mercoledì 14 maggio 2025

Sardegna - Domus de janas Riu sa Mela e is Concas

 
Le Domus de janas Riu sa Mela e is Concas sono delle tombe preistoriche situate a Guasila, in Sardegna.
Sulla base delle indicazioni fornite dai resti archeologici , le impronte più antiche lasciate dall'uomo nel territorio di Guasila risalgono al Neolitico Recente  (fine IV millennio a.C.).
Non essendo stati individuati agglomerati capannicoli e oggetti di cultura materiale attribuibili alla cultura di S.Michele Di Ozieri che caratterizza il Neolitico in Sardegna nei secoli a cavallo del 3000 a.C. la frequentazione umana dell’uomo risalente a questo periodo è suggerita da due gruppi di grotticelle funerarie artificiali dette a “domus de janas” scavate lungo alcuni banchi di tenera roccia arenaria.
Le domus situate nel territorio di Guasila sono quattro, due in località Riu sa Mela e due in località is Concas. In questi gruppi tombali gli ipogei sono articolati secondo uno sviluppo planimetrico comprendente vari ambienti, talora preceduto da un atrio o da un corridoio.
All'interno si notano elementi architettonici come nicchie, pilastri e banconi che imitavano analoghe parti strutturali delle abitazioni dei villaggi neolitici.
Di particolare pregio ed interesse è una delle domus de janas in località Riu sa Mela, per la presenza di due protomi zoomorfi scolpiti a rilievo sulla sommità dei pilastri che sorreggono la volta della struttura. Indagata da scavo archeologico nel 1981 da G. Lai, ne rivelò la totale espoliazione con suo riuso funerario, avvenuto giàin fase antica, rivenendo elementi di cultura materiale di pregio di età altomedievale riferiti alla sfera maschile e femminile.

Sardegna - Necropoli di Li Muri, Arzachena

 

La necropoli di Li Muri è un sito archeologico situato nel territorio del comune di Arzachena, in provincia di Sassari. La necropoli, datata al Neolitico medio o recente e ascrivibile alla cultura di Arzachena o "gallurese", è composta da cinque casse litiche, quattro delle quali contornate da circoli di pietre conficcate nel terreno che, originariamente, delimitavano il tumulo in terra e pietrisco che veniva eretto sopra la sepoltura.
Le casse sono a forma quadrangolare e sono formate da delle lastre di pietra. Al loro interno veniva sepolto il defunto, probabilmente singolarmente (a differenza dal resto della Sardegna dove le sepolture erano generalmente di tipo collettivo), il quale era accompagnato da un corredo funerario comprendente ceramiche, vasi in pietra, accettine e vaghi di collana in steatite e pietre dure.
Sia l'architettura della necropoli che i corredi rinvenuti mostrano analogie con siti contemporanei della Corsica e della regione provenzale e pirenaica.


Sardegna - Necropoli di Sos Laccheddos, Sassari


La necropoli di Sos Laccheddos è un sito archeologico situato nel territorio di Sassari, nella Sardegna nord-occidentale. È suddivisa in due gruppi di tombe posti a breve distanza l'uno dall'altro, ubicate tra la strada statale 127 bis e la nuova strada provinciale dell'Anglona a qualche chilometro a est del capoluogo, in direzione di Osilo.
La necropoli, già nota da fine '800, venne catalogata più approfonditamente in uno studio condotto a metà del secolo scorso dall'archeologo Giuseppe Chelo. In quest'area furono segnalati anche altri gruppi di tombe, censiti come necropoli distinte ma probabilmente tutti appartenenti ad un unico comprensorio facente capo al vasto insediamento preistorico di Abealzu. I numerosi ed importanti materiali eneolitici rinvenuti in loco, unitamente ai ritrovamenti di Filigosa (Macomer) diedero il nome alla cultura di Abealzu-Filigosa.
Alle 32 tombe censite nel suddetto lavoro altre 19 si aggiunsero in seguito ad indagini più recenti. La totalità degli ipogei sono del tipo a domus de janas suddivise in quattro necropoli - Sos Laccheddos, Calancoi, Badde Inza e Monte Barcellona - racchiuse in un'area di circa due chilometri quadrati.
La necropoli di Sos Laccheddos si trova tra quelle di Monte Barcellona e Calancoi. È l'aggregazione più numerosa: è infatti composta da 23 domus, quasi tutte pluricellulari, convenzionalmente suddivise in due gruppi, nord-ovest e sud-est, che constano rispettivamente di 15 e otto tombe, tutte ricavate nel tenero calcare miocenico del Sassarese.
La gran parte degli ipogei si presentano in cattive condizioni, rovinati a causa di scassi effettuati in riusi successivi. Le tombe V (monumentale) e XV (unica del tipo ad ingresso a pozzetto) sono state oggetto di specifiche indagini.


