giovedì 12 giugno 2025

TURCHIA - Efeso, Tempio di Artemide



Il tempio di Artemide, o Artemisio (in greco antico: Ἀρτεμίσιον, Artemísion, in latino: Artemisium), era un tempio ionico dedicato alla dea Artemide, situato nella città di Efeso, nell'attuale Turchia, a circa 50 km dalla città di Smirne.
Per le sue enormi dimensioni e la ricchezza delle decorazioni, fu considerato una delle sette meraviglie del mondo antico, ma ne rimangono oggi solo minimi resti.
L'area in cui sorse l'Artemisio era frequentata già dalla tarda età del bronzo (seconda metà del XIV e XIII secolo a.C.). A partire dall'età protogeometrica i frammenti ceramici rinvenuti testimoniano l'esistenza di un culto (fine dell'XI - inizi del IX secolo a.C.), che si svolgeva probabilmente all'aperto, forse in un semplice recinto sacro.
Nella seconda metà dell'VIII secolo a.C., o nel secondo quarto del VII secolo a.C., fu eretto il primo tempio, un periptero con cella in pietra . Questo primo tempio fu ricostruito, nella seconda metà del VII secolo a.C..
L'edificio sacro fu ancora ricostruito nell'ultimo terzo del VII secolo a.C. di dimensioni maggiori, ma in forma di una cella priva di tetto e non più circondata da un colonnato . Alla fine del VII secolo a.C. anche questo tempio ebbe una ricostruzione nella stessa forma.
Nel 580-560 a.C. venne costruita una grande struttura in asse con il tempio, interpretato in origine come un secondo tempio ("Hekatompedos") e più recentemente come un altare monumentale, probabilmente collegato al progetto del primo tempio in marmo, l'Artemision arcaico di Creso ("diptero 1").
Durante il regno di Creso sulla Lidia, normalmente datato negli anni tra il 560 a.C. e il 546 a.C., ma con inizio forse da considerare più antico, e più precisamente intorno al 560 a.C., o intorno al 575 a.C., venne iniziata la costruzione del primo grande tempio diptero in marmo ("diptero 1" o "tardo-arcaico", o "tempio di Creso").
Il tempio fu bruciato il 21 luglio del 356 a.C., da Erostrato, che ambiva in questo modo di passare alla storia. Il tempio era ancora in rovina quando lo stesso Alessandro lo visitò nel 334 a.C. e propose agli efesini di finanziarne la ricostruzione. Tuttavia i cittadini di Efeso rifiutarono poiché era ingiusto che un dio (come veniva considerato Alessandro) presentasse dei doni a un altro dio.
La ricostruzione, finanziata dalle donazioni dei cittadini, fu completata nella prima metà del III secolo a.C.. Il tempio sopravvisse ad un incendio all'epoca dell'imperatore Augusto e fu distrutto dall'invasione dei Goti nel 263 d.C. I suoi marmi furono reimpiegati per la costruzione della chiesa di San Giovanni ad Efeso e della basilica di Santa Sofia a Costantinopoli.
Il Tempio di Artemide cadde in rovina o fu definitivamente distrutto nel 401 d.C.. Secondo alcune fonti fu distrutto dai cristiani, per ordine del vescovo Giovanni Crisostomo (354-407). Gli Atti degli Apostoli riferiscono della contrapposizione fra la comunità giudaica ellenizzata e i cristiani convertiti dall'apostolo Paolo, già nel I secolo.
Gli autori antichi che si occuparono del tempio spesso non distinsero nettamente tra il "tempio tardo-arcaico di Creso" e il successivo "tempio tardo-classico" e, pur essendo a conoscenza delle diverse ricostruzioni, ne parlarono prevalentemente come di un unico edificio, creando a volte difficoltà di interpretazione.
Le origini del santuario furono considerate molto antiche: Pausania (110-180 d.C. circa) sostiene che il culto esistesse già in epoca precedente alla migrazione degli Ioni e che non fosse stato fondato dalle Amazzoni, come riportava invece il poeta Pindaro. Tacito (55-120 d.C. circa) riferisce che ai tempi di Tiberio gli Efesini consideravano il santuario legato alla nascita di Apollo e Diana, che ritenevano avvenuta non a Delo, bensì in un bosco presso il fiume Cencreo, nei dintorni della città. Callimaco (310-235 a.C. circa) nel suo Inno ad Artemide racconta come le Amazzoni avessero eretto nei pressi di Efeso una statua della dea posta sul tronco di un albero, intorno al quale sarebbe poi stato costruito un tempio.
Erodoto (484 a.C.-dopo il 430 a.C.) riferisce che il re di Lidia Creso (560-546 a.C.) aveva donato al santuario di Efeso la maggioranza delle colonne del tempio. Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) riferisce che il tempio era stato costruito in 120 anni con il denaro di tutta l'Asia e che le sue 127 colonne erano state offerte ciascuna da un diverso re. Anche Dionigi d'Alicarnasso (60 a.C. circa -7 a.C.), parlando di Servio Tullio, cita il tempio di Artemide ad Efeso come di un tempio costruito da tutti gli Ioni.
Plinio il Vecchio riferisce che il tempio era stato costruito dall'architetto cretese Chersifrone di Cnosso, che secondo Vitruvio (80 a.C. - 15 d.C. circa) fu aiutato da Metagene, suo figlio. I due architetti scrissero un trattato dal quale probabilmente derivano le notizie sulle tecniche da loro adottate per trasportare le colonne e poi gli architravi dalla cava e per innalzare poi gli architravi sulle colonne. Secondo Diogene Laerzio (180-240 d.C.) per le fondamenta del tempio collaborò alla progettazione anche l'architetto Teodoro di Samo, figlio di Rhoikos, che aveva lavorato, inizialmente con il padre, anche per il tempio di Hera a Samo: secondo Plinio, per evitare i problemi posti dal terreno su cui era costruito il tempio, paludoso e poco solido, le fondamenta poggiavano su un letto di carbone schiacciato e lana.
I lunghi lavori di costruzione richiesero l'opera anche di altri architetti: secondo Vitruvio vi lavorarono anche Demetrio e Peonio di Efeso, probabilmente intorno alla metà del V secolo a.C., oppure per la ricostruzione tardo-classica; Peonio più tardi lavorò anche al tempio di Apollo a Didima, presso Mileto. Anche Strabone (ante 60 a.C. - 24 d.C. circa) riferisce di Chersifrone come architetto del tempio arcaico, seguito da un altro di cui non fa il nome e che avrebbe allargato l'edificio.
