L'
area archeologica di Santa Venera
al Pozzo è un sito archeologico nel comune di Aci
Catena, nella Città metropolitana di Catania, in Italia.
Sul sito affiora una sorgente d'acqua
sulfurea, originaria dal vulcano Etna e sfruttata dalle
moderne terme di Acireale: si tratta di insediamenti romani,
soprattutto terme. Secondo la tradizione sul luogo fu
decapitata santa Venera durante le persecuzioni romane
contro i cristiani: la sua testa fu gettata dai soldati
romani nel pozzo delle acque termali, ritenuto miracolo
nel Medioevo. Nella zona fu eretta nel 1300 una chiesa
con una statua lignea della santa, con una vasca marmorea,
probabilmente di reimpiego dallo stesso sito archeologico.
Furono i Greci a trovare una
sorgente a bolla di acqua benefica e vi costruirono dei locali
probabilmente a scopo termale.
Una volta giunti i Romani tali
edifici furono abbattuti e sulla loro base furono erette delle
strutture termali di cui oggi sono rimasti i ruderi risalenti ad un
periodo posteriore al I secolo. Come era antica consuetudine le
terme erano costituite da diversi ambienti tra di loro collegati: una
prima stanza, della quale non si sa se fosse coperta o meno,
costituiva un luogo di incontro dove si parlava, giocava,
commerciava; questa era seguita da una seconda, adibita a
spogliatoio, dalla quale si poteva passare o al Frigidarium (per
un bagno freddo) o al Tepidarium il quale, a sua volta,
comunicava con il Calidarium. Il
Tepidarium e il
Calidarium conservano ancora oggi la caratteristica volta
a botte, riscontrabile anche negli edifici termali
di Ercolano e Pompei.
I due locali presentavano un doppio
pavimento e di quello superiore non è stata trovata alcuna traccia
perché era presumibilmente in legno. Tale pavimento era sorretto da
colonnine di mattone, suspensurae che sono state rinvenute
su quello inferiore e, il fatto che ci sia stato un doppio pavimento,
è dimostrato anche dal livello della soglia nei due ambienti. Il
doppio pavimento e il sistema delle suspensurae (ingegnosa trovata
di Sergio Orata, un commerciante di ostriche del I secolo
originario di Baia, (località termale) consentiva un'efficiente
circolazione dell'aria calda (prodotta da cataste di legna che gli
schiavi dall'alba iniziavano a bruciare) attraverso le scanalature.
L'aria calda saliva lungo una
conduttura a forma di arco e riscaldava anche il Calidarium le cui
pareti laterali, per evitare di disperdere il calore, presentavano
una bordura in battuto di coccio che sigillava
ermeticamente l'ambiente. In questa stanza vi era, inoltre, una vasca
per il bagno caldo e una fonte per le abluzioni. Sia il Tepidarium
che il Calidarium presentano, come già detto sopra, un soffitto con
volta a botte (ancora oggi ben conservato) sulla cui superficie sono
distribuite una serie di fori, sfiatatoi dai quali usciva il vapore
in eccesso. Nell'area archeologica sono ancora visibili i segni di un
tempietto, forse dedicato al culto della dea della bellezza Venere;
accanto, invece, i resti di un semplicissimo mosaico e di una grande
vasca con la base in battuto di coccio, presumibilmente usata come
piscina o per l'allevamento di pesci.

All'estremità orientale del fondo, 160
metri più a nord delle Terme, lo scavo archeologico ha portato
all'individuazione di un edificio di cui sono stati esplorati finora
37 ambienti, di dimensioni variabili tra i 9 e i 32 m², per
un'estensione di un m² 1700. Sono stati messi in luce. Legati
tra loro, i muri perimetrali del lato orientale ed occidentale, per
metri 25, e dei lati settentrionale e meridionale esplorati per metri
32. Dei 37 ambienti individuati, in alcuni casi comunicanti tra di
loro, un grande vano centrale sembrerebbe avere svolto la funzione di
corte interna a cielo aperto. Dall'esame delle tecniche costruttive
impiegate si ricava la presenza di preesistenti fabbricati, che
dovrebbero essere abbandonati o distrutti intorno al 280 a.C.,
le cui strutture furono parzialmente riusate. I muri, costruiti in
pietrame irregolare a secco, in alcuni casi fungono da fondazione
agli spiccati di una costruzione realizzata in epoca successiva in
muratura ordinaria di pietrame naturale legato da malta di calce. Di
particolare interesse è il vano A il cui lato nord si imposta
direttamente su un muro a secco che insieme ad altri tre, costruiti
con la stessa tecnica e tra loro legati, costituisce la parte più
consistente finora rinvenuta della fase più antica. Lacerti di muri
della stessa fase rimasero seppelliti, all'interno di quasi tutti gli
ambienti dell'edificio 1, in strati di terra che hanno restituito,
oltre a frammenti di età greca arcaica, vasellame a vernice nera ed
acromo databile al primo ventennio.
