lunedì 21 aprile 2025

GERMANIA - Rheinisches Landesmuseum Bonn

 


Il Rheinisches Landesmuseum Bonn, o LVR-LandesMuseum Bonn, è un museo storico e archeologico di Bonn, in Germania.
Il Rheinisches Landesmuseum Bonn (che prendeva inizialmente il nome di Museum Rheinisch-Westfälischer Alterthümer) fu fondato nel 1820 per volere del cancelliere prussiano Karl August von Hardenberg.[1] Nel 1907 fu ampliato e, durante la seconda guerra mondiale, la sezione più vecchia fu distrutta e sostituita con un nuovo edificio. Dal 1998 al 2003, il Rheinisches Landesmuseum Bonn fu rinnovato. Nel 2010, la sezione dedicata ai reperti preistorici fu riprogettata. Fra i vari reperti archeologici oggi custoditi nel museo si possono citare gli scheletri della tomba di Oberkassel, che si presume risalgano all'epoca della glaciazione weichseliana, le pietre tombali di Marco Celio e Quinto Petilio Secondo, la stele di Niederdollendorf e lo scheletro di un uomo di Neanderthal.

GERMANIA - Museo dell'Asia Anteriore, Berlino

 

Il Museo dell'Asia Anteriore (in tedesco Vorderasiatisches Museum; conosciuto anche come Museo del Vicino Oriente) fa parte del Pergamonmuseum sull'Isola dei musei a Berlino.
Dedicato alle antiche culture dell'Asia Anteriore o Vicino Oriente, è stato paragonato al Louvre e al British Museum per l'importanza della sua collezione archeologica, che copre seimila anni di storia di quella regione. Espone in 14 sale esempi di architettura, rilievi e piccoli manufatti da Sumeri, Babilonia, Assiria e Anatolia.
La collezione berlinese è intimamente associata all'evoluzione della scienza dell'assiriologia e ai primi risultati positivi nella decifrazione della scrittura cuneiforme da parte del linguista Georg Friedrich Grotefend. Tali progressi, insieme alla fondazione della Società Tedesca dell'Oriente (Deutsche Orient-Gesellschaft) nel 1898, stimolarono l'interesse internazionale per le culture di Babilonia e Assiria.
A partire dalla fondazione della collezione nel 1899 nuovi scavi tedeschi portarono alla luce molti altri pezzi che arricchirono la raccolta originale. Fino al 1929 gli oggetti erano depositati nell'antico Museo Kaiser Friedrich (oggi Museo Bode), quando furono trasferiti nel Museo di Pergamo, venendo esposti al pubblico quando questo museo aprì le sue porte nel 1930.
Durante la Seconda guerra mondiale i reperti installati permanentemente nel museo non furono rimossi, e fortunatamente soffrirono poco, ma gli oggetti mobili furono confiscati dall'Unione Sovietica, tornando in Germania solo nel 1958, cinque anni dopo la riorganizzazione e l'apertura del Museo dell'Asia Anteriore.
Tra le attrazioni principali della raccolta vi sono la famosa Porta di Ishtar, la Via Processionale e la facciata della sala del trono di Nabucodonosor II, con la ricostruzione di parte degli edifici nelle loro dimensioni originali, con un effetto imponente. Altri pezzi importanti sono il modello della Torre di Babele, dedicata a Marduk, dio di Babilonia, e una copia del Codice di Hammurabi.
Gli inizi della scrittura sono documentati con ritrovamenti di Uruk, nella Sumeria del IV millennio a.C., composti da sigilli e tavolette di argilla. Sempre da Uruk provengono sezioni ricostruite di templi monumentali del III millennio a.C.
Altre sale mostrano rilievi e facciate del palazzo assiro di Kalchu, del IX secolo a.C., e vasi, gioielli, ferramenta e sculture più recenti.
Il Museo dell'Asia Anteriore sostiene programmi di scavi archeologici, tra i quali:
  • Progetto Tell Halaf, dedicato al restauro di manufatti inestimabili rimanenze del Museo berlinese Tell Halaf, che fu seriamente danneggiato durante la guerra, e include scavi nel sito archeologico di Tell Halaf, in Siria, in collaborazione con altre istituzioni.
  • Progetto Tell Knedig, di scavi nella regione di Habur, in Síria, dove già si riuscì a scoprire la struttura di un villaggio del secolo III a.C. e a spiegare aspetti legati alla topografia della Mesopotamia superiore nell'Età del bronzo.
  • Siria, che include lo studio dei recuperi del Museo Tell Halaf e di altri ritrovamenti realizzati durante spedizioni nei decenni 1970-1980 nell'area del fiume Eufrate e portati in Germania.

GERMANIA - Römisch-Germanisches Museum, Köln

 


