sabato 26 luglio 2025

EGITTO - Labirinto di Meride

 


Il Labirinto di Meride, costruito in Egitto ad Hawara presso il lago di Meride nel Fayyum, è una costruzione labirintica parte integrante del tempio funerario di Amenemhet III (1842 a.C.-1797 a.C.), come cita Manetone: «...egli costruì il Labirinto nel nomo di Arsinoe, come tomba per sé» ed è simile a quello di Cnosso.
L'area nella quale fu costruito, a sud della piramide di Amenenhat III, doveva aggirarsi intorno ai 70000 m² su questi furono edificate 3.000 stanze in due piani, uno dei quali sotterraneo, e dodici cortili. Sembra che il suo scopo principale fosse di tipo religioso.
Storici antichi hanno descritto il Labirinto, quali Diodoro Siculo, Strabone ed Erodoto, di cui purtroppo ci sono pervenuti solo pochi frammenti.
A Karanis, oggi Kôm Aushin, è stata rinvenuto un tempio dedicato a Petesuchos Pnepheros presunto architetto del Labirinto secondo Plinio.
Il Labirinto fu scoperto nel 1888 da Flinders Petrie che lo esplorò prima e durante il 1911 e dove rinvenne i nomi di Amenemhet III e della figlia Sebeknofru. Nel complesso sono stati ritrovati frammenti di due colossali statue del sovrano assiso, delle quali però rimangono solo i piedistalli. Queste enormi basamenti (nella foto) sono detti i Colossi di Biahmu, dal nome del sito e non devono essere confusi con i Colossi di Memnone.
Del Tempio funerario sono rimasti solo poche rovine e frammenti di colonne in granito,  essendo stato utilizzato come cava di pietra fin dal tempo dei Romani.  Inoltre, i suoi blocchi sono stati riutilizzati fin dal 1888 per le costruzioni del Fayyum. Scavi archeologici recenti stanno ricostruendo la complessa e complicata planimetria dell'edificio.

EGITTO - Tempio funerario di Mentuhotep II

 

Il Tempio funerario di Mentuhotep II rappresenta uno dei primi esempi architettonici del Medio Regno a Tebe ovest, di fronte all'altra riva dove è costruito il Grande tempio di Amon, presso Deir el-Bahari. Come sfondo al monumento vi è la falesia tebana che costituisce lo scenario per numerosi templi funerari, compreso quello di Hatshepsut.
Il tempio di Mentuhotep identifica una forma di transizione fra il complesso classico-piramidale dell'Antico Regno e il concetto di tempio funerario, denominato Tempio di Milioni di Anni, con tomba ipogea che si affermerà nel Nuovo Regno.
Il sovrano dispose le diverse parti del tempio su un sistema di terrazze, unendo le caratteristiche delle tombe a saff con le mastabe e il tutto venne sormontato dal tumulo primevo tipico della II dinastia.
Tra il 1859-69 e in missioni successive, Lord Frederik Dufferin individuò alcune strutture  che furono attribuite ad una necropoli. Nel 1899 Howard Carter scoprì il cenotafio e nel 1901 pubblicò il resoconto della scoperta. Il tempio è piccolo e non così ben conservato come quello di Hatshepsut.
Dal tempio a valle parte una rampa processionale lunga 960 m e limitata da due muri laterali alti fino a 3 m che porta alla parte anteriore ed esterna del tempio funerario.
Questa parte è costituita da un portico con due file di pilastri interrotte al centro da una rampa che porta al piano superiore, costituito sempre da un portico con due file di colonne, di cui rimane solo la base quadrata, su tre lati.
Questi colonnati ai limiti delle terrazze si ispirano alle tombe a portico dei re dell'XI dinastia, gli Antef.
La parte centrale del monumento è costituita da una struttura quadrata di blocchi di pietra eretti su un podio e circondati da colonne che venne interpretata da R. Stadelmann come il "tumulo primevo" ricoperto di vegetazione.
Sul lato posteriore tramite una porta si entra in una corte aperta con al centro un corridoio sotterraneo che portava alla camera sepolcrale incompiuta del re: una galleria scavata nella roccia con soffitto con blocchi intagliati ad arco portava ad una stanza posta 150 m sotto la falesia dove Howard Carter trovò un sarcofago vuoto e una statua del sovrano distesa sul fianco e avvolta nel lino (per questi ritrovamenti si suppone che la tomba avesse un valore simbolico, forse un cenotafio, con sepoltura rituale all'interno).
Alla corte aperta segue una sala ipostila costituita da 80 colonne ottagonali che costituiscono la prima sala ipostila in pietra dell'architettura egizia (un precursore della sala ipostila si può trovare nel tempio funerario di Raneferef ed era composta da 4 file di 5 colonne lignee su base di calcare).
All'estremità ovest della sala ipostila si trova una statua del faraone in una nicchia scavata nella roccia. Di fronte era posto un altare alla sommità di una scala che saliva per metà dell'altezza della sala ipostila. Dietro all'altare si trovava la statua di Mentuhotep che, posta sull'asse centrale del tempio, costituiva un punto focale della costruzione.
I moltissimi rilievi trovati sulle pareti del tempio terrazzato contengono temi già incontrati nell'Antico Regno (sono soprattutto scene atte ad esaltare la figura del re, come ad esempio il faraone sotto forma di sfinge che sconfigge i nemici o mentre va a caccia).


