martedì 3 ottobre 2023

LA COLLEZIONE STRADA alle Scuderie del Castello Sforzesco di Vigevano fino al 4 dicembre 2023

 


La più antica delle Scuderie del Castello Sforzesco di Vigevano propone, dal 10 febbraio al 4 dicembre 2023, l’esposizione completa della collezione Strada, recentemente acquisita dal Ministero della Cultura e da questo affidata al Museo archeologico nazionale della Lomellina a Vigevano.
L’acquisizione al patrimonio dello Stato è avvenuta a seguito di un esproprio per pubblica utilità, reso possibile dal decennale lavoro dell’ora Soprintendenza ABAP per le province di Como, Lecco, Monza Brianza, Pavia, Varese, con l’appoggio determinante della Direzione Generale Archeologia, belle arti e paesaggio, per garantire la conservazione unitaria, lo studio e l’esposizione al pubblico della collezione raccolta da Antonio Strada (1904 – 1968), custodita fino al 2021 nel Castello di Scaldasole, dimora di famiglia.
Nelle parole di Emanuela Daffra, direttore regionale Musei della Lombardia «Questa esposizione completa è, insieme, il passaggio intermedio di un percorso e l’apice ‘pubblico’ della collezione. Dopo l’anteprima, che ha immediatamente offerto ai nostri visitatori i reperti più importanti ed integri, questa mostra è voluta per permettere a studiosi e appassionati di conoscere la totalità dei pezzi, tutti restaurati per l’occasione. Sarà un affondo importante sulla storia del collezionismo privato in Lomellina, che ora giunge ad arricchire il patrimonio collettivo e la storia del territorio. Anche per questo abbiamo voluto una ampia durata ed una ricca serie di attività per pubblici diversi. Al termine della mostra, con cognizione di causa, i nuclei più significativi confluiranno nell’esposizione permanente del museo imponendone una rilettura, a testimonianza di come il patrimonio archeologico non sia immobile».
Una raccolta importante, costituita da 260 oggetti appartenenti ad un arco cronologico che va dalla preistoria all’età rinascimentale, ma particolarmente ricca in relazione all’età della romanizzazione della Lomellina (II – I secolo a.C.) e alla prima epoca imperiale (I – II secolo d.C.).
Per la maggior parte rinvenute a seguito di lavori agricoli, sono testimonianze che quasi certamente provengono da corredi funerari e il loro stato di conservazione è in molti casi eccellente. Si va dalle ceramiche di uso comune, alle terrecotte figurate, agli oggetti d’ornamento, agli utensili di metallo. E ai vetri. Tra questi spicca un pezzo eccezionale nella produzione vetraria del primo secolo dopo Cristo: una coppa in vetro verde chiaro, con decorazioni a girali d’acanto e tralci di vite, unico esemplare integro tra i pochissimi a noi noti, cinque in tutto, dal maestro vetraio Aristeas. Una meraviglia di fattura mediorientale destinata ad una famiglia facoltosa e di rango.
Sempre tra i vetri, materiale distintivo della collezione, vanno citate, per integrità e qualità, anche la pisside in vetro blu e l’anforetta porpora con decorazione piumata in bianco.
«Tutti i reperti della Collezione» spiega Stefania Bossi, direttrice del Museo, «saranno esposti in un’unica sala che verrà caratterizzata, anche dal punto di vista grafico e visivo, rispetto agli altri spazi museali. L’allestimento sarà concepito in modo da enfatizzare i pezzi più importanti, gli altri reperti saranno raggruppati per tipologie. I pannelli guideranno il visitatore evidenziando non solo la sequenza di lettura dei reperti, ma anche le reciproche connessioni con il resto della collezione museale.»
Strada non si limitò a raccogliere i reperti rinvenuti nei suoi possedimenti.
«L’esposizione completa degli oggetti ci permettere di cogliere anche i modi della formazione della raccolta, che si configura come “collezione di collezioni”», ci spiega Rosanina Invernizzi, co-curatore scientifico della mostra. «Ai reperti già posseduti dai suoi antenati, Antonio Strada aggiunse altri nuclei acquistati da collezionisti del territorio della Lomellina: tra essi, in particolare, la raccolta Steffanini di Mortara (che comprendeva la coppa di Aristeas) e la raccolta Volpi-Nigra di Lomello, che includeva anche reperti di provenienza magno greca. Altri piccoli nuclei furano aggiunti nel tempo frutto di acquisti, doni o scambi. Non mancano, come spesso accade nelle collezioni, pezzi falsi o di dubbia antichità, ma nell’insieme la raccolta Strada ci mostra un quadro di attivi scambi tra i proprietari e soprattutto quell’interesse per le” antichità patrie” caratteristico degli anni tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.»
L'apertura della mostra è poi per il museo occasione preziosa per ridisegnare il proprio rapporto con il territorio proponendosi, grazie alla progettazione affidata a Giovanna Brambilla, come importante presidio culturale per la cittadinanza. Attraverso la costruzione di reti non solo con altre realtà museali ma anche con biblioteche, associazioni, scuole, guide, educatori, sarà possibile mettere a disposizione di tutti - bambini e famiglie, classi e adulti, persone curiose o vulnerabili, migranti o insegnanti - percorsi e strumenti per esplorare il museo e aprirsi a nuovi sguardi sulla città. Importante, in questo fine lavoro di tessitura sul territorio, è il sostegno del Rotary Club Mede Vigevano alle attività educative.
Dopo il lungo periodo di esposizione, i reperti della Collezione Strada, selezionati, diverranno parte integrate del percorso museale del Museo Archeologico nazionale della Lomellina.