Il Römisch-Germanisches Museum è un'istituzione museale di Colonia che contiene reperti archeologici dell'epoca preistorica, di quella romana e di quella franca ritrovati nell'area urbana della città. Si trova proprio a ridosso del Duomo e della stazione centrale. Inaugurato il 24 novembre 1961, è stato costruito attorno ad un importante mosaico ritrovato in seguito ai lavori di recupero post-bellici. Il mosaico ritrae diverse scene della vita di Dioniso e probabilmente faceva parte di un complesso abitativo romano del III secolo. Nel 1999, in occasione di un pranzo ufficiale del G8, il mosaico è stato coperto con una protezione in plexiglas.
Il museo ha una superficie espositiva di 4.500 m² in cui sono esposti reperti di 100.000 anni di storia, dal Paleolitico all'alto Medioevo. I più antichi risalgono a raccoglitori e cacciatori presenti in Renania durante il Paleolitico e il Mesolitico. Nel VI millennio a. C. gli uomini divennero stanziali e costruirono villaggi con grandi case che fungevano anche da stalle. La scoperta della civiltà che lavorava ceramica a banda lineare a Colonia-Lindenthal è una delle pietre miliari della ricerca riguardante il Neolitico europeo. Attrezzi di pietra, armi e vasi di ceramica fatti a mano raccontano la vita delle persone di circa 8.000 anni fa. I reperti preromani raccolti dalle tombe e dai villaggi dell'Età del Bronzo e del Ferro risalgono ai primi insediamenti agricoli della Renania. Nei secoli che precedettero l'arrivo dei Romani la Renania fu colonizzata da tribù celtiche e germaniche, che seppellivano i propri morti in tumuli con urne di ceramica e oggetti di pietra e metallo come viatico per l'aldilà. Ma il fulcro delle collezioni è costituito dalle testimonianze dei cinque secoli di dominazione romana. Il fondatore di Colonia, l'imperatore Augusto, viene ricordato da un'effigie in miniatura di vetro verde. 
Il famoso mosaico di Dioniso del III secolo d. C. e il monumento funerario alto 15 metri del I secolo d. C. dedicato al legionario Marco Publicio possono essere ammirati a tutte le ore del giorno e della notte dalle finestre panoramiche che danno sul piazzale del Duomo. Dal punto di vista architettonico la suggestiva struttura del museo è concepita come una "finestra sull'epoca romana".
Le colonne lungo il suo perimetro richiamano il peristilio romano situato al piano inferiore che ospita il Mosaico di Dioniso visibile dalla Roncalliplatz. Al piano immediatamente superiore, il cosiddetto piano di Publicio, si trovano le stanze che ospitano mostre temporanee e congressi. Al piano superiore, una serie di reperti archeologici raggruppati cronologicamente e per tema descrivono l'evoluzione della “città degli Ubii”, costruita all'epoca dell'imperatore Augusto, che poi divenne centro economico e religioso della Germania Inferior. Ne costituiscono una testimonianza i resti del porto romano sul Reno, quelli del ponte ligneo costruito sotto Costantino, e quelli della testa di ponte di Divitia sulla sponda est. Delle mura perimetrali romane sono rimasti solo la base di una torre a pianta circolare (dove vengono allestite mostre temporanee) e l'enorme arco centrale in pietra della Porta Nord con l'iscrizione CCAA (Colonia Claudia Ara Agrippinensium). 
La ricostruzione di una carrozza da viaggio romana da un'idea dei mezzi di trasporto usati sulle strade a lunga percorrenza che collegavano l'Impero Romano.
Il museo contiene la più grande collezione al mondo di oggetti di vetro di epoca romana utilizzati fra il I e il IV secolo, fra cui numerosi bicchieri di lusso e decorati della stessa epoca come i vasi soffiati decorati con figure, bicchieri decorati, e calici. Gli orafi e gli scultori romani crearono prodotti di grande pregio, come ad esempio le raffinate miniature di ambra. Affreschi maestosi e mosaici di grande valore, come il famoso Mosaico del Filosofo, erano parte integrante dell'arredamento delle case degli aristocratici della città. L'arredamento delle abitazioni comprendeva anche alcuni prodotti di ceramica, come ad esempio alcuni e coppe bicchieri decorati con scene di caccia che furono venduti e fino in Inghilterra.
Le pregiate opere di oreficeria della collezione Diergardt, che risale al Barone Johannes Freiherr von Diergardt, è una delle più importanti collezioni a livello internazionale di gioielli dell'epoca delle migrazioni di popoli germanici. Sono presenti costumi e accessori appartenuti a cavalieri nomadi e a popoli germanici dei secoli fra il IV e il VI sono provenienti da tutta Europa, dalla Crimea alla Spagna. La “Kertscher Krone” (corona Kertscher), gli anelli del tempio e il diadema provenienti da Tiligul hanno fama mondiale. I reperti più recenti del museo risalgono all'età merovingia (V – VI secolo). Nelle celebrazioni dei I funerali franchi degli abitanti cittadini e delle campagne attorno a Colonia nel territorio del Reno venivano spesso celebrati utilizzati con ricchi corredi funerari per accompagnare i defunti nel la vita nell'aldilà. I corredi funebri sono testimonianze della storia della civiltà dell'Alto Medioevo.
Il Museo Romano Germanico ha le sue origini nella "collezione di antichità di Colonia", raccolta il 25 aprile 1807, in seguito alla circolare per la protezione dei reperti archeologici degli scavi nel dipartimento di Colonia, e alla collezione di antichità romane di Ferdinand Franz Wallraf, poi presa in consegna dalla città di Colonia, dalla quale nacque nel 1861 la sezione di storia romana del nuovo Wallraf-Richartz-Museum aperto da poco. Già dall'epoca della prima guerra mondiale la sezione ha avuto un proprio direttore. Fin dal 1923 la sezione sovraintende agli scavi archeologici all'interno della città e ha creato una sempre maggiore consapevolezza dell'origine romana della città di Colonia. Anche a questo scopo è servita la costruzione, nel 1946, del Museo Romano Germanico, collegata al ritrovamento del Mosaico di Dioniso nei sotterranei del Duomo. Il museo è stato inaugurato il 24 novembre 1961 nel bunker del Duomo. In occasione della costruzione della linea nord-sud della ferrovia metropolitana, l'ente museale ha supervisionato la più grande area di scavi d'Europa. Come centro di ricerca il museo ha lavorato, tra gli altri, con l'Istituto archeologico,con l'Istituto di studi sull'antichità, con i centri di ricerca sulla dendrocronologia e sull'archeobotanica dell'università di Colonia e con l'università di scienze applicate di Colonia nei settori restaurazione e visualizzazione.


GERMANIA - Corona di Kritonios

 