Plinio il Vecchio riferisce ancora che le dimensioni del tempio erano di 425 x 225 piedi (ovvero 125,8 x 66,6 m) e le colonne avevano un'altezza di 60 piedi (17,76 m); 36 di esse erano "columnae caelatae", ovvero scolpite. Sempre Plinio riferisce al tempio l'invenzione delle basi con toro e dei capitelli; il diametro delle colonne sarebbe stato 1/8 della loro altezza e l'altezza del toro sarebbe pari a 1/2 diametro; ancora i fusti avrebbero una rastremazione per cui il diametro superiore sarebbe inferiore di 1/7 a quello inferiore.
Cicerone (106-43 a.C.) riferisce che lo storico greco Timeo di Tauromenio (350-260 a.C. circa) affermava che il tempio venne bruciato la notte stessa della nascita di Alessandro Magno (21 luglio del 356 a.C.). Valerio Massimo (morto dopo il 31 d.C.) riferisce come gli Efesini avessero vietato di ricordare il nome del responsabile dell'incendio, che era invece stato tramandato dallo storico Teopompo (morto intorno al 320 a.C.). Il nome di Erostrato è ricordato da Strabone, che riporta anche lui come fonte Teopompo, da Eliano (165-235 d.C. circa e da Solino (III secolo d.C.).
Ancora Strabone riferisce una notizia di Artemidoro di Efeso (II-I secolo a.C.), secondo il quale lo stesso Alessandro, all'inizio della sua campagna di conquista dell'Impero persiano, propose di finanziare la ricostruzione del tempio e che gli abitanti di Efeso rifiutarono la proposta e pagarono i lavori con le donazioni e con la vendita delle colonne del tempio distrutto. Sempre Strabone ci informa, riportando ancora notizie di Artemidoro, che l'architetto fu Dinocrate, che l'altare era stato decorato da Prassitele e che erano presenti opere dello scultore Thrason.
Antipatro di Sidone (170-100 a.C.) descrive per la prima volta in un epigramma dell'Antologia Palatina le sette meraviglie del mondo (tra cui il tempio di Artemide ad Efeso):
«…ma quando vidi
la dimora sacra d'Artemide che si eleva fino alle nubi
tutto il resto ricadde nell'ombra e dissi: «Vedi, tranne l'Olimpo,
il Sole non ha ancora mai contemplato nulla di simile
»
Il poeta greco Antipatro è considerato dagli storici il compilatore della lista delle meraviglie del Mondo Antico.
Il riconoscimento della posizione del tempio si deve a John Turtle Wood, che lo scoprì alla fine del 1869 e vi scavò fino al 1874, inviando diversi frammenti architettonici e scultorei al British Museum, che furono studiati da Alexander Stuart Murray. Nel 1894 l'Österreichisches Archäologisches Institut riesaminò a Efeso i frammenti scoperti da Wood e redasse una pianta.
Nel 1904-1905 David George Hogarth proseguì, sempre per conto del British Museum, gli scavi di Wood, ripulendo lo stilobate del tempio arcaico, scavando al di sotto di esso ed esplorando anche il circostante temenos (recinto sacro). Furono visti i resti di tre fasi (A, B e C) precedenti al grande tempio arcaico (D).
Una nuova campagna di scavo fu intrapresa negli anni 1969-1994 sotto la direzione dell'archeologo austriaco Anton Bammer, che riconobbe nel cosiddetto tempio A di Hogarth le fondazioni del naiskos costruito all'interno della cella del grande tempio arcaico di Creso e le fasi ad esso precedenti. Il tempio B di Hogarth rappresenta in realtà solo la cella di un tempio già periptero, ritenuto il più antico conosciuto. In una fase successiva questo tempio venne rialzato su una piattaforma più alta e in seguito, alla fine del VII secolo a.C., fu soppresso il colonnato esterno, con il tempio ridotto alla sola cella (tempio C).
Il primo tempio ("naos 1", datato nella seconda metà dell'VIII secolo a.C. o nel secondo quarto del VII secolo a.C.: vedi sezione "Storia"), consisteva in una cella rettangolare con i muri costruiti interamente in pietra, circondata da una peristasi di otto colonne lignee sui lati lunghi e di quattro sui lati corti, che sorreggeva una trabeazione in legno e un tetto di materiale leggero. La cella era priva di tetto ("ipetra"), ma un baldacchino di tre colonne per lato copriva la statua di culto e forse un altare.
In un momento successivo, la struttura, distrutta da un'alluvione, venne rialzata rispetto al terreno circostante e probabilmente fu dotata di un tetto con almeno alcuni elementi di rivestimento in terracotta ("naos 2" o "tempio B"), datato nella seconda metà del VII secolo a.C.: vedi sezione "Storia": si tratterebbe del primo esempio conosciuto di quest'uso in Asia Minore.
Alla fine del VII secolo a.C. questo edificio fu sostituito da una struttura di maggiori dimensioni, con ante sporgenti e priva di peristasi, che ebbe due fasi successive e forse non fu mai completata ("sekos 1 e 2", o "tempio C1 e C2").
Tempio "di Creso"
Intorno al 560 a.C. fu iniziata l'erezione del grande tempio ionico arcaico, per il quale il re della Lidia Creso dedicò le colonne. I lavori durarono a lungo: forse fino al 525 a.C. per il completamento delle colonne e forse addirittura il 470-460 a.C. per il termine della trabeazione. Il tempio fu attribuito all'architetto Chersifrone, di Cnosso, e a suo figlio Metagene, che scrissero un trattato sulla sua edificazione, mentre l'architetto Teodoro di Samo, che aveva lavorato al tempio di Hera a Samo, contribuì alla creazione di solide fondamenta nel terreno paludoso.
Come molti templi di Artemide in Asia Minore era orientato ad ovest (anziché ad est come in genere in templi greci). Sappiamo che l'edificio, interamente in marmo locale, era un tempio diptero, ovvero con due file di colonne che circondavano le cella, sopra una bassa crepidine a due gradini.
Lo stilobate misurava 115 x 55 m.
Il tempio aveva due o tre file di 8 colonne sulla fronte occidentale (tempio "ottastilo"), con l'intercolunnio centrale più ampio, due file di 9 colonne sul retro (con gli intercolunni centrali più ristretti) e due file di 20 o 21 colonne sui lati (con gli ultimi due intercolunni verso la facciata principale occidentale più larghi). Davanti alla cella era un pronao molto profondo, suddiviso in tre navate da due file di 4 colonne.
Anche in questa fase la cella rimase priva di soffitto ("ipetra") e al suo interno si trovava un naiskos (piccolo tempietto o edicola sacra) con davanti un altare[54]. Sul fondo della cella, la presenza di un muro trasversale testimonia l'esistenza di un adyton (spazio riservato ai sacerdoti, santuario).
Un altare monumentale, di cui si sono viste solo parte delle fondazioni, si trovava già in questa fase in asse con il tempio davanti alla sua facciata.
Elevato del tempio arcaico

