martedì 20 maggio 2025

SICILIA - Ekklesiasterion di Morgantina

 


L'Ekklesiasterion di Morgantina è un complesso simile ad un teatro greco e si pensa avesse una funzione simile al comitium romano. Sebbene la datazione sia incerta si pensa che venne realizzato alla fine del IV secolo a.C. da Timoleonte.
È un complesso di tre gradinate, tra le cui funzioni vi era anche quella di collegare l'agorà bassa a quella alta; fungeva da sede dell'assemblea.
Il podio dalla quale parlavano gli oratori (il bema) era sistemato di fronte al Pritaneo. Questa disposizione indica che Morgantina era una polis libera.
Nell'anno 317 a.C. Agatocle, esule da Siracusa, usò questo luogo per radunare un esercito di 1.500 soldati morgantini per riconquistare il potere in patria.

SICILIA - Villa romana di San Biagio, Terme Vigliatore

 
La villa romana di San Biagio è una residenza extraurbana di epoca romana, aggregati d'edifici ubicati nella frazione omonima di Terme Vigliatore, comune italiano della città metropolitana di Messina.
La villa riportata alla luce negli anni cinquanta, è tra gli esempi più interessanti di villa di lusso suburbana rinvenuta lungo lo sviluppo dell'attuale Strada Statale 113, verosimilmente come altri insediamenti coevi, insistente a ridosso del primitivo tracciato della Consolare Valeria sulla tratta viaria Mylae - Pactae o Pactis attraverso Týndaris.
Costruita alla fine del II o inizi del I secolo a.C. in un sito abitato già dall'età ellenistica (III - II secolo a.C.), subì almeno due restauri o risistemazioni nella prima età imperiale (metà del I sec.d.C; II sec.d.C.), come indicano le modifiche apportate soprattutto al settore termale.
I reperti rinvenuti e gli studi relativi identificano specifici periodi storici databili:
Età tardo-repubblicana.
Età augustea.
Età traianea-adrianea.
In epoca bizantina la costruzione o l'espansione dell'edificio subì un'improvvisa interruzione per probabile distruzione attribuita al terremoto del 365 d.C. Le fonti storiche riconducono ad un evento sismico, tra quelli documentati in quel periodo, in particolare il terremoto di Creta descritto dallo storico romano Ammiano Marcellino, evento comune alla parziale demolizione della vicina Villa di Patti, e alla devastante frana che determinerà il collasso e conseguente sprofondamento della città di Tindari, e al tramonto della civiltà ad essa collegata.
L'espansione edilizia del centro nella prima metà del XX secolo comportò diverse segnalazioni alla locale soprintendenza, così come alcuni decenni più tardi avvenne per la Villa di Patti, quest'ultimo ritrovamento determinato dagli studi preliminari per la definizione del tracciato dell'Autostrada A20, sebbene l'esistenza dell'insediamento archeologico sia già attestata dalla realizzazione di una precedente piattaforma in calcestruzzo per traliccio destinato ad una linea di trasmissione dell'energia elettrica.
Luigi Bernabò Brea, soprintendente alle antichità della Sicilia orientale, condusse le prime indagini archeologiche per riportare alla luce gli ambienti della villa, attività e operazioni espletate agli inizi degli anni cinquanta nell'ambito del programma di conoscenza e valorizzazione dei più importanti siti archeologici della provincia di Messina.
Le ricerche dirette da Vinicio Gentili, svelarono la maggior parte del complesso con l'individuazione della residenza padronale, il complesso termale privato e le strutture di servizio. Nel 1966 fu allestito uno spazio espositivo, recentemente riaperto in forma di sala didattica, e furono realizzate le strutture protettive ancora oggi funzionali alla salvaguardia dei pavimenti musivi e dei lembi di pittura parietale.
L'edificio, a pianta quadrata, ingloba un cortile interno circondato da un portico che si sviluppa con una serie di otto colonne per lato. Le strutture comprendono tre corpi adiacenti sulla direttrice est - ovest, con prospetto a nord - ovest (NNW), col seguente ordine: ambienti di servizio ad oriente, ambienti privati al centro, impianto termale ad occidente.
Ambienti privati
Giardino porticato: Peristilium.
Sala per il banchetto: Triclinium (nella foto). Sul lato sud cortile del cortile con esposizione a tramontana si apre il tablinum, ovvero la stanza principale della domus, utilizzata come sala da ricevimento e rappresentanza, atta alla custodia e conservazione dei documenti di famiglia. L'ambiente, presenta una pavimentazione in marmi colorati tagliati ad esagono e uniti in forma di mosaico realizzato all'interno di una cornice in sagome regolari, alle pareti presenta brani, resti e tracce di pitture.
Appartamento per il dominus, stanza da letto, sale: Cubiculum, Oecus. Gli appartamenti comprendono più ambienti definiti genericamente sale, stanze, vani, corridoi di raccordo.
Appartamento per la domina, stanza da letto, sale: Cubiculum, Oecus.
Deposito, dispensa, granaio: Cella penaria.
Stanze: Cellae
Corridoio: Oecus.
Guardiole: Celle ostiarie.
Ingresso: Vestibulum.
Impianto termale

