Gli edifici, a seconda della
pubblicazione, possono assumere nomi diversi che possono trarre in
inganno, per esempio il recinto delle feste è chiamato anche recinto
delle riunioni e la curia capanna delle riunioni. Pertanto, per
indicare in modo univoco gli edifici, si usa il numero che fu loro
attribuito dal Taramelli nella sua rappresentazione generale del
sito. Tuttavia quando tale pianta fu pubblicata nel 1931, per motivi
di formato grafico del volume, venne eliminata un'ampia porzione
vuota tra il recinto delle feste ed il gruppo delle abitazioni e la
curia. Anche la pianta pubblicata successivamente e quella esposta ai
visitatori nel sito archeologico mantengono lo stesso errore. Solo le
foto aeree ne danno invece la reale dimensione.
Protonuraghe
e nuragheIn
prossimità del margine occidentale del sito, vicino alla chiesetta
di Santa Vittoria, si ergono i resti di una torre nuragica costruita
con filari di blocchi in basalto, dal diametro esterno di circa 7,5 m
e dalle feritoie strombate verso l'interno, databile al Bronzo
recente (1300- 1220 a.C.) Da essa parte un corridoio lungo circa 18 m
ed alto 1 sostenuto da due ali di blocchi di basalto aggettanti che
in origine formavano una copertura. Il corridoio raggiunge il
muraglione di margine della giara. Le strutture megalitiche tra
corridoio e muraglione sono state attribuite ad un protonuraghe (o
pseudo nuraghe) databile al Bronzo medio (1500 – 1330
a.C.). Sulle rovine di questo complesso venne eretta in epoca
romana una scalinata di lastre di calcare bianco che conduceva ad un
piccolo edificio di forma rettangolare all'esterno e quasi circolare
all'interno, costruito in muratura, con pavimento in cocciopesto e
copertura in tegole. Taramelli individuò in questo edificio la aedes
victoriae o tempio della vittoria in ricordo della vittoria
romana sui sardi e della distruzione del santuario nuragico. Sempre
secondo Taramelli questa titolazione diede il nome alla chiesetta e
poi all'intero sito.
Tempio a
pozzo
Il tempio a pozzo è il luogo più importante di tutto il santuario,
tale da essere riconosciuto per primo e subito oggetto di scavi.
Datato al IX Sec. a.C. dall'archeologo Anati nel
1985, il tempio fu eretto con muratura isodoma, a
filari regolari, di blocchi ben squadrati di basalto e calcare che
danno un effetto bicolore che colpì anche Taramelli per la sua
precisione costruttiva priva di malta. Ha un'altezza residua di circa
3 m sotto il piano di campagna e di circa 1,2 m al di sopra ed è
costituito da un pozzo circolare di circa 2 m di diametro. L'acqua
sacra si raccoglie in un bacino con fondo arrotondato alla base del
pozzo stesso, attraverso appositi fori nel paramento murario che
lasciano filtrare l'acqua piovana. Il muro è realizzato con grande
regolarità ed è composto da venti filari di pietre di basalto nero
molto ben lavorati nella parte a vista e sagomati a cuneo nella parte
a contatto con il foro praticato nella roccia per ricavare il pozzo.
La
scala che discende al bacino è composta da 13 scalini ed ha un
passaggio leggermente trapezoidale che si stringe a 50 cm alla base.
Il soffitto della scala è gradonato. La conformazione delle
rovine fa presumere che il pozzo avesse, come altri pozzi sacri, una
volta a tholos in elevazione e che le due ali dell'atrio di accesso
dotate di sedili potessero essere coperte con un tetto in pietra a
doppio spiovente ed un timpano triangolare, in maniera simile alla
nota fonte sacra Su Tempiesu di Orune, della quale è
rimasta la facciata addossata alla roccia. Il vestibolo del tempio è
di forma pressoché quadrata e contenuto nelle due ali laterali del
tempio. La pavimentazione è formata da lastre di calcare bianco
proveniente da Isili perfettamente interconnesse senza
l'uso di legante,

Vicino alla scala era posto un altare
rettangolare con una concavità dotata di foro di scarico, che a sua
volta dava su una canaletta trasversale che consentiva il deflusso
dei liquidi prodotti dai sacrifici senza farli mescolare con le sacre
acque del pozzo.
