La
ceramica della Magna Grecia e
della Sicilia è la ceramica prodotta localmente dalle
popolazioni italiote e siceliote a partire dal
tardo VIII secolo a.C. fino ai primi anni del III
secolo a.C. La denominazione, come quelle delle suddivisioni
regionali, non comprende le produzioni indigene geometriche e
subgeometriche.
Il predominio commerciale, e quindi
stilistico, corinzio e attico esisteva ad ovest
del mondo greco come altrove; costituiscono eccezioni
scarsamente rilevanti gli influssi dal subgeometrico cretese e
dalla ceramica
greco-orientale a Gela, Catania, Siracusa, Selinunte e
soprattutto Agrigento, la ceramica laconica piuttosto
diffusa nel VI secolo a.C. e naturalmente la ceramica
calcidese.
Protocorinzio di imitazione,
databile a partire dal tardo VIII secolo a.C., è presente
a Pithecusa e Cuma, le prime e più distanti colonie
greche in Italia. La produzione di imitazione si distingue da quella
importata grazie all'argilla differente e, talvolta, per la presenza
di un ingubbio che imita l'argilla dei prodotti originali.
Gli scavi di Megara Hyblaea hanno
restituito vasi con decorazione figurata policroma (con l'aggiunta
del marrone chiaro al bianco e al rosso), di grandi dimensioni e in
stile orientalizzante, che è stato possibile classificare come di
produzione locale e datare intorno al 650 a.C. Si trattò tuttavia di
un esperimento che lasciò presto il posto all'imitazione dello stile
animalistico di Corinto. I crateri della necropoli del
Fusco, a Siracusa, suggeriscono l'esistenza di un simile fenomeno di
produzione locale, forse opera di vasai argivi immigrati,
che può essere datato al secondo quarto del VII secolo a.C.
Produzioni
di ceramica a figure nere sono attestate nel sud Italia e
soprattutto in Campania nel tardo VI e all'inizio del V
secolo a.C., dove si caratterizzano per un uso più libero del bianco
aggiunto, ma a parte la ceramica calcidese (VI secolo a.C.),
nessuna scuola locale mise radici fino alla metà del V secolo a.C.
Dopo 300 anni di importazione più o
meno regolare, prima da Corinto e poi da Atene, alcuni artigiani
presumibilmente immigrati e già formatisi ad Atene durante l'età
di Pericle, giunti in Italia con la fondazione di Thurii nel 443
a.C., diedero inizio ad una produzione di ceramica a figure
rosse, che viene genericamente definita italiota: le officine
siceliote vennero riconosciute e distinte in un momento successivo
allo stabilirsi del termine, che continuò quindi ad essere impiegato
in letteratura in modo onnicomprensivo.
L'ulteriore suddivisione in
scuole regionali è basata sui luoghi di ritrovamento
(apula, lucana, campana, pestana, siceliota), ma
le differenze tra le diverse scuole non sono sempre evidenti; solo la
scuola apula, la più grande e influente, è dotata di una maggiore
unità stilistica che si può riassumere in una tendenza al
monumentale e alle grandi composizioni, suddivise su diversi
registri.
Tra le produzioni più antiche, ma
priva di sviluppi, è quella del Gruppo del pilastro con
civetta (Owl pillar group), sorto apparentemente in Campania ad
imitazione dello stile attico nel secondo e terzo quarto del V secolo
a.C. I due centri di produzione che si svilupparono sulla costa
meridionale italiana, convenzionalmente indicati come "Gruppo A"
e "Gruppo B", diedero invece luogo rispettivamente alla
scuola lucana e alla scuola apula. La prima sorse a ovest
di Taras intorno al 440 a.C., al tempo della fondazione di
Thurii; la seconda comparve a Taras subito dopo, intorno al 430 a.C.
La scuola siceliota ebbe inizio nell'ultimo decennio del V secolo
a.C. La scuola lucana fu influenzata da quella apula mentre tutte
tendevano col tempo a divergere dall'originario e comune stile di
appartenenza, derivato dalla ceramica prodotta ad Atene nelle
botteghe del Pittore di Achille e di Polignoto, anche
in conseguenza di una diminuzione delle importazioni da Atene durante
e dopo la guerra del Peloponneso.