L'area dedicata alle terme è divisa in tre ambienti destinati al bagno in acqua fredda (Frigidarium), tiepida (Tepidarium) e calda (Calidarium). I locali erano riscaldati per mezzo di flussi d'aria calda o vapore immessi attraverso un doppio pavimento e lungo le pareti mediante condotte in coccio.
Spogliatoio: Apodyterion.
Sala massaggi: Unctorium.
Sala pulizia corpo: Destrictarium.
Vasca, 3 vasche: Piscina.
Ambiente freddo: Frigidarium, ambiente con mosaico in bianco e nero con scena di pesca, delfini, pescespada, opera, probabilmente di un mosaicista italico(nella foto)
Ambiente tiepido: Tepidarium.
Ambiente caldo: Calidarium.
Sauna: Laconicum.
Forno: Praefurnium.
Locali di servizio.

Scala d'accesso.
Corridoio.
Ambienti di servizio
Cortile:
Cortile porticato:
Casa, ambienti:
Magazzino:
Cisterna:
Ambiente espositivo
In un piccolo ambiente, ubicato lungo lo sterrato dell'ingresso con varco sulla strada statale, sono esposti al pubblico frammenti di sculture, stucchi e ceramiche che arredavano la ricca casa. In epoca recente ospita materiale didattico, la biglietteria i servizi accessori e il personale preposto alla cura e sorveglianza del sito.

SICILIA - Tempio di Venere Ericina



Il tempio di Venere Ericina, la cui storia inizia nel 1300 a.C. e termina nel 54 d.C., periodo in cui venne dedicato a vari culti di Venere Ericina, sorgeva sul monte Erice presso la città di Eryx. Sulle rovine del tempio fu eretto il Castello di Venere. A Eryx nell'antichissimo santuario, il culto della divinità femminile della fecondità assunse, con il passare dei secoli e dei popoli, nomi diversi. Prima il culto fenicio della dea Astarte, adorata dagli Elimi. Diodoro Siculo scrisse che Erice, figlio di Bute e di Afrodite stessa, aveva eretto il tempio dedicato alla propria madre e fondato la città. Poi narra l'arrivo di Liparo, figlio di Ausonio, alle Isole Eolie (V, 6,7), aggiungendo che i Sicani "abitavano le alte vette dei monti e adoravano Venere Ericina". Fu saccheggiato da Amilcare Barca.
Il culto fu così trasformato dai Romani in Venere Ericina, che riedificarono il tempio, in quello di Venere. Aveva una natura per molti versi oscura che comprendeva l’allevamento delle colombe e la prostituzione sacra, all’interno del tempio.
Per l'archeologo Giuseppe Cultrera, che effettuò degli scavi, il tempietto doveva essere un edificio tetrastile, orientato da nord-est a sud-ovest di piccole dimensioni. Biagio Pace ipotizzò invece che il tempio fosse una costruzione a pianta rotonda, come il tempio romano di Porta Collina eretto nel II secolo a.C., e secondo Strabone copia del tempio di Erice, dedicato alla madre di Enea, circondato da un pregevole porticato.
Il tempio di Venere Ericina è stato generalmente collegato alla leggenda popolare degli insediamenti Troiani in questa parte della Sicilia; questa ipotesi può essere collegata a queste tradizioni, che farebbero riferimento al fatto d'essere un'antica sede del culto pelasgico, piuttosto che di origine fenicia, come supposto da molti scrittori. Anche quegli autori che lo rappresentano come fondata prima del tempo di Enea riferiscono che venne visitato dall'eroe adornato con splendide offerte. È certo che il santuario fu considerato con pari importanza dai Fenici, Cartaginesi, Greci e Romani.
Già ai tempi della spedizione ateniese in Sicilia (415 a.C.), conosciamo da Tucidide che era ricco di vasi e altre offerte d'oro e d'argento, con cui i segestani illusero gli inviati ateniesi della loro ricchezza. I Cartaginesi sembrano aver individuato la Venere Ericina con la dea fenicia Astarte, e, quindi, ne hanno avuto molta riverenza; mentre i romani hanno tributato onori straordinari sia alla dea che al suo tempio, a causa della loro presunta connessione con Enea. Furono, infatti, in grado di impedire ai loro mercenari galli di saccheggiare il tempio al momento della sua cattura da parte di Giunio; ma questa sembra essere l'unica occasione in cui ha sofferto, e le sue perdite furono rapidamente riparate, mentre Diodoro che ne parla come di una condizione fiorente e ricca. I magistrati romani nominati al governo della Sicilia non mancavano mai di fare una visita d'onore a questo celebre santuario; un corpo di truppe è stato nominato come guardia d'onore per vegliare su di esso, e a diciassette delle principali città della Sicilia fu comandato loro di pagare una somma annua in oro per il suo ornamento. Nonostante questo, il decadimento della città, e il declino delle condizioni di questa parte della Sicilia, sembra aver causato al tempio una certa trascuratezza: da qui 25 Segestani lavorarono sotto Tiberio per il suo restauro, che l'imperatore, secondo Tacito, prontamente promise di intraprendere, ma che non diede vigore, lasciando a Claudio l'esecuzione in un secondo periodo. Questa è l'ultima menzione che si verifica nella storia e il periodo di decadimento finale o la distruzione è sconosciuta.