LA COLLEZIONE STRADA 10 febbraio – 4 dicembre 2023
Mostra progettata da
Direzione Regionale Musei Lombardia – Direttore Emanuela Daffra
Museo Archeologico Nazionale della Lomellina – Direttore Stefania Bossi
A cura di
Emanuela Daffra, Rosanina Invernizzi, Elisa Grassi, Stefania Bossi
Progetto allestimento e grafica
Angelo Rossi, Giulia Camozzi
Fotografie
Luciano Caldera, Luigi Monopoli - Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese.
Mediazione del patrimonio e progetti territoriali
Giovanna Brambilla

L'acquisizione della collezione e di conseguenza questa mostra non avrebbero potuto avere luogo senza il lavoro decennale della ora Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese e il costante appoggio della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura.

Al Museo Archeologico di Rio nell’Elba la mostra “Gladiatori” in collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli , fino all'1 novembre

Lo scorso anno il Museo Archeologico del Distretto Minerario ha riaperto con una significativa mostra dedicata agli Etruschi (Il ferro e l’oro, Rotte mediterranee tra Etruria e Oriente) esponendo preziosi materiali orientalizzanti ottenuti in prestito dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze.
Confermando l’appuntamento stagionale regolare il Comune presenta ora una nuova esposizione archeologica di rilievo, questa volta dedicata a illustrare uno dei temi di maggiore attrazione nella vita pubblica del popolo romano, che anche oggi - alimentato da una filmografia di successo - continua a catalizzare vivo interesse del pubblico: l’arte gladiatoria.
Sulla scia della mostra di respiro internazionale Gladiatori, realizzata di recente dal Museo Archeologico di Napoli, si attinge alla cospicua quantità di materiali archeologici relativi all’attività gladiatoria - splendidamente conservati nello stesso museo - per mettere a fuoco alcuni aspetti della vita dei gladiatori. Nel mondo romano essi godettero di fama straordinaria e divennero - insieme agli altri giochi circensi - efficace strumento di consenso politico e di sostegno al potere imperiale.
Grazie alla generosa collaborazione del Museo Archeologico Nazionale di Napoli e al coordinamento del Sistema Museale dell’Arcipelago Toscano, lo sguardo del Museo di Rio si rivolge nell’estate/autunno 2023 al mondo romano, anch’esso trattato nel percorso espositivo permanente. Attraverso la mostra Gladiatori si mette a fuoco un fenomeno sociale e politico di grande rilievo nella storia del mondo antico, per durata, diffusione e coinvolgimento popolare.
La prima testimonianza di giochi gladiatori documentati a Roma nel 264 a.C. discende con molta probabilità dagli originari combattimenti tradizionalmente inscenati in cerimonie funebri di altre regioni (Etruria e Campania), quali i sacrifici umani per placare lo spirito del defunto. Con una rapida e inarrestabile ascesa - rallentata solo temporaneamente da ragioni di sicurezza pubblica conseguenti alla rivolta del gladiatore Spartaco (73-71 a.C.) - i giochi gladiatori trovano nel Colosseo un imponente e duraturo edificio dedicato, che fu inaugurato dall’imperatore Tito nell’80 d.C. con una grandiosa serie di spettacoli durata ben 100 giorni. La cura degli spettacoli divenne efficace e costoso strumento per magistrati e imperatori al fine di coltivare e accrescere la propria fortuna politica. Nel 107 d.C. l’imperatore Traiano, per celebrare la vittoria sui Daci giunse a far combattere addirittura 10000 gladiatori.
I pregevoli reperti archeologici relativi all’arte gladiatoria del Museo Archeologico Nazionale di Napoli diventano un efficace e piacevole mezzo per presentare al pubblico un fenomeno sociale e politico tipicamente romano, che dall’età repubblicana ha segnato in maniera crescente e sempre più evidente la vita e la storia dell’impero di Roma. Tutti noi ricordiamo, con le parole di Giovenale, che “Il popolo romano […] due cose sole desidera: pane e giochi”.

“L’Amato di Iside. Nerone, la Domus Aurea e l’Egitto” alla Domus Aurea fino al 14 gennaio 2024

 


