martedì 1 luglio 2025

Valle d'Aosta - Museo archeologico regionale della Valle d'Aosta

 


Il Museo archeologico regionale della Valle d'Aosta (in francese, Musée archéologique régional de la Vallée d'Aoste), abbreviato in MAR, è un museo archeologico con sede ad Aosta.
Il museo si trova nel luogo in cui sorgeva in epoca romana la Porta Principalis Sinistra. Sotto al museo, infatti, sono stati condotti degli scavi (tuttora in corso) per riportare alla luce i resti della porta. Parte di questi scavi è già accessibile tramite passerelle raggiungibili dal museo.
Già casaforte dei nobili Vaudan, l'edificio ha quindi ospitato a partire dal 1633 il Convento delle Visitandine, fondato per volere del marchese Pierre-Philibert Roncas e della consorte Emérentienne de Vaudan, che intendevano dare una sede alle religiose di santa Giovanna Francesca Frémiot de Chantal (Jeanne de Chantal).
Dal 1802 divenne Caserma Challant, mentre alcune ali del palazzo furono adibite a usi vari, da scuderia, a teatro fino a magazzino degli attrezzi agricoli.
Oggi la caserma è stata dismessa e il palazzo ospita il Museo archeologico regionale.
Il museo dispone di molti reperti archeologici ritrovati in tutta la Valle d'Aosta che sono disposti secondo l'ordine cronologico.
I reperti preistorici (consistenti in ornamenti funebri, vetro, vasi di terracotta e stele antropomorfe scolpite) componevano la collezione oggi ospitata nel museo dell'area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans.
Il museo dispone di una vasta gamma di reperti di epoca romana. Sono presenti oggetti funebri, oggetti in vetro (piatti, bicchieri), parti di statue, oggetti provenienti dal teatro, posate e giochi comuni.
Dei reperti medioevali ospitati nel museo, il più rilevante è senza dubbio l'ambone dell'VIII secolo (nella foto a siistra), rinvenuto negli scavi della Cattedrale di Aosta, di cui si conserva una parte. Sono inoltre presenti alcuni corredi funerari la cui datazione oscilla tra il IV e il XIV secolo, tra cui alcuni bicchieri dorati con teoria dei Santi e la spada di cavaliere con speroni proveniente da Sant'Orso.
Nel museo c'è anche un plastico della città romana di Augusta Praetoria Salassorum ricostruita basandosi sui resti degli edifici romani visibili in tutta Aosta.
Nei sotterranei del museo sono conservati i resti dello spigolo sud-ovest della torre orientale della Porta Principalis Sinistra, una delle quattro porte urbiche di Augusta Praetoria, con i piani d’uso romani e l’unico tratto di terrapieno, con relativo muro di controscarpa, ancora addossato a un tratto delle mura romane.
Il Museo ospita in alcune sale attigue dalla collezione principale la Collezione Numismatica Pautasso, una ricca esposizione di monete che spaziano dall'età greca fino al periodo sabaudo. Di particolare rilevanza è il nucleo di monete celtiche, galliche e padane.
Da segnalare inoltre la Collezione Carugo, una ricca raccolta di reperti della civiltà etrusca, dell'Antico Egitto e della Mesopotamia.

(da Wikipedia, l'enciclopedia libera)

Valle d'Aosta - Porta Pretoria ad Aosta

 

La Porta Pretoria o Porta pretoriana è la porta di ingresso orientale della città romana di Augusta Prætoria Salassorum (oggi Aosta). Costruita nel 25 a.C., si trova tuttora in eccellente stato di conservazione ed è formata da due serie di archi - uno maggiore centrale e due minori laterali - che racchiudono una piazza d'armi. Su entrambi gli archi sono visibili i camminatoi delle sentinelle.
L'arco centrale, che misura circa 7 metri di luce, era destinato al passaggio dei carri, mentre i due laterali, larghi 2,65 metri, a quello dei pedoni. I tre varchi orientali erano un tempo chiusi da cancelli levatoi. Le due torri difensive a base rettangolare sono state rimaneggiate nel corso del tempo; quella settentrionale in modo più evidente, mentre quella meridionale conserva ancora intatte alcune caratteristiche architettoniche romane. Nel medioevo venne costruita una cappella alla sommità dell'arco centrale orientale, menzionata sin dal XII secolo, sotto la quale si trovava un forno per la cottura del pane. I segni scuri sulla pietra testimoniano ancora oggi della presenza di questo forno.
La Porta Pretoria è costituita da blocchi di pietra fissati con ardesia frantumata estratta dal fondale della Dora Baltea che nell'età romana ne era ricca.
Nel 2012 è stata avviata una campagna di scavi, terminata nel 2013, per portare alla luce l'originale pavimentazione dell'epoca di costruzione, posta a circa 2,5 metri sotto l'attuale livello stradale. Il suolo è stato sostituito con dei ponti per permettere di vedere l'altezza originale.