Il
tempio è circondato da un temenos, recinto sacro, di forma
ellittica, che aveva la funzione, come in altri templi, di separare
il tempio dal resto del sito. Il recinto è realizzato in opera
megalitica e cioè con pietre sbozzate, invece che perfettamente
squadrate come sono quelle del pozzo.
La pratica dell'ordalia e della cura delle infermità
(sanatio) nelle fonti d'acqua della Sardegna, confermata dalla
presenza di molti ex voto, è menzionata da Gaio Giulio
Solino il quale, nel III Sec. d.C., riferisce che «Sorgenti,
calde e salubri e pozzi in molti luoghi offrono una cura per le ossa
rotte e per dissipare il veleno iniettato dai solifugi e
anche per curare le malattie degli occhi. Ma ciò che cura gli occhi
è anche potente per scoprire i ladri. Perché chiunque nega un furto
con un giuramento, e si lava gli occhi con queste acque, se non è
spergiuro, vede più chiaramente, ma se nega falsamente la perfidia,
il suo crimine viene rivelato dalla cecità e prigioniero dei suoi
occhi, è spinto a confessare.»
Tempio
ipetrale
È un edificio di forma rettangolare (5,80 m x 4,80 m) orientato N-S
con struttura in blocchi di basalto appena squadrati in muratura
isodoma e probabile accesso da sud. Lo spessore dei muri è compreso
tra 1,60 e 2 m. Fu scavato nel 1919-20. Potrebbe essere stato
un bacino per immersioni rituali nell'acqua che tracimava dal vicino
tempio a pozzo e vi confluiva tramite ina canaletta erroneamente
eliminata durante gli scavi. L'opera si presenta molto
danneggiata perché le sue pietre furono in buona parte usate per
l'edificazione ed il restauro della vicina chiesa di Santa Vittoria
durante il medioevo e successivamente. Il fatto che questo
edificio fosse un tempio troverebbe riscontro nella presenza di due
altari, il primo più ampio (3,40 x 1,50 m) che poteva essere usato
per sacrifici di animali di grossa taglia, mentre il secondo, più
piccolo, sarebbe stato dedicato ai sacrifici di animali di taglia più
modesta. Accanto all'altare più piccolo vi è un vano rettangolare
forse usato per la conservazione degli ex voto. All'interno del
tempio furono rinvenuti numerosi manufatti di bronzo e d'argento tra
i quali bronzetti nuragici, figurine di animali e frammenti di un
carro a due ruote del IX-VIII Sec. a.C.
Tra i bronzetti figurati merita
attenzione il capo villaggio (oggi conservato al Museo
archeologico nazionale di Cagliari) che rappresenta una figura
maschile con la mano sinistra alzata in segno di saluto ed un lungo
bastone con pomello nella destra. Il volto presenta un naso allungato
e folte sopracciglia. Indossa un copricapo a calotta, un mantello che
gli avvolge alle spalle e una tunica con scollo a V, davanti al quale
pende un pugnale ad elsa gammata.
Qui
vennero anche ritrovati i probabili resti di una collana etrusca
costituita da elementi d’ambra a contorno rettangolare e
sezione ovale, decorati da costolature trasversali ascrivibile al
Bronzo Finale, attorno al principio del IX Sec. a.C. Etruschi erano
anche il disco a doppia lamina d’argento ornata da borchie che fu
un coperchio di pisside o una riproduzione di scudo in miniatura
attribuito al periodo 700- 675 a.C. ed i vasi in lamina di bronzo
ridotti a frammenti dall'incendio che devastò il sito in epoca
romana.