La corona di Kritonios è una ghirlanda d'oro di età magno-greca risalente al IV secolo a.C. ritrovata ad Armento nel 1814, in località Serra Lustrante. È esposta all'Antikensammlungen di Monaco di Baviera.
La corona ha un'altezza di circa 37 centimetri; la sua struttura delicata fa pensare che non fosse destinata a essere indossata.
La corona rappresenta due rami di quercia, ornati da ghiande e molti fiori di diverso genere. Sulla quercia e sui fiori ci sono molte api attaccate alla corona per mezzo di sottili lamine di oro. Inoltre, compaiono sei figure umane: una dea alata, detta Dea Regina Triumphans, tre Erotes e due Nike.
La base della corona è formata da un cerchio, dove, a coppie per ogni lato, sono saldati otto cannelli di 0,12-0,16 centimetri di altezza. Nella parte alta, la frontale, ci sono altri tre cannelli da 5 centimetri, i quali sostengono i perni della Dea Regina Triumphans, mentre gli altri sostengono un mazzetto di fiori e di fronde. Sul cerchio sono anche saldati grappoli di frutti, viticci, tre grandi rose per ogni lato.
Il materiale è oro quasi puro, con tracce di rame e forse di tellurio; l'oro è stato ridotto in lamine sottili, con spessori variabili da 1/20 ad 1/10 di millimetro. I fili d'oro presentano un diametro da 1/4 a 3/4 di millimetri.
La corona pesa un rotolo e due once (antiche unità di misura utilizzate nel sud Italia); pesa all'incirca 55,419 grammi, poiché un rotolo pesava 0,891 grammi e un'oncia equivaleva a 27,264 grammi.
Osservando la corona si possono notare diversi stili. Secondo lo storico dell'arte Angelo Lipinsky, la corona fu prodotta da diversi artefici all'interno di una stessa bottega unendo il gusto ellenistico per il realismo.
Al centro si trova la vera protagonista della corona, la Dea Regina Triumphans. Le due Nike, ai lati della dea, sono rappresentate come se fluttuassero su rami e fiori, fra i quali si trovano anche delle api che vengono riprodotte a sbalzo e proporzionate alla grandezza dei fiori. Al serto mancano un intero mazzetto di fiori, un quarto Erote e, forse, qualche ape.
Piante rappresentate 
Le piante sono erbe conosciute sin dai tempi della medicina popolare per le loro virtù terapeutiche. Sono state forgiate in modo molto realistico e questo le rende ben riconoscibili. La base della corona è costituita da calici smaltati color turchese, un ramoscello di quercia, elementi di edera e di mirto.
Alcune delle piante riconoscibili rappresentate sulla corona sono: salsapariglia nostrana, che non ha radici ma si arrampica con viticci a produrre grappoli di bacche rosse, elementi riprodotti nella Corona; rametti di farnia e di fragno (varietà di quercia) con una, due o tre foglie e ghiande; fiori di rosa canina selvatica, nella parte bassa della corona; rose da giardino a fiore doppio; fronde di biancospino, disposto in basso e nel giro interno della corona; calendula; composite; alcune fronde di castagno, fiori di malva e fiori di convolvolo, riprodotto in quattro varietà (Convolvulus soldanella, althaeoides, elegantissimus e arvensis), la cui corolla è ricoperta di uno smalto azzurro intenso.
La "Dea Regina Triumphans" 
Il serto di rami e fiori che formano la Corona è sormontato da una figura femminile alata, la Dea Regina Triumphans. Si pensa si tratti di una "reinterpretazione" lucana di Giunone regina dell'Olimpo, protettrice delle donne dalla nascita fino alla morte. Sul suo piedistallo, di forma cubica, è incisa la frase in greco ΚΡEΙΘΩNIOΣ HΘHKH TOEI ΣTHΦANON (Kreithonios ètheke toei stèfanon), che significa 'Critonio dedicò questa corona'.
Si esclude che sia una Vittoria alata (Nike), per via del diadema a punte sul capo e di una sottile corona di perle che compare fra le ciocche dei capelli. Tali caratteristiche non sono infatti tipiche di una Nike, ma si avvicinano a quelle di divinità femminili rinvenute nella Tuscia meridionale risalenti al VI secolo a.C.[2]Avigliano
Allo stesso modo, non sono tipici della Nike anche gli oggetti che questa figura porta nelle mani: con la mano sinistra regge una patera mentre nella destra doveva stringere uno scettro, oggi mancante. Viceversa, le altre figure femminili che, insieme agli Erotes, accompagnano la dea in trionfo, alla quale potrebbe quindi riferirsi la terza parola dell’iscrizione dedicatoria (TOEI) che l'epigrafista Michel Lejeune traduce come 'alla divinità', sono delle Nike.
La dea indossa un chitone, modellato su spalle e petto, e un himation decorato a granulazione che dalla spalla sinistra e dal braccio scende in larghe pieghe lungo il corpo. Il collo è decorato da una sottile collana. Con la mano sinistra regge una patera mentre nella destra doveva stringere uno scettro, oggi mancante. Ai piedi porta calzari chiusi in cuoio a punta tonda, mentre sulla testa porta una corona a punte: dalle spalle spuntano ali con penne lunghissime.
Il 2 agosto 1814 il Colonnello Diodato Sponsa di  ingaggiò quattro scavatori di Anzi e condusse uno scavo illegale su tre sepolture a camera in contrada Serra d'Oro a tre miglia da Armento (Potenza), trovando diversi oggetti preziosi nel sepolcro di un defunto cremato sopra una graticola di ferro.
Il colonnello riferì di aver rinvenuto una ghirlanda d'oro con iscrizione di 27 lettere, un fauno di bronzo dall'altezza di un palmo e mezzo, un candelabro di bronzo in cinque pezzi, quattro vasi grandi, una ventina di vasi piccoli di ricco valore, una corniola e degli ornamenti di donna in vari pezzi d'oro, ma rozzi. La ghirlanda d'oro era quella che oggi viene identificata come la corona di Kritonios.
Diversi degli oggetti rinvenuti ad Armento furono acquistati da Carolina Bonaparte, moglie del re di Napoli, Gioacchino Murat, e appassionata collezionista di opere d'arte. Carolina, dopo la fucilazione di Murat, dovette fuggire da Napoli rifugiandosi in Baviera. Lì fu poi costretta da problemi economici a vendere la sua raccolta di opere d'arte, compresa la corona, a re Luigi I di Baviera nel 1826.

GERMANIA - Santuario di Iside e della Magna Mater, Magonza

 