Valle d'Aosta - Ponte di pietra, Aosta

 


Il ponte di pietra è un monumento romano della città di Aosta, situato a circa centocinquanta metri a est dell'Arco d'Augusto. Fu eretto ai tempi della fondazione della città romana di Augusta Praetoria per consentire il passaggio da una sponda all'altra del torrente Buthier. L'opera, a una sola campata ad arco ribassato, poggia su solidi basamenti in puddinga, conglomerato locale estratto dalle cave lungo il corso della Dora Baltea, e misura, tra le due imposte, circa 17 metri. La larghezza del passaggio, invece, contando anche lo spessore dei parapetti, è di circa 6 metri. La volta del ponte, costituita da grossi conci dei cunei, mostra un contorno piuttosto piatto per le costruzioni romane (rapporto ampiezza-altezza di 3 a 1). Il rivestimento esterno fu edificato con puddinga e riempito nel rinfianco dell'arco con opera cementizia romana di alta qualità.
La costruzione risale alla seconda metà del regno di Augusto, che nel 24 a.C. fondò e in seguito ampliò la colonia militare di Augusta Praetoria come importante snodo stradale. Il Ponte di pietra potrebbe aver avuto una particolare importanza nella rete stradale romana, perché ad Aosta il collegamento transalpino verso la Gallia, ossia la strada consolare detta via delle Gallie, si diramava verso il Passo del Piccolo e del Gran San Bernardo. In direzione sudorientale verso la Pianura Padana, la strada passava sopra un altro ponte ad arco segmentale, il pont Saint-Martin, ottimamente preservato, situato all'uscita della Valle d'Aosta.
In epoca medievale, in occasione di un'eccezionale alluvione, il torrente Buthier cambiò corso, spostando il suo alveo più a ovest. Sotto il ponte continuò a scorrere un canale di portata modesta, che col tempo si prosciugò completamente. Il ponte perse così ogni sua funzione e, col passare dei secoli, venne a poco a poco interrato, e solo in epoca moderna fu riportato alla luce.

Valle d'Aosta - Area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans

 


L'Area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans (in francese Site mégalithique de Saint-Martin-de-Corléans) è un sito archeologico situato in Italia, nel quartiere omonimo della città di Aosta.
Il sito, rinvenuto nel 1969, durante i lavori per l’edificazione di alcuni condomini, a circa 6 metri di profondità rispetto all'attuale piano urbano, copre un'area di 10.000 metri quadrati.
Gli oltre 6.000 anni di frequentazione dell’area sono testimoniati da arature cultuali, pozzi rituali, allineamenti orientati di pali lignei (dei quali restano soltanto i fori) e di stele antropomorfe, sepolture dolmeniche e a cista. Il museo è stato inaugurato il 24 giugno 2016.
Il termine “area megalitica” è utilizzato per la prima volta da Franco Mezzena, scopritore dell'area archeologica, per definire sinteticamente il ritrovamento aostano, che presenta diretti riscontri con il sito di Sion, del Petit-Chasseur, in Svizzera. Con “area megalitica” si intende una porzione di terreno, più o meno vasta, nella quale sono presenti testimonianze monumentali megalitiche multiple e di tipo diverso.
Il sito di Saint-Martin-de-Corléans si configura inizialmente come un’area sacra, caratterizzata da diverse fasi di frequentazione, che iniziano nel Neolitico recente proseguono nell'Eneolitico (età del Rame) e attraversano le successive età del Bronzo, del Ferro e romana, per giungere sino al Medioevo e alla età contemporanea.
L'area è configurata dapprima come un santuario all'aperto, destinato a pratiche rituali reiterate nel tempo e connesse a culti agricoli e dei viventi, dato il ritrovamento di regolari solchi di aratura sul terreno, pozzi a forma cilindrica, fori di palo in allineamento orientato e stele antropomorfe. Il sito assume solo negli ultimi secoli del III millennio a.C. funzione funeraria, divenendo una necropoli privilegiata, con tombe monumentali di varia tipologia, alcune delle quali costruite riutilizzando le stele.
Al sorgere dell'età del Bronzo, attorno al 2200 a.C. e per cause ancora da precisare, il sito viene a perdere progressivamente la sua funzione cultuale, mantenendo la destinazione funeraria; in seguito, nell'età del Bronzo finale, è utilizzato con funzioni agricole per oltre un millennio.
Infine, la funzione sacrale e funeraria dell’area megalitica nel corso della storia fa presumere la presenza, nelle immediate vicinanze, di un importante centro abitato, collocato probabilmente a nord-ovest dell'area stessa, ma che non è ancora stato possibile individuare.
Secondo una leggenda della tradizione erudita valdostana, l'area sarebbe stata utilizzata per sepolture rituali della città di Cordela, fondata da Cordelo (o Cordelus), leggendario capostipite dei Salassi, che doveva trovarsi in un'area più elevata rispetto al sito di Saint-Martin. Ad oggi questi dati non risultano verificabili per la mancanza di fonti.
Il sito archeologico di Saint-Martin-de-Corléans, collocato nella porzione occidentale della città di Aosta, sorge a ridosso di una chiesa medioevale, dedicata a San Martino di Tours e testimoniata per la prima volta nel 1176. Nel giugno del 1969, l’area limitrofa all'abside è oggetto di interventi edilizi per l’edificazione di alcuni edifici residenziali. Durante la fase di sbancamento, le ruspe intercettano la parte sommitale di una stele decorata . Il riconoscimento e identificazione di questo elemento litico da parte degli archeologi della Soprintendenza regionale, Franco Mezzena e Rosanna Mollo Mezzena, portano all'immediata sospensione dei lavori. L'Amministrazione regionale della Valle d'Aosta procede all'acquisizione dell'area. In breve tempo iniziano le ricerche sistematiche, con annuali campagne di scavo proseguite per oltre un ventennio, riprese per ulteriori approfondimenti nel 2001 e tra il 2006 e il 2008, sino a sondaggi di microscavo condotti nell'attualità.
L’edificio è progettato inizialmente dall'architetto Vittorio Valletti alla fine degli anni 1980.
Nell'insieme, l’edificio si articola su quattro livelli e ricopre una superficie complessiva di 9.820 metri quadrati, suddivisa in due aree: una a Nord e una a Sud del corso Saint-Martin-de-Corléans. L’area scavata si trova ad una profondità di 6 metri rispetto al piano stradale, mentre l’involucro edilizio fuoriesce dal piano di calpestio di 7 metri circa, in corrispondenza della piazza soprelevata.
Dal punto di vista architettonico, vanno segnalate alcune peculiarità del progetto, come: la grande navata centrale, coperta da travi reticolari in acciaio alte 3 metri che si sviluppano in assenza di appoggi per 46,5 metri; la “lanterna” orizzontale, un parallelepipedo che collega visivamente la zona Nord a quella Sud del giacimento, realizzata interamente in acciaio e vetro; il ponte in acciaio con soletta collaborante ha ripristinato la connessione viaria del corso Saint-Martin-de-Corléans e permetterà, con il terzo lotto di completamento del museo, il collegamento fisico sotterraneo tra le due parti dell’area archeologica.
Il primo lotto di lavori è stato incentrato sulle fasi più antiche di occupazione del sito, ovvero quelle comprese fra il periodo Neolitico (ultimi secoli del V millennio a.C.) e la prima età del Bronzo (ultimi secoli del III millennio a.C.).

