L'
arco di Settimio Severo è
un arco trionfale a tre fornici (con un passaggio
centrale affiancato da due passaggi laterali più piccoli), situato
a Roma, all'angolo nord-ovest del Foro Romano e sorge
su uno zoccolo in travertino, in origine accessibile
solo per mezzo di scale.
Eretto tra il 202 e il 203,
fu dedicato dal senato all'imperatore Settimio
Severo e ai suoi due figli, Caracalla e Geta per
celebrare la vittoria sui Parti, ottenuta con due campagne
militari concluse rispettivamente nel 195 e
nel 197-198.
L'arco era posto nel Foro a
fare da pendant ideale all'arco di Augusto, anch'esso
dedicato a una vittoria partica, e con l'arco di Tiberio e
il portico di Gaio e Lucio Cesare costituiva uno dei
quattro accessi monumentali alla piazza forense storica non
percorribile da carri: alcuni gradini sotto i fornici impedivano
infatti il passaggio delle ruote.
La
sua conservazione si deve al fatto che in epoca medievale vi fosse
stata addossata la Chiesa dei Santi Sergio e Bacco al Foro
Romano (addirittura il campanile era edificato sull'arco
stesso), cui l'arco apparteneva, ed altri edifici sempre collegati
alla chiesa, demolita all'inizio del XVI secolo.
L'arco, che era fino al 1700 parzialmente interrato per un terzo,
come testimonia una stampa del Piranesi, è stato completamente
dissotterrato nel 1804 per iniziativa di Pio VII, e
tra gli anni ottanta e novanta del '900 è stato sottoposto ad
importanti interventi di restauro.
L'arco, alto 26,42 metri, largo 23,27 e profondo 11,2, è
costruito in opera quadrata di marmo, con i tre fornici
inquadrati sul lato frontale da colonne sporgenti di ordine
composito, su alti plinti, scolpiti con Vittorie e figure di
barbari. Si tratta del più antico arco a Roma, conservato,
con colonne libere anziché addossate ai piloni.
I fornici laterali sono messi in
comunicazione con quello centrale per mezzo di due piccoli passaggi
arcuati.
Sui due lati
dell'alto attico è presente la seguente iscrizione:
«
All’Imperatore Cesare Lucio
Settimio Severo, figlio di Marco, Pio, Pertinace, Augusto, padre
della patria, Partico, Arabico e Partico Adiabenico, Pontefice
Massimo, rivestito della potestà tribunizia per l’undicesima
volta, acclamato imperatore per l’XI volta, console per la III
volta, proconsole; e all’Imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino,
figlio di Lucio, Augusto, Pio, Felice, rivestito della potestà
tribunizia per la VI volta, console, proconsole, padre della patria,
ottimi e fortissimi principi, per aver salvato lo stato e ampliato il
dominio del popolo romano e per le loro insigni virtù, in patria e
all’estero, il Senato e il Popolo Romano.»
(CIL 06 1033)
La
quarta riga dell'iscrizione, dove compare patri patriae optimis
fortissimisque principibus, sostituisce il testo originario (cui si è
potuto risalire tramite gli incavi ricavati per bloccare le lettere
metalliche e che era: ET P(ublio) SEPTIMIO L(uci) FIL(io) GETAE
NOBILISS(imo) CAESARI) riportante la dedica a Geta e che venne
cancellato e sostituito dopo il suo assassinio e la seguente damnatio
memoriae,
Sopra l'attico, come raffigurato in
alcune monete romane, si trovava la quadriga imperiale in bronzo e
gruppi statuari raffiguranti Severo e i suoi figli.

I due lati principali dell'arco erano
decorati da rilievi. Ai lati del fornice centrale si trovano le
consuete Vittorie con trofei, che volano sopra genietti che
simboleggiano le quattro stagioni (due per faccia). La cupola del
fornice è decorata da rose inserite in un soffitto a cassettoni
marmoreo. Sui fornici minori si trovano motivi analoghi a quello
contrale, ma le personificazioni rappresentano dei fiumi. Nelle
chiavi d'arco sono scolpite varie
divinità: Marte, Ercole, Libero, Virtus (forse)
e Fortuna. Sui fornici minori corre un piccolo fregio con la
processione trionfale scolpita da altissimo rilievo. Sui plinti delle
colonne rappresentazioni di soldati romani con prigionieri parti
(quattro sulla fronte e due sui lati minori).
Rilevanti,
anche dal punto di vista storico, sono i quattro grandi pannelli, in
origine probabilmente dipinti, che occupano lo spazio sui fornici
minori, dove è scolpita la narrazione delle campagne di Settimio
Severo in Mesopotamia, organizzate in fasce orizzontali da leggere
dal basso verso l'alto, come consueto nella pittura trionfale e nelle
narrazioni da essa derivate (colonna Traiana, colonna di Marco
Aurelio, ecc.).