Dell'elevato del tempio arcaico restano solo frammenti, che consentono diverse ipotesi ricostruttive. Frammenti di rilievi piani con figure potrebbero infatti appartenere non ai plinti inferiori delle basi delle colonne, come nella fase successiva, ma ad un basso fregio continuo disposto alla base del muro della cella o inserito nella trabeazione. Come nella fase successiva inoltre erano presenti rocchi di colonna decorati con scene di processione, riservate probabilmente alla facciata principale occidentale. Le colonne dovevano raggiungere un'altezza di circa 18 m (pari a circa 12 volte il diametro di base e sono dunque particolarmente esili.
Le basi erano della forma asiatica, con un toro scanalato sopra due scozie separate da tondini. Il fusto delle colonne poteva avere 40, 44 o 48 scanalature a spigolo vivo: in quelli con scanalature più fitte, queste erano alternativamente più larghe e più strette. I capitelli ionici sono di una forma nella quale lo sviluppo della forma canonica, secondo le forme tipiche dell'Asia Minore, era già avviato e sono dunque stati datati ad una fase avanzata della costruzione, intorno al 540 a.C..
Le colonne della facciata avevano una maggiore ricchezza decorativa, con i capitelli ionici dalle volute ornate da rosette e dotati forse di un collarino decorato, con il toro superiore delle basi decorato da un motivo di foglie ("kyma lesbio") e con i rocchi scolpiti, collocati nella parte inferiore del fusto, subito sopra la base, o alla sua parte superiore, subito sotto il capitello ionico, nella posizione di un collarino.
Sono molto scarsi i resti della trabeazione: non conosciamo né l'architrave, né i dentelli. La cornice terminava superiormente con una grande sima con decorazioni scolpite.
Tempio tardo-classico

Dopo l'incendio del 356 a.C., il tempio venne ricostruito ("diptero 2") sulla stessa pianta del precedente tempio "di Creso" ("diptero 1"), ma su uno stilobate fortemente rialzato, alto 2,68 m e a cui si accedeva per mezzo di 13 gradini. Le dimensioni dello stilobate erano maggiori di quelle del tempio arcaico e raggiungevano 125,16 x 64,79 m. All'interno l'antico adyton fu sostituito da un opistodomo, che si apriva sul colonnato del retro con altre tre colonne.
I fusti delle colonne avevano 24 scanalature separate da listelli e le basi ripetevano le forme di quelle del tempio arcaico. Furono scolpiti nuovi rilievi per i rocchi scolpiti delle columnae caelatae, uno dei quali, rinvenuto nei primi scavi ottocenteschi, si conserva al British Museum di Londra. Secondo Plinio uno di questi rocchi sarebbe attribuibile allo scultore Skopas.
Anche la trabeazione riprese il modello del tempio più antico, ma le figure della sima superiore, ai lati dei gocciolatoi a testa di leone, furono rimpiazzate da un disegno vegetale più convenzionale. Sui lati corti il tempio era dotato regolarmente di un frontone, come mostrano le raffigurazioni sulle monete: al centro del timpano era presente un'apertura, forse destinata a diminuire il peso gravante sulle colonne.
Altare monumentale
Immediatamente ad ovest della facciata del tempio tardo-classico, gli scavi hanno rimesso in luce la piattaforma a U (39,70 x 16,67 m), pavimentata con lastre di forma poligonale o trapezoidale. L'altare, nella stessa posizione di quello del tempio tardo-arcaico, era in questa fase circondato su tre lati da un doppio colonnato, poggiante su uno zoccolo alto 3,40 m e aperto sul lato opposto al tempio, con gradini che permettevano l'accesso.

TURCHIA - Efeso, Biblioteca di Celso

 