Via sacraCon
una lunghezza di circa 50 m unisce il tempio a pozzo con il tempio
ipetrale. Al fine di ottenere un percorso piano è realizzata in
parte livellando il fondo basaltico dell'altopiano ed in parte
lastricata con basoli posti su un terrapieno. Ha una larghezza
compresa tra 3 e 4 m.
Tempio in antis detto capanna del sacerdotePosta
immediatamente a sud del tempio ipetrale, è una costruzione
circolare con un diametro esterno di circa 8 m e muro in blocchi di
basalto. In origine aveva un tetto di forma conica sorretto da travi
in legno e coperto di paglia. La costruzione ha un accesso da sud
preceduto da un atrio rettangolare (da cui la denominazione in
antis) dotato di un sedile sulla sola ala ovest. Gli scavi hanno
portato alla luce un particolare bronzetto che rappresenta un
mutilato che offre la sua gruccia e che è stato interpretato come un
ex voto.
Gruppo del tempio in antis detto capanna del capoRispetto al pozzo sacro questo gruppo
si trova a nord ed in posizione un po' più elevata. È costituito da
tre capanne e dal tempio vero e proprio. Le capanne sono tra loro
interconnesse sono disposte a sud est del tempio. Due di esse sono di
forma circolare mentre la terza, ricavata tra le due precedenti, ha
una forma all'incirca quadrangolare.
Il tempio, come la precedente capanna del sacerdote, è costituito da
una struttura circolare – con un diametro esterno di circa 8,5 m ed
una altezza attuale di circa 3 m – preceduta, verso sud, da un
atrio rettangolare, con un sedile su ogni ala, posto davanti
all'ingresso strombato della camera circolare. Quest'ultima aveva
pavimento in argilla battuta, una copertura a tholos e 5 nicchie
nella muratura. L'atrio, con pavimento selciato, aveva probabilmente
un tetto a due spioventi. Gli scavi hanno evidenziato una notevole
presenza in epoca romana e precedenti ceramiche nuragiche, frammenti
bronzei di spade, di anellini, di un braccialetto e di
figurine.
Recinto
delle festeIl recinto delle feste, che Taramelli
aveva denominato recinto delle riunioni, ha pianta ellittica ed
è affacciato su un'ampia piazza di circa 40 x 50 m sulla quale si
affacciano i vari ambienti: porticato, mercato capanne, cucina. Si
suppone che questa struttura fosse il luogo dove i pellegrini
festeggiavano la divinità locale, con festeggiamenti che
richiamavano le genti vicine e avevano luogo per alcuni giorni. Si
suppone inoltre che qui si riunissero in assemblee federali
i clan più potenti delle popolazioni nuragiche abitanti la
Sardegna centrale, per consacrare alleanze o per decidere guerre. Le
strutture comuni erano organizzate in modo da far convivere la festa
religiosa e quella civile, il mercato con l'assemblea politica.
Giovanni
Lilliu ipotizzò che il recinto delle feste fosse il predecessore di
uno di quei complessi chiamati in lingua
sarda muristenes o cumbessias predisposto per
ospitare i pellegrini ed i fedeli convenuti per le festività nel
santuario nuragico. Tuttavia l'ipotesi di una continuità nell'uso
dei muristenes dal periodo nuragico fino ai nostri giorni non ha
ancora trovato sostegno: l'uso sardo di realizzare luoghi di
accoglienza dei pellegrini attorno alle chiese campestri sarebbe
infatti di origine bizantina o legata al monachesimo benedettino,
anche se i muristenes sono documentati solo a partire dal XVII
secolo. Potrebbe in alternativa essere un'usanza legata al periodo
della Controriforma e simile alla romería spagnola, cioè
quel pellegrinaggio nel corso del quale si svolgevano anche mercati e
feste popolari.
Il recinto dispone di due accessi, il
principale a sud-ovest ed il secondario a sud-est. Entrando
dall'ingresso principale in senso orario si incontrano il porticato
orientale, la fonderia, il mercato, le capanne, mentre oltre
l'ingresso secondario a sud si trova la cucina, seguita dal porticato
occidentale.
