lunedì 5 maggio 2025

Campania - Scavi archeologici di Oplonti

 

Per scavi archeologici di Oplonti si intende una serie di ritrovamenti archeologici appartenenti alla zona suburbana pompeiana di Oplontis, seppellita insieme a Pompei, Ercolano e Stabiae dopo l'eruzione del Vesuvio del 79: oggi l'area archeologica è situata nel centro della moderna città di Torre Annunziata e comprende una villa d'otium chiamata «di Poppea» e una villa rustica detta «B» o «di Lucius Crassius Tertius».
Le prime campagne di scavi nell'area oplontina furono effettuate prima nel '700 e poi durante la seconda metà del XIX secolo, anche se i primi scavi sistematici si sono svolti dal 1964 riportando alla luce la Villa di Poppea. Nel 1974 è stata rinvenuta la Villa di Lucius Crassius Tertius: le esplorazioni delle due strutture sono tuttavia incomplete.
Dal 1997 l'area archeologica di Torre Annunziata, insieme a quella di Pompei e di Ercolano è stata inserita nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Nel 2016 gli scavi hanno fatto registrare 54 403 visitatori.
I primi scavi per il recupero dell'area dove sorgeva l'antica Oplontis, un insediamento suburbano della vicina Pompei, con diverse attività commerciali e ville d'otium, seppellita durante l'eruzione del Vesuvio del 79, furono condotti per la prima volta durante il '700 da Francesco La Vega, il quale scavando un cunicolo nei pressi del canale Conte di Sarno riportò alla luce parte di una costruzione che venne denominata Villa A, in seguito Villa di Poppea: gli scavi vennero ben presto abbandonati per l'aria malsana che si respirava nella zona. Nel 1839 vennero effettuati altri scavi che riportarono alla luce il peristilio del quartiere servile della Villa A, oltre ad una fontana: per mancanza di fondi l'opera di scavo venne sospesa nel 1840 anche se, riconosciuta l'importanza del sito, i resti rinvenuti vennero acquistati dallo Stato.
Una campagna di scavi ordinata venne nuovamente iniziata nel 1964, sempre nel sito della Villa di Poppea, dove furono alzate le mura e i tetti e furono restaurati pavimenti e mosaici. Durante i lavori per lo scavo delle fondamenta di una scuola, nel 1974, a circa 250 metri dalla Villa venne alla luce un nuovo edificio su due livelli con un peristilio centrale: si tratta di una villa rustica a cui fu dato il nome di villa di Lucio Crasso Tertius o Villa B. Nei pressi di questa villa fu inoltre ritrovato un tratto di strada e diverse altre piccole costruzioni.
Nel 1997 gli scavi sono stati dichiarati patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.

Villa di Poppea

La villa di Poppea, in un primo momento denominata «villa A», è stata scavata per la prima volta nel '700 con alterne fortune, mentre un recupero più ampio e sistematico si è avuto solo a partire dal 1968: si tratta di una villa d'otium dove comunque non mancavano sale dedicate alla produzione del vino e dell'olio. La villa, risalente al I secolo a.C. ed ampliata nel corso dell'età claudia, viene attribuita a Poppea Sabina per l'iscrizione dipinta su un'anfora, indirizzata ad un liberto della moglie di Nerone; al momento dell'eruzione del Vesuvio la villa era disabitata, forse in fase di restauro a causa del terremoto di Pompei del 62 e tutti gli oggetti sono stati ritrovati accantonati in alcune stanze. Ad oggi la costruzione non è ancora interamente scavata: l'area riportata alla luce corrisponde alla zona orientale, mentre l'ingresso principale e la zona occidentale sono ancora da recuperare ostacolati anche dalla presenza di una strada moderna ed un edificio militare.
La pianta della villa è molto complessa e ancora oggi non redatta con certezza in quanto non esplorata totalmente e viene convenzionalmente divisa in quattro parti: le zone nord, sud, ovest e est. Nella parte nord è presente un ampio giardino nel quale sono state rinvenute diverse sculture in marmo ed è stato possibile ricostruire i calchi delle radici di grandi alberi, ossia degli ulivi, anche se fino a poco tempo fa si credeva potessero essere o dei melograni o degli oleandri. Nella zona sud invece si trova un altro giardino circondato da un colonnato su tre lati: sono stati oggi piantati alberi di alloro, che si pensa fossero anche presenti al momento dell'eruzione.
Nella parte ovest è presente l'atrio con un compluvium che raccoglieva l'acqua piovana nell'impluvium: le decorazioni della sala sono in secondo stile ed è molto utilizzata la tecnica del trompe l'oeil per raffigurare ambientazioni architettoniche e colonnati. La cucina presenta un banco in muratura con un ripiano sovrastante adibito a piano cottura, mentre nella parte sottostante piccoli vani con forma a semicerchio probabilmente contenevano legna da ardere; una vasca era probabilmente utilizzata per lo scarico di liquidi. Il triclinium, nella zona in cui si trovava probabilmente la mensa, è adornato con un mosaico con figure romboidali mentre nel resto della sala si riscontrano affreschi in secondo stile raffiguranti colonne dorate decorate con rampicanti: tra le decorazioni, una graziosa natura morta rappresentante un cestino con fichi. Seguono due saloni: uno aperto verso il mare con un'unica parete affrescata con rappresentazioni di un santuario di Apollo, pavoni e maschere teatrali, mentre nel secondo salone, più grande, sono rappresentati un cestino di frutta coperto da un velo semitrasparente, una coppa di vetro contenente melograni, una torta poggiata su un supporto e una maschera teatrale. 
La villa era dotata anche di un quartiere termale: il calidarium ha pareti affrescate in terzo stile, dove l'opera principale è il mito di Ercole nel giardino delle Esperidi; gli affreschi del tepidarium sono a fondo nero o rosso scuro, secondo quanto indicato dal quarto stile pompeiano. Nella zona ovest è inoltre presente un cubicolo dove è stato possibile ottenere i calchi della porta in legno e della finestra ed un piccolo peristilio le cui pareti sono decorate con fasce grigie e nere e dove è presente il larario decorato in quarto stile e con la trave di sostegno originale posta sopra la nicchia seppur carbonizzata.
Nella parte est della villa sono presenti due sale poste in modo speculare una all'altra: nella prima non ci sono dipinti ma solo una zoccolatura in marmo ed una pavimentazione incompleta con alcune piastrelle in marmo, segno che la villa era in ristrutturazione; la seconda sala presenta decorazioni in quarto stile. Segue una sala priva di affreschi con le pareti in bianco, rosso, giallo e nero riservata agli ospiti, un piccolo viridario con decorazioni in secondo stile raffiguranti piante, fontane ed uccelli e due saloni speculari: il primo che presenta una nicchia semicircolare nella quale era alloggiata una scultura mentre il secondo è identico al precedente con la presenza di marmi alle pareti. Nella villa è infine presente una grande piscina di 61 metri di lunghezza e 17 di larghezza, pavimentata in cocciopesto e risultava adornata ai bordi con statue di marmo, copie di epoca romana di originali greci: attorno sorgeva un prato con platani, oleandri e limoni.