 

SICILIA - Area archeologica di Santa Venera al Pozzo

 


L'area archeologica di Santa Venera al Pozzo è un sito archeologico nel comune di Aci Catena, nella Città metropolitana di Catania, in Italia.
Sul sito affiora una sorgente d'acqua sulfurea, originaria dal vulcano Etna e sfruttata dalle moderne terme di Acireale: si tratta di insediamenti romani, soprattutto terme. Secondo la tradizione sul luogo fu decapitata santa Venera durante le persecuzioni romane contro i cristiani: la sua testa fu gettata dai soldati romani nel pozzo delle acque termali, ritenuto miracolo nel Medioevo. Nella zona fu eretta nel 1300 una chiesa con una statua lignea della santa, con una vasca marmorea, probabilmente di reimpiego dallo stesso sito archeologico.
Furono i Greci a trovare una sorgente a bolla di acqua benefica e vi costruirono dei locali probabilmente a scopo termale.
Una volta giunti i Romani tali edifici furono abbattuti e sulla loro base furono erette delle strutture termali di cui oggi sono rimasti i ruderi risalenti ad un periodo posteriore al I secolo. Come era antica consuetudine le terme erano costituite da diversi ambienti tra di loro collegati: una prima stanza, della quale non si sa se fosse coperta o meno, costituiva un luogo di incontro dove si parlava, giocava, commerciava; questa era seguita da una seconda, adibita a spogliatoio, dalla quale si poteva passare o al Frigidarium (per un bagno freddo) o al Tepidarium il quale, a sua volta, comunicava con il Calidarium. Il Tepidarium e il Calidarium conservano ancora oggi la caratteristica volta a botte, riscontrabile anche negli edifici termali di Ercolano e Pompei.
I due locali presentavano un doppio pavimento e di quello superiore non è stata trovata alcuna traccia perché era presumibilmente in legno. Tale pavimento era sorretto da colonnine di mattone, suspensurae che sono state rinvenute su quello inferiore e, il fatto che ci sia stato un doppio pavimento, è dimostrato anche dal livello della soglia nei due ambienti. Il doppio pavimento e il sistema delle suspensurae (ingegnosa trovata di Sergio Orata, un commerciante di ostriche del I secolo originario di Baia, (località termale) consentiva un'efficiente circolazione dell'aria calda (prodotta da cataste di legna che gli schiavi dall'alba iniziavano a bruciare) attraverso le scanalature.
L'aria calda saliva lungo una conduttura a forma di arco e riscaldava anche il Calidarium le cui pareti laterali, per evitare di disperdere il calore, presentavano una bordura in battuto di coccio che sigillava ermeticamente l'ambiente. In questa stanza vi era, inoltre, una vasca per il bagno caldo e una fonte per le abluzioni. Sia il Tepidarium che il Calidarium presentano, come già detto sopra, un soffitto con volta a botte (ancora oggi ben conservato) sulla cui superficie sono distribuite una serie di fori, sfiatatoi dai quali usciva il vapore in eccesso. Nell'area archeologica sono ancora visibili i segni di un tempietto, forse dedicato al culto della dea della bellezza Venere; accanto, invece, i resti di un semplicissimo mosaico e di una grande vasca con la base in battuto di coccio, presumibilmente usata come piscina o per l'allevamento di pesci.
All'estremità orientale del fondo, 160 metri più a nord delle Terme, lo scavo archeologico ha portato all'individuazione di un edificio di cui sono stati esplorati finora 37 ambienti, di dimensioni variabili tra i 9 e i 32 m², per un'estensione di un m² 1700. Sono stati messi in luce. Legati tra loro, i muri perimetrali del lato orientale ed occidentale, per metri 25, e dei lati settentrionale e meridionale esplorati per metri 32. Dei 37 ambienti individuati, in alcuni casi comunicanti tra di loro, un grande vano centrale sembrerebbe avere svolto la funzione di corte interna a cielo aperto. Dall'esame delle tecniche costruttive impiegate si ricava la presenza di preesistenti fabbricati, che dovrebbero essere abbandonati o distrutti intorno al 280 a.C., le cui strutture furono parzialmente riusate. I muri, costruiti in pietrame irregolare a secco, in alcuni casi fungono da fondazione agli spiccati di una costruzione realizzata in epoca successiva in muratura ordinaria di pietrame naturale legato da malta di calce. Di particolare interesse è il vano A il cui lato nord si imposta direttamente su un muro a secco che insieme ad altri tre, costruiti con la stessa tecnica e tra loro legati, costituisce la parte più consistente finora rinvenuta della fase più antica. Lacerti di muri della stessa fase rimasero seppelliti, all'interno di quasi tutti gli ambienti dell'edificio 1, in strati di terra che hanno restituito, oltre a frammenti di età greca arcaica, vasellame a vernice nera ed acromo databile al primo ventennio.