Questa prima fase di sviluppo
della ceramica italiota ebbe termine verso il 380-370 a.C. quando, a
partire dalle prime scuole regionali si formarono nuovi laboratori in
Sicilia, in Campania e a Paestum.
La terracotta della ceramica italiota
varia nel colore e nella consistenza, andando da un giallo pallido
che può essere scambiato per corinzio, al marrone scuro di alcuni
esempi campani. Una ingubbiatura rossastra è presente negli
esemplari che più si allontanano dal colore tipicamente aranciato
della terracotta attica.
Le
forme dipendono inizialmente dal repertorio attico, ma il loro
sviluppo è spesso indipendente. Il cratere a campana, l'oinochoe e
l'hydria sono le forme più comuni. I crateri a colonnette e a
volute sono diffusi particolarmente nelle scuole apula e lucana, così
come la pelike. I grandi crateri apuli a volute avevano
destinazione funeraria, un uso ormai decaduto in Grecia, e potevano
giungere al metro e mezzo di altezza. L'anfora a collo
distinto si sviluppa in Campania in una forma tipica che reca un
manico ad arco sopra l'imboccatura (bail amphora). Il piatto da
pesce diviene una tipologia tipica dalla metà del IV secolo
a.C. Le forme piccole, esclusa la coppa, sono frequenti nel IV secolo
a.C.: askos, lekythos e kantharos. In generale
col tempo le forme tendono ad allungarsi, ad assumere forme più
spigolose e ad accrescere la propria ornamentazione.

I
soggetti erano prevalentemente dionisiaci con un gusto particolare
per la teatralità tragica o per le farse fliaciche, presenti
soprattutto a Paestum; queste ultime si svilupparono a
partire dal 400 a.C. sulla scia di simili e rari
esperimenti fatti ad Atene qualche tempo prima.
Nel secondo quarto del IV secolo
a.C. una nuova tecnica, non presente in Attica, si sviluppa a
partire dalla scuola apula; è detta ceramica di Gnathia dal
nome del luogo dei primi ritrovamenti e consiste in una decorazione a
colori sovrapposti ad un fondo nero, similmente alla tecnica di
Six.
La ceramica del sud Italia veniva
prodotta principalmente per uso locale, ma alcune esportazioni sono
attestate lungo le coste della Francia e della Spagna,
in Dalmazia e in Albania. Esemplari sicelioti sono
stati rinvenuti a Cartagine, esemplari apuli a Sidone. Un
certo influsso stilistico da parte della produzione campana e apula
del IV secolo a.C. si ebbe sulla produzione etrusca e iberica.
Nelle foto, tutte di ceramiche appartenenti al Museo d'Antichità JJ Winckelmann, Sala
delle collezioni dalla Magna Grecia, dall'alto:
Cratere a campana a figure rosse
Lato
A: menade con tirso, tra due satiri in corteo danzante
Lato
B: tre giovani ammantati
Pittore di Pisticci (440-420
a.C.)
Altezza cm 33
Anfora campana a figure nere
Lato A:
satiro nudo in marcia
Lato B: efebo nudo in marcia
Pittore di
Milano (525-500 a.C.)
Altezza cm 23,5
Brocca Altezza cm 19,5; diam.
massimo 16,7 IV sec. a.C. Collezione Grecia 324 (RA 21363); da
Rudiae, acquisto Ostrogovich 1871
Cratere a colonnette a figure
rosse Lato A: partenza di guerrieri, donna stante con
offerte, guerriero seduto con spada e lancia, donna stante offerente,
guerriero con scudo e lancia Lato B: satiro tra due menadi
con rhyton Pittore di Tarporley (370-360 a.C.) Altezza cm 46,
diam. 32 Inv. S.394; legato Sartorio 1910
Anfora panatenaica a figure rosse, con
particolari in bianco e giallo Sul collo, spalla e basso piede:
fasce a fiori, onde marine, serti d’edera e meandri Lato
A: defunto eroicizzato: all’interno di un’edicola, un
giovane nudo seduto, con lancia e patera, situla e serto; a sinistra,
donna vestita di chitone con phiale e uva; a destra, giovane nudo con
situla e phiale Lato B: scena di offerta: cippo con
acroteri, ai lati due donne vestite di chitone con uva e
phiale Pittore della Patera (340-320 a.C.) (già Gruppo delle
Anfore) Altezza cm 76,5; diam. 22,7 Inv. S.381; legato Sartorio
1910