Villa di Lucius Crassius Tertius
La villa di Lucius Crassius Tertius risale al II secolo a.C. e deve il suo nome ad un sigillo in bronzo rinvenuto nell'area della costruzione, che reca proprio questo nome: scoperta nel 1974 a seguito dei lavori di costruzione di una scuola, si ritiene che sia una villa rustica, sia per il tipo di struttura sia per i reperti ritrovati. Lo scavo della villa non è ancora terminato e non è visitabile.
La villa si sviluppa intorno ad un peristilio costituito da un porticato con due ordini di colonne doriche in tufo grigio: intorno al peristilio si aprono delle stanze adibite a magazzini, dove al loro interno sono state ritrovate suppellettili, pelli, ceramica, paglia carbonizzata ed una grande quantità di melograni utilizzati per la concia delle pelli.[2] Inoltre è stato rinvenuto anche un fornello in pietra con una pentola contenente resine di conifere, utilizzata per la manutenzione delle anfore: infatti circa 400 anfore si trovavano nella villa al momento dello scavo e con molto probabilità venivano utilizzate per la lavorazione dei prodotti agricoli e il trasporto del vino. La villa era abitata al momento dell'eruzione; infatti nelle stanze adiacenti, caratterizzate da soffitto a volta, sono stati trovati i corpi di 54 individui e nelle loro vicinanze anche gioielli e monete, sia in oro che in argento.
Il piano superiore della villa invece era invece la zona residenziale della domus: gli ambienti sono decorati sia in quarto stile pompeiano sia in secondo con la tecnica schematizzata, risalente all'età repubblicana. Dal piano superiore proviene anche una scatoletta in legno contenente gioielli in oro ed argento, 170 monete, unguentari, stecche in osso e diversi monili: tra i gioielli si riconoscono orecchini di tipo a spicchio di sfera, a canestro con quarzi incastonati oppure pendenti con perle, collane molto lunghe con grani in oro e smeraldo, bracciali di tipo tubolare decorati con gemme e smeraldi ed anelli con gemme lisce o incise con figure di animali o divinità.
A nord della villa sono presenti alcuni edifici a due piani: si tratta probabilmente di soluzioni indipendenti dalla villa, che si affacciano direttamente sulla strada. Con molta probabilità queste costruzioni venivano usate come botteghe con abitazione al piano superiore.

Villa di Caio Siculi

Imponente villa, scoperta durante lo scavo della trincea per la costruzione della strada ferrata in prosecuzione da Portici verso Torre Annunziata, è quella di Caio Siculi. Fu riseppellita e troncata in due per detta strada ferrata e i reperti rinvenuti furono trasportati al Museo archeologico nazionale di Napoli. Noto l'affresco raffigurante il mito di Narciso ed Eco con lo sfondo del monte Parnaso.

Terme
Le Terme del console Marco Crasso Frugi risalgono al 64 e i ruderi sono visibili lungo la via litoranea Marconi e all'interno delle attuali Terme Vesuviane, complesso termale fondato dal generale Vito Nunziante nel 1831 sul luogo delle antiche terme.

Nelle foto, dall'alto:
Affresco nella Villa di Poppea
Peristilio dalla facciata sud della Villa di Poppea
Parete del calidarium, la stanza 8, della Villa di Poppea. La decorazione al centro rappresenta Ercole nel giardino delle Esperidi.
Affresco nella stanza 66 della Villa di Poppea
Villa di Lucius Crassius Tertius
Affresco di Eco e Narciso dalla Villa di Caio Siculi


Campania - Anfiteatro campano

 


L'Anfiteatro campano o Anfiteatro capuano è un anfiteatro di epoca romana sito nella città di Santa Maria Capua Vetere - coincidente con l'antica Capua - secondo per dimensioni soltanto al Colosseo di Roma. Si trova all'interno della superficie comunale di Santa Maria Capua Vetere, di fronte Piazza I Ottobre. Parte consistente delle sue pietre furono utilizzate dai capuani in epoca normanna per erigere il Castello delle Pietre della città di Capua; alcuni dei suoi busti ornamentali, utilizzati in passato come chiavi di volta per le arcate del teatro, furono posti sulla facciata del Palazzo del comune di Capua.
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Campania, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei. Nel 2016 il circuito museale comprendente oltre all'anfiteatro anche antiquarium, Mitreo e Museo ha fatto registrare 41 429 visitatori.
Durante gli scavi del settembre 1726, di fronte alla porta meridionale dell'anfiteatro venne rinvenuta un'epigrafe mutila, integrata dall'archeologo Alessio Simmaco Mazzocchi, recante la seguente iscrizione: «La Colonia Giulia Felice Augusta Capua fece, il divo Adriano Augusto restaurò e curò vi si aggiungessero le statue e le colonne, l'imperatore Cesare T. Elio Adriano Antonino Augusto Pio dedicò.». L'epigrafe, originariamente posta all'ingresso dell'anfiteatro, fu esposta sotto l'arco della Chiesa di Sant'Eligio a Capua, mentre oggi è conservata presso il Museo campano di Capua.
La struttura come tutti gli anfiteatri era a pianta ellittica e per le dimensioni contendeva il primato all'Anfiteatro Flavio di Roma con il quale condivide diverse soluzioni architettoniche, tanto da far supporre che fu utilizzato direttamente come modello per la costruzione di quest'ultimo.
All'esterno l'asse maggiore misurava 177 metri mentre l'asse minore era di 139 metri. La struttura esterna disponeva di 4 piani dall'altezza complessiva di 46 metri tutti di ordine tuscanico. I tre piani inferiori constatavano di 80 arcate ciascuna di travertino e le chiavi d'arco erano ornate con busti di divinità, sette di questi sono visibili nella facciata del Palazzo Municipale di Capua, altri sono esposti nel museo della città.
Alcuni resti sono visibili nel Museo Campano della città di Capua e nel Museo archeologico dell'antica Capua di Santa Maria Capua Vetere. Altri sono invece al museo archeologico nazionale di Napoli, come la Venere di Capua rinvenuta proprio nell'area in cui insiste l'anfiteatro.
In epoca romana sorgeva nelle sue vicinanze la Scuola dei Gladiatori della città di Capua, celebre per la ribellione di Spartaco.