Il Parco archeologico del Colosseo presenta la mostra “L’Amato di Iside. Nerone, la Domus Aurea e l’Egitto”, ideata e organizzata dal Parco archeologico del Colosseo con la curatela di Alfonsina Russo, Francesca Guarneri, Stefano Borghini e Massimiliana Pozzi. L’esposizione sarà visitabile dal 22 giugno 2023 al 14 gennaio 2024 all’interno della Domus Aurea.
La mostra rappresenta un’importante occasione per presentare al grande pubblico aspetti nuovi e suggestivi della storia della Roma antica, in particolare il legame tra Roma e l’Egitto nel I sec. d.C. attraverso la figura di un imperatore, Nerone, che con l’Oriente e l’Egitto instaurò, fin dalla giovane età, un rapporto particolare. Protagonista di questo racconto è la Domus Aurea, la “Casa d’Oro”, l’oro del dio Sole con cui Nerone si identificava secondo una visione proprio di matrice orientale.
L’idea della mostra nasce dai recenti lavori di restauro che hanno svelato la presenza di una decorazione egittizzante, con soggetti legati al culto isiaco, nel Grande Criptoportico del palazzo neroniano, ambiente che diventa quindi parte integrante dell’esposizione e strumento per approfondire, attraverso le opere, gli aspetti, gli eventi e i protagonisti della diffusione dell’idea di ‘Egitto’ nell’immaginario collettivo dei Romani del I sec. d.C.
Una relazione quella di Nerone con l’Egitto che inizia negli anni della formazione con precettori come Cheremone di Naucrati, direttore della biblioteca conservata presso il Serapeo di Alessandria e, Seneca, autore di un’intera opera sull’Egitto e che continua nella vita adulta con il matrimonio con Poppea Sabina, appartenente ad una famiglia vicina ai culti isiaci.
Il titolo stesso della mostra, nell’espressione “Amato di Iside”, richiama la definizione usata da Nerone nel nome di intronizzazione testimoniato nel tempio di Dendera, in Egitto; qui l'imperatore, oltre che “Autokrator Neron”, è infatti detto “Re dell’Alto e Basso Egitto, Signore delle Due Terre, Sovrano dei Sovrani, scelto di Ptah, amato di Iside”. L’espressione sottolinea il particolare legame dell’imperatore con la dea che ritorna anche nella raffigurazione di Nerone nell’atto di offrire un piccolo mammisi ad Iside, immagine particolare questa che si discosta da quella canonica in cui l’offerta è alla dea Hathor, la Grande Signora del Centro.
La mostra 'L'Amato di Iside' alla Domus Aurea, raccogliendo decine di preziosi reperti legati alla cultura egizia provenienti dai maggiori musei italiani, ha il merito di valorizzare ancor di più un sito straordinario, che non smette di regalare scoperte anche grazie alla costante attività di indagine e restauro svolto dai tecnici del Parco archeologico del Colosseo – ha dichiarato il Ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano.
Questa mostra – commenta Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo - vuole soprattutto sottolineare l’impegno del PArCo nei confronti del proprio pubblico, posto al centro di tutti i programmi e attività: quello di far ritornare all’antico splendore alcuni ambienti del palazzo neroniano attraverso l’attento e accurato restauro delle preziose pareti dipinte e con rinnovati e coinvolgenti progetti culturali.

"Il Pugile e la Vittoria" a Brescia sino al 29 ottobre

 


Il nuovo emblematico progetto espositivo che Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei con il Museo Nazionale Romano e il fondamentale contributo di Intesa Sanpaolo hanno curato per il grande evento Bergamo   Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023: Il Pugile e la Vittoria, ovvero il Pugilatore in riposo e la Vittoria Alata di Brescia, due straordinari bronzi di età ellenistica e romana, entrambi protagonisti di recenti valorizzazioni e restauri epocali, sono esposti per la prima volta insieme a Brescia, nel Capitolium di Brixia. Parco archeologico di Brescia romana.
Un ambizioso progetto che si sviluppa in occasione dei 200 anni dall’inizio degli scavi bresciani, la memorabile campagna ottocentesca che portò alla luce uno dei patrimoni archeologici di maggior rilievo nell’Italia settentrionale.
La mostra, apertasi il 12 luglio,  sigla la significativa collaborazione istituzionale tra i due Musei, quello romano e quello bresciano. Il Pugile e la Vittoria costruisce l’ideale legame tra il patrimonio archeologico dell’Urbe, unico al mondo, e quello di Brescia, la Brixia latina, oggetto di un esemplare programma di valorizzazione e riqualificazione che Fondazione Brescia Musei ha intrapreso con l’installazione della Vittoria Alata nel nuovo Capitolium disegnato da Juan Navarro Baldeweg.
Ed è proprio a lui che i due Musei hanno proposto di realizzare l’installazione dei due capolavori di bronzo per celebrare adeguatamente la Capitale della Cultura con un’immagine di assoluta cristallina potenza evocativa per chiunque, a prescindere dalla cultura di provenienza o dal bagaglio archeologico.
Legata al progetto espositivo – in collaborazione con Il Museo Nazionale Romano – è l’esposizione dell'Ala di Vittoria nella sezione archeologica L'età romana. La città, in corrispondenza della narrazione digitale dedicata alla Vittoria Alata. Un’ala bronzea rinvenuta nell’alveo del fiume Tevere nel 1891, in corrispondenza di ponte Sisto, che sarà visitabile fino al 29 ottobre al Museo di Santa Giulia.
Il Pugilatore in riposo e la Vittoria Alata hanno cronologie diverse (datato variamente tra il IV e I secolo a.C. il Pugile e alla metà del I secolo d.C. la Vittoria Alata) e differenti storie della prima parte della loro “vita”; l’atleta certamente esposto in uno spazio pubblico – forse in Grecia – e oggetto di ammirazione come indicano le superfici consunte dalle carezze degli ammiratori, la Vittoria Alata probabilmente esibita nell’area del tempio, a Brescia, quale ex voto donato dall’imperatore Vespasiano.
 
A Brescia le due statue sono esposte proprio nell’aula del Capitolium di età imperiale con un nuovo spettacolare allestimento curato dall’architetto Juan Navarro Baldeweg, già autore della suggestiva e affascinante collocazione della Vittoria Alata.
Esporle insieme, accostate in un gruppo moderno, frutto di un processo di rigenerazione delle opere in chiave contemporanea, riprende una prassi di origini antiche, quando nei santuari in Grecia venivano conservate ed esposte statue spesso legate solo da un continuum ideologico/politico, la cui disposizione poteva quindi cambiare a seconda dell’epoca e della mentalità, a creare nuovi messaggi e significati. L’interpretazione di Juan Navarro Baldeweg trasforma le due statue in un unicum artistico contemporaneo, in linea con la strategia culturale di contaminazione tra antico e moderno per creare un linguaggio oggi comprensibile.
Un’occasione per ridurre la distanza che ha separato le due opere in antico, con una triangolazione di elementi che grazie all’allestimento permetterà comunque di comprenderla, ma nello stesso tempo di cogliere i numerosi fili rossi che le legano. Nello spazio dell’aula del Capitolium si insinua un racconto visivo, spaziale, in cui l'invocazione del Pugile, che chiede protezione, si incanala attraverso il riflesso speculare della Vittoria Alata, con contrappunti armonici e l’aiuto di un cristallo specchiante, che portano lo spettatore a prendere parte, nel raggio di pochi metri, a una narrazione concettuale sui valori assoluti che i due capolavori rappresentano ancora oggi per l’uomo contemporaneo.
 Il Pugilatore in riposo e la Vittoria Alata furono scoperti nel corso di scavi archeologici condotti nell’Ottocento e da quel momento divennero oggetto di attenzioni e cure entrando presto a far parte di collezioni museali pubbliche.
Il tema astratto che lega questi due straordinari bronzi, nell’assenza e nella personificazione, è quello del successo, di un esito positivo, della vittoria appunto. Per il Pugilatore è il responso dell’arbitro al termine dello scontro nel quale si è strenuamente difeso senza esclusione di colpi, come indicano le ferite e gli ematomi sapientemente resi nel bronzo con altissima perizia tecnica; per la Vittoria Alata è la designazione del vincitore sul campo di battaglia e la ricostituzione della pace, la cessazione del conflitto. L’uno attende il verdetto, l’altra omaggia il vincitore militare affidando al bronzo dello scudo, che doveva trattenere in origine nelle mani, il suo nome.
 