Il santuario di Iside e della Magna Mater è un santuario del I-III secolo della città romana di Mogontiacum, capitale della provincia romana della Germania superiore (oggi Magonza, in Germania).
È stato rimesso in luce nel 1999, nel corso di lavori per la costruzione di una galleria commerciale ("Römerpassage") nel centro cittadino. Le iscrizioni votive rinvenute testimoniano un legame del luogo di culto con la dinastia flavia.
Nella galleria commerciale è stato allestito un piccolo museo, che ospita i resti archeologici del santuario e una scelta dei reperti rinvenuti negli scavi ed è arricchito da una ricostruzione multimediale del santuario.
La presenza Roma antica a Magonza era iniziata nel 13-12 a.C. con la costruzione di un accampamento militare in corrispondenza dell'attuale sobborgo di Kästrich, presso il quale si venne presto a creare un insediamento civile, che a sua volta venne dotato in età flavia di edifici pubblici (terme, teatro, templi), tra cui il santuario rinvenuto nel 1999.
Le iscrizioni dedicatorie provano la dedica del santuario alla dea egizia Iside (con gli epiteti di Panthea e di Regina) e alla Magna Mater (anche indicata come Mater Magna), il cui culto era stato probabilmente introdotto dalle truppe romane stanziate nella regione Il culto di Iside aveva acquistato rilevanza sotto i Flavi e probabilmente il luogo di culto di Mogontiacum fu eretto per volere imperiale, come sembrano provare i marchi rinvenuti sui blocchi di pietra della costruzione. La datazione del santuario in età flavia permette di riconoscerlo come il più antico esempio conosciuto della diffusione dei culti orientali in queste regioni nordiche.
Il santuario rimase attivo per circa 250 anni e fu ingrandito a più riprese e rimase compreso all'interno delle mura cittadine. Alla fine del III secolo il culto venne abbandonato e il tempio andò in rovina. Dopo il 1330 venne edificato nella zona un convento di monache clarisse e il Wamboldter Hof, seguiti da altri monasteri e dimore aristocratiche.
Nel 1999, durante i lavori in un isolato del centro cittadino per la costruzione di un centro commerciale, furono condotte delle indagini archeologiche ad opera della sezione di Magonza della direzione al patrimonio della Renania-Palatinato, in quanto si supponeva che nella zona passasse l'antica via romana tra il campo legionario e il ponte sul fiume Reno. A 5 m di profondità si rinvenne una sepoltura della cultura di Hallstatt, datata al 680-650 a.C. e i resti del santuario.
Inizialmente si era previsto che dopo gli scavi, completati nel 2001, i resti rinvenuti fossero asportati per consentire comunque la costruzione del centro commerciale, secondo il progetto originario, ma una petizione di cittadini promossa dall'associazione "Iniziative Römisches Mainz" indusse le autorità cittadine a conservare i resti in un apposito sotterraneo del nuovo edificio. I costi dell'allestimento furono sostenuti dal comune di Magonza e dal land della Renania-Palatinato e il 30 agosto del 2003 venne inaugurata la "Taberna archaeologica", sistemata nel nuovo centro commerciale.
Il santuario è costituito da uno spazio consacrato racchiuso da un muro di cinta, all'interno del quale sono ospitate diverse strutture. Fu eretto su terreno sgombro da precedenti costruzioni ai margini della strada romana tra l'accampamento militare romano e il ponte sul fiume Reno nell'ultimo terzo del I secolo. A quest'epoca doveva essere ancora visibile il tumulo della tomba hallstattiana, che aveva probabilmente fatto già considerare il luogo come sacro.
Al santuario si accedeva da un diverticolo laterale che si staccava dalla via principale. Davanti all'ingresso sorgeva una latrina e delle costruzioni in legno equipaggiate con focolare e fontana, che potevano essere utilizzate come luogo di riunione e di culto. All'interno del recinto sacro si trovavano due tempietti rettangolari. Nel corso del II secolo le strutture furono costituite da due ambienti simmetrici circondati da ambienti minori. Una sala centrale era riservata alle abluzioni rituali. Questa costruzione era preceduta da tre massicci zoccoli in pietra che svolgevano presumibilmente la funzione di altari. All'interno del recinto erano inoltre presenti tracce di numerosi focolari con rilievi votivi bruciati e delle fosse.
Le strutture erano state costruite con muri in materiale povero sostenuti da armature di travi in legno, sostenuti da uno zoccolo in pietra e rivestiti da intonaco affrescato e con decorazioni in stucco, di cui si sono rinvenuti i frammenti (uno dei frammenti maggiori mostra il dio Anubi raffigurato su fondo rosso). Il pavimento era probabilmente in terra battuta e il tetto era coperto da tegole in terracotta e legno. Sui mattoni si sono rinvenuti numerosi sigilli militari delle legioni stanziate nel campo militare (foto in alto).
Uno dei ritrovamenti di maggiore qualità è rappresentato da una statuetta in bronzo raffigurante un nano (nella foto a sinistra), con ghirlanda sul capo e mantello sulle spalle. Numerose statuette di divinità in bronzo o in argilla, tra cui in particolare di Mercurio e di Venere, statuette di animali che rappresentavano una sostituzione per animali sacrificati, monete e altri oggetti facevano parte delle offerte al santuario. Alcune figure di personaggi maschili armati si riferiscono ai Pausarii, membri del personale del santuario, organizzati militarmente per le celebrazioni del culto.
Sono state rinvenute anche circa 300 lucerne, per lo più effettivamente utilizzate durante i riti e deposte dopo questi insieme alle altre offerte, mentre alcune più grandi dovevano far parte dell'arredo del santuario. Numerose tavolette votive hanno permesso di riconoscere le divinità alle quali il santuario era stato dedicato: una di queste riporta una dedica di un'offerta alla Mater Deum ("madre degli dei") ordinata da parte del figlio maggiore di Vespasiano, il futuro imperatore Tito. Altre due gemelle, sono dedicate rispettivamente alla Mater Magna e a Iside Panthea da parte della liberta imperiale Claudia Icmas e di altri due personaggi, per la salute dell'imperatore, del popolo e del senato romano e del loro esercito.
Nelle fosse del santuario sono state rinvenute anche le tracce degli animali e dei cibi offerti (ossa di uccelli, resti carbonizzati di focacce, noccioli di frutta, resti di pigne e di uova) e resti di vasi per libagioni.
Una particolare menzione meritano le 34 maledizioni rinvenute nelle fosse. Le tabulae defexionis, piccole pergamene arrotolate o ripiegate su una tavoletta, con formule di maledizione contro gli autori di furti o, in un caso, contro una rivale in amore, erano proibite dal diritto romano come pratica magica, ma l'uso era tuttavia continuato in forma non ufficiale. I biglietti di maledizione rinvenuti, redatti nei caratteri della capitale quadrata o della scrittura corsiva, riportano formule esecratorie in latino volgare o classico, talvolta con espedienti retorici. A queste sono abbinate anche figurine d'argilla (nella foto) rozzamente modellate a mano, che recano tracce di punture di spilli, soprattutto sul petto, destinate a rappresentare magicamente l'avversario a cui era destinata la maledizione. Una di queste figurine è dotata anche di una lamina in piombo con il nome della vittima.
Negli scavi del santuario si sono rinvenute diverse sepolture appartenenti alla cultura di Hallstatt: si tratta di una serie di tombe a fossa, diverse delle quali in origine coperte da un tumulo, in seguito scomparso. Tra queste una tomba di un personaggio femminile di rango elevato (nella foto a sinistra), che sebbene saccheggiata, ha restituito alcuni oggetti del corredo funerario. La tavola di legno sulla quale il corpo era stato deposto ha permesso di datare la sepoltura per mezzo della dendrocronologia al 680-650 a.C. Le ossa della defunta, sebbene disperse, hanno permesso di appurare che la defunta aveva tra i 35 e i 45 anni ed era alta 1,59 cm, rientrando nella media della statura femminile di quest'epoca; la causa del decesso non è stata accertata, ma si è potuto appurare che la donna soffriva di artrosi alle ginocchia.


GERMANIA - Menade danzante o Baccante

 
La Menade danzante o Baccante è una scultura attribuita a Skopas, databile al 330 a.C. e conosciuta da una piccola copia frammentaria in marmo (altezza 45 cm) conservata nel Museo delle sculture della Staatliche Kunstsammlungen Dresden. La statua rappresenta una delle menadi, le fanciulle seguaci del dio Dioniso di cui celebravano il culto con cerimonie orgiastiche e danze forsennate al suono di flauti e tamburelli, al culmine delle quali aveva luogo il sacrificio di un capretto o di un capriolo, dilaniato a colpi di coltello e divorato crudo nel momento del culmine estatico.
La menade di Dresda è molto danneggiata, senza tuttavia perdere i suoi tratti fondamentali. L'agitazione che pervade tutta la figura viene resa dall'impetuosa torsione a vortice che, dalla gamba sinistra, passa per il busto e il collo sino alla testa, gettata all'indietro e girata, a seguire lo sguardo, verso sinistra; il volto è pieno, bocca naso e occhi sono ravvicinati, questi ultimi schiacciati contro le forti arcate orbitali per conferire maggiore intensità all'espressione. Il panneggio si apre e si volge verso l'alto, assecondando il ritmo ascensionale della statua. Il totale abbandonarsi del corpo alla passione è sottolineato anche dalla massa scomposta dei capelli, dall'arioso movimento del chitone che, stretto da una cintura appena sopra la vita, si spalanca nel vortice della danza, lasciando scoperto il fianco sinistro, e dal forte contrasto chiaroscurale tra panneggi e capigliatura da una parte e superfici nude dall'altra. Le braccia, perdute, dovevano seguire la generale torsione del corpo: il braccio sinistro, sollevato, stringeva contro la spalla un capretto; il destro era teso all'indietro e la mano impugnava un coltello.
In questo lavoro resta poco della razionalità e del controllo delle opere, ad esempio, di Policleto, raffigurando i nuovi orizzonti sociali, politici, culturali e religiosi che attraversavano la Grecia in un momento di instabilità come il IV secolo a.C.