(foto in alto da beniculturali.it)

Campania - Ercolano, Terme Suburbane

 


Le 
Terme Suburbane sono un complesso termale di epoca romana, sepolte dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovate a seguito degli scavi archeologici dell'antica Ercolano: nel loro genere sono uno degli edifici termali meglio conservati in tutto l'Impero Romano.. Le Terme del Foro vennero edificate all'inizio del I secolo per volere di Marco Nonio Balbo come dono alla città: il luogo prescelto per la loro costruzione fu quello immediatamente vicino alla costa, utilizzando in parte le vecchie mura difensive cadute ormai in disuso. Dopo il restauro dovuto ai danni provocati dal terremoto di Pompei del 62, il complesso venne seppellito sotto una coltre di fango a causa delle colate piroclastiche durante l'eruzione del Vesuvio del 79: venne esplorato alla fine del XVIII secolo dagli archeologici borbonici, mediante cunicoli e riportato alla luce soltanto agli inizi del XX secolo per volontà di Amedeo Maiuri; grazie all'utilizzo di mattoni e cemento le terme subirono pochi danni durante l'evento eruttivo, conservandosi quasi del tutto intatte.
Le Terme Suburbane sono caratterizzate lungo il loro perimetro da ampie finestre, oltre a otto lucernai posti sul tetto per illuminare l'interno e rispetto alle Terme del Foro non erano divise in sezioni femminili e maschili, ma semplicemente i due sessi entravano ad orari diversi, in quanto dotate di un unico impianto termale. Superato l'ingresso, segnato da due semicolonne sovrastate da un timpano, e percorsa una scala rivestita in legno, si giunge ad un ampio vestibolo, con impluvium centrale decorato con un'erma in marmo raffigurante Apollo, utilizzata come fontana, che gettava acqua in un labrum: le colonne che partono dai lati dell'impluvium terminano poi in una struttura ad archi a tutto sesto[4].
Dal vestibolo è possibile raggiungere tutti gli ambienti delle terme: su di esso affacciano un corridoio che conduce direttamente alla Casa del Rilievo di Telefo e due piccoli ambienti ai lati dell'ingresso con il compito di regolare il flusso di clienti, in particolare in quello di sinistra sono state ritrovate trentacinque tegole bollate, mentre in quello di destra, diviso a sua volta in due stanze più piccole tramite un tramezzo, sono stati rinvenuti mattoni tubulari utilizzati per il passaggio del vapore negli ambienti termali; caratteristici inoltre sul tramezzo alcuni graffiti che ricordano avvenimenti accaduti nelle terme, liste di vivande e citazioni a stampo erotico. Sempre dal vestibolo si raggiunge un piccolo ambiente con caldaia, asportata durante le esplorazioni borboniche, di cui rimane il fondo in bronzo, per il riscaldamento del calidarium ed una stanza probabilmente utilizzata per effettuare massaggi: grandi finestre consentivano la vista direttamente sulla spiaggia, mentre le decorazioni sono lesene stuccate che reggono una trabeazione, sulla quale poggia poi il soffitto a volta, oltre a pavimento in cocciopesto. Dal vestibolo si passa infine agli ambienti termali veri e propri: un ambiente era utilizzato sia come apodyterium e che come frigidarium, rivestito completamente in marmo pavonazzetto e alle pareti affreschi in quarto stile caratterizzati da pannelli in rosso e decorazioni con motivi architettonici, oltre ad una piccola piscina per il bagno freddo. Il tepidarium presenta una volta rivestita in tegole mammate, mentre le pareti, lungo le quali sono installate panche in marmo, sono decorate, separati tramite lesene, con altorilievi in stucco, in quanto più resistenti all'umidità e raffiguranti dei guerrieri nudi. Dal tepidarium si accede sia al calidarium la cui porta d'ingresso conserva ancora il battente in legno e nel quale è possibile osservare, oltre a pannelli in stucco su una zoccolatura in marmo, la forma del labrum nel fango solidificato, dopo essere stata trascinata dalla furia eruttiva, poi ricollocata nella posizione originale nella parte absidale della stanza, che ad un ambiente, con soffitto a volta e pareti stuccate, nel quale è presente una grande piscina riscaldata poggiante su suspensurae; da questa sala si accede al laconicum, di forma circolare con cupola conica, la cui unica decorazione è un mosaico che raffigura una cratere avvolto da tralci d'uva.

Campania - Ercolano, Collegio degli Augustali

 