Valle d'Aosta - Pont Saint-Martin


Il Pont Saint-Martin è un ponte romano ad arco ribassato in pietra, che si trova a Pont-Saint-Martin, nella bassa Valle d'Aosta.
Fu costruito all'inizio del I secolo a.C. durante l'impero di Ottaviano Augusto. Con una campata unica di circa 36 metri (secondo altre fonti: 31,4 m) e uno spessore della volta all'incirca di un metro, è considerato tra i più grandi e audaci ponti dell'antichità.
È adibito alla circolazione stradale da più di duemila anni.
Il Pont Saint-Martin si trova nella località omonima, nella bassa Valle d'Aosta, poco a monte della confluenza tra il Lys e la Dora Baltea.Il ponte faceva parte della strada romana delle Gallie, che percorreva la Valle d'Aosta, diramandosi in due all'altezza di Augusta Prætoria Salassorum (Aosta), per dirigersi verso il Grande e il Piccolo San Bernardo verso la Gallia. Il ponte fu ampliato progressivamente nel secondo e primo secolo a.C. nel corso dell'espansione romana al di là delle Alpi.
L'edificazione del ponte oggi esistente potrebbe ricadere nel periodo di Augusto, che dopo l'annessione della città di Aosta nel 25 a.C. e la sua rifondazione come colonia romana di Augusta Praetoria fece rinnovare da cima a fondo il sistema stradale locale. Le fondamenta di pietre lavorate, che si distinguono chiaramente sul rivestimento soprastante di pietre di cava, hanno dato adito all'ipotesi che una precedente costruzione con una campata di grandezza simile potrebbe essere stata edificata già nel 141 o 120 a.C. durante la costruzione della prima strada militare nella valle, ma a causa della tecnica cementizia non ancora matura non avesse avuto lunga durata.
Il Pont Saint-Martin si distingue dal punto di vista della tecnica edilizia dai tipici ponti romani per una serie di caratteristiche particolari, soprattutto per la sua campata insolitamente grande e per l'arco della volta oltremodo sottile, che mostra inoltre un carattere a forma di segmento circolare.
La luce del ponte è di ca. 36,65 m (31,4 m), con cui l'architettura è in ogni caso da annoverare tra i più grandi ponti romani ancora esistenti. L'ampiezza è di 5,8 m, per quanto il parapetto su entrambi i lati restringa lo spazio carrabile a 4,6 m] L'altezza raggiunge 12 m dai piedritti fino alla superficie della carreggiata e 13,6 m fino all'estremità superiore del parapetto.
Il Pont Saint-Martin rientra tra i pochi ponti ad arco piatto conosciuti dell'antichità: il centro dell'arco si trova 5,8 m al sotto delle imposte, attraverso cui la volta a botte descrive un settore circolare di 144 gradi. Con un rapporto tra luce e freccia di ca. 3,3 a 1 il ponte si discosta piuttosto chiaramente dai tipici ponti romani ad arco semicircolare, nei quali erano ricavati unicamente due metri di lunghezza per un metro di altezza. Il profilo più piatto dell'arco otteneva un risparmio di materiale in verticale, ma rendeva anche necessari piedritti più robusti sulla scarpata, per assorbire il maggiore spostamento laterale. La vicinanza al Ponte di pietra di Aosta, che si trova sulla stessa sezione stradale e fu costruito ugualmente sotto Augusto, potrebbe far concludere per un consolidamento locale della tecnica dell'arco segmentale.
Il carattere particolare del Pont Saint-Martin diventa riconoscibile anche nei suoi 71 cunei portanti, che presentano solo un modesto spessore approssimativamente di 1,03 m. Secondo l'ingegner Colin O'Connor è il rapporto tra spessore dell'arco e luce il parametro più importante nella costruzione dei ponti di pietra ad arco. Gli architetti romani seguivano solitamente un approccio piuttosto conservatore ed evitavano nei ponti più grandi spessori che misurassero meno di 1/20 della luce. Questo valore nel Pont Saint-Martin si abbassa audacemente a un rapporto di 1/34, che resta insuperato tra gli oltre quaranta ponti romani esaminati da O'Connor.
In una saletta d'esposizioni in Piazza IV Novembre, accessibile da una scalinata e poco distante dal ponte, è stato allestito il piccolo museo del ponte romano.