EGITTO - Deir el-Shelwit

 

Deir el-Shelwit  è un antico tempio egizio dedicato ad Iside nel periodo greco-romano.
Si erge sulla riva occidentale del Nilo a Luxor, a 1 km da Malkata e circa 4 km a sud di Medinet Habu.
Quel che resta oggi del tempio è il suo piccolo edificio principale e le rovine del propileo, oltre alle mura in mattoni ed al pozzo. L'intera area del tempio è di 74×51 metri, anche se il tempio in senso stretto è molto più piccolo, 13×16 m. La sua entrata è rivolta verso sud. Le mura esterne non sono molto decorate, ma all'interno i bassorilievi si sono ben conservati. Il santuario è circondato da un corridoio dal quale si aprono cappelle laterali ed un wabet aperto (luogo di lavaggio). Sempre a partire da questo corridoio, alcune scale portavano al tetto. Sul lato meridionale del muro esterno si trovano alcuni blocchi di pietra che sono stati riutilizzati prendendoli da edifici precedenti e, a giudicare dai bassorilievi, molti di loro sembrano provenire dal tempio di Medinet Habu.
Il propileo si trova 60 metri ad est del tempio, ed è riccamente decorato su ogni lato.
L'importanza del tempio di Iside di Deir el-Shelwit deriva dalla rarità degli edifici religiosi di epoca greco-romana in questa zona, e dal fatto che si tratta dell'unico non associato alla triade tebana, ma a Iside.
Secondo le iscrizioni presenti sul propileo, la costruzione del tempio di Iside iniziò attorno all'inizio del I secolo. Non si conoscono edifici precedenti sorti nello stesso posto.[2] Secondo una teoria, la costruzione del tempio ebbe inizio durante il regno di Nectanebo II, e fu completata in epoca greco-romana.
Il tempio fu esaminato la prima volta da Karl Richard Lepsius a metà del XIX secolo, anche se non ne fece una descrizione dettagliata. Una spedizione francese guidata da Christine Zivie studiò le iscrizioni del propileo e pubblicò i risultati nel 1992. Tra il 1971 ed il 1979 gli archeologi della Waseda University del Giappone lavoraro nel sito, pulendo le mura esterne e l'area interna dai detriti, e scavando il pozzo del tempio che si era nel frattempo riempito di frammenti di ceramica. Nel pozzo furono catalogati trentadue strati di detriti, fino a 4 metri di profondità, punto in cui l'acqua ha reso impossibili gli scavi. I resti trovati nel pozzo dimostrano che il pozzo (e quindi il tempio stesso) era già stato abbandonato e trasformato in discarica in epoca copta.
I bassorilievi del tempio risalgono all'era greco-romana, e sono simili a quelli di Dendera e File. Sulle mura del tempio e sul propileo si trovano i cartigli di Adriano, Antonino Pio, Galba, Otone, Vespasiano e Giulio Cesare. Sui blocchi riutilizzati delle mura esterne del tempio si trovano bassorilievi che risalgono al Nuovo Regno.

EGITTO - Catacombe di Kom el-Suqafa

 

Le catacombe di Kom el-Suqafa (trad. "collina di rottami") si trovano nella città di Alessandria d'Egitto, tra i quartieri di Karmus e Mini el-Basal.
La memoria storica del sito si è persa durante il regno di Mehmet Ali, quando le catacombe furono utilizzate come cave di pietra e talvolta come magazzino per le munizioni. Il sito è stato riscoperto per caso a metà del '900. Il nome del sito fa riferimento alle migliaia di resti ceramici trovati nell'area, probabilmente riconducibili ai corredi funerari delle catacombe.
Situata nei pressi della colonna di Pompeo, Kom el-Shoqafa è la necropoli greco-romana più grande dell'Egitto. Arriva ad una profondità di oltre 30 m e si articola in tre livelli. L'accesso è possibile grazie a una scala che scende a spirale intorno al pozzo centrale nel quale venivano calati i corpi mummificati dei defunti. Dal pozzo si accede alle tombe, che sono disposte su tre livelli sovrapposti, completamente scavati nella roccia. L'ultimo livello è attualmente allagato. Le tombe più lussuose avevano nicchie con i sarcofaghi, decorate con bassorilievi e pitture di gusto sincretistico.