PorticatoÈ diviso in
due parti, quella occidentale (numero 25, a destra dell'ingresso per
chi entra) di circa 16 x 4 m e quella orientale (numeri 27 e 29) di
lunghezza circa doppia. È formato dal muro perimetrale del recinto
con nicchie a sedile e da pilastri, sul lato interno, che sostenevano
un architrave in legno sopra il quale poggiava la copertura ad una
falda in lastre di calcare a struttura lignea. La pavimentazione è
di lastre calcaree laddove non è presente quella naturale della
roccia sottostante. Durante gli scavi, sotto lo strato composto dai
detriti della copertura vennero ritrovati i resti dei pasti consumati
dai pellegrini che si riunivano nel recinto formati da «grande
quantità di ossa di animali, per lo più di bove, di pecora e di
porco», oltre a utensili di uso domestico.
Capanna
dei fonditoriÈ un edificio monovano di circa 7 m di diametro
interno a struttura isodoma di basalto. Lo scavo ha evidenziato la
presenza di resti di lastre di pietra che presumibilmente
costituivano la copertura del tetto con struttura a travi in legno.
Un sedile o bancone corre tutto intorno al perimetro interno. Sono
state rinvenute scorie di fusione di rame e piombo e strati di cenere
che hanno fatto presumere a Taramelli si trattasse di una fonderia
per la produzione di armi ed oggetti votivi. Lilliu ne dà una
lettura diversa ipotizzando che potesse essere un ambiente destinato
ad ospitare persone importanti dei clan locali.
All'esterno della capanna dei
fonditori, fuori dal recinto delle feste, si trova una struttura di
pietre di fabbrica meno curata che poteva essere un recinto per gli
animali, come un ovile.
MercatoÈ
costituito da una serie nove celle a pianta rettangolare chiuse dal
muro esterno del recinto e da muri trasversali. Ogni cella dispone
sui tre lati di un sedile ed è aperta verso la piazza. L'insieme era
dotato di copertura come il portico. Sono presenti in due celle
lastre che costituivano il bancone per l'esposizione della merce.
Tre capanneA sud-ovest del mercato si trovano
tre capanne, due a pianta circolare e la terza a pianta rettangolare.
Particolare attenzione merita quella più a nord che è detta capanna
dell'ascia bipenne (Taramelli 19). Ha ingresso a sud, verso la
piazza, un diametro di circa 6,5 m ed un muro perimetrale di basalto
spesso circa 1,3 m. La copertura era in lastre di calcare sorrette da
una struttura lignea radiale. Lungo tutto il perimetro interno si
trova un gradino in pietra che funge da sedile. Il pavimento è
lastricato con elementi di calcare e basalto. All'interno si trova un
basamento di altare sopra il quale era posta una calotta semisferica
in calcare ai cui piedi venne rinvenuta un'ascia bipenne in bronzo di
27 cm di lunghezza. Secondo Taramelli tale ascia poteva costituire un
elemento sacro cui sacrificare animali, le cui ossa furono rinvenute
in loco (bovini, suini, selvaggina e conchiglie di molluschi). Sempre
nella capanna venne ritrovata una moneta punica della zecca di
Sicilia che attesta la continuità d'uso della capanna almeno fino
alla data del conio nel IV Sec. a. C.
Sotto la pavimentazione ne venne
ritrovata un'altra, sempre in calcare, più antica. Nello strato tra
le due pavimentazioni furono rinvenuti manufatti nuragici tra i quali
un modellino di bipenne che attesterebbe l'origine del rito
dell'ascia al periodo nuragico attorno al VII Sec. a.C.
CucinaÈ
costituita da un ampio ambiente quasi quadrato di circa 6,5 m di lato
con grande ingresso posto verso nord ed accesso alla piazza centrale.