La biblioteca di Celso di Efeso fu realizzata in età traianea, in onore di Tiberio Giulio Celso Polemeano, illustre personaggio che ricoprì tutte quante le cariche previste dal cursus honorum romano (fu persino insignito della carica di proconsole d'Asia nel 106 e morì poco prima del 117). L'edificio fu realizzato ad opera del figlio di Celso, Gaio Giulio Aquila, il quale lasciò in eredità alla città di Efeso i denarii per l'acquisto dei libri.
La biblioteca, che costituisce anche il monumento sepolcrale dello stesso Celso (la sua tomba infatti si trovava al di sotto dello stesso edificio) si trova in una zona nevralgica della città, a ridosso della grande agorà commerciale (agorà tetragona).
La Biblioteca di Celso è una delle antiche costruzioni di stile romano a Efeso, nell'Anatolia che fa ora parte di Selçuk, in Turchia. Fu costruita in onore del senatore romano Tiberio Giulio Celso Polemeano (completata nel 135 d.C.) dal figlio di Celso, Gaio Giulio Aquila (console, 110 d.C.). Celso era stato console nel 92, governatore dell'Asia nel 115 e ricco cittadino localmente popolare. Nativo di Sardi e tra i primi uomini di pura origine greca ad essere nominato console dell'Impero Romano ed onorato sia come greco che come romano nella Biblioteca stessa. Celso pagò la costruzione della biblioteca coi suoi fondi personali.
La biblioteca fu costruita per alloggiare 12.000 rotoli e servire da tomba monumentale a Celso, che infatti è sepolto in un sarcofago sotto la biblioteca, nell'entrata principale che è sia una cripta contenente il suo sarcofago sia un monumento sepolcrale dedicato a lui. Era insolito esser sepolti dentro una biblioteca o anche entro i confini della città, quindi questo era uno speciale onore per Celso.
La Biblioteca venne costruita ad Efeso, un territorio che era tradizionalmente e profondamente legato alla cultura ed alle tradizioni greche. L'edificio è importante quale uno dei pochi esempi sopravvissuti di antica biblioteca influenzata dallo stile romano. Dimostra inoltre che le biblioteche pubbliche non venivano costruite solo a Roma, ma in tutto l'Impero Romano.
L'interno della biblioteca e tutti i suoi libri furono distrutti da un incendio nel devastante terremoto che colpì la città nel 262 a seguito del quale rimase in piedi la sola facciata che, verso il 400 d.C., fu trasformata in un ninfeo. La stessa andò comunque interamente distrutta a causa di un altro terremoto, probabilmente nel tardo periodo bizantino.
In un complesso restauro che si ritiene abbia restituito con molta fedeltà l'aspetto originale, la facciata anteriore è stata totalmente ricostruita per anastilosi nel corso degli anni 1960 e 1970 e serve ora come un primo esempio di architettura romana pubblica. La Biblioteca di Celso può servire da modello per altre, meno ben conservate, biblioteche in altre parti dell'Impero, perché è possibile che diverse collezioni letterarie siano state alloggiate in altre città romane a beneficio di studenti e di viandanti romani. Queste librerie potrebbero anche aver ospitato raccolte di documenti di interesse locale, se non furono distrutti durante la conquista romana.
La tecnica edilizia utilizzata è l'opera laterizia, con l'impiego di pietrame. Pregevole la decorazione della facciata (che è stata interamente ricomposta da archeologi austriaci), che prevede l'uso di varie qualità di marmi, tra cui il pavonazzetto: viene riproposto qui lo schema tipico delle quinte scenografiche teatrali, ovvero la sovrapposizione di colonnati di vario ordine, che creano un particolare gioco prospettico con il loro aggettare rispetto alla parete di fondo.
La decorazione di questo monumento costituisce un notevole esempio di quello che solitamente viene indicato come "barocco asiatico".
Da ricordare, in particolare, le quattro nicchie presenti nella stessa facciata, che accolgono le statue celebranti le virtù di Celso: sophìa, areté, èunoia ed epistème (saggezza, virtù, benevolenza e sapienza).
Si nota infine la presenza di doppi muri con intercapedine, atti a salvaguardare i rotoli di papiro dal pericolo di incendi.
L'edificio è composto da un'unica sala che si affaccia ad est verso il sole del mattino, come Vitruvio consigliava, a beneficio dei mattinieri. La biblioteca è costruita su una piattaforma, con nove gradini lungo l'intera larghezza della costruzione e che conducono a tre ingressi frontali. L'ingresso centrale è più grande dei due laterali e tutti sono decorati con finestre superiori. Ai fianchi degli ingressi ci sono quattro coppie di colonne ioniche elevate su piedistalli. Una serie di colonne corinzie sono poste direttamente sopra la prima serie, aggiungendo altezza all'edificio. Le coppie di colonne del secondo piano affiancano le finestre nello stesso modo che le colonne del primo piano affiancano le porte e inoltre creano nicchie che avrebbero ospitato le statue. Si pensa ci possa essere stata una terza serie di colonne, ma oggi ce ne sono solo due.
Questo tipo di facciata con telai incassati e nicchie per statue è simile a quella che si trova negli antichi teatri greci (l'edificio del palcoscenico dietro l'orchestra, o Skené) ed è quindi caratterizzata come "scenografica".
Gli altri lati dell'edificio sono irrilevanti dal punto di vista architettonico, perché la biblioteca era fiancheggiata da altri edifici. L'interno del palazzo, non completamente restaurato, era un unico ambiente rettangolare (misurante 17mx11m) con un'abside centrale incorniciato da un grande arco nella parete di fondo. Una statua di Celso o di Atena, dea della sapienza, si trovava nell'abside, e la tomba di Celso era posta direttamente sotto, in una camera con soffitto a volta. Lungo gli altri tre lati si trovavano nicchie rettangolari che contenevano armadi e scaffali per i 12.000 rotoli. Si dice che Celso avesse lasciato un'eredità di 25.000 denari per pagare il materiale di lettura della biblioteca.[10]
Il secondo e terzo livello possono essere raggiunti tramite una serie di scale costruite nei muri per aggiungere un supporto alla costruzione e avevano altre nicchie per rotoli. Il soffitto era piatto e forse aveva un oculo quadrato centrale per fornire più luce. Lo stile della biblioteca, con la sua facciata ornata, equilibrata, ben pianificata, riflette l'influenza greca sull'architettura romana. I materiali da costruzione, mattoni, cemento e calcinacci con mortaio, dimostrano l'avvento dei nuovi materiali che è entrarono in vigore durante il II secolo dell'Impero Romano.
La statua rappresentante Celso si trova oggi al Museo Archeologico di Istanbul ed era un tempo collocata in facciata assieme ad altre statue, al secondo livello della struttura. Il patrono della biblioteca è rappresentato con una mascella marcata, capelli ricci e una barba fine, facendo eco quindi alle altre sculture ellenistiche in facciata. Lo stile imita quello della ritrattistica imperiale di età adrianea, suggerendo quindi che la statua potrebbe essere stata realizzata molto tempo dopo la morte di Celso stesso. La scelta di rappresentare il patrono della biblioteca con l'armatura è indubbiamente una scelta di tipo politico nel voler rimarcare l'ascesa in società di Celso stesso, avvenuta appunto tramite la carriera militare.