EGITTO - Tempio di Kom Ombo



Il Tempio di Kom Ombo è un antico luogo di culto costruito durante il dominio della dinastia tolemaica, collocato nei pressi dell'omonima cittadina in Egitto.
Sorge su un modesto promontorio roccioso (infatti Kom Ombo significa la collina di Ombos) che domina l'ansa del Nilo, sul sito di un precedente luogo di culto. Il suo antico nome in lingua egizia era Pa-Sobek ovvero "Il possedimento di Sobek".
La particolarità del tempio è costituita dalla dedicazione del culto a due diverse triadi di divinità. La prima la più antica e primordiale della regione era costituita dal dio coccodrillo Sobek, Hathor e Khonsu. La seconda, di epoca più tarda, era costituita da Haroeris cioè Horo il Vecchio, manifestazione solare del dio falco, Tasenet-nofret sorella di Horus e Panebtani, il signore dei due paesi.
Il tempio fu inizialmente edificato da Tolomeo VI all'inizio del suo regno, ed ampliato in seguito dai suoi successori; particolarmente Tolomeo XIII costruì le sale ipostile esterne e interne.
La struttura del tempio è costituita da due corpi di fabbrica perfettamente simmetrici l'uno con l'altro rispetto all'asse principale: vi si ergono così due ingressi rispetto al muro esterno, due passaggi rispetto ogni camera e la successiva. Il santuario di sinistra è dedicato al dio Horo, mentre quello di destra al dio Sobek; i bassorilievi che decorano i due santuari riservano la stessa importanza a entrambe le due divinità.


Il primo pilone d'ingresso è completamente scomparso distrutto dalle inondazioni e dalle asportazioni compiute dall'uomo. Il primo cortile, di epoca romana, è stato anch'esso smantellato con il tempo e sussistono soltanto le basi delle colonne che si dipanano sui tre lati esterni.
L'ingresso, sul lato est, è ornato da tre colonne papiriformi che delimitano due differenti ingressi entrambi decorati con il disco solare alato. In ossequio alla duplice natura del santuario uno al tempio di Sobek e l'altro a quello di Horus. Sul portale è posta un'iscrizione dedicatoria a Tolomeo XII.
Dall'ingresso si accede direttamente all'atrio ipostilo.
L'atrio ipostilo è composto da dieci colonne più piccole rispetto a quelle più maestose all'ingresso, ma ugualmente decorate. Anche le pareti sono decorate con bassorilievi, tra cui ne due spiccano due particolarmente raffinati e compositi. Entrambi celebrativi del faraone Tolomeo XII e posti ciascuno nell'area dedicata a Sobek e a Horus. Il bassorilievo della sala ipostila, posto nell'area consacrata a Sobek, raffigura il faraone Tolomeo XII mentre viene incoronato da due donne con le corone dell'Alto Egitto e del Basso Egitto. Il tutto avviene alla presenza del dio Sobek e della sua compagna. La divinità di Sobek e della compagna è sancita dal possesso dell'Ankh sacro.
Il bassorilievo della sala ipostila, posto nell'area consacrata a Horus, raffigura sempre il faraone Tolomeo XII riceve dalle altre divinità l'Ankh sacro che ne sancisce la parità con esse. Il tutto avviene alla presenza del dio Horus.
Tre vestiboli, in cattivo stato di conservazione precedono il doppio santuario di Horus e Sobek. Dei due santuari rimangono solamente i basamenti utilizzati per deporre le barche sacre delle due divinità.
Un doppio muro di cinta ingloba l'intera edificio creando un cortile.
Nel cortile eterno le decorazioni riprendono gli elementi tipici del periodo tolemaico con scene di culto e cerimonie sacerdotali; solamente nelle cappelle tergali in perfetto stato di conservazione si trovano i bassorilievi più antichi.
Uno dei bassorilievi più interessanti rappresenta vari strumenti chirurgici, segno che nel tempio si praticava l'arte medica, anche se gli studiosi non sono tutti concordi. Nello stesso bassorilievo sono rappresentate due donne incinte sedute sopra una sedia gestatoria. Infatti il tempio era meta di molti fedeli che venivano chiedere l'intercessione divina contro le infermità.
Sempre nel cortile esterno è raffigurata una Falsa porta posta sul retro in precisa coincidenza con il punto di intersezione tra le due ali del tempio.
Gran parte del tempio è stato distrutto dal Nilo, dai terremoti e da successivi costruttori che utilizzarono l'edificio come cava edile. Alcuni dei rilievi interni vennero deturpati quando il tempio venne trasformato in una chiesa copta ortodossa. Alcune delle trecento mummie di coccodrilli scoperte nei dintorni sono esibite dentro il tempio.