 

Sardegna - Necropoli di Mandra Antine, Thiesi

 

La necropoli di Mandra Antine è situata in località S'Ozastredu, nel territorio del comune di Thiesi, nella regione storica del Meilogu in provincia di Sassari, nella Sardegna nord occidentale. Il sito è stato indagato nel 1961 dall'archeologo Ercole Contu.
La necropoli è composta da quattro domus de janas ricavate in un costone trachitico, alle pendici del monte Ittiresu. Fra di esse spicca per importanza la tomba III, detta anche "Tomba Dipinta", considerata una delle testimonianze più interessanti del Neolitico sardo grazie ai raffinati affreschi ancora conservati al suo interno. A causa delle condizioni di abbandono in cui versa il sito gli affreschi subiscono un continuo e rapido degrado.
La Tomba I o Tomba delle paraste
La Tomba 1 è formata da quattro celle: due grandi e due piccole. Il vano d'ingresso è a pianta ovoidale ed è voltato, nelle murature sono presenti due lesene in rilievo di pochi centimetri. Il vano è largo 3.05 m. e lungo 4,80 m., l'altezza varia da 1,55 m. fino a 2,65 m. Proseguendo si accede ad una seconda cella abbastanza vasta (m. 1,65 x 5,05) coperta da una volta piana dell'altezza di m. 1,70; nella parete più interna si aprono dei varchi rettangolari che conducono alle celle minori.
La Tomba II

La tomba II è molto danneggiata: rimangono soltanto la metà di una bassa cella a volta piana, sulla parete vi sono tracce di colorazione in rosso.
La Tomba III o Tomba Dipinta
La Tomba III costituisce un importante esempio di architettura rupestre: di notevole importanza sono le decorazioni pittoriche delle pareti.


Sardegna - Tomba di Campu Lontanu, Florinas

 

La tomba di Campu Lontanu (o Campu Luntanu) è un sito archeologico situato nel comune di Florinas, in provincia di Sassari. Il monumento funebre è della stessa tipologia di altri sparsi nel territorio, tale tipologia è detta "domus a prospetto architettonico" ed è caratteristica del sassarese.
La tomba venne ricavata scavando un masso erratico di calcare distaccatosi dal vicino costone di Rocca Bianca. Sulla facciata principale, dotata di ingresso, fu realizzata una "stele centinata" alta quasi 4 metri sulla cui sommità erano originariamente posti tre piccoli betili. Nella facciata posteriore è osservabile un altro piccolo ingresso, forse di epoca anteriore.
La cultura materiale rinvenuta durante gli scavi è di tipo Bonnanaro (prima età del bronzo).

Sardegna - Nuraghe Arrubiu

 

Il nuraghe Arrubiu (nuraghe rosso in sardo) è un complesso nuragico situato nel territorio del comune di Orroli nella provincia del Sud Sardegna. Deve il suo nome al caratteristico colore rossastro dato dalle tracce di ferro nel basalto di cui sono composti i blocchi. Un'altra teoria vuole che il riferimento al colore rosso sia dovuto alla colorazione che assumono i licheni che crescono sulle sue pareti. Risulta essere il più grande e complesso nuraghe della Sardegna e tra i maggiori monumenti protostorici di tutto l'occidente europeo.
Il complesso nuragico risale al 1500 a.C. circa, il suo crollo è stato datato al IX secolo a.C. per cause ancora non certe e rimase disabitato fino al 100 a.C. quando arrivarono i Romani. È uno dei pochi nuraghi costruiti secondo un "progetto" edilizio, nonché uno tra i maggiori, costituito da una torre centrale circondata da altre cinque torri attorno alle quali si trova un antemurale (cinta esterna), con ulteriori sette torri che compongono un'altra cinta muraria difensiva, la quale racchiude diversi cortili intorno al bastione. È presente poi una seconda cortina muraria esterna con cinque torri ed una terza cortina con altre tre torri, non raccordate con quelle precedenti. Il numero totale delle torri è ventuno. Complessivamente copriva una superficie superiore a 5000 m².
La struttura
Durante gli scavi è stato rinvenuto un complesso sistema di drenaggio e di canalizzazione delle acque. Necessitano di essere descritti i due laboratori enologici, i cortili e alcune delle torri più importanti di questo sito.
Laboratorio Enologico

