius) DVOVIRV TERTIO POPLICOLAE, dove TERTIO modificò la precedente scritta ITERUM, venendo così a significare che Cartilus fu nominato duoviri una terza volta. Si tratta della dedica di Caio Cartilio Publicola figlio, fatta in occasione della sua nomina alla magistratura romana.

Lazio - Ostia, Tempio tetrastilo



Il Tempio tetrastilo (I,XV,2) era un tempio probabilmente dedicato ad Asclepio e a sua figlia Igea, divinità della salute, che si trovava nella regio I della città romana di Ostia.
L'edificio si trovava all'interno della cosiddetta Area Sacra Repubblicana, un'area della città delimitata a partire dal III secolo a.C. appena fuori dall'originario Castrum repubblicano, dove si trovavano anche il Tempio di Ercole (I,XV,5) e il Tempio dell’Ara Rotonda (I,XV,6).
Il tempio presentava l'usuale struttura dei templi italici, con una cella (A), dove trovava posto la statua della divinità, preceduta da un'area coperta sostenuta da alte colonne, il pronao (B), solitamente costruito in posizione elevata su di un podio, cui vi si accedeva tramite una scalinata.
Il tempio, che prende il nome dal pronao a quattro colonne, si trova in cima a un podio in opus quasi reticulatum, davanti al quale c'è un altare (C) in tufo. Le colonne e i capitelli del pronao sono in tufo, originariamente ricoperti di stucco, le pareti della cella sono in opus quasi reticulatum, e al centro del pavimento della cella c'è un rettangolo (E) in opus sectile, circondato da fasce di mosaico nero e tessere di mosaico bianco. Contro la parete di fondo si trova la base in muratura (D) dove si trovava la statua di culto.
Parti di una statua di Asclepio, divinità della salute, sono state trovate vicino al tempio, e per questo si pensa che potrebbe essere stata la principale divinità qui adorata. 
Nell'edificio e nelle sue vicinanze sono stati trovati anche frammenti di una statua di Lucilla, figlia di Marco Aurelio e moglie di Lucio Vero, rappresentata come Igea, figlia di Asclepio.
Nella cella del tempio è stata trovata una dedica, EDR073481, fatta da Lucio Plinio Nigrino a Giove Dolicheno, una divinità orientale, al centro di un culto misterico che, tra le altre cose, dava buona salute, e per questo si crede che in questo tempio fosse associato Asclepio.

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...