Allo stato attuale della ricerca archeologica si può affermare che l'edificio 1, costruito dopo il 280 a.C., era probabilmente in stato di abbandono quando su di esso, all'inizio del IV secolo d.C., si impiantò un'officina per la produzione di laterizi. All'esterno del muro perimetrale est i resti di una colonna in muratura, con il plinto in pietra lavica e fusto in mattoni anulari, e numerosi frammenti di tegole, sia piane con listelli sia coppi, lasciano pensare la presenza di un portico aperto verso il terreno retrostante forse destinato ad orto. Il rinvenimento di frammenti di ceramica a vernice rossa di produzione italica ed africana nella sua trincea di fondazione e l'esame della tecnica edilizia utilizzata fanno datare la costruzione del pozzo ala fine del I secolo.
All'interno dell'edificio 1, già in stato di abbandono, nella prima metà del IV secolo fu impiantata un'officina per la produzione di vasellame d'uso comune, di anfore e di laterizi, della quale rimangono ben conservate tre fornaci circolari del tipo verticale. Alcune vasche per contenere l'argilla, condutture e piani per la lavorazione del vasellame e dei laterizi. L'approvvigionamento dell'acqua era garantito dal pozzo esistente a nord dell'Edificio 1. Della fornace più grande si conserva la camera di combustione con i sostegni del piano di posta del carico da cuocere, costituiti da muretti radiali. Interessante il rinvenimento, alla loro base, di attrezzi di ferro probabilmente caduti attraverso i fori del sovrastante piano di cottura. La camera di combustione e il prefurnio erano interrati rispetto al piano di calpestio esterno, così da rendere la struttura stabile e resistente alle ripetute escursioni termiche alle quali era sottoposta e da attenuare le dispersioni di calore. Inoltre l'ingresso della camera di cottura della stessa quota del piano esterno facilitava il carico e lo scarico dei materiali a cuocere.
Delle altre 2 fornaci, più piccole, si conservano le camere da combustione, costruite una con grandi frammenti di tegole piane con listelli, sovrapposte le une alle altre e l'altra in mattoni. Per tutte le fornaci la forma circolare fu certamente adottata a fine di garantire un migliore tiraggio, utile al raggiungimento di una temperatura omogenea all'interno della camere di cottura, ed il loro orientamento scelto in modo da sfruttare al meglio le correnti del vento. Le dimensioni della fornace grande, la quantità di laterizi rinvenuta all'interno del vano di combustione e nel vano di servizio del prefurium ed il ritrovamento di materiali malcotti, ipercotti e di scorie vetrificate, inducono a presupporre la destinazione alla produzione di questo materiale
Le monete rinvenute all'interno dell'area archeologica di Santa Venera al Pozzo sono ordinate cronologicamente dalle più antiche di età greca classica ed ellenistica, relativa alle zecche di Messana e Siracusa, a quelle di età tardo romana dello stabilimento industriale. Spicca tra tutte, per il suo stato di conservazione, un bel oricalco di Marco Aurelio. Seguono alcune monete di età bizantina, medievale e moderna recuperate negli strati superficiali, ampiamente manomessi dai lavori agricoli che si effettuavano nel fondo, sia nell'area immediatamente circostante l'Antiquarium sia negli ampi terrazzamenti dei settori settentrionale e meridionale.
Nel 2000 la Regione siciliana istituisce i parchi archeologici e tra questi vi è il parco archeologico e paesaggistico della Valle dell'Aci che comprende parte dei territori dei Comuni di Aci Castello, Aci Catena, Acireale, Aci Sant'Antonio e Valverde ed ha il suo centro tra le terme di Santa Venera al Pozzo ad Aci San Filippo, Capo Mulini e Aci Trezza. Nel 2013, dopo una breve ma intensa stagione di progetti ed eventi realizzati sotto la direzione dell'architetto Carmelo Distefano il parco viene soppresso su indicazione dell'allora sovrintendente di Catania Vera Greco nonostante rappresentanti del mondo politico, della cultura e dell'associazionismo ne chiedevano il mantenimento avviando anche una raccolta firme. Nel 2014 l'assessore regionale ai Beni culturali e ambientali e dell'identità siciliana Mariarita Sgarlata, per la sua importanza strategica, lo reinserisce nel sistema dei parchi archeologici siciliani. Nel 2019 il Presidente della Regione siciliana Nello Musumeci firma il decreto d'istituzione con la nuova denominazione di Parco archeologico e paesaggistico di Catania e della Valle dell’Aci portando a compimento il progetto di Sebastiano Tusa.