Il Pugilatore in riposo, uno dei bronzi di più alta qualità che siano giunti a noi dal mondo antico, fu rinvenuto nel 1885 alle pendici del Quirinale, occultato tra i muri di fondazione di un tempio. Rappresenta un pugile nel momento del riposo dopo una competizione, seduto con le gambe divaricate e gli avambracci poggiati sulle cosce.
La critica non è unanime nella datazione di questo capolavoro che oscilla tra il IV e il I secolo a.C.
La statua è stata realizzata in bronzo con la tecnica della fusione cava a cera persa con metodo indiretto; fusa in più parti, al busto sono saldate la testa, le braccia e la gamba sinistra, mentre la gamba destra è fusa con il torso. Ogni dettaglio è reso con soluzioni di altissima qualità estetica e sofisticatezza tecnica, con ampio utilizzo anche di metalli di colore contrastante per dare policromia e icasticità all’insieme. Le porosità e i difetti di superficie successivi alla fusione sono stati riparati con estrema cura inserendo piccoli tasselli quadrangolari. Gli occhi non sono conservati, ma dovevano essere realizzati con un materiale differente come pasta vitrea, pietre dure o avorio.
 
La statua della Vittoria Alata venne portata in luce la sera del 20 luglio del 1826, durante la campagna di scavi avviata nel 1823 dall’Ateneo di Scienze Lettere e Arti di Brescia, su delega della municipalità e grazie a una raccolta pubblica di fondi, nell’area del Capitolium.
La realizzazione della Vittoria Alata – sappiamo oggi – è da circoscrivere a poco dopo la metà del I secolo d.C. e va ricondotta a un atelier di alto livello – da collocarsi nel territorio bresciano – che ha saputo creare un modello statuario nuovo e originale; la tecnica utilizzata è quella della fusione a cera persa cava indiretta, che richiede grande maestria e capacità tecnologica. Alcune parti della statua presentano tracce di doratura, lasciando intendere che il suo aspetto in antico doveva essere diverso da come la percepiamo oggi.
La presenza di questa statua, con un significato così strettamente legato a una battaglia militare, lascia supporre che si possa trattare di un dono fatto dalla casa imperiale a Brixia per il supporto dato in un evento militare, forse proprio gli scontri del 69 d.C. verificatisi tra Brixia e Cremona tra gli eserciti di Vespasiano, Ottone e Vitellio. Brescia supportò il primo, che risulto vincitore; il nome di Vespasiano è ricordato anche nel frontone del Capitolium dove non si esclude che la statua fosse esposta.
 
In modo virtuoso il progetto espositivo Il Pugile e la Vittoria ha reso possibile valorizzare anche altre opere delle estese collezioni archeologiche romane, meno conosciute. Una reciprocità tra istituzioni museali, che traccia un solco di una sinergica collaborazione tra uno dei più importanti musei nazionali e una fondazione di partecipazione pubblico-privata che ha in gestione il patrimonio monumentale e museale cittadino: un dialogo che si estende oltre le collezioni e le opere, ma che mette a sistema i beni culturali in una visione d’insieme super partes, esempio di originale progettualità.
 
Per il periodo di mostra verrà esposta in Santa Giulia, nella sezione archeologica L’età romana. La città e in corrispondenza della narrazione digitale dedicata alla Vittoria Alata, un’ala bronzea rinvenuta nell’alveo del fiume Tevere nel 1891, in corrispondenza di ponte Sisto.
Il pezzo venne ritrovato insieme ad altri resti di statue in bronzo che potevano appartenere in origine ad un unico gruppo scultoreo onorario posto proprio a decorazione del Ponte, con la statua della Vittoria in posizione sommitale, in occasione di un restauro effettuato per volontà di Valentiniano e Valente tra il 365 e il 367 d. C., impiegando elementi scultorei più antichi.
Contemporaneamente nella sede di Palazzo Massimo a Roma al posto del Pugile sarà esposta una statua in bronzo di un personaggio togato proveniente sempre dal gruppo scultoreo di ponte Sisto.
 