Friuli Venezia Giulia - Museo archeologico nazionale di Aquileia

 

Il Museo archeologico nazionale di Aquileia (UD) inaugurato nel 1882, è uno dei maggiori musei al mondo sulla Civiltà romana. La sede espositiva si trova presso la villa Cassis Faraone e comprende importanti collezioni, statue, suppellettili domestiche e ornamentali, gemme, ambre e monete. Di grande rilevanza è anche la galleria lapidaria e la notevole quantità e qualità dei mosaici pavimentali.
Il primo nucleo della collezione museale fu la raccolta settecentesca di reperti del canonico Gian Domenico Bertoli.
Nel 1807 fu allestito un primo museo pubblico nel battistero antistante la Basilica di Aquileia.
Il 3 agosto 1882 venne inaugurato dalle autorità austriache l'Imperial Regio Museo dello Stato all'interno della villa Cassis Faraone.Attorno al giardino di Villa Cassis Faraone furono costruiti nel 1898 i porticati che accolsero numerosi reperti lapidei confluiti nel museo soprattutto con l'acquisizione della raccolta del Bertoli e con lo smontaggio della cosiddetta Stalla Moschettini.
Il museo è stato nuovamente riordinato nel 1954-1955 e dal 2016 sono in corso nuovi lavori di ristrutturazione e riallestimento che interessano anche i depositi esterni.
Il museo racconta la storia di Aquileia, una delle più importanti città romane dell'Italia Settentrionale e grande porto del Mediterraneo, attraverso i reperti archeologici scoperti durante i numerosi scavi condotti nel sito. Dal 2016 il complesso museale è oggetto di un importante intervento di ristrutturazione e di riallestimento. Attualmente (giugno 2023) sono in corso i lavori per la riapertura al pubblico dei depositi museali e delle gallerie lapidarie.
Il percorso espositivo del museo inizia al piano terra con un inquadramento generale sulla storia di Aquileia (sezione 1) e si snoda poi in otto sezioni tematiche che approfondiscono la storia del museo (sezione 2) gli spazi della vita pubblica (sezione 3) e privata (sezione 5) della città, le sue necropoli (sezione 4), l’economia e le attività produttive (sezione 7) e le manifestazioni del lusso e della ricchezza (sezione 8).

Sezione 1 - Aquileia. La città e il territorio

Nella prima sala al piano terra sono esposti i reperti riguardanti la fondazione della città e il quadro geografico in cui la città è sorta.
Il primo manufatto è un rilievo in marmo, noto come sulcus primigenius, sui cui è raffigurata la scena della fondazione della città. La colonia di Aquileia fu fondata nel 181 a.C. per decisione del Senato di Roma, con la partecipazione dei magistrati Publio Cornelio Scipione Nasica, Gaio Flaminio e Lucio Manlio Acidino Fulviano (ricordato nell’iscrizione presente in sala), nel quadro della politica di espansione dello Stato verso l’Italia Settentrionale, le Alpi e le regioni balcaniche.
Il racconto della città si arricchisce con la testimonianza narrata nell’ara con il rilievo di Roma e Aquileia, che racconta l’episodio dell’assedio di Massimino il Trace nel 238 d.C.
Una grande mappa rappresenta la città romana: fin dalla sua fondazione, Aquileia fu dotata di un impianto urbano regolare e da mura di difesa. La sua forma fu condizionata dalla presenza di un’ansa dell'antico fiume Natiso cum Turro (Natissa), che lambiva il centro urbano a est e a sud.


Sezione 2 - Gli scavi, gli studi e il museo

La seconda sala al piano terra racconta la storia del museo nel corso degli anni e ripercorre le vicende dei personaggi che si sono dedicati alla tutela del sito archeologico. Il primo nucleo del Museo di Aquileia si deve all’attività del collezionista e studioso delle antichità aquileiesi Gian Domenico Bertoli, che nel '700 raccolse numerosi reperti nella sua casa (visibile ancora oggi in via Patriarca Poppone). Nel 1807 fu creato il primo museo pubblico, il Museo Eugeniano, allestito per breve tempo nel battistero della basilica.
Il 3 agosto 1882 ebbe luogo l'inaugurazione dell'Imperial Regio Museo dello Stato asburgico nella villa Cassis Faraone (sede attuale del museo), alla presenza dell'arciduca d'Austria Carlo Ludovico. Per l'allestimento del museo fu adottato un criterio espositivo di tipo antiquario, suddiviso in classi di materiali: iscrizioni, opere di scultura e oggetti minuti. Il primo direttore del museo fu Enrico Maionica, che si impegnò a lungo nel creare un'istituzione che acquisisse ed esponesse i reperti provenienti dagli scavi per evitarne la dispersione.
Il museo passò all’amministrazione dello Stato italiano dopo la prima guerra mondiale. Nel 1922 divenne direttore del museo l'archeologo Giovanni Battista Brusin, che guidò l’istituzione fino al secondo dopoguerra.