SICILIA - Villa romana di Realmonte

 


La villa romana di Realmonte è una villa rustica risalente al I secolo d.C. sita nel lido di Punta Grande, nel territorio di Realmonte, comune italiano della provincia di Agrigento in Sicilia. La villa è stata scoperta nel 1907 durante i lavori di scavo per la realizzazione della ferrovia Castelvetrano-Porto Empedocle, portandoo alla luce l’impianto originario dell’antica abitazione romana formata da due ambienti in opus sectile, decorati con lastre di marmo, e tre ambienti in opus tessellatum, decorati con pavimenti a mosaico.
Sita sulla spiaggia di Punta Grande, a pochi chilometri dal centro abitato di Realmonte e dalla Scala dei Turchi, la struttura si compone attorno all'impluvium, una grande vasca per la raccolta dell’acqua piovana, posto nel cortile centrale adornato dal colonnato del peristilio, che delimitava un giardino nel quale era posto l’impluvium.
Intorno si articolano i vari ambienti, alcuni con pavimento impermeabilizzato con marmi intarsiati, altri con mosaici policromi raffiguranti scene e divinità marine.
Contigua alla prima parte della villa vi è la seconda grande ala, dove vi sono i resti della zona termale, probabilmente edificata in epoca più tarda, intorno al II secolo avanti Cristo. Il complesso termale all'interno della villa, tipicamente presente nelle ville patrizie romane, testimonia il benestante status economico dei suoi proprietari.
All’esterno sono riconoscibili il muro della recinzione e il terrazzamento che consentiva l’approdo verso il mare, poco distante dalla villa stessa.

SICILIA - Villa romana di Patti

 