Il Collegio degli Augustali è un edificio religioso di epoca romana, sepolto durante l'eruzione del Vesuvio del 79 è ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Ercolano: al suo interno, probabilmente, si riuniva il collegio sacerdotale dei Sodales Augustales.
l Collegio degli Augustali fu costruito alla fine del I secolo a.C., probabilmente intorno al 14 a.C., nel periodo augusteo, durante la sistemazione dell'intera area: l'edificio fu voluto e finanziato dai due fratelli A. Lucius Proculus e A. Lucius Iulianus, i quali offrirono, nel giorno dell'inaugurazione, anche un banchetto sia agli Augustali che ai decurioni, come si legge in un'epigrafe ritrovata il 25 novembre 1960, a circa due metri dal pavimento ed oggi posta su una parete laterale del Collegio, che riporta la scritta:
«AVGVSTO SACRVM A.A.LVCII A. FILII . MEN PROCVLVS ET IVLIANVS P. S. DEDICATIONE DECVRIONIBVS ET AVGUSTALIBVS CENAM DEDERVNT»
È quindi ipotizzabile che la struttura venisse utilizzata come sede delle riunioni degli Augustali, testimoniato anche da alcuni frammenti posti su di una parete, sui quali erano incisi i nomi degli appartenenti alla categoria: tuttavia però, questi erano in numero elevato, considerando che Pozzuoli, molto più grande di Ercolano, ne aveva di meno e quindi potrebbe trattarsi di una semplice lista di cittadini liberi. Il Collegio venne restaurato a seguito del terremoto di Pompei del 62, tra la fine dell'epoca neroniana e l'inizio di quella flavia: fu in tale periodo che venne aggiunto il sacello, decorate le colonne e costruito un ambiente di servizio. Sepolto sotto una coltre di fango a seguito delle colate piroclastiche provocate dall'eruzione del Vesuvio del 79, poi solidificatosi in tufo, venne ritrovato il 18 maggio 1740 durante le indagini, tramite cunicoli, di Roque Joaquín de Alcubierre: le esplorazioni durarono pochi giorni, fino al 21 maggio, riportando alla luce diverse statue; si tracciarono inoltre le prime mappe dell'edificio, edita la prima nel 1743 ed una seconda nel 1754. Una seconda fase di scavo, questa volta a cielo aperto, si ebbe a partire dal 2 novembre 1960, ad opera di Amedeo Maiuri, il quale, nel primo mese di lavoro, riportò alla luce il solaio e la navata centrale; in seguito, dal 16 ottobre al 14 novembre 1961, venne completato l'indagine del resto dell'edificio; tra gli anni novanta e l'inizio del nuovo millennio furono svolti piccoli interventi di restauro e manutenzione.
La parte esterna del Collegio degli Augustali era originariamente rivestita in gesso e poi intonacata in bianco, di cui si notano ancora diverse tracce; l'accesso è consentito tramite due ingressi: quello principale è posto sul decumano massimo ed è preceduto da un breve corridoio e presenta ancora lo stipite in legno carbonizzato, mentre quello secondario si trova lungo il III cardine ed è caratterizzato da una soglia realizzata in blocchi di piperno; in una colonna nei pressi dell'ingresso principale inoltre venne anche ritrovato un graffito nel quale erano menzionate tre persone. L'interno è a pianta quadrata e formato da un unico ambiente diviso in tre navate tramite quattro colonne in stile tuscanico, disposte al centro, che hanno anche la funzione di sostenere il lucernaio: quest'ultimo, crollato a seguito dell'eruzione, era circondato da un basso muretto dal quale partivano quattro colonnine su cui poggiava un tetto a falde con ai lati quattro grosse aperture per consentire una buona illuminazione; le quattro colonne sono scanalate, presentano un plinto in piperno ed il capitello, fatto dello stesso materiale, è decorato, soprattutto nelle due di fondo, con ovali e foglie, affrescate in azzurro e rosso oltre ad una cornice modanata in stucco bianco. Le pareti perimetrali interne sono caratterizzate da lesene che vanno poi a chiudersi, formando degli archi ciechi, realizzati con mattoni in laterizio, mentre il solaio è in opus spicatum, con mattoni e travi di legno, alcune delle quali ancora visibili allo stato carbonizzato: esternamente il solaio presenta una pavimentazione in cocciopesto ed era probabilmente raggiungibile tramite una scala lignea.
Nella navata centrale, protetto da due muri in opus reticulatum che collegano la parete di fondo con le due colonne posteriori, si apre il sacello, a cui si accede tramite due gradini in marmo, con decorazioni alle pareti in quarto stile: l'affresco posto sulla parete centrale è inquadrato tra due colonne che sorreggono un architrave ed un timpano arcuato, ornato da drappi dorati, ghirlande di frutti e disegni geometrici[; le pareti laterali invece sono affrescate nella zoccolatura con maschere tragiche e quadretti miniaturistici, nella parte alta con riproduzioni di finestre, all'interno delle quali si osservano bighe guidate da Vittorie alate e nella zona centrale del pannello contornati da elementi architettonici, sono due quadretti: quello sul lato destro raffigura Ercole che lotta contro Acheloo, artefice del rapimento dell'amata Deianira, mentre quello sul lato sinistra è l'apoteosi di Ercole, con Minerva e Giunone e sullo sfondo un arcobaleno, probabile rappresentazione di Giove. La pavimentazione del sacello è in opus sectile, con diversi tipi di marmo come il rosso antico, africano, cipollino, portasanta e pavonazzetto, disposto a forme geometriche, mentre la fascia di contorno è in bardiglio e la zoccolatura in marmo africano e cipollino con cornice liscia; sul fondo è infine presente una sorta di semicolonna sulla quale era poggiata una statua, o molto più verosimilmente un busto, raffigurante Augusto, come testimoniato dall'affresco di una corona.
Il resto della struttura presenta pareti intonacate in rosso nella zoccolatura e in bianco nella parte superiore, oltre ad una pavimentazione in cocciopesto che è andata a ricoprire quella originale: durante le esplorazioni borboniche infatti, a seguito della creazione di un cunicolo, venne messa in luce parte della pavimentazione sottostante, sempre in cocciopesto, coperta con circa venti centimetri di terra, tufo e resti di coccio. Nella navata di destra, grazie alla costruzione di un muro in opus craticium, è stato ottenuto un ambiente di servizio, dove risiedeva il custode: di questo fu ritrovato il corpo carbonizzato, intrappolato sul letto a seguito della caduta di calcinacci. All'interno del Collegio degli Augustali sono state rinvenute numerose statue tra cui quella di Tito, di Augusto e di Claudio, quest'ultimo raffigurato con le sembianze di Giove con in mano un fulmine, e altre raffiguranti personaggi della famiglia di Marco Nonio Balbo, come la madre, il padre e la moglie: tale tipo di sculture erano utilizzate per una chiara propaganda politica; fu inoltre rinvenuto un tavolino rotondo in legno, con i piedi raffiguranti dei cani levrieri, un boccale, una conchiglia ed un fritillus. Esternamente, sul lato destro dell'ingresso principale, si trova una struttura delimitata da quattro pilastri in tufo giallo, al cui interno è presente una lastra di marmo, in parte asportata dai Borbone, sulla quale poggiano quattro piccole colonne, di cui una sola intatta, mentre il resto ricostruite: non si conosce la funzione, ma secondo alcuni studiosi potrebbe trattarsi di un triclinio, di una latrina o di un'area sacra.