EGITTO - Tempio di Dendera

 

Dendera in antico egizio Ta-neṯeret ovvero «la città della dea» è una località dell'Egitto, posta sulla riva occidentale del Nilo a circa 4 km a nord di Qena e a 615 km dal Cairo, importante per la presenza di un tempio dell'epoca greco-romana dedicato alla dea Hathor.
L'antica città egizia, nota con il nome di Iunet ta-neṯeret, fu capitale del 6º nomos (distretto) dell'Alto Egitto. Iunet fu un'importante sede del culto di Hathor, divinità femminile associata poi alla greca Afrodite durante il periodo ellenistico.
In epoca romana fu un importante centro della provincia d'Egitto e poi della provincia Tebaide dopo la riforma di Diocleziano.
Con l'avvento del Cristianesimo le notizie sulla città si fanno più scarse al punto che dopo i nomi di due vescovi, Pachymius e Serapion, le fonti tacciono del tutto.


Il Tempio di Dendera, situato a circa 2,5 km a sud-est della località di Dendera (Iunet in antico egizio), è uno dei templi meglio conservati di tutto l'Egitto.
La città di Iunet Tantere fu il capoluogo del 6º distretto dell'Alto Egitto.
Nei pressi del tempio è stata anche rinvenuta una necropoli composta di tombe a mastaba databili tra il periodo arcaico ed il primo periodo intermedio.
L'intero complesso copre un'area di circa 40.000 m² ed è interamente circondato da un muro di mattoni a secco. Il complesso ospita cappelle, santuari ed un lago sacro oltre a una chiesa cristiana ed a due mammisi ovvero i luoghi della rinascita


Benché le attuali strutture risalgano al periodo tolemaico-romano vi sono prove dell'utilizzo del sito fin dal periodo detto Antico Regno. Le più antiche strutture potrebbero risalire al regno di Pepi I (circa 2250 a.C. mentre sono evidenti i resti di un tempio eretto durante la XVIII dinastia.
L'inizio della costruzione del tempio attuale risale invece al regno di Nectanebo II (360 a.C. - 343 a.C.), ultimo sovrano di origine egizia ad aver regnato sulle Due Terre ed il suo completamento avvenne durante la dominazione di Roma anche se, con ogni probabilità le strutture erette vennero del tutto modificate durante il regno di Tolomeo XII.
Infatti un'iscrizione, scoperta nel 1975, celebra la cerimononia del "Rito del tendere la corda", ossia di tracciare le fondamenta di un nuovo edificio, nel ventisettesimo anno di regno del sovrano, anno che dovrebbe corrispondere al 54 a.C.; la stessa iscrizione ricorda il completamento del tempio nel nono anno dell'imperatore Augusto, 21 a.C.
L'area templare comprende:
  1. Portale nord (epoca romana)
  2. Mammisi di epoca romana
  3. Chiesa cristiana
  4. Mammisi attribuito a Nectanebo II
  5. Sanitarium
  6. Tempio dedicato alla dea Hathor (tempio principale)
  7. Pozzo
  8. Lago sacro
  9. Tempio di Iside (Dendera)
  10. Tempio di Hathor

Tempio di Hathor
La struttura attualmente visibile risale al termine del periodo tolemaico (I secolo a.C.) anche se sono ancora riscontrabili i resti del tempio eretto durante il Medio Regno.
Alcune decorazioni, come lo Zodiaco, copia dell'originale trasferito nel 1821 in Francia ed ora esposto al Museo del Louvre di Parigi, situato sul soffitto della Grande sala ipostila, sono di epoca romana; sempre della stessa epoca è l'iscrizione greca che dedica il tempio ad Afrodite.
Sul muro d'ingresso è anche riprodotto il nome, scritto in geroglifico, dell'imperatore Traiano.
Al di sotto del tempio sono state rinvenute una serie di 12 camere, che un'iscrizione permette di attribuire al regno di Tolomeo XII.
Tali camere sotterranee erano utilizzate per la conservazione di offerte e di immagini divine. In una di esse è stato rinvenuto un frammento rappresentante il sovrano Pepi II (VI dinastia).
  1. Grande sala ipostila
  2. Piccola sala ipostila
  3. Laboratorio
  4. Magazzino
  5. Ingresso delle offerte
  6. Tesoro
  7. Uscita verso il pozzo
  8. Accesso alla scala del pozzo
  9. Sala delle offerte
  10. Sala dell'Enneade
  11. Santuario principale
  12. Cappella del distretto di Dendera
  13. Cappella di Iside
  14. Cappella di Sokar
  15. Cappella di Harsomtus
  16. Cappella del sistro di Hathor
  17. Cappella degli dei del Basso Egitto
  18. Cappella di Hathor
  19. Cappella del trono di Ra
  20. Cappella di Ra
  21. Cappella del collare Menat
  22. Cappella di Ihi
  23. Luogo puro
  24. Corte della Prima Festa
  25. Passaggio
Raffigurazioni di Cleopatra VI, che si trovano sulle pareti del tempio sono buoni esempi di arte tolemaica egiziana. Uno raffigura Cleopatra, nella stessa posa della dea Iside; mentre l'altro, sul retro degli esterni del tempio, presenta un intaglio di Cleopatra VII Filometore e suo figlio, Tolomeo XV Filopatore Filometore Cesare, che la regina ebbe da Gaio Giulio Cesare.