Questi due laboratori si trovano in due punti del sito. Il primo, di età romana è situato tra la torre D ed E (vedasi planimetria al lato), presenta una pianta quadrangolare non regolare adibita prettamente ad un'attività agricola praticata da una comunità romanizzata che ha trasformato alcune parti dell complesso nuragico in una sorta di villa rustica. Il secondo invece, si trova nel cortile centrale B sempre di età romana e adibito ad attività agricola. Ciò che accomuna questi ambienti inoltre è la presenza di vasche sovrapposte di arenaria usate per la pigiatura dell'uva e la raccolta del mosto.
Cortile X

Il cortile più grande del nuraghe da cui possiamo scorgere tre torri del bastione pentalobato. Sono visibili ancora buona parte dei crolli e i rilievi archeologici hanno permesso di mettere in luce le basi delle torri costruite secondo la tecnica megalitica: sovrapponendo grosse pietre e riempiendo gli spazi vuoti con pietre più piccole. In questa area è presente il mastio centrale (Torre A): raggiungeva un'altezza compresa tra i 25 e i 30 m e si suppone fosse la più alta sinora conosciuta: secondo i calcoli fatti inserendo i dati del materiale lapideo scavato (il mastio cadde tutto nel cortile interno, sigillandolo) e l'angolazione della parte ancora esistente, il software usato ha dato un'altezza di ben 27 metri. La Torre G invece risulta essere l'unica non collegata con il cortile, mentre la Torre F, situata alla fine del cortile, presenta una grande apertura non originale: la pietra obliqua è spezzata e priva di un blocco che ne sosteneva il peso e si presume che tale modifica sia stata fatta in epoca romana.
Cortile K1
Luogo in cui è stato ritrovato uno dei due laboratori artigianali per la produzione del vino ed è inoltre presente la Capanna delle Riunioni: la più grande capanna di epoca nuragica al cui interno si trova un sedile che corre lungo il perimetro interno. Al centro vi è la base di un focolare. Venne riutilizzata fino all'epoca romana e vandala.
Cortile B
Si tratta del cortile centrale in cui si trova un sistema di canalizzazione dell'acqua piovana all'interno di una cisterna visibile sul cortile. Quattro torri (C-D-E-F) più quella centrale A sono collegate con questo cortile.


Torre A

Originariamente, presentava tre piani sovrapposti di cui oggi ne resta solo uno. Al suo interno è presente la Tholos: una copertura circolare a falsa cupola ottenuta con un restringimento progressivo del cerchio di ciascun filare di pietre.
Torre C

Definita dagli archeologici torre delle donne in quanto sono stati ritrovati oggetti di uso femminile: fusaiole per filare la lana, aghi e pugnali in osso, macine per i cereali. Originariamente anche questa torre presentava una copertura a tholos.

Il sito archeologico è stato oggetto di sistematiche campagne di scavo solo a partire dal 1981, che ne hanno rilevato la complessità strutturale.
Per una presentazione generale del monumento e dello stato delle conoscenze fino alla metà del XX secolo, bisogna fare riferimento a quanto descritto dal Cavaliere Vittorio Anedda (1876 - 1959), Ispettore Onorario Antichità e Belle Arti, considerato il primo cultore, scopritore e studioso del "Gigante Rosso", che già nei primi decenni del XX secolo effettuò una accurata descrizione del sito, pubblicata poi nel Giornale d'Italia del 9 agosto 1922 "Dalla Sardegna. Un nuovo gigantesco nuraghe". La descrizione di Anedda, comprensiva di rilievi e planimetrie del monumento, è la prima ad essere stata fatta, precedendo di oltre trent'anni gli articoli scientifici dedicati al sito archeologico.
Gli scavi sono ripresi nel 2012 con cadenza annuale e sono caratterizzati dall'applicazione di metodologie stratigrafiche con le quali è stato possibile realizzare dettagliate ricostruzioni paleoambientali del sito. Si ritiene che una grossa percentuale del complesso sia ancora da scavare.
Nell'area circostante il nuraghe si possono osservare alcune capanne e una tomba dei giganti, chiamata Tomba della Spada, oggetto di recenti scavi.