Campania - Ercolano, Palestra

 

La Palestra è un impianto sportivo, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Ercolano. La Palestra di Ercolano venne costruita durante il periodo augusteo, tra il 27 ed il 14; subì poi dei lavori di restauro a seguito del terremoto di Pompei del 62 e venne infine sepolta sotto una coltre di fango durante l'eruzione del Vesuvio del 79. Fu esplorata per la prima volta, tramite cunicoli, per volere dei Borbone, nel XVIII secolo, quando venne depredata di tutte le opere d'arte e reperti ed in seguito, con gli scavi promossi da Amedeo Maiuri all'inizio del XX secolo, fu riportata parzialmente alla luce. La palestra ha una lunghezza di centocinque metri per settanta ed è un terzo più piccola rispetto alla Palestra Grande di Pompei: realizzata su due livelli, ha l'ingresso lungo il cardo V, contrassegnato da due colonne e coperto da una volta, in larga parte crollata, affrescata con un cielo stellato; sullo stesso lato dell'entrata si trova una sala absidata, alta circa metri, con pavimenti e zoccolatura in marmi policromi, asportati durante le indagini borboniche ed al centro un podio sul quale poggiava una statua, probabilmente appartenente ad un membro della dinastia giulio-claudia, mai ritrovata: l'unico elemento rinvenuto è un tavolo in marmo utilizzato come mensa agonistica. Intorno alla sala inoltre si aprono diversi ambienti con pareti a fondo bianco ed affreschi in terzo stile a soggetto egittizzante: due pannelli sono stati staccati per essere conservati all'interno del museo archeologico nazionale di Napoli.

La palestra è circondata su tre lati da un portico con colonne corinzie scanalate in tufo e mattoni stuccati, mentre su un unico lato, quello che corre lungo il decumano massimo il colonnato regge una loggia, sulla quale si trova una sala ritenuta erroneamente in un primo momento essere il tempio della Mater Deum, a causa del ritrovamento di un'epigrafe che attestava il finanziamento dei lavori di ristrutturazione del tempio a spese di Vespasiano dopo i danni provocati dal terremoto del 62: tuttavia, dopo il recupero di altri oggetti come un base scolpita con geroglifici e statue di divinità egizie quali Atum, Iside e Arpocrate, appartenenti al tempio di Iside ancora da scavare, si è giunti alla conclusione che tutti questi reperti siano stati trasportati dalle loro collocazioni originali alla sala a seguito delle colate piroclastiche durante l'eruzione del 79. Al centro della palestra si trova la piscina, in parte accessibile attraverso i cunicoli scavati in epoca borbonica: a forma di croce, con i due bracci che misurano rispettivamente cinquanta e trenta metri, ha una profondità di un metro ed una lunghezza di cinque; al centro è posta la riproduzione dell'originale statua dell'Idra di Lerna, a cinque teste, avvolta intorno ad un albero: si tratta di un richiamo ad Ercole, fondatore della città, il quale aveva sconfitto tale mostro. Nei pressi della piscina inoltre era presente il vivaio con ai lati anfore incassate per la deposizione della uova dei pesci: a seguito dei lavori di restauro venne abbandonato e ricoperto da detriti. Esternamente alla palestra, lungo il cardo V, si aprono numerose botteghe, originariamente provviste di un piano superiore, dato in affitto: tra queste, due panifici con macine in lava e in particolare in uno, appartenuto a Sextus Patulcus Felix, come testimoniato da un sigillo, sono stati ritrovati teglie in bronzo, le ossa di un asino utilizzato per azionare la macina e due falli in stucco contro il malocchio. Altre attività commerciali sono tre tintorie e la bottega di un gemmarius, al cui interno, oltre a pietre intagliate, è stato rinvenuto, sul letto, lo scheletro di una donna con in mano un piccolo telaio.

Campania - Ercolano, mosaico di Nettuno e Anfitrite

 

Nettuno e Anfitrite è un mosaico proveniente dalla Casa di Nettuno e Anfitrite, a cui ha dato il nome, rinvenuto durante gli scavi archeologici di Ercolano ed ancora conservato nella sua collocazione originaria. A seguito del terremoto di Pompei del 62 si resero necessari dei lavori di ristrutturazione per l'intera casa: nel corso di questi, in particolare intorno al 70, si abbellì notevolmente anche il triclinio estivo, nel quale, su una parete, venne realizzato il mosaico: questo era già visibile dall'ingresso della dimora, grazie ad un'ampia finestra che si apriva nel tablino. Sepolto sotto una coltre di fango durante l'eruzione del Vesuvio del 79, non venne rinvenuto dalle esploratori borbonici nel corso del XVIII secolo, sfuggendo ai cunicoli che questi scavarono per indagare le varie zone della città: uno dei cunicoli venne aperto proprio a pochi metri dell'opera, rischiando di danneggiarla irreparabilmente. Il mosaico fu invece scoperto tra il 1932 ed il 1934, durante gli scavi promossi da Amedeo Maiuri, che riportarono alla luce l'intera abitazione: tuttavia questo sorgeva su una parete quasi del tutto crollata, che venne immediatamente ricostruita, e per evitare ulteriori danni venne prima puntellato e poi completamente restaurato.
Il mosaico, realizzato su una precedente decorazione pittorica che adornava la parete e che in parte ancora si nota alla base dell'opera, è racchiuso in una cornice fatte da conchiglie: seguono quindi altre due cornici, una in verde ed una in blu; al centro della scena sono posti i due personaggi principali, ossia Nettuno e Anfitrite ritratti in una posa quasi fotografica e racchiusi in una sorta di nicchia a pentagono. Sulla parte superiore si apre una conchiglia stilizzata sorretta da elementi decorativi egittizanti, a loro volta racchiusi in due colonne sulle quali poggia un architrave finemente decorata: il colore predominante in tutta l'opera è il blu e le sue diverse tonalità ed il mosaico è realizzato con tessere in pasta vitrea.