A sostenere la nuova esposizione è Intesa Sanpaolo, già Special Partner della Fondazione nell’ambito di Alleanza per la Cultura, Main Partner di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura e oggi anche Partner di questo nuovo progetto espositivo.
Intesa Sanpaolo, come ulteriore sostegno al progetto espositivo, dedica alla storia di questo straordinario incontro tra il Pugilatore in riposo e la Vittoria Alata di Brescia un documentario realizzato da 3D Produzioni, reso disponibile sul sito di Gruppo della Banca.
Al progetto Il Pugile e la Vittoria concorrono altri fondamentali partner tecnici quali Capoferri e iGuzzini, entrambi già partner del riallestimento della Vittoria Alata nel 2021 nel nuovo Capitolium. Le due aziende hanno offerto le proprie competenze uniche nella ingegnerizzazione del basamento e dell’allestimento scenico, Capoferri, e nel complesso design illuminotecnico in un delicato contesto quale l’aula orientale del tempio, iGuzzini, riuscendo a garantire un perfetto e rispettoso bilanciamento di valori architettonici in linea con il progetto del maestro Baldeweg.

 

“Per terra e per mare. Gli Etruschi di frontiera tra mobilità e integrazione" al MAN di Pontecagnano fino al 10 dicembre 2023

Al Museo Archeologico Nazionale di Pontecagnano la mostra “Per terra e per mare. Gli Etruschi di frontiera tra mobilità e integrazione" (30 giugno - 10 dicembre 2023), a cura di Carmine Pellegrino e Luigina Tomay, realizzata dalla Direzione Regionale Musei Campania diretta da Marta Ragozzino, in collaborazione con l'Università degli Studi di Salerno, con il patrocinio del Comune di Pontecagnano Faiano e il supporto della Regione Campania (POC 2014-2020) attraverso la Scabec.
La mostra ricostruisce e documenta la storia di Pontecagnano - l’insediamento etrusco più a sud d’Italia - dal IX al III secolo a.C., attraverso un tema già presente nell’esposizione permanente del Museo dedicato agli ‘Etruschi di frontiera’, diretto da Ilaria Menale: la mobilità di uomini e donne, la circolazione di oggetti, la peculiarità di produzioni artigianali e la condivisione di ideologie e modelli, tutti aspetti di una comunità ‘di frontiera’ oggi documentati da nuove scoperte e approfondimenti scientifici, che restituiscono un quadro ampio e affascinante, dove la grande storia di popoli e civiltà del Mediterraneo antico si intreccia con le piccole storie di comunità della Campania e dell’Italia Meridionale.
Una comunità antica, quella degli Etruschi di frontiera, aperta ai contatti e agli scambi con i diversi popoli del Mediterraneo, capace di attrarre e integrare in alcune fasi della sua vita individui e gruppi differenti per cultura e provenienza: è questo uno dei caratteri più significativi emersi in sessant’anni di scavi e studi su Pontecagnano, centro che fu ricco e fiorente sia per la grande disponibilità di terre coltivabili, sia per la posizione costiera che assicurava facili approdi. 
Comunità oggi di cittadini, associazioni, stakeholder, che partecipano alla vita della città di Pontecagnano e si ritrovano nel Museo, polo culturale di riferimento nell’area picentina, che da anni mette in campo iniziative di valorizzazione e progetti di respiro sociale, insieme ad enti locali e attori del territorio, configurandosi sempre più come luogo di inclusione e scambio tra le varie realtà presenti sul territorio.
Il percorso espositivo si snoda attraverso quattro sezioni dedicate ai temi principali: mobilità, forme ideologiche e sistemi di rappresentazione condivisi, circolazione di oggetti, produzioni artigianali. I temi sono declinati in sequenza cronologica (dall’Età del Ferro a quella Orientalizzante, dall’età arcaica e tardo-arcaica alla conquista sannitica), e consentono di delineare i fenomeni di interazione che emergono a Pontecagnano nelle diverse epoche.
L’insediamento antico di Pontecagnano – territorio che ancora oggi restituisce importanti testimonianze del passato – sorgeva infatti su un ampio terrazzo lambito da corsi d’acqua, in una posizione nodale per le comunicazioni terrestri e marittime, dove convergevano itinerari provenienti dalla Campania settentrionale, Irpinia e area adriatica, Piana del Sele e Lucania. Gli agevoli approdi offerti dalla laguna costiera del Lago Piccolo ne facevano anche un importante scalo per la navigazione lungo le coste tirreniche.
La prosperità e la ricchezza dell’insediamento fecero sì che già durante la prima Età del Ferro (IX-VIII secolo a.C.) giungessero a Pontecagnano materiali di pregio provenienti da Sardegna, Sicilia, Grecia, Egitto e Medio Oriente. La documentazione archeologica attesta anche la presenza di individui e di gruppi, provenienti da diverse aree della penisola italiana (Etruria, Calabria, Vallo di Diano, Irpinia), che si insediarono stabilmente a Pontecagnano. La capacità di attrazione del sito si fondava non solo sulla disponibilità di risorse ma anche sulla facilità di integrazione di tali individui, il cui inserimento nel tessuto sociale della città è testimoniato dall’ubicazione delle loro sepolture all’interno della necropoli urbana, dove, tra VIII e VII secolo a.C., la conservazione nelle sepolture di alcuni elementi peculiari del costume d’origine – oggetti d’ornamento, particolari forme di vasellame – ne consente facilmente l’identificazione. 
Nel corso dell’età arcaica (VI-V secolo a.C.) è soprattutto l’onomastica riportata dalle iscrizioni incise sui vasi a rivelare la provenienza da altre città e regioni dell’Italia antica, in particolare dalle aree italiche di Sannio, Irpinia ed Enotria, dal Lazio e dall’Etruria, dalle poleis greche. A partire dalla metà del V secolo a.C. giunsero a Pontecagnano gruppi provenienti dal Sannio pentro, identificabili per le fibule che caratterizzano le sepolture femminili (tipo c.d. “ad aeroplano”). Poco dopo, la comparsa di numerose sepolture maschili con cinturone e armi (lancia, più raramente corazze e schinieri) segnala l’arrivo a Pontecagnano di guerrieri di stirpe italica che può essere collegato alla pratica di mercenariato, come documentato nella vicina Paestum. La presa del potere da parte della componente italica, che le fonti qualificano come ‘Sanniti’, non stravolse l’assetto della città etrusca, come mostrano la continuità d’uso dei santuari e degli isolati abitativi e, soprattutto, la persistenza della lingua etrusca.
Reperti e contesti inediti guideranno il visitatore attraverso un viaggio ideale all’interno della città ‘multiculturale’, con l’esposizione di oggetti che documentano i contatti stabiliti ad ampio raggio dalla comunità etrusca di Pontecagnano, i fenomeni di mobilità e di interazione culturale che, grazie all’amplissima documentazione archeologica disponibile, fanno di Pontecagnano un punto di osservazione privilegiato per lo studio e l’approfondimento di queste tematiche.
La narrazione dei temi principali della mostra sarà anche di tipo immersivo, attraverso l’uso di tecnologie digitali in uno spazio appositamente allestito, sviluppato nell’ambito del progetto ArCCa_DiA – Digitalizzazione e Automazione (POR Campania FESR 2014-2020).
La sala immersiva, che racconta con ricostruzioni visive e sonore l’antica Pontecagnano, attraversando i temi del viaggio e della mobilità di uomini, idee, modelli culturali e saperi artigianali, sarà parte del percorso espositivo permanente del Museo, ampliando così l’offerta culturale e l’esperienza di visita individuale e collettiva delle collezioni degli ‘Etruschi di frontiera.
La mostra, aperta al pubblico fino al prossimo 10 dicembre, è visitabile dal martedì alla domenica, dalle ore 9.00 alle 19.00.