Sezione 3 - Spazio pubblico

La terza sezione intende raccontare attraverso i reperti (iscrizioni, frammenti architettonici, rilievi e sculture) i monumenti che ornavano gli spazi della vita pubblica ad Aquileia (foro, porto, circo, teatro).
I monumenti pubblici costituivano lo sfondo della vita politica, economica, religiosa e istituzionale della città. La loro realizzazione fu pianificata sin dalla fondazione della colonia seguendo stimoli che arrivavano dal potere centrale di Roma e con l’intervento dell'amministrazione civica e dei cittadini privati.
Alla ricchezza e alla monumentalità dello spazio pubblico contribuiva in larga misura la decorazione scultorea: le statue di divinità, imperatori, creature mitologiche o cittadini eminenti decoravano gli edifici più importanti della vita pubblica. Un esempio sono i manufatti del gruppo dei Dodici dei: un gruppo di medaglioni in marmo dell’Asia Minore che raffigura divinità del pantheon romano (in esposizione da sinistra Vulcano, Mercurio, Giove, Marte, Minerva e la dea Roma).
Il foro, la piazza principale della città, era il complesso più antico di Aquileia, organizzato già dalla metà del II secolo a.C. Tra la fine del I secolo a.C. e i primi decenni del I secolo d.C. assunse l'assetto monumentale tuttora intuibile; l’attico sopra i porticati fu decorato con rilievi di Giove Ammone e Medusa (esposti nel museo), che rappresentavano le due parti dell'Impero, l'Oriente e l'Occidente, pacificate da Augusto in un unico Stato.


Sezione 4 - Necropoli

Come in tutti i centri romani, le necropoli di Aquileia erano dislocate al di fuori dalle mura della città, lungo le principali vie di accesso. Il possesso di un monumento funerario lungo uno di questi assi viari costituiva uno strumento di esibizione del prestigio sociale della famiglia del defunto: statue, rilievi, strutture architettoniche e iscrizioni servivano a tramandarne la memoria.
Le urne in pietra, vetro, ceramica, piombo e persino alabastro esposte in sala testimoniano il rito della cremazione, in uso fino al II sec. d.C.
Uno dei reperti più rappresentativi di questa sezione è la statua del Navarca, scoperta in una località a qualche chilometro da Aquileia (Cavenzano). Si tratta di una statua ritratto, di dimensioni superiori al vero, realizzata in marmo e destinata ad ornare un grande monumento funerario. Il defunto è rappresentato in nudità eroica (come un eroe greco). La definizione di navarca deriva dal fatto che il monumento originario comprendeva anche la raffigurazione di una prua di nave. Questo elemento, insieme alla presenza della corazza e della spada, consente di interpretare il defunto come un importante ammiraglio che ha avuto un ruolo molto importante nelle numerose battaglie navali che hanno caratterizzato la fase di passaggio tra la fase repubblicana e quella imperiale della storia di Roma.


Galleria dei ritratti

La galleria dei ritratti raccolta nello spazio delle scale accompagna il visitatore nel percorso museale verso il primo piano. Le teste, realizzate in marmo e in pietra locale, in origine facevano parte di busti o di statue a figura intera che decoravano lo spazio urbano, i monumenti funerari e le abitazioni dei ceti medio-alti.
Il ritratto più rappresentativo di questa galleria è un ritratto di anziano. Il volto maschile fu scolpito a tutto tondo per rappresentare il volto di un anziano dall'espressione severa. La scultura fu realizzata in calcare locale nel I secolo a.C. È un esempio dello stile realistico tipico dei ritratti realizzati soprattutto in periodo repubblicano (tra II e I sec. a.C.). La volontà del committente e l'intenzione dello scultore erano di riprodurre fedelmente l’aspetto del cittadino, in questo caso un pater familias ovvero il capofamiglia; egli ostentava con fierezza i segni dell’età avanzata che significava prestigio e fierezza nella civiltà romana dell’epoca.