Campania - Ercolano, Casa Sannitica

 


La Casa Sannitica è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Ercolano: si tratta di una delle abitazioni più antiche della città. La casa fu costruita nel II secolo a.C. ed occupava originariamente tutto il lato ovest dell'insula su cui sorgeva: durante la metà del I secolo d.C., il giardino venne ceduto alla vicina Casa del Gran Portale, mentre a seguito del terremoto di Pompei del 62, quando si resero necessari anche lavori di ristrutturazione, il piano superiore venne dato in affitto ed isolato dal resto della casa grazie ad un accesso indipendente, direttamente dalla strada; l'abitazione apparteneva probabilmente alla famiglia degli Spunes Lopi, come testimoniato da un graffito in lingua osca, ritrovato nel vestibolo. Fu sepolta quindi sotto una coltre di fango, a seguito delle colate piroclastiche, durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e riportata alla luce all'inizio del XX secolo grazie agli scavi promossi da Amedeo Maiuri.
Il portale d'ingresso è caratterizzato da due colonne con capitelli in ordine corinzio, che in origine reggevano un architrave in legno; si accede quindi alle fauces, con affreschi alle pareti in primo stile che tendono ad imitare marmi policromi, mentre il soffitto è a cassettoni, decorato in secondo stile, ed il pavimento è a mosaico, realizzato a motivi geometrici. L'atrio, di tipo ellenistico, presenta un impluvium completamente rivestito in marmo, le pareti sono affrescate in quarto stile ed il pavimento è in cocciopesto con l'inserimento di tessere bianche: caratteristica è la parte superiore dell'ambiente, che aveva lo scopo di ricreare un finto piano superiore ed infatti si notano su tre lati colonnine in ordine ionico, inserite tra plutei, mentre il lato est è aperto. 
Intorno all'atrio si aprono poi tutti gli ambienti della casa: a destra delle fauci d'ingresso è un cubicolo, restaurato dopo il terremoto del 62 e presenta una tinteggiatura in verde con un affresco raffigurante il ratto di Europa e pavimentato con un mosaico con tessere bianche e rosse, mentre l'illuminazione è garantita mediante una piccola finestra sulla parete est; sul lato sinistro invece si trova l'oecus, che ha perso quasi del tutto le decorazioni parietali, eccetto tracce di affreschi in rosso, ma ha ben conservato il mosaico pavimentale in bianco e nero. Anche un altro cubicolo ha perso totalmente le sue decorazioni ed è caratterizzato da un muro incassato, all'interno del quale era posizionato il letto. Nella parete di fronte all'ingresso si apre un altro oecus, con pannelli affrescati in quarto stile di colore blu e nero e fregio in rosso, mentre la parte superiore, a fondo bianco, reca disegni a temi architettonici; segue poi il tablino con il caratteristico mosaico pavimentale caratterizzato al centro da una piccola piastrella in rame, dalla quale partono dei rombi che vanno a formare un rosone, per concludersi poi agli angoli con la raffigurazione di palme e delfini: anche questo ambiente presenta affreschi in quarto stile. Dall'atrio inoltre sono visibili, in una stanza, i resti della scala che conduceva al piano superiore, dove si trovano gli ambienti di soggiorno: questi sono scarni di decorazioni, tuttavia sono stati rinvenuti diversi oggetti tra cui una statua di Venere e alcuni cani, che probabilmente formavano i piedi di un tavolo; un'altra scala partiva dal marciapiede esterno e terminava sul ballatoio in legno che permetteva l'accesso agli ambienti destinati ad essere affittati.

Campania - Ercolano, Terme del Foro

 