IL RITORNO DELLA BIGA al museo civico Archeologico “Pietro e Turiddo Lotti” di Ischia di Castro fin al 31 dicembre 2023

 


A distanza di oltre cinquanta anni dal ritrovamento, avvenuto nel 1967 presso la Necropoli etrusca di Castro, l’eccezionale Biga in bronzo torna nel suo luogo di provenienza, grazie alla collaborazione attivata tra il Museo di Ischia di Castro e il Museo Archeologico Nazionale di Viterbo, dove il manufatto è solitamente esposto.
Durante gli scavi presso la tomba della Biga, oggi visitabile nel Parco Archeologico Antica Castro, si è attestata la presenza dei resti di una nobile aristocratica, riccamente vestita, come testimoniano i sandali decorati con oro e ambra e i gioielli, tra i quali spicca uno scarabeo egizio incastonato in un pendente d’oro.
Al momento della scoperta la biga si trovava in posizione leggermente inclinata, appoggiata con uno dei due cerchioni a una delle porte d’ingresso aperte sul vestibolo. I resti dei due cavalli che l’avevano tirata, si trovavano a poca distanza, distesi sul pavimento, l’uno dietro l’altro, con le teste rivolte verso la defunta, quasi in ultimo rispettoso saluto.
I restauri compiuti sul manufatto hanno permesso la restituzione a grandezza naturale del carro ed evidenziato lo splendido apparato decorativo dal quale emergono le figure di due efebi, eredi stilistici dei kouroi greci.
L’allestimento della mostra, oltre alla Biga, vedrà esposti altri due notevoli esempi di carri etruschi: il calesse femminile rinvenuto a Tarquinia all’interno del Tumulo della Regina, risalente alla prima metà del VII secolo a.C. e quello proveniente dalla Tomba delle Mani d’Argento nella necropoli dell’Osteria a Vulci. Da questa ricca tomba provengono anche la testiera di cavallo con i preziosi finimenti bronzei, il collare e alcuni morsi equini che completano l’esposizione.


Materia. Il legno che non bruciò ad Ercolano: alla Reggia di Portici, fino al 31 dicembre 2023

 