Sezione 5 - Domus e lo spazio privato

La quinta sezione del percorso espositivo si trova al primo piano ed è dedicata alle domus, cioè alle case degli abitanti di Aquileia. I reperti che introducono l'argomento sono tre mosaici pavimentali provenienti dal quartiere della città posto tra il foro e il porto fluviale (dove oggi si può visitare la domus di Tito Macro): la Nereide (Europa) su toro marino, il pavimento non spazzato (Asaroton oikos); il fiocco con tralci di vite. Questi mosaici furono realizzati ispirandosi ai modelli provenienti dall’area greco-orientale dell’Impero e sono una testimonianza dell’alto livello raggiunto dagli artigiani locali.
Le grandi ville o le domus si articolavano attorno a giardini o a corti lastricate circondate da portici che avevano il compito di fornire luce ed aria ai diversi ambienti della casa. Qui trovavano posto statue, fontane e altre preziose decorazioni parietali come la statua di Venere in marmo o il mosaico in vetro e conchiglie che proviene da una villa scavata a sud di Aquileia.
Il rito del banchetto era una celebrazione particolarmente importante all’interno di ogni domus: suppellettili in ceramica o vetro, brocche, coppe e posate ornavano la tavola. I banchetti si svolgevano di pomeriggio o di sera in ampi spazi lussuosi, caratterizzati da pareti riccamente decorate da affreschi o intarsi marmorei e dall’eleganza degli arredi mobili. L’illuminazione era garantita dall’utilizzo di lucerne in ceramica e metallo, di cui è esposta un’ampia selezione.
Uno spazio dell'allestimento è dedicato alla selezione di manufatti utilizzati in cucina per la preparazione e la conservazione dei cibi: pentole, casseruole, piatti, contenitori, taglieri e coltelli in ceramica, vetro, pietra e metallo.
Sezione 6 - Aquileia, porta del Mediterraneo
Il percorso continua al primo piano con la sesta sezione tematica, dedicata alla ricca economia di Aquileia e al suo inserimento nei traffici commerciali più importanti dell'epoca. Una grande mappa rappresenta le rotte dei commerci (marittimi e terrestri) che univano la città romana con tutto il Mediterraneo e con la parti più remote dell'Impero romano.
Grazie al ruolo di collegamento tra Mediterraneo ed Europa danubiana e renana, Aquileia divenne un emporio ricco e ampiamente frequentato. Il sistema portuale della città, posto all'estremità settentrionale del mar Adriatico, funzionò come centro di ridistribuzione di materie prime, derrate alimentari e manufatti artigianali, come dimostrato nell'immaginaria stiva di nave che raccoglie anfore di ogni parte del Mediterraneo, ceramiche da mensa africane ed orientali, oggetti in vetro, ambra, pietre dure semilavorate, marmi colorati e persino oggetti d'antiquariato provenienti dalla Grecia e dall’Egitto.
Le fonti letterarie e i ritrovamenti archeologici documentano la vivacità del centro portuale, caratterizzato dal movimento continuo di numerose persone che nel tempo trasformarono Aquileia in un centro economico, culturale e militare di primaria importanza.
Un reperto molto significativo per comprendere il carattere multietnico della città è la stele della mima Bassilla. Il rilievo funerario riporta il ritratto della defunta e un’iscrizione in lingua greca. La protagonista Bassilla fu una mima (attrice, ballerina) di origine greca che nel momento della sua morte si trovava in tournée ad Aquileia. L’epigrafe fu composta per lei in esametri greci dal capo della compagnia di attori con cui si esibiva.
Calzature, elmi, paramenti, armi e munizioni confermano l’importante funzione militare della città nella politica espansionistica di Roma.
Il carattere multiculturale di Aquileia si riscontra anche nei culti praticati in città e testimoniati dai reperti archeologici: divinità del Pantheon romano tradizionale accanto a numerose divinità di origine straniera come Iside e Serapide (Egitto greco-romano), Mitra (Persia), e Beleno (dio di origine celtica), fino alle religioni monoteiste dell'ebraismo e del cristianesimo.


Sezione 7 - Attività produttive

La settima sezione del percorso è incentrata sulle numerose attività produttive legate al territorio, che insieme alle rotte commerciali alimentavano l'economia aquileiese. Le caratteristiche geografiche della regione diedero impulso allo sfruttamento agricolo intensivo, prevalentemente a produzione olearia e vitivinicola: ne sono testimonianza un coperchio di botte in legno, anfore vinarie e rilievi funerari con rappresentazioni di professioni.
La presenza di corsi d'acqua e di cave di argilla nella pianura friulana hanno favorito l'impianto di importanti industrie manifatturiere per la produzione di laterizi (tegole e mattoni bollati dai fabbricanti), vasellame (come quello invetriato prodotto nella fornace della vicina località di Carlino) e lucerne.
Un importante reperto di questa sezione è il mattone con ammonimento. Sulla sua superficie fu incisa con uno strumento appuntito, quando ancora l'argilla non era asciutta, la scritta in latino che recita “Attento tu! Perché se non avrai lisciato 600 mattoni, passerai un guaio!”; non sappiamo se la scritta voleva essere uno scherzo o una minaccia.
Tra le produzioni locali spicca l’attività dei vetrai: la materia prima era costituita da scarti di precedenti lavorazioni o da frantumi che venivano raccolti per essere riciclati. I metodi di fabbricazione variarono nel tempo: si passò dalla tecnica di modellazione su forma alla soffiatura libera e in stampo.
La quarta parte della sezione intende raccontare attraverso i reperti la lavorazione dei metalli che arrivavano ad Aquileia attraverso le rotte commerciali e che qui venivano lavorati dalle officine locali.
Un’importante testimonianza di questa attività lavorativa è la stele funeraria di un fabbro, che raffigura una scena di lavoro all'interno di una bottega. Al centro è presente il fabbro seduto che sta forgiando sull'incudine un elemento metallico con martello e tenaglia; alla sua sinistra è raffigurato forse il garzone di bottega mentre alimenta la fucina (raffigurata come un'edicola con tettuccio a doppio spiovente) soffiando aria con un mantice. Sulla destra sono rappresentati gli attrezzi prodotti nell’officina: una pinza, un martello, una lima ed una serratura.
Nella quinta e ultima parte della sezione sono presenti dei manufatti riguardanti un’altra importante manifattura locale: la lavorazione del marmo e del calcare di Aurisina (pietra cavata nel vicino Carso) per la produzione di sculture. Numerose sono le opere non finite esposte nella sala, che documentano la presenza di officine in città: è il caso del torso in marmo di statua virile che riporta ancora i puntoni utilizzati probabilmente in origine per trasportare la statua non finita dalla Grecia.
Sezione 8 - Lusso e ricchezza