Le 
Terme del Foro sono un complesso termale di epoca romana, sepolte dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovate a seguito degli scavi archeologici dell'antica Ercolano: sono così chiamate per la vicinanza al foro della città. Sulla data precisa per la costruzione per le Terme del Foro di Ercolano, mancano notizie precise, anche per l'assenza di epigrafi commemorative: si ipotizza che siano state realizzate, insieme a molti altri edifici pubblici della città, in età giulio-claudia, quindi all'inizio del I secolo, utilizzando soldi dell'erario pubblico, in una zona dove in precedenza sorgevano delle case private; la struttura era destinata sia ad uomini che donne di qualsiasi ceto sociale, grazie anche al basso costo per l'ingresso. Danneggiate dal terremoto di Pompei del 62, furono soggette a lavori di ristrutturazione, come dimostra il rifacimento degli affreschi: furono quindi interessate dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ricoperte da una coltre di fango a seguito delle colate piroclastiche.
Le prime indagini della zona, tramite cunicoli, risalgono al 1740 ad opera di Roque Joaquín de Alcubierre e le terme furono sicuramente raggiunte nel 1746, anno in cui venne asportato un labrum: tuttavia non tutto il complesso venne esplorato, come dimostreranno poi i ritrovamenti, soprattutto di marmi, nel XX secolo. Una seconda fase di scavi, questa volta a cielo aperto, iniziò nel 1873 per concludersi nel 1875, riportando alla luce la palestra, il tepidarium e l'apodyterium delle terme maschili ed un gruppo di botteghe: al 1885 risale la prima mappa delle terme, opera di Giuseppe Tascone; dopo aver abbattuto diverse case popolari, che insistevano sull'area interessata, Amedeo Maiuri concluse il lavoro di scavo, esplorando l'intero complesso tra il 1927 ed il 1928 ed ancora tra il 1930 ed il 1931. Altre campagne d'indagine si sono avute tra il 1995 ed il 1996 senza però ottenere grossi ritrovamenti.
Le Terme del Foro sono realizzate in opera reticolata nella facciata ed opera incerta nel restante e tutti gli ambienti presentano volte a botte strigilate in tufo giallo: architettonicamente sono molto simili, anche se più piccole, alle Terme del Foro di Pompei; sono divise in due sezioni indipendenti, una maschile ed una femminile e prima dell'apertura dell'acquedotto del Serino erano alimentate tramite un pozzo.
La sezione maschile (nella foto a sinistra, il calidarium) ha l'ingresso dal cardo III e dopo aver superato uno stretto corridoio si accede alla palestra: questa presenta colonne in mattoni e pilastri in opera mista, entrambi stuccati in bianco e neri, mentre le uniche due pareti, sono affrescate in quarto stile. Dalla palestra, due porte, conducono rispettivamente ad una latrina e all'apodyterium: nel primo ambiente, pavimentato in opus spicatum, si osserva il canale di scolo alimentato dalle acque che provenivano dal frigidarium; accanto alla latrina è una piccola stanza, illuminata da una finestra, nella quale probabilmente risiedeva il portinaio. L'apodyterium, illuminato da una finestra rettangolare sul lato sud, è largo sei metri e lungo dodici, ha una volte a botte e pavimento in lithostroton con frammenti di marmo di ardesia, marmo bianco e cipollino: le pareti sono decorate con zoccolatura rossa ed il restante in bianco, mentre i marmi presenti furono asportati durante le esplorazioni borboniche; la parete di fondo, che si chiude ad abside, ospita un labrum in marmo cipollino ed i resti di una vasca, originariamente rivestita in marmo ed utilizzata per le abluzioni. In questo ambiente furono rinvenuti nel 1932 quattro scheletri, di cui tre indossavano oggetti in oro, mentre un quarto aveva il lato sinistro completamente carbonizzato. Sulla sinistra dell'apodyterium, una porta conduce al frigidarium: questo è preceduto da un piccolo ambiente di forma rettangolare con pareti intonacate e pavimento in cocciopesto. Il frigidarium è di forma rettangolare, con pareti affrescate poco prima dell'eruzione in rosso decorate con candelabri e vasi agonistici ed illuminato da un lucernaio che si apre nella volta a cupola: questa presenta una decorazione in grigio e celeste nella quale sono raffigurati animali marini. Alcuni gradini permettono l'accesso alla piscina, profonda poco più di un metro e dal diametro di quattro, all'interno della quale si nota sia il foro d'immissione che quello di scarico dell'acqua: è decorata con una colorazione in verde e azzurro.
Una porta ad arco che si apre sempre dall'apodyterium conduce al tepidarium, lungo dodici metri e largo sei: la stanza, illuminata tramite una finestra, ospita sedili e stalli per l'appoggio degli indumenti; i principali elementi decorativi si notano nella volta, con resti di stucco rosso e delimitata da una fascia con palme e foglie, e nella pavimentazione, con un mosaico che raffigura Tritone posto di profilo che reca tra le mani un timone ed un cesto di frutta e contornato da quattro delfini (nella foto a sinistra). Dal tepidarium si accede poi al calidarium, che sulla soglia è abbellito con una decorazione pavimentale rappresentante un anello dal quale pendono due strigili e un aryballos: la parte centrale della volta è crollata a seguito delle costruzioni delle fondamenta di alcune case, mentre l'illuminazione è consentita da un'ampia finestra; l'ambiente propone nel lato sud un'abside, dove restano decorazioni a stucco, e un podio dove poggiava un labrum rimosso durante le indagini borboniche, mentre in quello nord è posta una vasca per il bagno caldo con gradini e fondo rivestiti in marmo; proprio in marmo era la zoccolatura delle pareti, poi asportati, mentre gli affreschi sono in giallo e il pavimento è a mosaico con tessere bianche circondato da una cornice di tessere nere: caratteristica una lastra di marmo lunense posto sulla parete est, che proviene con molta probabilità dalla zona del foro e trascinata nella stanza dai flussi piroclastici. Dall'apodyterium si accede inoltre ad un corridoio che conduce agli ambienti di servizio come il forno ed il pozzo: quest'ultimo, utilizzato solo in caso di emergenza dopo l'apertura dell'acquedotto del Serino, ha un diametro di due metri ed una profondità di tredici e realizzato in opera incerta; l'acqua veniva attinta o a mano o tramite un meccanismo automatico formato da cuscinetti in bronzo e un'antlia a secchielli. La fornace invece è stata ritrovata priva di tutti gli oggetti in bronzo e piombo che servivano per il suo funzionamento, asportati dagli esploratori borbonici ed alimentava tre grosse caldaie: le bocche sono in tufo e chiusi da battenti in ferro, rinvenuti ancora intatti al momento dello scavo; nell'ambiente si riconoscono decorazioni parietali divisi in pannelli rettangoli a linee nere e gialle.
La sezione femminile (nella foto a sinistra, l'apodyterium) ha ingresso dal cardo IV e lungo il marciapiede antistante l'entrata si notano resti di basi di colonne che sostenevano una balconata che aveva il compito sia di aumentare la superficie abitativa del piano superiore che quello di riparare le persone in caso di pioggia. La sala d'attesa aveva una capienza di circa cinquanta persone ed era coperta con travi in legno: il pavimento è in cocciopesto, mentre le pareti sono affrescate con zoccolatura in rosso ed il restante in bianco e nero; si nota inoltre nella vicinanze una scala con sette gradini in legno carbonizzati ed otto in muratura che conduceva al piano superiore dove si trovavano anche le vasche di carico. 
Dopo aver superato un vestibolo con pareti stuccate in bianco e pavimento con mosaico a disegni geometrici, si accede all'apodyterium: l'ambiente presenta alle pareti, decorate con zoccolatura in rosso e la parte superiore in bianco, con cornice in stucco che delimita la volta, mensole per riporre i vestiti, mentre il pavimento è decorato con un mosaico, realizzato con tessere grandi, raffigurante Tritone (nella foto a sinistra), che regge tra le mani un timone ed un piccolo delfino e contornato da una seppia, un polpo, un amorino con in mano un flagello ed altri delfini. Il tepidarium presenta un podio in muratura, probabilmente utilizzato come fornace per riscaldare l'ambiente ed un pavimento a mosaico caratterizzato da disegni geometrici all'interno del quale vengono riprodotti alcuni oggetti come un'anfora, uno skyphos, una situla, un oinochoe e un simpulum. Il reparto femminile si conclude con il calidarium, rivestito in marmo, eccetto la parete di fondo in tassellato bianco, che conserva una vasca ed un podio stuccato dove poggiava il labrum ed un pavimento a mosaico con tessere bianche e striscia nera, al di sotto del quale sono presente delle suspensurae per il riscaldamento: su un sedile in marmo presente nella stanza è scolpito un satiro che porta sulla terza due corni e grappoli d'uva. Al di sopra della volte degli ambienti termali era presente una sorta di solaio piano e lo spazio ricavato era utilizzato come abitazione per i dipendenti.