La villa romana di Patti, è una residenza extraurbana di epoca romana, che si trova a Patti, comune italiano della città metropolitana di Messina in Sicilia.
Nel corso degli anni settanta due importanti scoperte hanno gettato nuova luce sulla realtà del latifondo tardo romano, consentendo di collocare in una più chiara prospettiva storica anche la grande villa del Casale di Piazza Armerina. Grandioso esempio di villa suburbana rinvenuta lungo lo sviluppo dell'attuale Strada Statale 113, verosimilmente come altri insediamenti coevi, insistente a ridosso del primitivo tracciato della Consolare Valeria sulla tratta viaria Messana - Mylae - Týndaris - Pactae o Pactis - Alesa Arconidea - Cephaloedium - Thermae Himerae - Panormos - Drepanon.
Le fonti storiche riconducono ad un evento sismico, tra quelli documentati in quel periodo, come causa che in epoca romana determinò un'improvvisa interruzione per probabile distruzione. In epoca romana la costruzione o l'espansione dell'edificio si arrestò, attribuendo l'evento al terremoto di Creta del 365 descritto dallo storico romano Ammiano Marcellino, avvenimento comune alla parziale demolizione della vicina villa romana di San Biagio, e alla devastante frana che determinerà il collasso e conseguente sprofondamento della città di Tindari, e al tramonto della civiltà legata alla fiorente Colonia Tyndaritana ad essa collegata.
La parte esplorata corrisponde al nucleo centrale della villa, con al centro una corte a peristilio intorno alla quale ruota la zona residenziale della villa. I vani maggiormente rappresentativi, tipici dell'edilizia privata tardoantica, sono costituiti dall'aula absidata, che si apre al centro dell'ala ovest e dal triconco, vero punto focale dell'ala sud, che dal peristilio guarda verso il mare. Il mosaico dell'aula absidata è andato distrutto, nonostante le pavimentazioni del peristilio e quelli del triconco non siano in ottimo stato di conservazione sono comunque distinguibili varie figure tipiche dei mosaici risalenti al periodo storico.
Il mosaico del peristilio consiste in una griglia di pannelli quadrati inseriti in una cornice continua di ghirlande d'alloro arricchite da motivi ornamentali e floreali. Il mosaico del triconco presenta medaglioni circolari e ottagoni dai lati curvilinei includenti protomi animali. Il livello non elevatissimo tanto del disegno quanto della policromia sembrano indicare nel mosaico il prodotto di un'officina siciliana piuttosto che africana. Ulteriori risultati delle indagini di scavo saranno fondamentali per definire con maggior precisione la cronologia della villa che, sorta nel IV secolo, fu distrutta da un violento terremoto intorno al 400.
Successivamente al sisma, in età bizantina, tra VI e VII secolo, i resti della villa furono in parte riabitati, e ristrutturati: a questa fase insediativa appartengono una serie di tombe a fossa in muratura. Sia i corredi sia i materiali ceramici e numismatici dei corrispondenti livelli abitativi consentono di definire un protrarsi dell'abitato almeno sino al X secolo.
Il piccolo antiquarium aperto nel gennaio 2001, offre delle testimonianze di cultura materiale delle varie fasi abitative della villa, soprattutto le diverse classi ceramiche, quali terra sigillata africana e di altre fabbriche, lucerne, ceramica da cucina, ceramica comune di diverse tipologie, anfore, dolii ecc., ma anche terrecotte figurate e, fra le altre classi di manufatti, oreficerie, monete, una tessera da circo a rilievo in bronzo etc. Sono anche esposti manufatti in marmo di particolare pregio dalle decorazioni, soprattutto architettoniche, della villa del IV secolo e di quella precedente: mensole architettoniche, un capitello corinzieggiante, una lastra con figurazione a rilievo (una donna e una Nike che compie una libagione presso un altare), un altorilievo con una figura panneggiata in trono, un torso maschile ecc. L'esposizione è didatticamente arricchita da pannelli con planimetrie delle varie fasi della villa e ricca documentazione fotografica.

SICILIA - Villa del Tellàro , Noto

 

La villa del Tellàro è una ricca residenza extraurbana della tarda età imperiale romana, che si trova nei pressi di Noto, nella provincia di Siracusa. I resti, rinvenuti a partire dal 1971, si trovano in un fertile comprensorio agricolo, su una bassa elevazione presso il fiume Tellaro, sotto una masseria sette-ottocentesca.
Il corpo centrale della villa, più piccola di quella di Patti, si articola intorno ad un vasto peristilio. Il tratto del portico sul lato settentrionale presentava una pavimentazione a mosaico con festoni d'alloro che formano cerchi e ottagoni con i lati inflessi includenti motivi geometrici e floreali e su di esso si affacciano altri due ambienti che conservano i mosaici figurati.
Nel primo di questi ambienti il mosaico, molto danneggiato, conserva un pannello con la scena del riscatto del corpo di Ettore (nella foto a sinistra): Ulisse, Achille e Diomede, identificati da iscrizioni in greco, sono impegnati nella pesatura del cadavere dell'eroe. La figura di Priamo è perduta; il corpo di Ettore, frammentario, si trovava su un piatto della bilancia; l'oro del riscatto era nell'altro piatto. Quest'episodio, non ricordato nell’Iliade di Omero, deriva probabilmente da una tragedia di Eschilo. Il pavimento musivo del secondo ambiente presenta una scena di caccia, con un banchetto all'aria aperta tra gli alberi ed una figura femminile interpretata come personificazione dell'Africa.
Le scene del secondo ambiente richiamano i mosaici di caccia della Villa del Casale a Piazza Armerina, ma con figure più stilizzate e bidimensionali, dalle proporzioni incerte, che rendono l'effetto grandemente diverso. Probabilmente i mosaici sono opera di maestranze africane.
Sulla base dell'evidenza numismatica, i mosaici vennero realizzati dopo la metà del IV secolo d.C.
La villa del Tellaro è stata oggetto negli ultimi anni di un rinnovato interesse, grazie soprattutto ad una serie di progetti di ristrutturazione e riqualificazione dell'area interessata. Il 15 marzo 2008, oltre trenta anni dopo gli scavi, la villa del Tellaro è stata finalmente inaugurata e resa fruibile al pubblico.
Alle spalle della Villa cominciano gli splendidi e talvolta antichi vigneti, dove ancora oggi si coltivano le tradizionali uve del territorio: nero d'Avola, moscato e albanella (o albanello) sempre più difficile da trovare.