Il percorso espositivo prosegue al secondo piano nella sezione dedicata alle manifestazioni più significative di ostentazione di lusso e ricchezza.
Nella prima parte del percorso si trovano gli accessori per la cura personale: specchi, strigili per la detersione della pelle, contenitori per ungenti e profumi, oggetti per la toeletta.
Segue una selezione di monete della ricchissima collezione numismatica custodita dal museo, che comprende esemplari in oro, argento e bronzo databili tra il IV secolo a.C. al VI secolo d.C. La natura e la provenienza delle monete forniscono informazioni sulla circolazione dei beni e delle persone nel corso dei secoli ad Aquileia.
Nella terza parte della sezione si trovano i gioielli ritrovati nel sito archeologico di Aquileia. La varietà dei diversi materiali con cui i gioielli venivano realizzati testimoniano la diffusione degli oggetti d'ornamento a tutti i livelli della società aquileiese. In oro erano realizzati collane e catene, talvolta arricchite da pendenti di varia forma oppure ornate da perline, smeraldi o vetri colorati, bracciali, orecchini e anelli. Questi ultimi erano i gioelli più diffusi, decorati a incisione o con pietre dure, lisce o lavorate, sul castone. L'argento era il metallo considerato più prezioso dopo l'oro; se ne ricavavano anelli, bracciali, fibule e collari; con il bronzo erano realizzati soprattutto bracciali, portati da adulti e da bambini. Anche il vetro era altamente utilizzato per creare monili di varie forme e colori: anelli, bracciali e collane.
Un altro materiale con cui si realizzavano i gioielli era l'ambra. Materiale originario del Nord Europa, arrivava fin sulle coste Mediterranee grazie ad antichissimi percorsi commerciali iniziati già nella Preistoria. Nel corso della sua storia, Aquileia svolse un ruolo centrale nella lavorazione e nel commercio della resina fossile: lo confermano l'altissima qualità e quantità dei manufatti in ambra rinvenuti. Nelle officine aquileiesi il materiale naturale o i semilavorati erano trasformati in una molteplicità di oggetti. L'ambra era un materiale molto amato dagli antichi in quanto si credeva che avesse delle proprietà magiche in grado di curare diverse malattie e allontanare il malocchio.
Nella quarta e ultima parte del percorso all'ultimo piano troviamo la raccolta di gemme romane. Il museo vanta una raccolta eccezionale, formata da esemplari rinvenuti nel territorio della città. In età antica Aquileia fu uno dei principali centri di lavorazione di questi manufatti: le pietre dure non lavorate arrivavano via mare dall'Oriente o dai giacimenti europei. I prodotti finiti ripartivano poi alla volta dei principali mercati dell'Impero. I soggetti incisi sulle gemme erano scelti in base al gusto del proprietario o alle mode del momento.
La gemma con rappresentazione di Eros e Psiche è collocata nella vetrina dedicata alle divinità. È stata realizzata nel I sec. d.C. su un niccolo di forma ovale. Nella gemma sono rappresentati i protagonisti della favola che narra la storia di Amore (Eros) e Psiche. Psiche, divenuta amante del dio Eros, violò il divieto che le impediva di guardare il suo amato: durante la notte ne illuminò il voto con una fiaccola, ma inavvertitamente una goccia di olio bollente cadde sul dio che, svegliatosi, abbandonò la fanciulla. Dopo aver superato una serie di prove per essere perdonata, fu accolta tra gli dei. Nella gemma è raffigurato l'abbraccio dei due amanti: Amore, nudo, si distingue a destra per le grandi ali; Psiche, vestita di una lunga tunica, ha ali di farfalla.
Per visitare virtualmente la collezione di gemme esposte è possibile scaricare l'app Museo Nazionale Aquileia Gemme messa a disposizione gratuitamente dal museo.


Friuli Venezia Giulia - Antiquarium di via Donota, Trieste

 

L’Antiquarium di via Donota è un sito archeologico della città di Trieste, collocato nella fascia più bassa del colle di San Giusto, dove è possibile visitare ciò che resta di una domus e di un sepolcreto di età romana.
La domus fu costruita alla fine del I secolo a.C., periodo in cui l’intero pendio del colle di San Giusto rivolto verso il mare fu soggetto a un’opera di sistemazione, tramite la costruzione di terrazzamenti, e fu edificato. Alla fine del I secolo d.C. la domus fu abbandonata, così a partire dal II secolo una parte di essa fu reimpiegata come necropoli pagana.
La domus fu costruita su due livelli, adattandosi così alla pendenza del colle. Al suo interno sono stati riconosciuti diversi ambienti, tra cui spiccano in particolare un pozzo e una latrina, perché contenevano scarti quotidiani, il cui ritrovamento ha permesso di ricostruire le abitudini degli antichi tergestini.
Per quanto riguarda il sepolcreto, sono state riconosciute almeno due fasi di utilizzo: tra il II e il IV secolo il livello inferiore della domus fu sfruttato da una ricca famiglia locale come necropoli privata; a partire dal IV secolo fu impiegato per sepolture di vario tipo, come le deposizioni in anfora di bambini. Gli archeologi spiegano la maggiore presenza di sepolture di bambini rispetto a quelle degli adulti ipotizzando che nel IV-VI secolo vi fosse stata un’elevata mortalità infantile causata dalla denutrizione.