EGITTO - Stele della carestia

 

La stele della carestia è un'epigrafe scritta in geroglifico situata sull'isola di Sehel nel Nilo, nei pressi di Assuan, in Egitto, che parla di un periodo di sette anni di siccità. Questa carestia occorse durante il regno del faraone Djoser della III dinastia. Si pensa che la stele sia stata incisa nel periodo tolemaico, ovvero tra il 332 ed il 31 a.C.
La stele della carestia è incisa su un blocco rettangolare di granito, estratto da una parete di granito naturale. L'iscrizione è in geroglifico e contiene 42 colonne. La parte superiore della stele raffigura tre divinità egizie: Khnum, Satet e Anuqet. Davanti a loro è mostrato Djoser, nell'atto di portare offerte. Una larga fessura, già presente quando la stele fu realizzata, attraversa il centro della roccia. Alcune parti della stele sono danneggiate, il che rende illeggibili alcuni passaggi del testo.
La storia raccontata sulla stele è ambientata nel diciottesimo anno del regno di Djoser. Il testo descrive come il re sia sconvolto e preoccupato dal fatto che le terre d'Egitto stessero subendo una siccità e la conseguente carestia da sette anni, dato che in questo periodo il Nilo non era mai esondato fertilizzando le coltivazioni. Il testo descrive anche come il popolo egizio soffriva a causa della siccità, e quanto erano disperati tanto da infrangere le leggi del paese. Djoser chiede aiuto agli uomini del sacerdote, guidati dall'alto sacerdote Imhotep. Il re voleva sapere dove fosse nato Hapy (una divinità dei fiumi identificato direttamente col Nilo) e che dio abitava quel luogo.
Imhotep decise di analizzare gli archivi del tempio di Hut-Ibety (“Casa delle reti”), situato a Ermopoli e dedicato al dio Thot. Informò il re del fatto che l'alluvione del Nilo era controllata dal dio Khnum ad Elefantina da una sacra sorgente situata sull'isola, dove il dio abitava. Imhotep si recò immediatamente nel luogo chiamato Jebu. Nel tempio di Khnum, chiamato “Gioia di Vita”, Imhotep si purifica, chiede aiuto a Khnum e gli offre “tutte le cose buone”. Improvvisamente cade nel sonno, e nel suo sogno Imhotep viene accolto dal gentile Khnum. Il dio si presenta ad Imhotep spiegando chi e cosa è, per poi descrivere i propri poteri divini. Alla fine del sogno Khnum promette di far esondare di nuovo il Nilo. Imhotep si sveglia e scrive tutto quello che era successo nel sogno. Torna quindi da Djoser per raccontare al re l'accaduto.
Il re è felice delle novità, ed emette un decreto nel quale ordina a sacerdoti, scribi ed operai di restaurare il tempio di Khnum e di ricominciare a fare regolari offerte al dio. Inoltre Djoser, con un altro decreto, concede al tempio di Khnum ad Elefantina, la regione compresa tra Assuan e Takompso con tutte le sue ricchezze, oltre ad una quota di quanto importato dalla Nubia.
A partire dalla prima traduzione e dal primo studio effettuato dall'egittologo francese Pascal Barguet nel 1950, la stele della carestia è stata di grande interesse per storici ed egittologi. Lingua ed aspetto utilizzati nell'inscrizione fanno pensare che l'opera potrebbe risalire al periodo tolemaico, forse durante il regno di re Tolomeo V (205 – 180 a.C.). Egittologi quali Miriam Lichtheim e Werner Vycichl ipotizzano che i sacerdoti locali di Khnum siano coloro che hanno scritto il testo. I vari gruppi religiosi dell'Egitto in epoca tolemaica erano in lotta per ottenere più potere ed influenza. Per questo motivo la storia della stele della carestia potrebbe essere stata utilizzata come modo per legittimare il potere dei sacerdoti di Khnum sulla regione di Elefantina.
Al tempo della prima traduzione della stele, si pensava che la storia della carestia settennale fosse legata a quella biblica citata nella Genesi al capitolo 41, dove si parla di una carestia della stessa durata. Indagini più recenti hanno mostrato che la carestia settennale era un mito comune a quasi tutte le culture del Vicino Oriente. Anche una leggenda mesopotamica parla di una carestia settennale, e nell'opera Gilgamesh il dio An enuncia una profezia circa una carestia di sette anni. Un'altra storia simile a quella delle stele della carestia appare nel cosiddetto “Libro del Tempio”, tradotto dal demotico tedesco Joachim Friedrich Quack. L'antico testo parla di re Neferkaseker (alla fine della II dinastia), il quale si trova ad affrontare una carestia settennale.
La stele della carestia è una delle sole tre inscrizioni conosciute che collegano il nome del cartiglio di Djeser (“nobile”) al nome Serekht Netjerikhet (“corpo divino”) di re Djoser in un'unica parola. Fornisce quindi un'utile prova per egittologi e storici coinvolti nella ricostruzione della cronologia reale dell'Antico Regno.