TURCHIA - Efeso, Tempio di Adriano

 
Il tempio di Adriano è un piccolo tempio romano di Efeso situato sulla via dei Cureti, nella parte occidentale dell'attuale Turchia, dedicato all'imperatore Adriano nel 138 da Publio Quintilio.
Il tempio è del tipo prostilo, con un pronao tetrastilo (a quattro sostegni) riccamente decorato che precede una piccola cella spoglia. I quattro sostegni della facciata sono costituiti da due colonne centrali e da due pilastri laterali, di ordine corinzio. La trabeazione al di sopra dello spazio centrale tra le due colonne si incurva a formare un ampio arco, decorato al centro da un busto della dea Tyche, che occupa lo spazio del soprastante frontone triangolare, oggi mancante. Sui lati la trabeazione si appoggia a due pilastri laterali addossati alla facciata della cella e non continua sulle pareti di essa.
La facciata della cella, dietro le colonne del pronao è invece riccamente decorata: sopra l'ampia porta, una lunetta reca una figura femminile emergente da una ricca decorazione vegetale, identificata con Medusa.
Ai lati della porta e sulle pareti interne del pronao si trova un fregio scolpito (gli originali sono nel Museo, mentre sul tempio ne sono state collocate delle copie). Ne sono conservati quattro blocchi: nei primi tre blocchi a partire da sinistra vi si trovano una serie di divinità, Androclo, mitico fondatore della città, mentre caccia il cinghiale e Dioniso con le Amazzoni. Il quarto blocco si riferisce probabilmente ad un restauro successivo e raffigura immagini di divinità e personaggi della famiglia imperiale dell'imperatore Teodosio I.
Davanti alle colonne della facciata sono presenti dei piedistalli per statue, aggiunti successivamente, con dediche agli imperatori della Tetrarchia.


TURCHIA - Museo archeologico di Efeso

 


Il Museo archeologico di Efeso (in turco Efes Müzesi) è un museo archeologico situato a Selçuk, vicino a Smirne, in Turchia. Ospita reperti archeologici principalmente provenienti dagli scavi del vicino sito di Efeso, ma anche da altri luoghi come la Basilica di San Giovanni di Efeso, il Mausoleo di Antioco II a Belevi ed alcuni pezzi etnografici.
Già nel 1929 fu creato a Selçuk un deposito di antichità che sarebbe diventato la base del futuro museo, che sarebbe stato aperto al pubblico nel 1964 e successivamente ampliato nel 1976.
Il patrimonio del museo comprende quasi 50 000 oggetti che vanno dal IV millennio a.C. ai tempi moderni, con l'antichità classica e il periodo medievale che sono i più rappresentati. Il museo è diviso in due dipartimenti, uno dedicato all'archeologia e l'altro all'etnografia. La parte etnografica è stata riorganizzata nel 1995, in seguito al restauro di un hammam (Saadet-Hatun-Hamam) nella parte occidentale del museo di Selçuk nel 1972.
Una delle sue opere più note è la statua di Artemide recuperata dal tempio della dea ad Efeso.
I musei che hanno anche una collezione significativa di oggetti di Efeso includono il Museo di Efeso a Vienna, i Musei Archeologici di Istanbul, il Museo Archeologico di Smirne e il British Museum di Londra.

TURCHIA - Zecca di Nicomedia

 


La zecca di Nicomedia fu una zecca romana con sede nella città di Nicomedia e attiva dalla fine del III secolo alla seconda metà del V e poi dal 498 circa al 629. I simboli di zecca utilizzati erano NIKOMI, NIKO, NIKM, NIC, NIK, NI e N.
A seguito della riforma monetaria del 498 di Anastasio I, la zecca riprese le coniazioni, limitate (come per la sua gemella zecca di Cizico) alle monete in bronzo, probabilmente destinate a rifornire la diocesi del Ponto. Assieme alla zecca di Cizico, quella di Nicomedia giocò un ruolo importante nella riforma monetaria del 539. Nel VI e VII secolo furono utilizzati i segni di officina A e B. A causa dell'occupazione persiana non fu attiva nel 614/615 e poi ancora nel 625/626; dopo una breve riapertura fu poi chiusa definitivamente a seguito della riorganizzazione voluta dall'imperatore Eraclio I (629), insieme alle zecche di Nicomedia e Tessalonica.


TURCHIA - Ezani/Aizanoi

 


Ezani (in greco antico: Αἰζανοί, Aizanoi; latinizzato come Aezani), fu una città dell'Antica Grecia situata in Asia Minore (attuale Anatolia occidentale), nei pressi dell'attuale città turca di Çavdarhisar, in provincia di Kütahya. Le rovine si trovano al di là del fiume Penkalas, a circa 1000 m s.l.m..
La città fu un importante centro politico ed economico in epoca romana; i resti superstiti dell'epoca includono un ben conservato Tempio di Zeus (nella foto), un insolito complesso teatro-stadio combinato, e un macellum dove è conservato un editto sui prezzi massimi di Diocleziano.
La città cadde in declino nella tarda antichità, pur divenendo in seguito una cittadella. Nel 2012, il sito è stato candidato per l'iscrizione nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
La zona risulta insediata fin dall'età del bronzo. La città potrebbe aver derivato il suo nome da Azan, uno dei tre figli di Arcade e della ninfa Erato, leggendari antenati dei Frigi. Durante il periodo ellenistico la città passò di mano tra il Regno di Pergamo e il Regno di Bitinia, prima di essere lasciata in eredità a Roma dal primo nel 133 aC. Ha continuato a coniare le proprie monete. I suoi edifici monumentali risalgono dall'inizio dell'Impero romano al III secolo.
Ezani faceva parte della provincia romana della Frigia Pacaziana. Divenne presto sede vescovile cristiana e il suo vescovo Pisticus (o Pistus) partecipò nel 325 al primo concilio di Nicea, che fu il primo concilio ecumenico della storia. Pelagio partecipò a un sinodo che il patriarca Giovanni II di Costantinopoli organizzò frettolosamente nel 518 e che condannò Severo di Antiochia; fu anche al secondo concilio di Costantinopoli nel 553. Gregorio era al Concilio Trullano del 692, Giovanni al secondo concilio di Nicea del 787, e Teofane sia al Concilio di Costantinopoli dell'869 che al Concilio di Costantinopoli dell'879. Il vescovato era inizialmente un suffraganeo di Laodicea, ma, quando la Frigia Pacaziana fu divisa in due province, si trovò come suffraganeo dell'Arcidiocesi di Gerapoli di Frigia, capoluogo della nuova provincia di Frigia Pacaziana II. Non più sede vescovile residenziale, la Diocesi di Ezani è oggi elencata dalla Chiesa cattolica come sede vescovile titolare.
Il tempio di Zeus, situato su una collina, era il santuario principale della città. I reperti ceramici indicano un'abitazione locale della prima metà del terzo millennio a.C. Secondo una recente lettura dell'iscrizione dell'architrave, la costruzione del tempio iniziò sotto Domiziano. Le iscrizioni documentano l'assistenza imperiale di Adriano per il recupero degli affitti non pagati e l'evergetismo di Marco Apuleio Eurykles. Più tardi i tartari Çavdar scolpirono scene equestri e di battaglia sul tempio. Il tempio è pseudodipterale, con otto colonne alle estremità e quindici lungo i lati (35 m × 53 m). È stata danneggiata dal terremoto di Gediz del 1970 e da allora è stata restaurata.