Friuli Venezia Giulia - Antiquarium di via del Seminario, Trieste


L'Antiquarium di via del Seminario è un sito archeologico della città di Trieste, dove si conserva una sezione delle mura romane. I resti archeologici dell’Antiquarium di via del Seminario sono tra i più antichi presenti a Trieste; risalgono, infatti, alla tarda Repubblica, ossia alla fine del I secolo a.C. Si riferiscono allo stesso periodo anche la domus nell'Antiquarium di via Donota e il teatro romano. Nell'Antiquarium si osserva un tratto delle mura, fatte costruire da Ottaviano (quando questi non aveva ancora assunto il titolo di Augusto) tra il 33 e il 32 a.C. per la difesa della colonia di Tergeste. Il tratto conservato è lungo 4 metri e largo 2,4 metri; le facce esterne delle mura sono costituite da blocchi di arenaria, mentre il riempimento interno è di sabbia mista a roccia. Alla base delle mura è visibile un canale per lo scolo dell'acqua.


Tra la metà del I e il II secolo d.C., le mura persero la loro originaria funzione difensiva, venendo reimpiegate come parte di un sistema di terrazzamenti, che coinvolgeva tutto il versante del colle di San Giusto rivolto al mare. A ridosso del tratto murario, infatti, è stato riportato alla luce un vano con pavimentazione in opus spicatum, ossia in mattoni rettangolari disposti a spina di pesce, dove sono stati trovati anche alcuni frammenti di anfore: tale ambiente è stato interpretato come una vasca per la lavorazione dell'olio. Quest'area dell'antica Tergeste, effettivamente, era destinata alle attività produttive.


Friuli Venezia Giulia - Fonte battesimale del patriarca Callisto (Friuli Venezia Giulia)

 

Il complesso episcopale del patriarca Callisto sorgeva a Cividale del Friuli (Udine) e costituiva il principale complesso religioso della capitale dell'importante Ducato del Friuli. Fa parte del sito seriale "Longobardi in Italia: i luoghi del potere", comprendente sette luoghi densi di testimonianze architettoniche, pittoriche e scultoree dell'arte longobarda, iscritto alla Lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO nel giugno 2011.
Il complesso fu edificato al tempo del patriarca Callisto, che nel 737 aveva spostato la sede episcopale da Cormons a Cividale, e comprendeva la basilica, il Battistero di San Giovanni Battista e il Palazzo patriarcale.
Gli scavi archeologici hanno restituito solo poche tracce delle opere architettoniche, ma hanno consentito di recuperare alcuni tra i manufatti più raffinati della scultura longobarda, come il Fonte battesimale del patriarca Callisto e l'Altare del duca Rachis.
I resti del battistero furono riportati alla luce agli inizi del XX secolo, sotto l'attuale duomo cinquecentesco, mentre i resti del palazzo si trovano al di sotto del palladiano Palazzo dei Provveditori veneti, oggi sede del Museo archeologico nazionale.
Il Fonte battesimale del patriarca Callisto si trova nel Museo Cristiano di Cividale nel Friuli e risale al periodo della cosiddetta Rinascenza liutprandea (730-740), della quale rappresenta un capolavoro assieme all'Altare del duca Rachis.
La fonte è a pianta ottagonale (l'otto era considerato numero legato alla resurrezione essendo ottenuto dalla somma del sette, che significava l'eternità, e dell'uno, che rappresentava Dio) ed è sormontato da un tegurio composto da ampi archi a tutto sesto sostenuti da colonne corinzie. La sua altezza è di 354 cm ed è realizzato in calcare bianco.
Gli archi sono adornati da iscrizioni e da motivi vegetali, animali e geometrici, mentre nella parte bassa è decorato da due lastre scolpite molto simili all'altare del duca Ratchis (forse addirittura dello stesso autore) e le figure simboliche rappresentate sono legate al Sacramento del Battesimo (pavoni e grifoni alla fonte, leoni ed agnelli, simboli cristologici e degli Evangelisti, ecc.).

Friuli Venezia Giulia - Mitreo di Duino

 


Il Mitreo di Duino è una cavità naturale ipogea dove si praticava il culto di dio Mitra, diffuso nel mondo romano dalla fine del I secolo sino all'affermazione del cristianesimo.
La grotta fu rinvenuta negli anni '70 nel carso triestino, a poche centinaia di metri dalle Bocche del Timavo in Friuli-Venezia Giulia a nord-nord-ovest nella località di Duino, nelle vicinanze del Villaggio del Pescatore. Essa è illuminata naturalmente dalla luce che riceve dall'ampia entrata. 
Al centro della grotta si trovano due banconi ed un'ara ricavata da un blocco di calcare grossolanamente squadrato. Sulla parete in fondo si trova una lapide commemorale che rappresenta il dio Mitra mentre uccide il toro. Nella grotta sono state trovate tante offerte: circa 400 monete, lucerne e un gran numero di vasetti.

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...