SICILIA - Villaggio bizantino Canalotto

 


Il villaggio bizantino Canalotto è un insediamento rupestre a circa 4 km da Calascibetta.
Il sito si sviluppa lungo il vallone Canalotto ed è testimonianza della dominazione bizantina prima, e araba poi nel territorio siciliano. Il sito è composto da una serie di ambienti scavati nella roccia su cui si distinguono delle chiese bizantine con relativi colombarium, dei palmenti e il villaggio vero e proprio. Le tracce rinvenute mostrano l'organizzazione della vita quotidiana della comunità che si è mantenuta anche in epoca araba, quando venne costruito il qanat.
Il sito oggi è gestito dall'associazione Associazione Culturale "Hisn Al-Giran" che ne consente la fruizione.

SICILIA - Thapsos

 


Thapsos (Θαψός in greco antico) è uno dei più importanti siti protostorici siciliani. È il centro eponimo per la cosiddetta Cultura di Thapsos che in Sicilia si identifica la media età del bronzo. Il sito è localizzato sulla penisola di Magnisi (dall'arabo Mismar, chiodo), nel comune di Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa.
La cronologia non è ancora certa ma sembra andare dalla prima età del bronzo fino all'VIII secolo a.C., in coincidenza con la colonizzazione greca della Sicilia orientale. Il sito è stato studiato nel 1880 da Francesco Saverio Cavallari prima e Paolo Orsi poi, Giuseppe Voza e Luigi Bernabò Brea negli anni settanta del Novecento.
Il sito era abitato sin dall'età del bronzo cioè tra il XIV e il XIII sec. a.C. con una sua cultura detta cultura di Thapsos che succede alla cultura di Castelluccio presente nell'entroterra ma è contemporanea alla cultura della zona nord-orientale della Sicilia, precisamente di Milazzo e delle Eolie. La località era ideale come approdo dal mare per la presenza di due golfi a nord e a sud dell'istmo, divenendo subito un importante centro commerciale del Mediterraneo e con scambi con polis come Micene.
Thapsos è particolarmente nota per i rinvenimenti di reperti di origine egea (micenea e cipriota in particolare) che dimostrano rapporti commerciali tra l'Egeo e la Sicilia. Reperti della cultura di Borg in-Nadur testimoniano anche rapporti con l'arcipelago maltese. La maggior parte dei reperti provenienti dagli scavi di Thapsos è oggi esposta al Museo Archeologico Regionale "Paolo Orsi" di Siracusa.
Secondo lo storico greco Tucidide, che ne ricorda per la prima volta il nome, Thapsos sarebbe stata la prima effimera sede di una colonia di greci Megaresi i quali, dopo la morte del loro ecista Lamis, abbandonarono il sito per mancanza d'acqua e fondarono a poca distanza Megara Iblea (728-727 a.C.). Sempre a Thapsos si accampò l'esercito ateniese prima di assediare Siracusa nel corso della guerra del Peloponneso (415-413 a.C.) fortificando l'approdo.
Nel 1625 Pietro Della Valle, diretto a Catania vede da lontano il promontorio definendolo "un'isoletta coltivata": «Camminando dunque non lunge dal mare, poco dopo esser usciti di Siracusa, ci lasciammo man destra un’isoletta coltivata vicino al continente di Sicilia, che la chiamano Manghesì, ed è quella che da Virgilio è detta Tapso, e con molta ragione la chiama il poeta Tapsumque iacentem, perché è tutta piana e bassissima
Di particolare interesse la Torre di Magnisi, struttura circolare solitaria edificata nel 1806 dagli inglesi durante il protettorato sull'isola per timore di un attacco francese.
Sono presenti anche alcuni bunker della seconda guerra mondiale.
Negli anni cinquanta del Novecento, con l'industrializzazione dell'area è stato costruito a sud un pontile Enichem tuttora esistente ma non utilizzato.
È stata individuata una necropoli suddivisa in tre settori, due dei quali con tombe a grotticella artificiale con camere sepolcrali a pianta circolare scavate nella roccia. Si possono trovare anche delle sepolture a camera caratterizzate da vaste dimensioni, alzato a forma di tholos con cella circolare e vestibolo servito da dromos o sepolture a pozzetto con nicchie più o meno riquadrate e basse panchine perimetrali, scavate dove il banco roccioso era pianeggiante. Queste sepolture erano multiple, con un numero variabile di inumati che poteva arrivare anche a cinquanta. I corpi venivano seppelliti con il loro corredo funerario. Le tombe scavate a pochi metri dalla costa e rivolte verso il mare, vicino al faro di Magnisi, presentano un canale per il deflusso dell'acqua che inevitabilmente, durante le mareggiate forti, finiva per lambire o ricoprire la lastra sepolcrale (in pietra o legno) a chiusura dello stesso sepolcro. Questa è probabilmente la più importante caratteristica della necropoli costiera di thapsos. I canali sono visibili dal satellite sia in 2D che in 3D.
Nella zona centrale della penisola è stata trovata una necropoli coeva con sepolture ad enchytrismòs dove gli inumati venivano posizionati senza corredo in recipienti ovoidali cordonati (pithoi) e sistemati in concavità naturali della roccia.
L'abitato occupava l'area circostante l'istmo che collega Thapsos alla costa. Gli scavi hanno individuato le fondazioni di edifici appartenenti a due diverse fasi. Quella più antica del XIV-XIII sec. a.C. con grandi capanne circolari costruite sulla base da muri a secco e supportate poi da tetti e pareti di legno, paglia e argilla. Nella fase successiva gli edifici divennero rettangolari spesso raccolti ad ali intorno a cortili acciottolati. Le abitazioni sembrano avere anche un'organizzazione urbanistica. Questa organizzazione costruttiva venne poi abbandonata nel corso dell'ultima fase di Thapsos tra il XI-IX sec.a.C. quando si tornò a costruire capanne senza un apparente criterio urbanistico. L'abitato era difeso da una fortificazione con torri semicircolari del diametro di 5 m disposte ad intervalli regolari. Nella penisola di Thapsos sono presenti diverse tracce di insediamento industriale. Accanto al pontile della zona sud vi era un'area Enichem di stoccaggio di prodotti industriali, che oggi è di proprietà Enimed. Mentre all'ingresso dell'ismo sono stati scoperti diversi cumuli di polvere di pirite sequestrati dalla Polizia[3] sequestro avvenuto nel 2012. Ad oggi, il materiale è ancora depositato all'ingresso al sito.
Da tempo si parla di portare avanti dei progetti di riqualificazione dell'istmo e di creare una riserva naturale. Ad oggi di concreto c'è solo l'area archeologica dell'insediamento urbano con la creazione di un percorso e di un antiquarium.