Il teatro romano e lo stadio di Ezani sono costruiti uno accanto all'altro, e si ritiene che questo complesso combinato sia unico nel mondo antico. A separare le due strutture vi è l'edificio del palcoscenico.
La costruzione iniziò dopo il 160 d.C. e fu completata verso la metà del terzo secolo. Le iscrizioni testimoniano ancora una volta il beneficio di Marco Apuleio Eurycles.
Sono state identificati due complessi di terme romane. Il primo, tra il teatro-stadio e il tempio, risale alla seconda metà del II secolo e comprende una palaestra e arredi marmorei. Il secondo, a nord-est della città, fu costruito un secolo dopo; i mosaici pavimentali raffigurano un satiro e una menade. Ricostruito un paio di secoli dopo, è servito come sede vescovile.
Un macellum circolare datato alla seconda metà del II secolo è situato nella parte meridionale del sito archeologico. Nel IV secolo vi fu posta una copia dell'editto sui prezzi massimi di Diocleziano risalente al 301, emanato nel tentativo di limitare l'inflazione derivante dalla svalutazione della moneta.
Recenti campagne di scavo hanno rivelato l'esistenza di una stoà, o porticato, risalente al 400 circa e una strada colonnata. Un tempio di Artemide, databile all'epoca di Claudio (41-54), fu demolito per far posto alla strada colonnata lunga 450 metri che conduce al santuario di Meter Steunene.
Una profonda galleria all'interno di una grotta, ora crollata, era dedicata a Meter Steunene (una divinità femminile tipica dell'Anatolia). Figurine di culto in argilla sono state trovate negli scavi, insieme a due fosse rotonde apparentemente utilizzate per il sacrificio di animali.
La grande necropoli della città include esempi di tombe frigie a forma di porta. Le iscrizioni riportano il nome del defunto o di chi commissionò la tomba; nelle tombe maschili sono presenti bassorilievi con tori, leoni e aquile, mentre in quelle femminili sono rappresentati cesti di lana e uno specchio. 
 
Alcuni reperti del sito di Aizanoi, tra cui un sarcofago con scene di un'amazzonomachia, sono stati rimossi e oggi esposti nel museo archeologico di Kütahya. 

TURCHIA - Antica strada a Tarso

 

Antica strada  è il tratto rinvenuto di un'antica strada nella storica città di Tarso, in Turchia.
Tarso, un'antica città conosciuta come il luogo di nascita dell'apostolo Paolo, è ad oggi un importante centro distrettuale nella provincia di Mersin, in Turchia. La strada è stata scoperta casualmente durante uno scavo edile nel 1993. La costruzione è stata bloccata e la strada è ora circondata da una rete metallica per protezione.
La strada fu costruita durante l'Impero Romano, probabilmente nel I secolo d.C.  La larghezza della strada è di 6,5 metri (21 ft). Il materiale usato per la costruzione è pietra basaltica e sotto la strada era stata realizzata una rete fognaria che la rende unica tra le altre strade anatoliche dell'epoca. A ovest e a est della strada ci sono degli stilobati. 
È presente una strada romana a nord di Tarso, ma non si sa se le due strade fossero collegate durante i tempi antichi.

TURCHIA - Strada romana in Cilicia


 
La strada romana in Cilicia (in turco Roma yolu) è parte di una strada romana nella provincia di Mersin, in Turchia.
La strada è considerata un tratto della strada principale che nell'antichità collegava la Cilicia alla Capadocia. Il capolinea settentrionale si trovava probabilmente nella città di Bahçeli, una parte dell'antica città di Tyana nella provincia di Niğde. Il capolinea meridionale si trovava invece a Tarso, un grande centro distrettuale nella provincia di Mersin e un'importante città antica. La moderna distanza autostradale tra queste due località è di 148 chilometri (92 mi). Attualmente solo un piccolo tratto della strada è stato riportato alla luce. La strada sterrata parte da una collina a circa 37°03′N 34°54′E che si trova nelle vicinanze del villaggio di Sağlıklı, il quale dista 14 chilometri (8,7 mi) da Tarso, e prosegue per circa 3 chilometri (1,9 mi) verso nord. L'altitudine media della strada va da 300 metri (980 ft) fino a 400 metri (1 300 ft). 
All'estremità meridionale del percorso rinvenuto, in prossimità di Tarso, c'è una porta che era o un punto di controllo del confine della Cilicia o una porta ad arco. È presente anche una brevissima strada nel tessuto urbano di Tarso chiamata Strada Antica che è stata scoperta solo recentemente, tuttavia non è chiaro se le due strade siano collegate.
Si crede che la strada sia stata costruita nel I secolo d.C. sotto la dominazione dell'Impero Romano. Inoltre secondo un'iscrizione di restauro, rinvenuta accanto alla strada, fu ricostruita o riparata durante il regno di Caracalla nel III secolo. La porta originale posta all'estremità meridionale, datata al V secolo, ad un certo punto fu distrutta e la porta attuale fu ricostruita molto più tardi.
La strada ha una pavimentazione in pietra e ci sono cordoli, sempre in pietra, ad ogni lato della strada. La larghezza della strada escluso il parapetto è di circa 3 metri (9,8 ft).
Le dimensioni esterne della porta meridionale, costruita in blocchi di pietra squadrati, sono di 8,8 m. di larghezza x 5,2 m di altezza (28,98 ft alto x 17 ft largo). La larghezza interna è di 4,11 metri (13,5 ft).