Come altre capanne del recinto si suppone avesse una copertura di
lastre in calcare sorretta da una struttura lignea. La parete opposta
alla porta dispone di una grande nicchia preceduta da tre blocchi di
basalto che avrebbero costituito gli alari della cucina. Gli scavi
infatti hanno riscontrato grandi avanzi di ceneri e di ossa di
animali domestici. Vicino alla porta si trovava un bancone costituito
da due lastre in pietra che poteva essere servito per porzionare gli
arrosti.
Recinto
dei suppliziÈ un insieme di edifici composto da un'ampia
fabbrica quasi circolare suddivisa in tre vani di cui uno a sua volta
circolare a cui si addossano altri due vani esterni. Aveva
probabilmente una copertura in travi di legno e paglia. Il vano
circolare più interno è il più curato e dispone di una muratura in
blocchi di basalto ed un ingresso con due stipiti sempre in basalto.
Taramelli
denominò questo complesso recinto dei supplizi, ipotizzando che qui
venissero eseguite le condanne sancite dal tribunale riunito nella
vicina curia. L'interpretazione contemporanea è quella di una
importante abitazione che subì nel tempo uno sviluppo dall'interno
verso l'esterno.
Gruppi
di abitazioniSono
situati ad est del recinto delle feste. Il primo gruppo, più a nord
è costituito da un piazzale attorno al quale si sviluppano varie
capanne. Tra esse la più significativa è quella detta recinto della
stele o capanna del doppio betilo, composta da un vano quasi
circolare di circa 6 m di diametro al cui ingresso sono poste due
lastre di calcare. Il pavimento è in parte ricoperto in lastre di
calcare dove il fondo basaltico naturale non affiora direttamente. Un
basamento sul fondo della capanna sosteneva un doppio betilo (ora
conservato al Museo archeologico nazionale di Cagliari) che dà il
nome all'edificio. Consiste in un cippo di calcare, alto circa un
metro, composto da due piccole colonne unite da una fascia a rilievo
che rappresentava un modello di nuraghe usato come altare. Il
secondo gruppo contiene due capanne circolari vicine e collegate da
un muro di spina.
CuriaÈ l'edificio più lontano dall'area
sacra e fu tra i primi ad essere rinvenuti dal Taramelli nella prima
campagna di scavi (1909-1910). Ha pianta circolare con un diametro
esterno di 14 m ed un diametro interno di circa 11 m. È costruito
con filari di blocchi di basalto ed è dotato di un accesso rivolto a
SE con soglia in pietra. La pavimentazione è un acciottolato che era
originariamente ricoperto di uno strato di argilla nera battuta.
Lungo tutto il perimetro interno corre un sedile realizzato in
blocchi di calcare alto circa 35 cm che poteva contenere circa 50
persone. A circa 3 m d'altezza correva una mensola in lastre di
calcare bianco di cui resta in sito solo un piccolo numero in quanto
la maggior parte di esse fu utilizzata per la costruzione di tombe di
epoca romana. La parete interna è dotata di cinque nicchie che
avrebbero contenuto oggetti di uso rituale. In corrispondenza di una
di esse il sedile è interrotto per ospitare una vaschetta litica,
probabilmente usata per contenere le ceneri dei sacrifici, davanti
alla quale si trovava un betilo di calcare alto circa mezzo metro e
di forma troncoconica, poggiante su base rettangolare. A lato della
porta fu inoltre rinvenuto un bacile di trachite.
Gli scavi hanno messo in luce figurine
di animali in bronzo che avrebbero rappresentato gli animali
realmente sacrificati e frammenti di modellini di navi con la prua a
corna di toro. Vennero anche rinvenuti oggetti di uso comune: un
pugnale, una lima, spilloni e soprattutto vasi in lamina di bronzo di
origine etrusca ed il torciere cipriota cilindrico decorato con tre
corolle di fiore (oggi conservato al Museo archeologico nazionale di
Cagliari) risalente alla fine del Sec. VII – prima metà del Sec.
VII a.C. Infine vennero rinvenute monete di zecca siciliana (IV Sec.
a.C.) e sarda (circa 240 a.C.)