EGITTO - Serapeo di Saqqara

 

Il Serapeo di Saqqara, un'importante necropoli egizia situata presso Menfi, sorse sul complesso sepolcrale dei tori Api, ritenuti la manifestazione vivente del dio Ptah. Le più antiche sepolture dei tori sacri, imbalsamati e chiusi nei sarcofaghi, risalgono al regno di Amenofi III.
Nel XIII secolo a.C. Khaemuaset, figlio di Ramesse II, fece scavare nella montagna una galleria, sui cui lati vennero ricavate delle nicchie dove vennero alloggiati i sarcofaghi dei tori. Una seconda galleria, lunga 350 m, alta 5 m e larga 3 m, fu fatta costruire da Psammetico I e in seguito utilizzata dai Tolomei.
Il viale delle 600 sfingi che collegava il sito alla città fu probabilmente opera di Nectanebo I.
La scoperta del Serapeo è dovuta a Auguste Mariette che scavò la maggior parte del complesso. Ma le sue note di scavo sono andate perdute e questo ha limitato l'utilità delle sepolture per stabilire una cronologia della storia egizia. Il problema consiste nella circostanza che dal regno di Ramesse XI al 23º anno di regno di Osorkon II, un periodo valutato in circa 250 anni, si conoscono solamente nove sepolture di tori, numero questo che include anche tre sepolture attualmente non note ma attestate da Mariette che disse di averle rilevate in una sala sotterranea troppo instabile per poter essere scavata. Gli egittologi ritengono che avrebbero dovuto esservi un maggior numero di sepolture di tori, nel periodo considerato, in quanto la vita media di un toro era di 25-28 anni, se non moriva prima, e quattro sepolture attribuite da Mariette al regno dei Ranmesse XI sono state retrodatate. Questa ha creato un vuoto di circa 130 anni che gli studiosi hanno cercato di colmare in vari modi. Secondo alcuni si deve rivedere tutta la cronologia della XX dinastia con uno spostamento in avanti delle date secondo altri studiosi esistono ulteriori sepolture di tori Api che non sono ancora state scoperte.

EGITTO - Nabta Playa

 

Nabta Playa
 è una depressione situata a circa 800 km dalla città de Il Cairo, in Egitto, o a 100 km dalla famosa località di Abu Simbel. L'area è caratterizzata dalla presenza di numerosi siti archeologici.
Un grande complesso megalitico risalente al V millennio a.C. appare orientato secondo i punti del sorgere e del tramontare del Sole in determinati periodi dell'anno.
Nabta Playa venne scoperta nel 1974 da Fred Wendorf e nel 1977 McKim Malville ne decifrò il significato astronomico.
Nabta Playa prende il nome dalla montagna che sorge nelle vicinanze della depressione dove, durante il neolitico sahariano, vi era uno dei tanti bacini lacustri.
Il lago si prosciugava durante la stagione secca ed aumentava di livello in estate durante le piogge recate dal monsone, che in quell'epoca era molto più a nord.
Per questo motivo, il sito archeologico di Nabta era popolato solo periodicamente e gli insediamenti più antichi risalgono ad oltre 10580 anni fa come attestano le datazioni al Carbonio-14 sui carboni di legna e resti vegetali.
Reperti così antichi non sono stati rinvenuti nella Valle del Nilo e ciò avvalora l'ipotesi che fu la popolazione del Sahara la prima civiltà del mondo e la prima cultura africana da cui sarebbe derivata in epoca successiva la civiltà egizia.
Verso il 7500, dopo lunghi periodi di siccità e con il ritorno delle piogge monsoniche, tornarono a Nabta Playa le popolazioni nomadi e seminomadi che iniziarono un'evoluzione caratterizzata da numerosi reperti e strutture.
La popolazione di Nabta Playa all'inizio del neolitico sahariano dipendeva dalla caccia, non praticava l'agricoltura e non produceva manufatti in ceramica. Viveva in capanne ovali o circolari in gruppi, ma non era stanziale.
Sono stati rinvenuti graminacee, semi e tuberi dovuti alla raccolta di piante selvatiche mentre l'industria litica ha restituito prevalentemente lame, raschietti e macine.