Campania - Ercolano, Casa del Genio

 

La casa del Genio è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e riportata alla luce a seguito degli scavi archeologici dell'antica Ercolano. La casa del Genio risentì dello stesso destino dell'intera città di Ercolano, ossia coperta da uno strato di fango, a seguito delle colate piroclastiche durante l'eruzione vesuviana nel 79, poi solidificatosi in tufo; l'abitazione venne riportata alla luce, grazie a scavi a cielo aperto tra il 1828 ed il 1850, risultando uno dei primi edifici di Ercolano ad usufruire di tale tecnica di scavo: tuttavia buona parte di essa resta ancora sepolta.
L'ingresso principale, ancora da scavare, è posto lungo il cardo II, e l'accesso avviene da un ingresso secondario sul cardo III: il nome della casa del Genio deriva dal ritrovamento di una statuetta di un Genio, facente parte di un candelabro in marmo. Degli ambienti riportati alla luce, si nota il peristilio, con pavimento in parte a mosaico in parte in cocciopesto, con al centro una fontana rivestita in marmo e resti di intonaco nell'angolo sud est; le poche camere sul lato est del peristilio non presentano alcun elemento decorativo.

Campania - Ercolano, Casa del Salone Nero

 

La casa del Salone Nero è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e riportata alla luce a seguito degli scavi archeologici dell'antica Ercolano: è così chiamata per via di un oecus totalmente affrescato in nero.
La casa del Salone Nero è considerata una delle più lussuose di Ercolano: al suo interno sono state ritrovate venti tavolette cerate, appartenenti a L. Venidius Ennychus, nelle quali erano riportate notizie come la sua eleggibilità ad augustale, la nascita di sua figlia e l'acquisto di una schiava; da questo ritrovamento si suppone che Ennychus potesse essere o il proprietario o un liberto che si occupava della casa. Così come il resto della città, la dimora venne seppellita sotto una colte di fango durante l'eruzione del 79: le prime indagini iniziarono per volere dei Borbone nel XVIII secolo tramite cunicoli, mentre le esplorazioni a cielo aperto si ebbero nella prima metà del XX secolo, in particolare nel periodo compreso tra il 1933 e il 1948, anche se caratterizzate da lunghi periodi di stasi. Altre campagne di scavo si ebbero tra maggio e luglio del 1961 e negli anni settanta quando un gruppo di archeologi canadesi studiò la zona del peristilio.
La casa del Salone Nero ha una superficie di trecentonovantacinque metri quadrati ed è realizzata interamente in opus reticolatum, con l'aggiunta in alcune parti di opus incertum, mentre la pavimentazione è in cocciopesto nella zona dell'atrio, talvolta con l'inserimento di tessere di mosaico bianco e pezzi di marmo a forma geometrica, ed a mosaico nel peristilio e negli ambienti circostanti. L'ingresso alla casa avviene direttamente dal decumano maggiore e si presenta con una cornice in tufo, una soglia in calcare bianco e resti di legno carbonizzato dell'architrave e degli stipiti della porta; le fauci conservano alle pareti affreschi in secondo stile.
L'atrio, con poche decorazioni pittoriche ha al centro un impluvium rivestito con lastre di marmo bianco lunense, il quale era coperto da tegole angolari in cotto, di cui solo due ritrovate, e arricchito con un puteale in calcare bianco scanalato ai lati. Lungo il lato est dell'atrio si notano i resti di una porta con un architrave carbonizzato, la quale fu murata dopo che il vano venne ceduto alla vicina bottega e si aprono un cubicolo ed un'ala, priva di decorazioni, dov'è possibile notare l'incasso nel quale era posizionato il letto; lungo il lato ovest si aprono altri due cubicoli, entrambi intonacati in bianco con riquadri in rosso, in particolare uno adornato con disegni di elementi architettonici, sovrastato da un fregio con animali marini e navi, ed una cucina con banco in muratura e resti di una latrina e di un ammezzato. Sul lato sud che divide la zona d'ingresso dal resto della casa, si apre il corridoio, il tablino ed un oecus: il corridoio ha pareti con uno zoccolo tripartito dipinto in nero, con fasce bianche e arricchito da disegni di elementi vegetali, la zona centrale con pannelli in viola e un fregio con candelabri e maschere teatrali poste in lunette; il tablino, uno dei più grandi tra tutte le case di Ercolano, presenta un soffitto a cassettoni e alle pareti affreschi in quarto stile: zoccolatura in rosso, zona centrale tripartita con al centro un'edicola sovrastata da un timpano ed ai lati pannelli in nero e zona superiore con disegni di elementi vegetali; l'oecus, quasi interamente distrutto dall'eruzione e ricostruito durante gli scavi del XX secolo, ha un mosaico sulla soglia d'ingresso che tende a riprodurre un tappeto.
Il peristilio ha la caratteristica di avere le colonne, stuccate e poste su tutti e quattro i lati, posizionate in modo tale da lasciare la vista libera dagli ambienti circostanti sul piccolo giardino con al centro una colonna in marmo alta sessantadue centimetri con un capitello di tipo tuscanico: il pavimento è un mosaico a fondo nero circondato da tessere bianche. Intorno al peristilio si aprono sul lato nord, oltre al tablino, un oecus, sul lato sud tre cubicoli e sul lato ovest un cubicolo ed un oecus: tutte queste stanze sono pavimentate con mosaici bianchi con bordi in nero; due cubicoli del lato sud danno rispettivamente accesso uno ad una cucina con ripostiglio e un altro ad un piccolo cortile con un larario a cui è stata asportata tutta la decorazione: questi ambienti presentano pitture in quarto stile, con pannelli bianchi incorniciati in rosso e azzurro e ornati con motivi architettonici su un fregio rosso. Il cubicolo sul lato ovest ha pennelli in rosso su zoccolatura in nero e resti di affreschi al soffitto, mentre, sullo stesso lato, l'oecus, che dà il nome alla casa, ha decorazioni alle pareti ed al soffitto a volta in quarto stile, con pannelli neri, arricchiti con motivi geometrici: in questa sala furono ritrovati un larario in legno ed un altare in marmo. La casa era dotata anche di un piano superiore, crollato a seguito dell'eruzione, a cui si accedeva tramite una scala in parte in muratura e in parte in legno, posta nei pressi dell'ingresso; tra i vari ritrovamenti effettuati: oggetti in bronzo come un candelabro con piedi a forma di leone, un oinochoe e diversi portalucerne, una testa in marmo raffigurante Giove e diverse pentole in terracotta. Adiacente alla casa è la bottega di un bronzista, nella quale sono stati ritrovati un lampadario, una statua di Dioniso, lingotti in piombo ed una fornace.

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...