GERMANIA - Acquedotto Eifel

 
L'acquedotto Eifel fu uno dei più lunghi acquedotti dell'impero romano.
Costruito nell'80 d.C., trasportava acqua per circa 95 km dalle colline della regione di Eifel, nell'attuale Germania, all'antica città di Colonia Claudia Ara Agrippinensium (l'odierna Colonia). Se si includono anche le sorgenti secondarie, la lunghezza complessiva raggiunge i 130 km. La costruzione era quasi interamente costruita al livello del suolo, ed il flusso dell'acqua era provocato solamente dalla forza di gravità. Pochi ponti, tra cui uno lungo 1400 metri, erano necessari per attraversare la vallata. A differenza di altri famosi acquedotti, l'Eifel venne appositamente progettato per minimizzare il tragitto sopraelevato rispetto al suolo, al fine di metterlo al riparo da danneggiamenti e dal congelamento dell'acqua.
Prima della costruzione dell'acquedotto Eifel, Colonia riceveva l'acqua dall'acquedotto Vorgebirge, la cui sorgente si trovava nella regione di Villé ad ovest della città. Con il crescere della città, l'acquedotto non fu più in grado di fornire acqua di qualità sufficiente; la sorgente conteneva tracce di limo in estate, e a volte si prosciugava completamente. Venne quindi costruito un nuovo acquedotto per portare in città l'acqua dalla sorgente dell'Eifel.
L'acquedotto Eifel venne costruito nella parte settentrionale della regione. La costruzione era fatta in calcestruzzo con pietre che formavano una copertura ad arco. Aveva una portata massima di circa 20 000 m³ di acqua al giorno. L'acquedotto era in grado di fornire acqua per fontane, bagni e case private di Colonia Claudia Ara Agrippinensium. Venne utilizzato fino al 260 circa, quando la città venne per la prima volta saccheggiata dai Germani. In seguito non venne più utilizzato, e si tornò all'uso del vecchio acquedotto Vorgebirge.
L'acquedotto inizia dalla sorgente situata nell'area di Nettersheim, nella valle del fiume Urft. Percorre tutta la valle fino a Kall, dove oltrepassa lo spartiacque che divide i bacini della Mosa e del Reno. Gli ingegneri romani decisero questo percorso per il fatto che erano in grado di superare lo spartiacque senza dover creare un tunnel o installare una pompa. L'acquedotto correva parallelo alla catena montuosa settentrionale degli Eifel, incrociando l'Erft vicino a Kreuzweingarten (nel circondario di Euskirchen) e lo Swist con un ponte ad archi. A Kottenforst, a nord-ovest di Bonn, attraversava l'altopiano di Vorgebirge. infine attraversava Brühl e Hürth prima di arrivare a Colonia. Altre sorgenti secondarie, giudicate sufficienti per quantità e qualità dagli ingegneri, vennero equipaggiate con acquedotti minori al fine di rifornire lo stesso Eifel.
Per proteggersi dal congelamento dell'acqua, buona parte dell'acquedotto scorre un metro sotto terra. Gli scavi archeologici hanno mostrato che, al livello più basso, gli ingegneri romani posero un'ampia base di pietre. Su questa base costruirono una scanalatura in calcestruzzo e pietra a forma di U per l'acqua e, sopra a questo, pietre squadrate e malta vennero usate per costruire un arco protettivo.
Per i lavori con il calcestruzzo e per l'arco gli ingegneri usarono tavole di legno per dare la forma. I segni delle nervature del legno sono ben visibili nel calcestruzzo anche dopo 2000 anni. L'acquedotto ha una larghezza interna di 70 cm ed un'altezza di 1 metro, in modo che gli operai potessero entrare in caso di necessità. L'esterno era sigillato con intonaco in modo da tenere all'esterno l'acqua sporca. In vari posti venne creato un sistema di drenaggio per tenere lontana l'acqua presente nel suolo. I corsi minori incrociano l'acquedotto attraverso dei cunicoli; molto vicino alla sorgente ne è rimasto un ben conservato.
Anche l'interno dell'acquedotto era intonacato con una sostanza rossa chiamata opus signinum. Questa pasta era composta da calce viva e da mattoni rotti. Questo materiale era resistente all'acqua ed evitava perdite. Le piccole crepe venivano sigillate con legno di frassino, particolarmente diffuso nel periodo in cui l'acquedotto venne costruito.
Molte sorgenti dell'area sono state dotate di costruzioni che permettevano di incanalare l'acqua nell'acquedotto. La prima si trovava alla sorgente, Grüner Pütz, vicino a Nettersheim. La più studiata è la "fontana Klaus" di Mechernich. Questo sito è stato archeologicamente ricostruito e conservato. Le costruzioni di varie sorgenti vennero progettate per rispettare le caratteristiche dell'area, e potrebbero rispettare anche i moderni requisiti architettonici.
Sono state riconosciute quattro principali aree sorgive:
  • Grüner Pütz (Pieno di verde) vicino a Nettersheim
  • Klausbrunnen (fontana Klaus) vicino a Mechernich
  • Un'area sorgiva a Mechernich-Urfey
  • La Hausener Benden a Mechernich-Eiserfey
L'area di Hausener Benden, anch'essa nei pressi di Mechernich, è interessante perché scoperta piuttosto tardi, e rimessa in funzione. Nel 1938, durante le ricerche di una fonte d'acqua potabile nei pressi di Mechernich, gli operai scoprirono una parte dell'acquedotto che partiva da questa zona. L'acqua che scorreva al suo interno venne semplicemente convogliata nel moderno sistema idrico. Non essendo per nulla danneggiato, non vennero svolte ricerche archeologiche per la costruzione attorno alla sorgente.
I romani preferivano acqua potabile con un alto contenuto minerale, preferendone il sapore a quello dell'acqua dolce. L'architetto romano Vitruvio descrisse il processo di analisi di una sorgente d'acqua potabile:
«Le sorgenti dovrebbero essere testate e provate nei seguenti modi. Se sono all'aperto, ispezionare ed osservare il fisico delle persone che abitano nelle vicinanze prima di iniziare a lavorare, e se le loro ossa sono forti, l'aspetto vivo, le gambe sane, e gli occhi lucidi, la sorgente merita completa approvazione. Se la sorgente è stata appena scavata, la sua acqua è eccellente se si può versare in un vaso corinzio o bronzeo senza che lasci sedimenti. Inoltre, l'eccellenza dell'acqua può essere dimostrata facendo bollire l'acqua in un calderone di bronzo, lasciandola riposare qualche tempo, e versandola senza che essa lasci sabbia o fango sul fondo
(Vitruvio, De architectura, 8,4,1)
Vitruvio insistette (8,3,28) sul fatto che "conseguentemente dobbiamo fare molta attenzione nella ricerca di sorgenti e nella loro selezione, tenendo in primo piano la salute delle persone". L'acqua proveniente dall'Eifel era considerata una delle migliori dell'impero.
Sfortunatamente l'acqua dura tende a produrre depositi di carbonato di calcio, ed infatti buona parte dell'acquedotto è oggi ricoperto da uno spesso strato di calcare, fino a 20 cm. Nonostante la riduzione dello spessore interno causato dal calcare, l'acquedotto era ancora in grado di trasportare acqua a sufficienza per soddisfare i bisogni di Colonia. Nel Medioevo lo strato di "marmo Eifel" che faceva parte dell'acquedotto venne riutilizzato come materiale da costruzione.
Per vari motivi l'Eifel è composto da pochi tratti esposti, a differenza di altri acquedotti romani quali il Ponte del Gard della Francia meridionale:
  • Il percorso dell'acquedotto venne scelto in modo da evitare di dover erigere costruzioni.
  • I tratti sotterranei erano riparati dal congelamento invernale.
  • L'acqua che raggiungeva Colonia aveva una temperatura ideale grazie all'isolamento garantito dal terreno.
  • In caso di guerre l'acquedotto avrebbe subito meno danni.
Nonostante questo, esistono punti in cui fu obbligatoria la costruzione di ponti o altro. Il più importante è un ponte ad archi che attraversa lo Swist nella valle del Reno; tale ponte è lungo 1.400 metri e raggiunge i 10 metri di altezza. Gli archeologi calcolano che il ponte originale fosse composto da 295 archi, ognuno dei quali largo 3,56 metri. Il ponte è stato però ridotto in macerie dal passare degli anni.
Un piccolo ponte ad archi attraversa la valle vicino a Mechernich-Vussem. Questo ponte era alto 10 metri e lungo 80. I resti archeologici ritrovati erano in condizioni sufficienti da permetterne una ricostruzione parziale, in modo da mostrare come dovesse essere in origine.
La costruzione dell'acquedotto mise alla prova le capacità e la conoscenza degli ingegneri romani. I romani soffrivano a volte di bassa qualità nelle grandi opere, come testimoniato da Sesto Giulio Frontino, responsabile delle risorse idriche della città di Roma che scrisse:
«Nessun'altra costruzione richiede maggiore cura di una che è destinata a contenere acqua. In ogni caso è necessario supervisionare tutti gli aspetti del progetto con grande attenzione - seguendo rigidamente le regole, che tutti conoscono, ma che pochi seguono»
Considerando la quantità di studi topografici, costruzione sotterranea, e lavori di muratura, una costruzione di queste dimensioni non si sarebbe potuta costruire in un blocco unico. Al contrario, gli ingegneri divisero l'intero tratto in lotti più piccoli. Attraverso ricerche archeologiche sono stati determinati i confini di queste zone. Ogni lotto comprendeva un tratto di 15.000 piedi romani (4.400 metri). È stato dimostrato anche che gli studi topografici vennero svolti in momenti diversi da quelli della costruzione stessa, proprio come accade per le odierne grandi opere.
Ogni metro dell'acquedotto ha comportato lo scavo di circa 3–4 m³ di terra, e la costruzione di 1,5 m³ di struttura in mattoni e calcestruzzo, oltre a 2,2 m² di intonacatura. Il costo complessivo del lavoro è stato stimato in 475 000 giorni di lavoro: considerando una media di 180 giorni di lavoro all'anno a causa delle condizioni atmosferiche, 2.500 lavoratori impegnati per 16 mesi avrebbero completato il progetto. La reale durata dei lavori sembra essere stata molto maggiore, soprattutto per il fatto che a questo calcolo va aggiunto il tempo necessario per gli studi topografici e la produzione del materiale edile.
Dopo il completamento della costruzione, i vari tratti vennero uniti, la superficie del suolo riappiattita, e venne creato un percorso di manutenzione. Questo percorso serviva anche a delimitare le aree in cui era vietata l'agricoltura. Altri acquedotti romani sono dotati delle stesse strutture. Quello di Lione in Francia venne contrassegnato dalla seguente iscrizione:
«Per volere dell'imperatore Publio Elio Traiano Adriano, a nessuno è permesso di arare, seminare o piantare all'interno del terreno predisposto alla protezione dell'acquedotto»
Dopo aver scelto una buona posizione per l'acquedotto, fu necessario garantire una pendenza costante per tutto il percorso. Usando arnesi simili alle attuali livelle gli ingegneri romani erano in grado di mantenere una pendenza che si aggirava attorno allo 0,1% (un metro di dislivello per ogni chilometro). Oltre alla pendenza, era necessario unire tratti diversi dell'acquedotto senza sbalzi.
I costruttori dell'Eifel fecero attentamente uso della pendenza naturale del terreno. Se i lavori di un segmento arrivavano troppo vicino a quello successivo, veniva creata una piscina in modo da rallentare il flusso dell'acqua.
Il calcestruzzo usato per l'Eifel era una combinazione di calcare, sabbia, pietre ed acqua. Vennero usate delle tavole per dare al forma al calcestruzzo. Le analisi moderne svolte per testare la qualità del calcestruzzo hanno dimostrato che sarebbe in grado di rispettare gli attuali standard. Questo particolare calcestruzzo veniva chiamato opus caementicium in lingua latina.
L'acquedotto venne usato per 180 anni, dall'80 al 260, richiedendo manutenzione continua, miglioramenti, pulizia e raschiatura dei depositi di calcare. I lavori di manutenzione erano facilitati da pozzi disposti a distanza regolare, attraverso i quali gli operai scendevano nell'acquedotto. Altri pozzi vennero costruiti nei punti in cui si effettuavano delle riparazioni e nei punti di confine tra diversi lotti di costruzione. C'erano anche piscine nei punti in cui varie sorgenti si univano al corso principale, in modo che i manutentori potessero tenere sott'occhio le aree problematiche.
Nei chilometri che precedevano l'antica città, l'acquedotto lasciava il terreno supportato da un ponte alto circa 10 metri. Questa costruzione permetteva all'acqua di essere consegnata anche alle zone cittadine sopraelevate tramite tubi pressurizzati. I tubi del tempo erano costruiti con lastre di piombo piegate ad anello, saldate o con flange che permettevano di unire porzioni diverse. I romani usavano arnesi in bronzo come rubinetti.
L'acqua arrivava alle varie fontane pubbliche cittadine, sempre in funzione. La rete di fontane era talmente fitta che nessun cittadino doveva fare più di 50 metri per prelevare l'acqua. Inoltre varie abitazioni e bagni pubblici, come i sanitari pubblici, erano riforniti di acqua. L'acqua persa era raccolta in una rete di canali che scorreva sotto la città portando fino al Reno. Una parte del sistema fognario è aperto ai turisti sotto via Budengasse, a Colonia.
L'acquedotto Eifel venne distrutto dalle tribù germaniche nel 260, durante un attacco a Colonia, e non venne mai più rimesso in funzione, anche se la città continuò ad esistere. Nel corso della migrazione di varie tribù attraverso la regione, la tecnologia degli acquedotti cadde in disuso. L'intero acquedotto rimase interrato per 500 anni, finché i Carolingi iniziarono una nuova costruzione nella valle del Reno. Dal momento che questa zona era particolarmente povera di pietre, l'acquedotto divenne una fonte di materiale edile. Sezioni intere dell'acquedotto vennero usate per costruire varie mura nella valle del Reno, ad esempio. Alcune di queste sezioni sono tuttora coperte dall'intonacatura che ricopriva l'acquedotto. Tutte le parti esposte dell'acquedotto, e buona parte di quelle interrate, vennero usate durante il Medioevo per altre costruzioni.
In particolare era ricercato il calcare situato all'interno. Durante gli anni in cui l'acquedotto venne usato, alcuni tratti si ricoprirono di strati di calcare spessi fino a 20 cm. Il materiale aveva una consistenza simile al marmo rosso, ed era facilmente estraibile. Dopo la lucidatura mostrava venature, e poteva essere usato per tavole di pietra una volta tagliato. Queste pietre artificiali vennero usate per tutta la valle del Reno, ed era particolarmente popolare per la costruzione di colonne, infissi ed altari. Si trovano prove dell'uso di "marmo Eifel" molto ad est, fino a Paderborn e Hildesheim, dove vennero usati nella costruzione delle cattedrali. La Cattedrale di Roskilde, in Danimarca, è il punto più settentrionale raggiunto da questo materiale, sotto forma di pietre tombali.
Secondo una leggenda medievale l'acquedotto rappresentava un passaggio sotterraneo da Treviri a Colonia. Secondo la leggenda il diavolo scommise con l'architetto del Duomo di Colonia che sarebbe riuscito a costruire questo passaggio prima del termine della sua costruzione. L'architetto accettò la scommessa e fece lavorare duramente i suoi sottoposti. Un giorno la costruzione del Duomo causò la rottura dell'acquedotto, e si vide l'acqua scorrere al suo interno. Si dice che il diavolo costrinse poi l'architetto a suicidarsi saltando dal campanile incompleto della cattedrale. Si crede che la morte dell'architetto (e non la mancanza di fondi) fu la causa di un ritardo secolare nel suo completamento.
Un po' di scritti medievali sull'acquedotto non riescono a spiegarne il motivo della costruzione. Secondo alcuni non trasportava acqua in città, ma vino; è questo il caso del Gesta Treverorum di Maternus, vescovo di Colonia (IV secolo), e del Hymn to Saint Anno dell'XI secolo.
Il Römerkanal-Wanderweg (percorso escursionistico dell'acquedotto Eifel) percorre circa 100 km lungo il percorso originario da Nettersheim a Colonia. I collegamenti del trasporto pubblico sono buoni, e permettono di fare a piedi diversi tratti. Può essere usato anche come pista ciclabile. Ci sono circa 75 stazioni informative lungo il percorso, fornendo un'ottima vista dell'acquedotto.
Ricerche archeologiche vennero svolte sull'acquedotto Eifel a partire dal XIX secolo. CA Eick fu lo scopritore della sorgente più distante da Colonia, la Grüner Pütz presso Nettersheim (nel 1867). Studi sistematici vennero svolti tra il 1940 ed il 1970 da Waldemar Haberey. Il suo libro del 1971 è ancora un'ottima guida lungo tutto il percorso. Nel 1980 l'archeologo Klaus Grewe ne completò la mappatura aggiungendola alla mappa catastale ufficiale tedesca. Il suo Atlas der römischen Wasserleitungen nach Köln (Atlante degli acquedotti romani di Colonia) è molto utilizzato dai ricercatori specializzati in architettura romana.
L'Eifel è un sito di alto valore archeologico, particolarmente per lo studio della topografia romana, della loro abilità organizzativa, e della conoscenza ingegneristica. È anche un simbolo struggente della perdita della conoscenza durante il declino della civiltà tra il Medioevo e l'era moderna, in cui il miglior uso trovato per l'acquedotto fu quello di cava di pietre. Il livello raggiunto dalla tecnologia romana in questa zona non è stato più eguagliato prima del XIX-XX secolo