Solo verso la fine del neolitico comparvero numerosi manufatti in selce, punte in osso, conchiglie e la ceramica. Questa, che era comparsa inizialmente con piccole ciotole dalla decorazione impressa a rete oppure ondulata, si evolve con manufatti bruniti.
Iniziava l'allevamento del bestiame, particolarmente dei bovini dalle grandi corna lunate, la cui importanza è rivelata dalle numerose sepolture di animali sacrificati come la sepoltura del toro (o del vitello).
L'agricoltura ebbe inizio alla fine del Neolitico con la coltivazione di cereali quali miglio e sorgo.
Verso il 3400 a.C. aumentava la desertificazione ed i nomadi sahariani di Nabta si spostarono in cerca di acqua per gli allevamenti sulle rive del Nilo, si amalgamarono con i popoli della Valle, divennero stanziali ed iniziarono la lunga evoluzione della civiltà egizia.
Le strutture ritrovate a Nabta sono 30 costruzioni in pietra con pozzi per l'acqua, pozzetti per la conservazione di granaglie o per la cottura di cibi, focolari, pavimenti.
Comparvero varie costruzioni megalitiche circolari o lineari, monoliti e numerosi tumuli circolari. La più nota, detta "Circolo calendariale", è formata da megaliti detti menhir, disposti in un circolo centrale detto cromlech e con allineamenti di tipo radiale.
Nel circolo centrale erano poste due coppie di monoliti di cui una in direzione Nord-Est, cioè orientata al sorgere del sole nel solstizio di circa seimila anni fa.
Era quindi una struttura per misurare il tempo, l'inizio dell'estate e delle grandi piogge in cui il sole era allo zenit del Tropico del Cancro.
Il complesso anticipa di oltre mille anni quello di Stonehenge ed è nel suo genere il più antico del mondo.
Per edificare costruzioni megalitiche il popolo di Nabta Playa era organizzato socialmente, con conoscenze matematiche ed astronomiche, poiché recenti ricerche ipotizzano un collegamento con il movimento della costellazione di Orione e la precessione degli equinozi, mentre McKim Malville ipotizza anche una connessione con l'Orsa Maggiore.
Sostanzialmente i megaliti sono orientati a Nord, punto importante per gli Egizi dell'Antico Regno, che credevano che il defunto entrasse nella Duat proprio da nord dove, come recitano i Testi delle piramidi, "le stelle non tramontano mai". Solo dopo alcuni secoli l'ingresso alla Duat verrà spostato ad Ovest.
Per proteggre il sito archeologico, ancora solo parzialmente studiato, il circolo del calendario è stato spostato e ricostruito presso il Museo nubiano di Assuan.
L'antico popolo di Nabta Playa aveva una divinità femminile dall'aspetto di vacca, simbolo di fertilità, e della quale è stato ritrovato, su un monolito, il graffito, che anticipava il culto di Hathor.
Vi era anche il culto del bestiame bovino in genere, testimoniato con sacrifici di animali in riti celebrati soprattutto in occasione del solstizio e testimoniato dalla presenza di sepolture di animali.
Secondo Wendorf e Schild il sito sarebbe stato anche un luogo destinato al culto dell'acqua.