Sardegna - Necropoli di Filigosa, Macomer

 

La necropoli di Filigosa è un sito archeologico situato nel territorio del comune di Macomer, in provincia di Nuoro.
È conosciuta per aver dato il nome a un'importante cultura dell'Eneolitico sardo, la cultura di Filigosa, strettamente collegata a quella di Abealzu, tant'è che si parla spesso di cultura di Abealzu-Filigosa.
La necropoli è composta da quattro domus de janas pluricellulari, scavate su un'altura tufacea e caratterizzate dalla presenza di lunghi dromos d'accesso.
Fu utilizzata dalle popolazioni protosarde dal III millennio a.C. fino ai primi secoli del II millennio a.C.; il rito funebre prevedeva la scarnificazione e la sepoltura in deposizione secondaria.
Venne scavata nel 1965 da Ercole Contu e successivamente da Alba Foschi negli anni ottanta.

Sardegna - S'acqua 'e is dolus, Settimo San Pietro


S'acqua 'e is dolus (italiano: "l'acqua dei dolori" con accezione "acqua che lenisce i dolori") è una domu de janas situata nelle campagne di Settimo San Pietro e datata al periodo 3400-2700 a.C..
Consiste di due camere collegate da un'apertura dall'altezza inferiore al metro, come l'ingresso principale. L'acqua di una sorgente vicina si infiltra ed entra nelle camere e, secondo la tradizione popolare, non solo sarebbe potabile, ma sarebbe anche in grado di lenire i dolori, donde il nome che significa "l'acqua che lenisce i dolori".
Secondo una leggenda popolare, San Pietro vi si fermò a riposare e vi pregò così a lungo da lasciare l'impronta delle sue ginocchia nella roccia. In passato, questa ricorrenza veniva celebrata ogni anno il 29 giugno, festa liturgica del santo, con una messa seguita dalla benedizione dell'acqua; attualmente si festeggia nei primi giorni di settembre.

Sardegna - Monte Sirai



 Monte Sirai è un sito archeologico nei pressi di Carbonia, nella provincia del Sud Sardegna. Monte Sirai è una celebre altura edificata dai Fenici di Tiro (provenienti da Sulci, l'odierna Sant'Antioco), ha i referenti nell'assiro Ṣuru, fenicio Ṣr, ebraico Ṣôr il cui significato è "roccia" o "scoglio" da cui il nome "Tiro". La storia degli studi di Monte Sirai ha una data ben precisa: l'autunno del 1962, quando un ragazzo carboniense ritrova una figura femminile scolpita su una stele del tofet. In seguito ad ulteriori sopralluoghi, nell'agosto 1963 la soprintendenza locale e l'Istituto di Studi del Vicino Oriente dell'Università "La Sapienza" iniziano gli scavi, che portano ad uno studio abbastanza completo di tutto l'abitato punico.
Data la posizione eccellente del territorio, il sito è stato meta d'insediamento fin dall'età neolitica.
Alcune torri nuragiche testimoniano infatti una vita intensa fin dalla prima metà del II millennio a.C. Le prime testimonianze fenicie risalgono al 750 a.C. circa, quando anche le altre città della Sardegna cominciano a presentarne le prime tracce. L'abitato si struttura intorno al cosiddetto mastio, luogo sacro oggetto di diverse ristrutturazioni, forse con funzione difensiva. Il ritrovamento di una statua della dea Astarte (oggi al Museo Nazionale di Cagliari), rinvenuta nel 1964, confermerebbe un utilizzo di tipo religioso.
L'abitato risente del tentativo di conquista cartaginese nel VI secolo a.C., con lo stanziamento di una dozzina di famiglie di origine nord-africana, deducibile dalla presenza di altrettante sepolture di tipo punico a ipogeo. La cinta muraria viene rafforzata intorno al 370 a.C., periodo in cui s'impianta il primo tofet locale. Un successivo restauro delle fortificazioni e del mastio si ha all'indomani della prima guerra punica; sotto l'amministrazione romana vennero smantellate tutte le strutture militari principali. Intorno al 110 a.C. il sito viene inspiegabilmente abbandonato: ulteriori frequentazioni sono testimoniate da alcune monete costantiniane trovate nel sacello del tofet.
Inizialmente supposto come centro militare, al contrario è oggi attestato che il sito ebbe prevalentemente funzione civile. L'abitato di età punica corrisponde alla zona dell'Acropoli e dell'opera avanzata, mentre il mastio è antecedente. L'area dell'abitato, identificata come acropoli, mostra all'ingresso un pomerio, un'opera difensiva ottenuta con un fossato artificiale, qui realizzato probabilmente sfruttando una crepa naturale già presente. Di fronte si trova la zona dell'opera avanzata, risalente al III millennio a.C., in cui emergono due edifici, oltre agli ambienti domestici.
L'unica opera pubblica conosciuta è il Mastio, fondamentale per il suo utilizzo continuativo dalla fondazione della città fino all'abbandono. Sono state individuate quattro fasi, di cui le prime due, quelle fenicia e punica (VI e V secolo a.C.) mostrano una preponderanza della funzione militare. In seguito, in età sardo-punica, nel III secolo a.C. circa, l'edificio viene adattato a tempio; questa funzione prosegue, affiancata a quella militare, sotto il dominio romano fra II e I secolo a.C. Fra le abitazioni, solamente due case sono state studiate approfonditamente: la Casa Fantar, dal nome del suo scavatore, priva di finestre con un ingresso a corridoio; a Casa del Lucernario di Talco, così definita per il ritrovamento di una lastra di talco che fungeva da lucernario, costituita da quattro vani.