Chiesa di Santa Maria della Vittoria
Nel punto più occidentale del complesso nuragico sorge la chiesetta
di Santa Maria della Vittoria che dà il nome all'intero sito. La
chiesa primordiale venne eretta molto probabilmente in periodo
bizantino durante l'occupazione militare della Sardegna. È probabile
che tra l'VIII ed il IX Sec. d.C la chiesa venisse ricostruita, forse
per mano dei monaci benedettini vittorini di San Vittore di
Marsiglia. Si presenta in stile romanico con una pianta
originariamente ad una navata, cui ne venne successivamente aggiunta
un'altra, quasi completamente distrutta e ricostruita in anni
recenti. È ancora oggi luogo di culto locale. A lato della
chiesa sono i resti di un antico cimitero. La festa di Santa
Vittoria ricorre l'11 settembre, giorno legato al rinnovo dei
contratti agrari e pastorali nel quale si tiene una processione fino
alla chiesetta.
ScaviIl
sito di Santa Vittoria fu sconosciuto fino all'inizio del ventesimo
secolo quando il medico condotto di Gergei, il dott. Marogna,
amico dell'archeologo Antonio Taramelli, direttore del museo di
Cagliari e degli scavi di antichità della Sardegna, gli indicò il
sito di Santa Vittoria come degno di interesse.[17]
La prima campagna di scavi fu condotta
nel 1909-1910 dallo stesso Taramelli con la collaborazione
dell'archeologo cagliaritano Filippo Nissardi e
dell'ispettore del Museo preistorico ed etnografico di
Roma Raffaele Pettazzoni. I primi edifici messi in luce furono
la cinta muraria, il tempio a pozzo e la capanna delle riunioni (o
curia). La campagna del 1919 – 1921 recuperò significativi bronzi
votivi. Nelle campagne tra il 1922 ed il 1929 furono scoperti il
tempio in antis detto capanna del capo ed il recinto delle feste,
oltre ad altri edifici.
Taramelli
iniziò le pubblicazioni di Santa Vittoria nel 1914 e le concluse con
i due tomi del 1931 pubblicati dall’Accademia dei Lincei.
Fu durante la sua prima campagna di scavi che Taramelli individuò
l'edificio romano che denominò aedes victoriae da cui
prese il nome la chiesetta e da essa il sito. Tale cella fu tuttavia
demolita dal Taramelli stesso come da questi documentato nel 1931 per
completare l'esposizione del sottostante strato nuragico.
Nel
1963 Ercole Contu della Soprintendenza alle Antichità di
Sassari e Nuoro restaurò il recinto delle feste ed il tempio
ipetrale. In tale occasione vennero recuperati importanti reperti
ceramici nuragici e di resti dei pasti consumati nel recinto stesso
(cinghiale).
Scavi recenti sono stati condotti nel 1990, nel 2002 e 2006 a cura
della Sovrintendenza, nel 2011 e nel 2015 da Maria
Gabriella Puddu. Dal 1º ottobre 2019 la Soprintendenza
Archeologia, belle arti e paesaggio di Cagliari ha iniziato una nuova
campagna di scavi con lavori di consolidamento e restauro.
Durante le varie campagne di scavi sono stati ritrovati importanti
oggetti che hanno dato conferma dei rapporti che i nuragici avevano
con etruschi, fenici e ciprioti. Vale la pena menzionare una fibula
ad arco di violino in bronzo foliato, un disco a doppia lamina
d’argento, collane composte da elementi d’ambra e di pasta
vitrea, vasi in lamina di bronzo di origine etrusca ed in particolare
il torciere cilindrico decorato da tre corolle floreali di origine
fenicia proveniente da Cipro databile tra la fine dell’VIII - prima
metà del VII sec. a.C. Torciere e vasi bronzei sono stati
recuperati nella cosiddetta curia. Altri oggetti, come monete di
varie zecche, hanno sostanziato la continuità d'uso del sito nei
successivi periodi punico, romano, bizantino, medievale.