(nelle foto, dall'alto in basso:
- piccola sezione dell'acquedotto conservata a Buschhoven, vicino a Bonn
- acquedotto ricostruito nei pressi di Mechernich-Vussem
- la sorgente di Grüner Pütz che contiene una piscina romana
- pozzo attraverso il quale il personale della manutenzione poteva entrare nel canale
- parte di acquedotto a Euskirchen Kreuzweingarten che mostra la formazione di carbonato di calcio sul fianco del canale  
- colonna della chiesa dei Santi Chrysanthus e Daria, a Bad Münstereifel, che venne scolpita con il calcare estratto dai depositi dell'acquedotto
)  

GERMANIA - Porta Nigra


La Porta Nigra (in latino: porta nera) è un'ampia porta romana della città di Treviri, in Germania. Attualmente è la porta romana più grande al nord delle Alpi e fa parte del complesso dei Beni patrimonio dell'umanità di Treviri, così inserito nell'Elenco dei patrimoni dell'umanità dall'UNESCO nel 1986.
Il nome Porta Nigra è stato coniato nel Medioevo a causa del colore scuro della sua pietra; il nome originale romano non è stato conservato. Gli abitanti locali comunque usano chiamare la Porta Nigra semplicemente Porta.
La Porta Nigra è stata costruita in arenaria grigia tra il 180 e il 200 d.C. La porta originale era composta da due torri di quattro piani, formanti un semicerchio sul lato esterno. Un blocco di pietra separava i due portali, apribili su entrambi i lati. Tuttavia per ragioni sconosciute la porta rimase incompiuta: in ogni caso venne utilizzata per molti secoli fino alla fine dell'era romana a Treviri.
Durante l'epoca romana, la Porta Nigra faceva parte della composizione a quattro porte della città, ognuna delle quali era posta a ogni lato della città omonima, a forma rettangolare, o a castrum. La Porta Nigra controllava l'entrata a nord della città, mentre la Porta Alba (Porta Bianca) controllava la zona sud e la Porta Inclyta (Porta Famosa) la parte ovest, vicino al ponte romano che attraversava il fiume Mosella. Le porte erano poste alla fine delle due vie principali della città, una delle quali andava da Nord a Sud e l'altra da Est a Ovest. Di queste porte è rimasta solo la Porta Nigra.
Nel primo Medioevo, le porte della città romana non vennero usate con la loro funzione originale, e le loro pietre vennero portate via e riutilizzate per altri edifici. In più, ferro e altri oggetti vennero tolti dai muri della Porta Nigra. Oggigiorno le tracce di questa distruzione e razzia sono ancora visibili sulla facciata nord della porta.