Le scene sono:
- Primo pannello
(Sud-Est), Avvenimenti della prima guerra del 195:
Partenza delle truppe romane
dall'accampamento (registro inferiore)
Scontro tra Romani e Parti
(registro centrale)
Liberazione di Nisibis e
fuga del re dei Parti Vologase V (registro superiore a
destra)
Adlocutio all'esercito di
Severo sul suggesto, coi figli e gli alti ufficiali (registro
superiore a sinistra)
- Secondo pannello
(Nord-Est), Avvenimenti della seconda guerra del 197-198:
Partenza delle truppe con le
macchine da assedio (grande ariete testudinato) alla
volta di Edessa, che spalanca le porte in segno di accoglienza
e invia dignitari e vessilli per sottomettersi (registro inferiore)
Sottomissione del re
di Osroene Abgar VIII, il cui esercito si mescola a
quello romano e viene poi arringato dall'imperatore (registro
centrale)
Concilium imperiale in
un castrum presso un ariete (registro superiore a destra)
Profectio per la
penetrazione in suolo nemico (registro superiore a sinistra)
- Terzo pannello (Nord-Ovest):
Avvicinamento dei Romani
a Seleucia, da dove i Parti fuggono a cavallo (registro
inferiore)
I Parti si arrendono
supplichevoli a Severo (registro centrale)
Severo fa l'ingresso nella città
conquistata (registro superiore)
- Quarto pannello (Sud-Ovest):
Assedio con le macchine da guerra
alla capitale dei Parti, Ctesifonte (registro centrale),
dalla quale fugge a piedi il re Vologases (estrema destra in basso)
Scena non identificata, con
cavalieri a piedi nella rappresentazione di Ctesifonte (forse
l'elevazione di Caracalla al titolo di Augusto, che
avvenne in quell'occasione, registro superiore a destra)
Adlocutio di Severo
(registro superiore al centro)
Un cavaliere in piedi che allude
al ritorno dalla spedizione (angolo in alto a sinistra)

La decorazione accessoria segue lo
stile classico dell'arte ufficiale ed è tesa a esaltare con simboli
e allegorie l'eternità e l'universalità dell'Impero (le stagioni, i
fiumi della Terra), oltre alla gloria degli imperatori (Vittorie,
prigionieri). Forte è la connotazione chiaroscurale.
Le scene
scolpite vennero probabilmente create usando come modello le pitture
che narravano i fatti della guerra inviate dalla Mesopotamia al
Senato in preparazione del trionfo[5], che poi venne rimandato
dall'imperatore e mai celebrato. I modelli più diretti per i rilievi
furono sicuramente le due colonne coclidi, cioè quella Traiana e
quella Aureliana, in particolare la seconda per la tecnica
narrativa molto essenziale, qui ancora più riassuntiva e schematica.
L'ambientazione delle scene è unica,
con un generico paesaggio roccioso (ottenuto bucherellando la
superficie del marmo), con accenni di fiumi (come il Tigri nel
pannello di Nord-Ovest) e le schematiche raffigurazioni di città. La
narrazione in alcuni punti è continua, in altri mostra scene
isolate, istantanee. La comprensione dei fatti è spesso affidata a
gesti eloquenti e situazioni facilmente intelligibili.
Da un punto di vista stilistico alcuni
storici hanno individuato due maestri, anche se almeno tutti i
pannelli e il fregio sopra i fornici laterali sono opera unitaria,
con stringenti affinità con la colonna di Marco Aurelio, di
pochi anni anteriore. Qui però si registra la tendenza ad isolare
maggiormente le figure dallo sfondo tramite netti sottosquadri a
quella di preferire una rappresentazione piatta, pittorica.
Uno dei pannelli più significativi è
quello dell'Assedio e presa di Ctesifonte, dove è
particolarmente evidente l'uso del trapano, che crea zone
profonde con forti ombreggiature alternate a quelle in luce sulla
superficie, dando un effetto coloristico già visibile in alcune
opere sin dall'età di Antonino Pio.
Ma una novità ancora più eclatante è
la rappresentazione della figura umana, ormai appiattita in scene di
massa ben lontane dalla visione "greca" della
rappresentazione dell'individuo isolato e plastico. Si tratta di una
testimonianza evidente della nascita di nuovi stilemi legati al
filone dell'arte "provinciale e plebea" che
dominarono l'arte tardoantica sfociando poi nell'arte medievale.
Funzionari, artisti e imperatori stessi infatti provenendo dalle
province portarono a Roma, con un'influenza sempre crescente, i
caratteri dell'arte tipici proprio dei loro territori d'origine (non
è corretto quindi parlare di una "decadenza" dell'arte).
Un altro segno evidente di queste nuove
tendenze è la figura dell'imperatore che, circondato dai suoi
generali, arringa la folla durante l'adlocutio: non siamo ancora agli
ingigantimenti gerarchici tipici delle raffigurazioni imperiali del
IV secolo, ma già l'imperatore si trova su un piano rialzato,
emergendo sulla massa dei soldati come un'apparizione divina.
Queste tendenze furono ancora più
evidenti nell'Arco di Costantino, del secolo successivo.