SICILIA - Sacello di Sabucina

 


Il sacello (o tempietto) di Sabucina è un modello fittile di tempio (sacello) a cella rettangolare proveniente dagli scavi della necropoli di Sabucina, nel comune di Caltanissetta. Il reperto è esposto nei locali del museo archeologico di Caltanissetta. Il reperto fu trovato, insieme ad altri vasi di produzione locale e attici a figure nere, negli anni sessanta presso il sito archeologico di Sabucina, in Sicilia.
Sabucina è un villaggio di tipo capannicolo del Bronzo Tardo coevo alla cultura di Castelluccio, che si trova sulla omonima collina posta a 660 m s.l.m.. Collina su cui si susseguirono insediamenti a partire dall'età del bronzo (XX-XVI secolo a.C.) fino al periodo romano, questo sito archeologico è stato il primo scoperto in Sicilia risalente a quest'epoca.
Il villaggio originario ha sicuramente origini pregreche: fu, infatti, costruito dai Sicani, i quali sfruttarono la strategica posizione del monte che domina l'intera vallata del Salso.
Oggi il sito fa parte del parco archeologico regionale di Sabucina.
Si tratta di un modello di tempietto in terracotta, di autore indigeno risale al VI secolo a.C., facente parte di un sacello arcaico. Esso è sostenuto da un piedistallo a calice a base anulare e presenta decorazioni acroteriali equestri, che secondo studiosi rappresenterebbero i due dioscuri.
In dettaglio esso presenta un pronao erroneamente ritenuto in antis in realtà è una riproduzione di un tempio prostilo (prostylos); con un tetto spiovente sormontato dalle due figure di cavalieri e un basso timpano ornato da antefisse di due maschere di tipo gorgonico. Il prezioso manufatto è espressione di una abilità artistica locale che risulta influenzata da modelli di tipo greco più raffinati provenienti dalla colonia di geloi.
Il reperto, infatti, artisticamente mostra dei limiti nel non saper cogliere, ad esempio, il senso dell'equilibrio delle proporzioni della cultura greca più autentica; esso è, comunque, l'esempio di una fusione culturale tra la cultura locale e quella della costa di tipo ellenico.
Nel museo archeologico di Caltanissetta è esposta anche una riproduzione del sacello per non vedenti che è possibile toccare.
Questo sacello è simile ai modellini votivi fittili a pianta rettangolare dei tempi: di Hera ad Argo della fine VIII sec.a.C. conservato ad Atene al Museo archeologico nazionale (nella foto a siistra)  e del tempio di Hera Akraia nella piccola insenatura del golfo di Corinto all'estremità della penisola di Perachora, anch'esso conservato al Museo archeologico nazionale di Atene.

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...