Dopo il 1028, il monaco greco Simeone di Siracusa visse come eremita nelle rovine della porta. In seguito alla sua morte (1035) e santificazione, venne costruito nei pressi della porta il monastero Simeonstift per onorarlo. Dopo essere stata salvata da un'ulteriore distruzione, la Porta Nigra venne trasformata in chiesa. I piani a metà della porta vennero trasformati in navate, quello superiore utilizzato dai monaci, quello inferiore per la gente comune. Il piano terra con le porte stesse venne sigillato e venne inoltre costruita un'ampia scala esterna che dava sulla città e arrivava sino al piano più basso della chiesa. Una piccola scala venne inoltre costruita per accedere ai piani superiori. Le stanze della chiesa erano poi accessibili tramite finestre precedenti della torre ovest della Porta Nigra, che erano state allargate e diventate porte d'ingresso (sono tuttora visibili). Il tetto del piano più alto della torre ovest venne utilizzato come la torre della chiesa, mentre la torre est, più bassa dell'altra, venne ampliata in alto con un'abside. Venne in più costruita una porta, molto più piccola, la porta Simeon - adiacente al lato est della Porta Nigra e utilizzata quindi come ingresso di servizio in tempo medievale.
Insieme alla grande maggioranza delle chiese e dei monasteri di Treviri, la chiesa nella Porta Nigra e il monastero al suo interno vennero fatti chiudere da Napoleone Bonaparte nel 1802. Durante la sua visita a Treviri nel 1804, Napoleone ordinò che la Porta Nigra venisse riportata alla sua forma originale. Solo l'abside venne tolta, e la torre est non venne ricostruita alla sua altezza originale. Una leggenda locale sostiene che gli abitanti di Treviri convinsero Napoleone che la porta era stata un tempio pagano prima di essere trasformata in chiesa (in poche parole, gli parlarono semplicemente delle sue origini romane). Si dice che questo fatto impedì che la costruzione venisse distrutta e persuase Napoleone a cercare di farla ritornare alla sua forma originale.
Nel 1986 la Porta Nigra è stata nominata patrimonio dell'umanità, insieme ad altre opere romane a Treviri e nelle zone circostanti.
L'aspetto moderno della Porta Nigra non è cambiato dalla ricostruzione voluta da Napoleone. Sul lato sud della Porta Nigra, resti di colonne romane delineano gli ultimi 100 m prima della porta. Lasciate dove si trovavano ai tempi romani, danno la visione di come dovesse essere l'aspetto della strada romana originale che era in linea con i colonnati.
Anche se la zona circostante la porta è oggi chiusa al traffico delle automobili, si trova vicino ad una delle vie principali di Treviri. In aggiunta all'inquinamento generale, i fumi e i gas di scarico degli autoveicoli hanno quindi danneggiato le pietre per decenni, tuttavia in generale la Porta Nigra si è conservata in buone condizioni.
La Porta Nigra, inclusi i piani superiori, è aperta ai visitatori. In estate le visite guidate vengono anche effettuate da un attore travestito da centurione in armi. Nel 2017 la Germania ha emesso una moneta da 2 euro raffigurante la Porta Nigra.

GERMANIA - Ara di Domizio Enobarbo (Francia)

 

La cosiddetta Ara di Domizio Enobarbo è un'opera della scultura romana tardo repubblicana in quattro lastre conservate in parte al Museo del Louvre e in parte alla Gliptoteca di Monaco.
Le lastre a bassorilievo provengono dal tempio di Marte (o di Nettuno) situato sotto la chiesa di San Salvatore in Campo presso il Circo Flaminio e componevano una base per statue lunga metri 5,65 x 1,75 e alta 78 centimetri. Secondo Plinio il Vecchio vi erano poggiate le sculture di Nettuno, di Anfitrite, di Achille e delle Nereidi, copia da Skopas. L'opera è anteriore alla riforma mariana del 107 a.C.
L'ara è uno dei migliori esempi di arte eclettica romana dopo la conquista della Grecia e la massiccia influenza dell'ellenismo nel mondo dell'arte e della cultura romana. È databile in un'epoca di poco anteriore alla riforma di Mario dell'esercito (107 a.C.), come confermano anche i particolari iconografici (la toga corta o la tipologia delle armature dei soldati).
La base ha pilastrini agli angoli e su tre lati ha un thiasos (corteo che celebra il culto di un dio) che partecipa alle nozze tra Nettuno e Anfitrite, seduti su un carro trainato da tritoni ed accompagnati da pistrici, tritoni e nereidi (sezione conservata a Monaco). Questa raffigurazione rientra nella tradizione ellenistica e neoattica, con confronti possibili con molte opere coeve. I volti, la muscolatura studiata, i panneggi curati, il movimento disinvolto e le posizioni scelte riecheggiano famose opere d'arte ellenistiche.
Il quarto lato (conservato a Parigi) è invece diverso per stile e per soggetto, con la celebrazione, attraverso precise allusioni, di un intero lustrum censorio, cioè della cerimonia con la quale i censori, alla fine della loro carica quinquennale, celebravano un sacrificio espiatorio per tutta la popolazione. Questa raffigurazione ricade, a differenza del thiasos, nella concezione narrativa e didascalica dei romani, che comunque non era una narrazione "veristica", ma verosimile e con intenti
di raffigurare simbolicamente un avvenimento.
La differenza di stile era anche causata dai diversi modelli ai quali si ispiravano gli artefici: per il thiasos esisteva la secolare tradizione ellenistica, mentre per il lustrum si trattava probabilmente di una delle prime raffigurazioni ufficiali di questo tema, almeno su bassorilievo (probabilmente fece da modello la pittura trionfale). Nonostante le notevoli differenze però è verosimile che gli autori delle due scene siano i medesimi, come dimostra il confronto dei dettagli e della tecnica scultorea.

GERMANIA - Cenotafio di Druso

 


Il Cenotafio di Druso (in tedesco Drususstein, letteralmente: Pietra di Druso) è una tomba romana risalente al I secolo d.C., le cui vestigia sono visibili sulla parte meridionale della Cittadella di Magonza.
La sua costruzione circolare è il più grande monumento funerario romano che si conservi attualmente in Germania, accanto ai resti dell'acquedotto romano (il cosiddetto Römersteine), uno dei resti dell'antico castrum legionario romano di Mogontiacum. 
Originariamente era rivestito di marmo. Gli studiosi sono concordi che si tratti dei resti strutturali del cenotafio menzionato da scrittori come Eutropio e Svetonio , eretto nell'anno 9 a.C. dalle truppe romane in onore del defunto generale Druso, a Mogontiacum (ora Magonza ), Druso maggiore, figlio di Livia Drusilla, terza moglie di Augusto. L'associazione al nome del generale romano si deve a un'iscrizione latina in cui si cita Druso sul Reno. Druso morì dopo essere caduto dal suo cavallo il 9 a.C., quando tornava dalle operazioni di conquista che portò avanti in Germania.
Dopo essere stato privato del suo involucro di marmo nell'alto medioevo , il Drususstein servì come torre di guardia nelle fortificazioni della città nel XVI secolo. A tale scopo furono realizzati una scala e un telaio della porta nella struttura, che fino a quel momento era stata una solida costruzione. Oltre ai pilastri degli acquedotti e al palcoscenico del teatro, il Drususstein è una delle poche testimonianze visibili della Mogontiacum romana. Insieme alla Colonna dell'Igel è l'unico monumento funerario dell'antichità a nord delle Alpi rimasto nella sua posizione originaria  
 
Al cenotafio di Druso è stata dedicata l'emissione di un francobollo della Deutsche Bundespost del 1962, in occasione della celebrazione del secondo millenario dalla fondazione della città di Magonza.

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...