Allo stato attuale della ricerca
archeologica si può affermare che l'edificio 1, costruito dopo il
280 a.C., era probabilmente in stato di abbandono quando su di esso,
all'inizio del IV secolo d.C., si impiantò un'officina per la
produzione di laterizi. All'esterno del muro perimetrale est i resti
di una colonna in muratura, con il plinto in pietra lavica e fusto in
mattoni anulari, e numerosi frammenti di tegole, sia piane con
listelli sia coppi, lasciano pensare la presenza di un portico aperto
verso il terreno retrostante forse destinato ad orto. Il rinvenimento
di frammenti di ceramica a vernice rossa di produzione
italica ed africana nella sua trincea di fondazione e l'esame della
tecnica edilizia utilizzata fanno datare la costruzione del pozzo ala
fine del I secolo.
All'interno dell'edificio 1, già in
stato di abbandono, nella prima metà del IV secolo fu
impiantata un'officina per la produzione di vasellame d'uso
comune, di anfore e di laterizi, della quale rimangono ben conservate
tre fornaci circolari del tipo verticale. Alcune vasche per contenere
l'argilla, condutture e piani per la lavorazione del vasellame e dei
laterizi. L'approvvigionamento dell'acqua era garantito dal
pozzo esistente a nord dell'Edificio 1. Della fornace più grande si
conserva la camera di combustione con i sostegni del piano di posta
del carico da cuocere, costituiti da muretti radiali. Interessante il
rinvenimento, alla loro base, di attrezzi di ferro probabilmente
caduti attraverso i fori del sovrastante piano di cottura.
La camera di combustione e il prefurnio erano interrati
rispetto al piano di calpestio esterno, così da rendere la struttura
stabile e resistente alle ripetute escursioni termiche alle quali era
sottoposta e da attenuare le dispersioni di calore. Inoltre
l'ingresso della camera di cottura della stessa quota del piano
esterno facilitava il carico e lo scarico dei materiali a cuocere.
Delle altre 2 fornaci, più piccole, si
conservano le camere da combustione, costruite una con grandi
frammenti di tegole piane con listelli, sovrapposte le une alle altre
e l'altra in mattoni. Per tutte le fornaci la forma circolare fu
certamente adottata a fine di garantire un migliore tiraggio, utile
al raggiungimento di una temperatura omogenea all'interno della
camere di cottura, ed il loro orientamento scelto in modo da
sfruttare al meglio le correnti del vento. Le dimensioni della
fornace grande, la quantità di laterizi rinvenuta all'interno del
vano di combustione e nel vano di servizio del prefurium ed
il ritrovamento di materiali malcotti, ipercotti e di scorie
vetrificate, inducono a presupporre la destinazione alla produzione
di questo materiale

Le monete rinvenute
all'interno dell'area archeologica di Santa Venera al Pozzo sono
ordinate cronologicamente dalle più antiche di età greca classica
ed ellenistica, relativa alle zecche di Messana e Siracusa, a quelle
di età tardo romana dello stabilimento industriale. Spicca tra
tutte, per il suo stato di conservazione, un bel oricalco di Marco
Aurelio. Seguono alcune monete di età bizantina, medievale e moderna
recuperate negli strati superficiali, ampiamente manomessi dai lavori
agricoli che si effettuavano nel fondo, sia nell'area immediatamente
circostante l'
Antiquarium sia negli ampi terrazzamenti dei settori
settentrionale e meridionale.
Nel 2000 la Regione
siciliana istituisce i parchi archeologici e tra questi vi
è il parco archeologico e paesaggistico della Valle dell'Aci che
comprende parte dei territori dei Comuni di Aci Castello, Aci
Catena, Acireale, Aci Sant'Antonio e Valverde ed
ha il suo centro tra le terme di Santa Venera al Pozzo ad Aci
San Filippo, Capo Mulini e Aci Trezza. Nel 2013, dopo
una breve ma intensa stagione di progetti ed eventi realizzati sotto
la direzione dell'architetto Carmelo Distefano il parco viene
soppresso su indicazione dell'allora sovrintendente di Catania Vera
Greco nonostante rappresentanti del mondo politico, della cultura e
dell'associazionismo ne chiedevano il mantenimento avviando anche una
raccolta firme. Nel 2014 l'assessore regionale ai Beni culturali
e ambientali e dell'identità siciliana Mariarita Sgarlata, per la
sua importanza strategica, lo reinserisce nel sistema dei parchi
archeologici siciliani. Nel 2019 il Presidente della Regione
siciliana Nello Musumeci firma il decreto d'istituzione con la
nuova denominazione di Parco archeologico e paesaggistico di Catania
e della Valle dell’Aci portando a compimento il progetto
di Sebastiano Tusa.