Ercolano non solo è l’unica città del mondo romano che conserva il suo antico fronte a mare e l’elevato delle case sino al secondo piano, ma anche il legno come materiale di costruzione, di arredo e non solo. Lo si deve al particolare tipo di seppellimento, causato dalle ondate di fango vulcanico dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
Infatti, la coltre piroclastica di circa 20 metri di spessore ha inglobato anche materiali, utensili, elementi architettonici, arredi in legno che si sono carbonizzati ma non bruciati. La loro conservazione si deve soprattutto al certosino ed appassionato lavoro portato avanti da operai, restauratori, architetti e archeologi, che si sono succeduti nella gestione del sito, e si sono passati il testimone da una generazione all’altra nella complessa ed entusiasmante sfida della conservazione a partire dagli scavi Maiuri e poi nel corso di ben nove decenni. Un elenco di persone e di professionisti impossibile da proporre qui, grazie al cui straordinario impegno è giunto a compimento quello che non si esita a definire un prodigio: riannodare nel mezzo di tanta distruzione, provocata dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., prima il filo della forma e poi quello della vita di oggetti destinati all’oblio.
Ercolano conserva quindi un patrimonio di reperti in legno assolutamente unico, che va dai serramenti come porte, finestre, tramezzi, fino agli arredi, ad esempio armadi, casse, tabernacoli, letti e tavolini in legno, frutto di un lavoro artigianale realizzato con grande perizia. L’accurata opera di restauro ha consentito il recupero di molti preziosissimi oggetti che, pur presentandosi, nella maggior parte dei casi, come legno carbonizzato, conservano, tuttavia, la loro forma originale e la raffinatezza delle decorazioni intagliate. Inoltre, tutti gli oggetti in legno di Ercolano danno uno straordinario riscontro a quanto si conosce dalle fonti scritte, dagli affreschi e dai rilievi antichi e costituiscono una rarissima opportunità di ricostruire le antiche tecniche di falegnameria ed ebanisteria.
Il legno e la sua materia sono al centro della mostra Materia. Il legno che non bruciò ad Ercolano, curata dal direttore del Parco Archeologico di Ercolano, Francesco Sirano e dall’archeologa Stefania Siano, e che apre il 14 dicembre nella settecentesca Reggia di Portici, residenza estiva della famiglia reale borbonica e sede del Herculanense Museum, tra i primi musei archeologici al mondo e meta dei viaggiatori del Grand Tour, nell’Ottocento anche residenza di Murat e poi sede della Real Scuola di Agricoltura di Portici.
L’esposizione è prodotta dal Parco Archeologico di Ercolano con il consueto affiancamento del Packard Humanities Institute, partner storico con il quale sono state condivise molte delle più recenti scoperte che saranno per la prima volta presentate al pubblico (come il tetto di legno dalla Casa del Rilievo di Telefo e i mobili rivestiti in avorio dalla Villa dei Papiri). La mostra nasce nell’ambito di una straordinaria collaborazione interistituzionale con la Città Metropolitana di Napoli, il Dipartimento di Agraria e del Musa (Centro Museale Reggia di Portici) dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, con lo sponsor di HEBANON Fratelli Basile 1830. L’allestimento è affidato alla società ACME04 e con il contributo della Regione Campania–Direzione Generale per le Politiche Culturali ed il Turismo, nell’ambito degli interventi del POC 2014-2020.
I visitatori potranno usufruire del biglietto di mostra al costo di 5 euro, ma anche di un biglietto integrato al costo di 15euro, che consentirà di vedere l’esposizione e anche la Reggia di Portici, l’Orto botanico e il Parco Archeologico di Ercolano. Il percorso si articola in alcune delle sale al piano nobile del Palazzo Reale, secondo un registro di indubbia potenza evocativa che consentirà al visitatore non solo di apprezzare il vero e proprio miracolo della conservazione del legno sfuggito alla catastrofe che investì l’area del Vesuvio, ma anche di immergersi nella vita degli antichi e di comprendere, attraverso oltre 120 oggetti, tutti provenienti da Ercolano e mai sinora presentati al pubblico in forma monografica, quanto il legno fosse vitale per ogni attività oltre ad essere un materiale prezioso al punto che sovente gli alberi e i boschi assumevano aspetti di sacralità e valori simbolici.

IL PERCORSO DELLA MOSTRA
Il visitatore, dopo essere stato introdotto al percorso da un’installazione di luci e suoni, suggestivi del calore e della forza distruttiva dell’eruzione, che hanno incredibilmente determinato ad Ercolano la conservazione dei materiali lignei, si trova immerso nei colori e nei profumi della materia, cioè il legno, come se si trovasse nell’officina di un falegname, dove accumuli di tavolati e tranciati stagionano in attesa di essere utilizzati.
Sarà questo il primo approccio con la materia, termine tecnico che i Romani utilizzavano non solo con il significato attuale, ma anche per indicare il legno da taglio, ancora non lavorato: legno come materiale per eccellenza.
La sala successiva propone la medesima ambientazione, ma, questa volta, riferendosi al momento della lavorazione del legno e accostando strumenti e oggetti antichi ad una serie di attrezzi e oggetti dell’Ottocento, provenienti dalla collezione di Hebanon, società dei fratelli Basile, che testimoniano la secolare continuità nell’ambito di questa produzione essenziale per tutte le società umane.
Gli attrezzi per le varie fasi di lavorazione del legno sono spesso raffigurati nei rilievi che decorano monumenti funerari in vari siti del mondo romano o, più raramente, anche altri tipi di manufatti; talvolta sono citati in testi antichi e, in alcuni casi fortunati, in cui le condizioni di seppellimento lo hanno consentito, come quelli di Pompei ed Ercolano, ne sono state rinvenute testimonianze materiali.
In realtà, comparando gli attrezzi antichi con quelli moderni, è evidente quanto poco siano cambiati nel corso dei secoli, essendo strettamente legati alla loro funzione e non richiedendo cambiamenti se non qualche dettaglio migliorativo. È incredibile osservare come ascia, sega, trapano, compasso e squadra, martello, livella e filo a piombo, scalpello, lima e raspa siano rimasti fondamentalmente gli stessi; e poiché gli autori antichi raramente descrivono le tecniche dei falegnami e dei carpentieri, le testimonianze di oggetti in legno provenienti dagli scavi di Ercolano costituiscono una eccezionale opportunità di studiare le antiche tecniche di lavorazione di mobili e oggetti anche minuti, come portamonete e sculture, ma anche di scale, porte, infissi, imbarcazioni, tetti e controsoffitti.
La lavorazione era basata principalmente sull’uso di ammorsature e incastri, entrambi attestati ad Ercolano, rispettivamente negli elementi strutturali e nel mobilio. Tra gli incastri, il più utilizzato era quello a tenone e mortasa, composto da un maschio (tenone) e dall’alloggio corrispondente (mortasa), che viene adoperato da migliaia di anni per unire pezzi di legno, soprattutto quando questi formano un angolo di 90 gradi.  I chiodi e la colla servivano per il fissaggio delle giunzioni e non va dimenticato che, sebbene i piedi dei mobili in metallo fossero preferiti per la robustezza portante, vi sono ad Ercolano numerose testimonianze di piedi in legno lavorati al tornio.
 