TURCHIA - Museo dei Mosaici di Zeugma

 


Il Museo dei Mosaici di Zeugma, nella città di Gaziantep, in Turchia, è il più grande museo del mosaico del mondo, contenente 1700 m² di mosaici, superando il Museo Nazionale del Bardo a Tunisi nella categoria del più grande museo del mondo dedicato al mosaico.
I mosaici del museo sono incentrati su Zeugma, che si dice sia stata fondata come Seleucia da Seleuco I Nicatore, un generale dell'esercito di Alessandro Magno. I tesori, inclusi i mosaici, rimasero relativamente sconosciuti fino al 2000, quando i manufatti apparvero nei musei e quando i piani per nuove dighe sull'Eufrate avrebbero significato che gran parte di Zeugma sarebbe stata allagata. Molti dei mosaici rimangono coperti e squadre di ricercatori continuano a lavorare al progetto.
Nel corso della pianificazione del Progetto dell'Anatolia Sud-Orientale, iniziato nel 1980 e destinato a fornire acqua ed energia al sud-est della Turchia, è stata decisa anche la costruzione della diga di Birecik, iniziata nel 1996. Dopo lunghi, spesso infruttuosi sforzi da parte di varie parti per avviare misure per salvare le preziose antichità di Zeugma, gli scavi di salvataggio sono finalmente iniziati nel 1995 con la collaborazione del Museo Archeologico di Gaziantep e di varie organizzazioni internazionali. Sono stati riportati alla luce numerosi manufatti, tra cui un gran numero di mosaici e dipinti murali notevoli e ben conservati. Inizialmente furono raccolti al Museo di Gaziantep, che presto si rivelò troppo piccolo. Nel 2005 è stato aperto un ampliamento accanto al vecchio museo, ma ben presto non è stato più in grado di far fronte all'abbondanza di materiale rinvenuto. Nel 2008 è iniziata la costruzione di un museo per i reperti di Zeugma, che è stato aperto ai visitatori il 27 maggio 2011. L'inaugurazione ufficiale del primo ministro Recep Tayyip Erdoğan e del ministro della Cultura Ertuğrul Günay ha avuto luogo il 9 settembre 2011.
La superficie totale dell'edificio del museo è di 30000 m², la mostra occupa circa un terzo di quella su tre piani. Al momento dell'apertura, il museo ospitava mosaici con una superficie totale di 1450 m² e ulteriori 1000 m² ancora in fase di restauro. Il museo ha così superato il più grande museo del mosaico di Tunisi fino ad oggi e ha la più grande collezione di mosaici del mondo.
Ci sono anche 140 m² di affreschi, statue, quattro fontane romane, colonne, steli e sarcofagi, nonché una statua in bronzo del dio della guerra Marte. Quest'ultimo è alto 1,45 m è posto su una colonna alta sei metri in modo che possa essere visto da quasi ogni punto dell'edificio. È stato ritrovato nella casa di Poseidone e presenta lievi tracce di incendio. Si ritiene che sia stato nascosto lì per proteggersi dall'attacco sasanide nel 252 d.C. Tra le steli vanno ricordati due rilievi di dexiosis, posti vicino all'ingresso. Mostrano il commageno re Antioco I che stringe la mano ad Apollo / Mitra ed Eracle. I mosaici e le pitture murali sono parzialmente presentati nel loro contesto originale con colonne, fontane e altri elementi architettonici.
La mostra comprende anche grandi schermi interattivi che forniscono informazioni sulla storia e l'esplorazione della città di Zeugma, nonché gli scavi e le operazioni di soccorso. Un documentario viene proiettato in una stanza attigua, con varie tavole e tavoli con grandi touchscreen e proiezioni laser sensibili al movimento distribuite sui tre piani, con cui bambini e adulti possono imparare giocosamente di più sulla struttura e le caratteristiche dei mosaici, ad esempio sotto forma di puzzle.
Alcuni mosaici eccezionali sono descritti di seguito come esempi.
Ritratto di una ragazza

Il mosaico più famoso della collezione è il cosiddetto "Ragazza zingara". È l'emblema del museo ed è raffigurato sui manifesti e nella città di Gaziantep per la sua pubblicità. Il frammento mostra una giovane ragazza i cui capelli sono tenuti sotto un berretto. Parte dei capelli appare sopra la fronte, sotto il berretto, lunghi riccioli pendono liberamente lungo i lati. I resti di un fiore o di un nastro sulla destra possono appartenere a un tirso che lei o una persona in piedi accanto ad esso tiene in mano. Viene interpretato come un riferimento a una scena dionisiaca, con la ragazza che rappresenta una menade. Tracce di foglie di vite si vedono a sinistra sopra la testa, a conferma di questa interpretazione. Il mosaico è datato al II secolo d.C. È esposto in una stanza separata e buia al piano superiore.
Oceano e Teti
Il mosaico mostra il dio del mare Oceano con sua moglie Teti, circondato da creature marine e quattro figure di Eros che cavalcano delfini. Il dio è mostrato con due chele di granchio come corna, un remo in una mano. Teti ha due ali sulla fronte. Il mosaico è stato ritrovato sul fondo di una piscina. La vista dall'alto è il motivo per cui due delle raffigurazioni di Eros sono capovolte. Tali immagini dell'oceano con creature marine erano motivi popolari per mosaici o dipinti nei bagni.
Metioco e Partenope

La cornice dell'immagine è formata da una fila di piramidi a gradini, all'interno di una fascia guilloché e da una fascia larga bianca e una stretta nera dritta. Vengono rappresentati Metioco e Partenope, identificabili tramite etichette. Metioco e Partenope sono i protagonisti di un antico racconto. Partenope era probabilmente una figlia del tiranno Policrate di Samo, il mosaico descrive l'incontro dei due. Secondo la storia, si sono già incontrati e innamorati, ma Partenope è una sacerdotessa di Artemide e ha fatto voto di castità. Sono seduti sui cuscini di un lettino simile ad un divano, le cui gambe sono sagomate con forme simili a dischi. I corpi delle figure sono leggermente voltati l'uno dall'altro, mentre le teste sono rivolte l'una verso l'altra. Partenope indossa una tunica senza spalline che espone la spalla sinistra e un Himation caduto sulle ginocchia. Braccia e polsi sono adornati con bracciali, un diadema adorna la testa e un orecchino di perle pende dall'orecchio destro visibile. Metioco indossa una tunica con due strisce verticali, il suo mantello che pende sulle spalle è piegato in grembo. Il mosaico del III secolo era già stato gravemente distrutto e saccheggiato quando fu ritrovato nel 1993, alcune parti mancanti potrebbero essere identificate nella Menil Collection di Houston (Texas) e furono restituite a Gaziantep.
Amore e Psiche