EGITTO - Tempio funerario di Hatshepsut

 

Il tempio funerario di Hatshepsut, noto anche come Djeser-Djeseru ("Santo fra i Santi"), è un tempio situato sotto le scogliere di Deir el-Bahari, sulla riva occidentale del Nilo, vicino alla Valle dei Re in Egitto. Il tempio funerario è dedicato alla divinità solare Amon-Ra, e si trova vicino al tempio di Mentuhotep II, entrambi serviti come fonte di ispirazione e, in seguito, come fonte di materiale edilizio. È considerato uno degli "incomparabili monumenti dell'antico Egitto". Il tempio fu il luogo in cui il 17 novembre 1997 avvenne il massacro di 62 persone, soprattutto turisti svizzeri e giapponesi, per mano di estremisti islamici.
Il cancelliere di Hatshepsut, architetto reale e forse amante Senenmut supervisionò la costruzione e probabilmente progettò il tempio. Nonostante il vicino e più antico tempio di Mentuhotep sia stato utilizzato come modello, le due strutture sono diverse per molti aspetti. Nel tempio di Hatshepsut vi era una lunga terrazza colonnata che diverge dalla struttura centralizzata del tempio di Mentuhotep, un'anomalia che potrebbe essere stata causata dalla posizione decentrata della camera funeraria. Vi sono tre livelli di terrazze per un'altezza totale di 35 metri. Ogni livello è formato da una doppia fila di colonne quadrate, con l'eccezione dell'angolo nordoccidentale della terrazza centrale, che usa colonne protodoriche per ospitare la cappella. Queste terrazze sono collegate tra loro tramite lunghe rampe un tempo circondate da giardini con piante esotiche, tra cui alberi di franchincenso e mirra. La struttura a livelli del tempio di Hatshepsut corrisponde alla classica forma tebana, che utilizza piloni, corti, ipostili, corti solari, cappelle e santuari.
L'area di Deir el-Bahari era luogo sacro alla dea Hathor e per questo motivo all'estremità sud del secondo colonnato vi è una cappella dedicata alla divinità. La costruzione è costituita da due sale ipostile con pilastri e da un santuario profondo scavato nella roccia preceduto da un vestibolo e dalla stanza per la barca sacra. La dea Hathor è raffigurata spesso come giovenca che esce dalla montagna con la funzione di accogliere i morti.
All'estremità opposta (estremità nord) è presente una seconda cappella dedicata ad Anubi, più piccola rispetto a quella dedicata ad Hathor.
La terrazza superiore è costituita da un portico con 24 statue osiriache della regina (Hatshepsut viene in questo caso ritratta come un uomo) e dall'entrata al santuario principale.
Quest'ultimo era composto da tre stanze che si succedevano: la prima era la sala della barca, la più grande, che aveva 6 nicchie nelle pareti nord e sud. Da tre gradini si accedeva alla sala della statua di culto (di Amon) e a metà delle due pareti laterali si aprivano due piccoli stretti ambienti per la grande enneade heliopolitana. L'ultima stanza era la sala per la tavola delle offerte dove venivano fatte offerte solo ad Hatshepsut. Il santuario venne successivamente ampliato come luogo di culto di due architetti (Amenofi figlio di Apu e Imhotep) mentre la corte dell'ultimo terrazzo fu usata come sanatoio.
Il tempio funerario doveva avere anche un tempio a valle che però non è stato ancora trovato.
Il portico della terrazza inferiore è decorato nella metà nord con scene relative ai rituali del Basso Egitto e il trionfo della regina sui nemici sconfitti mentre a sud sono presenti scene quali l'estrazione dalla cava e il trasporto dei grandi obelischi nel tempio di Amon Ra a Karnak durante la festa sed della regina.
Questa bipartizione di temi si ritrova anche nel secondo portico: sul lato sud testi ed immagini parlano di una spedizione nel paese di Punt, una zona esotica sulla costa del Mar Rosso, avvenuta nel IX anno di regno della regina; nel lato nord le scene erano dedicate alla nascita di Hatshepsut con ad esempio il concepimento divino tra il dio Amon e la madre della regina o la stessa Hatshepsut che accompagna il suo vero padre (Tutmosi I) nella visita dei più importanti centri egiziani.
Anche se statue ed ornamenti sono stati rubati o distrutti, sappiamo che la struttura un tempo conteneva due statue di Osiride, un viale costellato di sfingi e molte altre sculture della regina in pose diverse: in piedi, seduta o in ginocchio. Molti di questi ritratti furono distrutti per ordine del figliastro Thutmose III dopo la sua morte.
Il tempio di Hatshepsut è considerato il punto di maggior contatto tra architettura egizia e architettura classica. Ottimo esempio dell'architettura funeraria del Nuovo Regno, enfatizza il faraone e include santuari in onore degli dei importanti per la sua vita ultraterrena. Il tutto segna un punto di svolta nell'architettura egizia, che abbandona la geometria megalitica dell'Antico Regno per passare ad un edificio che permetta il culto attivo. La linearità assiale del tempio di Hatshepsut si ritrova negli altri templi del Nuovo Regno.
L'architettura del tempio originario è stata considerevolmente modificata a causa di un'erronea ricostruzione avvenuta all'inizio del XX secolo.


ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...