La terza sala è dedicata a dei manufatti particolarmente rappresentativi delle tecniche di lavorazione del legno, appartenenti al controsoffitto in legno del c.d. salone dei marmi della Casa del Rilievo di Telefo, da dove provengono circa 250 frammenti (nella quasi totalità di abete bianco) di un tetto e di un controsoffitto di legno, incredibilmente conservati dall’eruzione. Un manufatto di assoluta unicità per il mondo antico.
Il legno è ancora “vivo” e conserva in più punti tracce di pigmento colorato. Grazie alle ottime condizioni di conservazione è stato possibile ricostruire le tecniche ad incastro e ipotizzare l’aspetto generale del controsoffitto a lacunari, compresa l’antica colorazione.
L’analisi delle tracce di pigmenti colorati, ancora conservati in alcuni frammenti, ha consentito di ricostruire la vivace sovra dipintura in azzurro, rosso, verde e bianco. L’elemento centrale del controsoffitto era rivestito con una lamina in foglia d’oro. Grazie al complesso studio della posizione di caduta di ciascun elemento, è stato possibile ipotizzare la loro posizione originaria nella controsoffittatura e proporre un’ipotesi di ricostruzione. Lo schema del controsoffitto, sia per i singoli motivi decorativi, sia per lo schema compositivo, si può inquadrare nella piena età augustea.
 
Proseguendo nel percorso espositivo sarà come trovarsi sul mare. Gli scavi condotti tra gli anni ’80 e gli anni ’90 del secolo scorso hanno messo in evidenza uno degli aspetti più importanti di Ercolano: il fronte mare della città, che costituisce un unicum nell’archeologia romana, unitamente agli scheletri di chi tentava di scampare l’eruzione via mare e ai resti eccezionali di imbarcazioni e di oggetti legati alla marineria e alla pesca, molti dei quali in legno, sughero, cordame e cuoio, straordinariamente conservati.
Una di queste imbarcazioni si troverà al centro della sala, come immersa nell’acqua, assieme a un argano verticale e un dritto di prora.
Si tratta di una piccola imbarcazione utilizzata per la pesca, scoperta negli anni Novanta del secolo scorso nell’area vicina al complesso termale dell’Insula Nordoccidentale della città, dove sono stati rinvenuti numerosi reperti che attestano come, al momento dell’eruzione, le terme fossero utilizzate come luogo di rimessaggio di barche e di deposito di attrezzature legate alle attività marinare.  Il corpo dell’imbarcazione, solo in parte conservato, misura in lunghezza 280 cm e in larghezza 118 cm, ma le sue proporzioni lasciano presumere che le dimensioni fossero in origine significativamente più ampie rispetto alla porzione di carena conservata.
Accanto alla barca è esposto lo straordinario dritto di prora in legno a forma di testa di serpente dipinta in rosso, che trova numerosi confronti in affreschi pompeiani, anch’esso rinvenuto nella stessa area della barca, insieme a un timone in legno e sei remi, sempre riconducibili ad imbarcazioni da pesca, a un rotolo di corda e a una rete da pesca con numerosissimi pesi da rete in piombo.
Lo stesso contesto ha restituito l’eccezionale argano verticale in legno esposto in mostra, tecnicamente definito «cabestano», che veniva probabilmente utilizzato per tirare in secca le barche, e che conserva ancora gli incassi per le assi di manovra e le ali verticali per la raccolta della corda.
 
Da questa sala due piccole passerelle attraversano un ambiente pavimentato con mosaici, suggerendo l’attraversamento di un fiume metaforicamente disegnato da una proiezione a pavimento, in cui scorrono, spinte dalla forza della corrente, brevi frasi e parole che, da un lato, richiamano la sfera di sacralità del bosco, dall’altro evocano poeticamente attrezzi, oggetti e figure legate al tema della lavorazione e trasformazione della preziosa materia lignea. È l’approdo verso una dimensione diversa, più simbolica, intima e magica, verso il luogo da cui proviene la materia, il bosco.
 
Infatti, nell’ultima sala, la più ampia del percorso, che accoglie oggetti di mobilio e suppellettili in legno di rara bellezza, per evocare l’origine dei reperti, le teche sono collocate all’interno della ricostruzione stilizzata di un bosco in orario notturno, con proiezione, nel centro del soffitto, delle costellazioni e della Via Lattea. Nella radura che apre allo sguardo il cielo, un confortevole divano permetterà la sosta e la visione delle frasi evocative che si andranno a comporre tra le stelle.
 
A conclusione della mostra, una proiezione multipla consente l’ultimo suggestivo apprezzamento dei reperti, con le immagini che scorrono ritmicamente sui sei monitor in un gioco coordinato tra visione d’insieme e particolari. Le iscrizioni dei loro nomi in italiano, latino ed inglese e i suoni che evocano la funzione dei singoli oggetti completano l’ultima suggestione del percorso.
Le informazioni sui reperti esposti in mostra e sul loro ritrovamento saranno disponibili attraverso la webapp attivabile con la tecnologia NFC: basterà avvicinare lo smartphone alle schede disposte lungo il percorso per accedere direttamente alle informazioni senza bisogno di scaricare nessuna App.
Affinché l’accesso alle informazioni sia più ampio possibile, saranno a disposizione anche il QR code e il link diretto alla webapp: www.materiainmostra.it.
 
INFO 
 
Biglietto mostra € 5,00
Biglietto integrato € 15,00 (comprende visita a mostra, Reggia di Portici,
Herculanense Museum, Orto botanico, Parco Archeologico di Ercolano)
Biglietti disponibili online sul sito www.centromusa.it e presso le biglietterie della
Reggia di Portici e del Parco Archeologico di Ercolano
Giorno di chiusura lunedì
Indirizzo Reggia di Portici, Via Università 100, Portici
Parcheggio gratuito

(le foto sono di Luigi Spina e Giorgia Bisanti)


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