È possibile datare la necropoli ipogea a partire dalla fine del VI secolo a.C., età in cui il centro fenicio di Monte Sirai, in concomitanza con il resto dell'isola, subì il tentativo di conquista da parte delle truppe cartaginesi. L'innesto di nuovi abitanti provenienti dall'Africa settentrionale comportò un cambiamento delle usanze funerarie: al rito dell'incinerazione, prevalente durante la fase fenicia, subentrò quello dell'inumazione, che prevedeva la sepoltura del cadavere intatto. Situata a nord-ovest dell'area funeraria arcaia ad incinerazione, la necropoli si compone di tredici tombe a camera, undici delle quali scavate nel tufo che ricopre la valle, le restanti due situate ai piedi della falesia su cui sorge il tofet e ottenute dall'ampliamento di due domus de janas. Un'ulteriore tomba, la n. 9, si presenta interrotta al solo corridoio d'accesso, forse a causa della scarsa qualità del tufo. 
Il tofet sorge intorno al 360 a.C., quando Cartagine decide di fortificare il sito, parallelamente alle altre cittadine sarde. È situato su un piazzale a due livelli, con le urne sepolte in quella inferiore: le urne sono totalmente pentole da cucina con un piatto di copertura, con all'interno le ossa di bambini ed alcuni animali. Sono stati ritrovati anche dei piccoli oggetti (amuleti, monili, vasellame in miniatura), che si pensa costituissero non il corredo, ma i giocattoli posseduti dai bambini. Gli strati di sepoltura sono due, il cui secondo - più piccolo - è in uso solamente dopo il 238 a.C.
Le stele del tofet di Monte Sirai rappresentano prevalentemente un tempio egittizzante, con elementi decorativi canonici: si suppone siano stati ispirati dal tofet della vicina Sulki. Sul livello superiore della terrazza è stato identificato un tempio, diviso in tre settori, di cui solamente due coperti. Nell'ultimo vano, oltre ai resti ossei, sono stati raccolti anche frammenti di alcune statue votive, probabilmente spezzate in occasione di un rito particolare.

Sardegna - Area archeologica di Matzanni


 L'area archeologica di Matzanni è un complesso di edifici sacri di età nuragica e punica situato a Vallermosa, nella provincia del Sud Sardegna, al confine con i comuni di Iglesias e Villacidro.
Il complesso nuragico, situato a 700 m. sul livello del mare nel comune di Vallermosa, è composto da tre pozzi sacri nuragici e capanne circolari del medesimo periodo, databili alla tarda età del bronzo e all'età del ferro. In epoca punica venne edificato nei pressi dell'area sacra protosarda il tempio di Genna Cantoni, all'interno del comune di Iglesias, costruito con blocchi di calcarenite e di pianta m 7 x 12.
Il sito ha restituito una coppa di produzione etrusca, punte di lancia e un bronzetto detto "barbetta" per via della particolare acconciatura. Resti di ceramiche e una moneta di Antonino Pio testimoniano la frequentazione in epoca romana.

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...