Il mosaico è inquadrato da due file di blocchi prospettici, inclinati verso il centro del lato. Tra le due file c'è un'ampia fascia riempita da una doppia fascia d'acanto. Le due fasce hanno origine al centro della parte superiore e inferiore di un volto maschile barbuto e si incontrano al centro del lato destro e sinistro in grandi foglie d'acanto. Le circonvoluzioni della pianta sono piene di frutta, tra cui uva, mele, pere, prugne, melograni e fichi, con piccoli fiori e viticci in mezzo.
Le figure di Eros e Psiche siedono su un lettino imbottito con i piedi su un ampio poggiapiedi. Eros è scalzo, i piedi di Psiche sono coperti dal suo mantello. Si siedono anche con i corpi leggermente distanziati l'uno dall'altro mentre le loro teste si girano l'una verso l'altra. Eros è raffigurato come un bel giovane con un torso nudo, con una corona di foglie in testa. Le sue ali hanno sfumature multicolori. Il suo braccio sinistro è avvolto intorno alla spalla della sua compagna e nella mano destra tiene in grembo un mazzo di fiori. Psiche è vestita con una tunica con maniche, il suo mantello è realizzato in tessuto traslucido. È adornata con una corona di foglie e un velo sul capo. Sullo sfondo a sinistra della scena c'è un lucido cratere metallico. L'opera è stata rinvenuta nella casa di Poseidone e risale alla seconda metà del III secolo.
Trionfo di Dioniso

L'illustrazione del II secolo, insieme a quella di Pasifae e Dedalo, formava un mosaico pavimentale a forma di T nella casa di Poseidone. Il bordo esterno, che in alto fa anche da confine al secondo mosaico, è costituito da un nastro a meandro mostrato in prospettiva, che mostra alternanza di svastiche e rettangoli contenenti un nodo di Salomone (due ovali intrecciati). La fascia è circondata su entrambi i lati da un motivo a onde rosse e bianche, una fascia con foglie di alloro funge da cornice interna.
I personaggi che possono essere identificate dalle loro iscrizioni sono Dioniso, Nike e una baccante (menade). Dioniso è in piedi su un carro con ruote a otto razze trainate da due pantere. Un alone brilla intorno alla sua testa inghirlandata. Nella mano destra tiene un tirso con una punta di lancia, che è decorata in tre punti con nastri e foglie. È vestito nello stile tipico di un trionfo dionisiaco, indossa una lunga tunica con nastri d'oro intorno alla vita, al braccio e al polso. Un mantello pende sulla spalla sinistra e cade intorno al braccio sinistro e sulla schiena. Accanto a lui sul carro c'è Nike, che tiene le redini delle pantere. Sulla destra c'è una bacante danzante con Cimbalini a dita, che indossa una lunga tunica e una stola. Gli abiti enfatizzano il loro movimento rotatorio della danza.
L'ala sinistra, occidentale del complesso a forma di U è occupata dallo spazio espositivo, mentre le ali centrale e orientale contengono laboratori, tra cui stanze di restauro che possono essere viste attraverso pareti di vetro, sale amministrative, una caffetteria, un negozio del museo e un centro congressi. Ci sono colonne e una statua nel cortile centrale coperto.


TURCHIA - Zeugma

 

Zeugma fu una città fondata intorno all'anno 300 a.C. da Seleuco Nicatore, generale di Alessandro Magno, sulla riva destra dell'Eufrate, in una posizione che ora fa parte della provincia di Gaziantep, in Turchia. Con il nome Zeugma i greci chiamavano il ponte di barche che univa in quel luogo le due sponde dell'Eufrate (zeugma in greco antico significa unione, legame). La città nacque per unire due insediamenti precedenti che si trovavano sulle rive opposte del fiume, Seleucia allo Zeugma e Apamea allo Zeugma. Per brevità a Seleucia rimase solo il nome di Zeugma.
In virtù dell'importanza strategica e commerciale, nel corso della storia la città è passata di mano numerose volte. Venne prima conquistata dai Romani, poi dai Persiani, dai crociati e infine dagli arabi.
Parte delle rovine dell'antica città sono andate perdute nel 2000, in quell'anno la zona più vicina al fiume è stata allagata in seguito alla costruzione di una diga sull'Eufrate. Nei mesi precedenti all'allagamento, archeologi da tutto il mondo sono accorsi per collaborare al salvataggio di parte dei reperti. La città di Zeugma è inserita nel patrimonio dell'Unesco ed è stato aperto un museo per conservare i reperti.
All'inizio del 2019 è stato scoperto un mosaico di epoca greca
In epoca romana, la Legio IIII Scythica ebbe qui il proprio campo. Per circa due secoli, la città fu residenza di ufficiali e funzionari d'alto rango dell'Impero romano, che vi portarono le proprie influenze culturali e il proprio stile di vita sofisticato. In particolare ebbe molto impulso la scultura funeraria: esemplari di elevata bellezza sono le stele, i rilievi sulle rocce, le statue e gli altari della città. In questo ambito, il predominio artistico di Zeugma si fece sentire su tutta l'area circostante. Il giro d'affari legato alla presenza della legione romana permise a Zeugma di diventare molto ricca, grazie al ponte di legno che, attraversando l'Eufrate, congiungeva Zeugma ad Apamea; gli scavi moderni hanno rivelato che vi era un consistente traffico commerciale che legava le due sponde del fiume. A Zeugma venne assassinato Diadumediano, figlio dell'imperatore Macrino, durante le lotte per la successione da Caracalla. Nel tardo impero fu sede di una diocesi. Una serie di scavi archeologici in località Iskele üstü hanno portato alla luce 65000 sigilli di argilla (bullae), ritrovati in quello che si ritiene essere l'archivio delle merci dell'antica Zeugma. Questi sigilli, utilizzati per vidimare papiri, pergamene, borse del denaro e contenitori per merci, sono un buon indicatore del volume commerciale e della densità dei trasporti e delle comunicazioni all'epoca esistenti nella regione.

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...