venerdì 25 aprile 2025

KERAMOS - Collezione Caputi, Napoli

 

La collezione Caputi è una collezione di ceramiche attiche e magnogreche risalenti al V-III secolo a.C., provenienti dai terreni di Ruvo di Puglia, iniziata dall'arcidiacono Giuseppe Caputi. 
La collezione rappresenta un importante valore storico poiché oltre un terzo dei vasi è inserito nella raccolta del Corpus Vasorum Antiquorum. Attualmente è di proprietà di Banca Intesa ed è esposta a Palazzo Leoni Montanari. Intorno al 1830 l'arcidiacono Giuseppe Caputi in contemporanea ad altri aristocratici della città di Ruvo quali Giovanni Jatta, incominciò la raccolta dei vasi e delle ceramiche attiche, che provenivano da un unico sepolcreto ed erano costituite da 522 reperti, la sua attività fu continuata anche dal nipote Francesco Caputi Iambrenghi.Sebbene la collezione sia stata iniziata da Giuseppe Caputi, nel cenno storico di Giovanni Jatta egli afferma che durante gli scavi di ampliamento delle cantine di Palazzo Caputi intorno al 1814 furono trovati da Matteo Caputi altri vasi dipinti e una tomba raffiguranti miti greci, l'intero corredo fu venduto all'ambasciatore inglese presso il Regno di Napoli, Sir.William Temple che acquistò un gran numero di reperti provenienti dal territorio di Ruvo donandoli in seguito al British Museum. La collezione fu collocata nell'omonimo palazzo e fu resa fruibile al pubblico. Le ceramiche inoltre nel 1884 furono analizzate dal noto archeologo tedesco Heinrich Heydemann nella monografia denominata "Vase Caputi".
Nel 1920 la collezione fu ceduta dagli eredi al marchese Orazio De Luca Resta imparentato con la famiglia Caputi Iambrenghi, che insieme alla moglie Emanuela Caracciolo dei principi di Castagneto trasferì nell'omonimo palazzo a Piazza Venezia a Roma .Nel 1950 fu acquistata dall'ingegner Giuseppe Torno e successivamente è entrata nel patrimonio di Banca intesa.


Nelle foto, dall'alto:
Coppa di Lekanis 350-300 a.C. (foto banca intesa sanpaolo)
Il lato A con l’Apoteosi di Eracle del cratere apulo a volute a figure rosse del Pittore di Licurgo (360-350 a.C.) (foto banca intesa sanpaolo)
Hydria (Kalpis), Pittore di Leningrado, 470-460 a.C. (foto banca intesa sanpaolo)

KERAMOS - Cultura della ceramica cardiale

 
La cultura della ceramica cardiale è una facies archeologica neolitica caratterizzata dallo stile della sua decorazione ceramica, ottenuta mediante l'impressione della conchiglia di un mollusco della famiglia Cardiidae (Cerastoderma edule o Cerastoderma glaucum). La sua diffusione fu prevalentemente nel bacino occidentale del Mediterraneo, dalle coste adriatiche dei Balcani a quelle del Portogallo e a sud fino al Marocco.
Nella sua evoluzione, le decorazioni impresse furono realizzate anche con altre tecniche: per questo motivo si parla anche di cultura della ceramica impressa.
I predecessori di questa cultura sono stati individuati sia in Tessaglia, prima della fioritura della cultura di Sesklo, sia in Libano presso Byblos.
Le sue tracce più antiche sono state individuate nell'Epiro e a Corfù, alla fine del VII millennio a.C., in insediamenti in grotta di genti che praticavano un'economia di caccia e raccolta e avevano acquisito della rivoluzione neolitica esclusivamente l'uso della ceramica. Nel corso del millennio venne integralmente adottato lo stile di vita neolitico, con la pratica dell'agricoltura (cereali) e dell'allevamento (capre, pecore e mucche) e la costruzione di villaggi: in questo periodo si diffuse la decorazione della ceramica cardiale vera e propria. Alla fine del millennio le tecniche ceramiche decaddero.
Nel corso del suo sviluppo questa cultura mostrò grandi capacità marinare: si trovano infatti resti di specie che possono essere pescate solo in mare aperto e l'abilità di queste genti nella navigazione si mostrò nella loro capacità di irradiarsi progressivamente sulle coste del Mediterraneo.
La prima espansione si ebbe verso la Puglia, e quindi in altre aree dell'Italia meridionale e in Sicilia, da dove la cultura della ceramica cardiale si espanse verso il Lazio, la Toscana, la Sardegna la Corsica e la Liguria, contemporaneamente genti di questa cultura colonizzarono anche via terra l'Italia settentrionale, fino a stabilire alcuni isolati insediamenti sulle coste provenzali. Nel V millennio a.C. aveva raggiunto la Francia sudorientale e la Spagna orientale. Da qui si espanse ancora verso nord lungo la valle del Rodano e verso ovest lungo la valle dell'Ebro. Ebbe influenza anche sul lento sviluppo delle prime culture neolitiche sulle coste atlantiche e alcuni monumenti megalitici dell'Europa nord-occidentale sono associati con resti archeologici che comprendono ceramica e altri manufatti di questa cultura.
Nei secoli successivi, le diverse culture mediterranee ebbero ciascuna proprie evoluzioni autonome, che nell'Europa occidentale sono generalmente etichettate come culture della ceramica epi-cardiale. Nell'Italia settentrionale si sviluppò a partire da questa la cultura del vaso a bocca quadra e nei Balcani si divisero il territorio le culture locali di Hvar, di Lisicici e di Butmir.
L'espansione avvenne attraverso spostamenti massicci di popolazioni dall'area egeica che soppiantarono o si amalgamarono con i cacciatori-raccoglitori occidentali. Le popolazioni moderne che risultano più affini alle popolazioni della ceramica cardiale sono i baschi e i sardi. È associata inoltre all'introduzione dell'agricoltura e della ceramica cardiale e lineare la presenza in Europa dell'aplogruppo G del cromosoma Y e della sua subclade G2a, in particolare in Tessaglia, nei Balcani, nella Penisola italiana, in Sardegna, in Corsica, nelle coste meridionali della Penisola iberica, nella Provenza e nell'Arco Alpino, aplogruppo correlato alle popolazioni del Caucaso occidentale, e dell'Anatolia neolitica.




KERAMOS - Ceramica siceliota

 


La ceramica siceliota è la produzione locale di ceramica a figure rosse che ebbe inizio in Sicilia alla fine del V secolo a.C. ad opera forse di artigiani ateniesi giunti in Italia con la fondazione di Thurii nel 443 a.C.
L'iniziale produzione di questa piccola scuola, forse un unico laboratorio, sembra seguire lo stile attico contemporaneo e in particolare quello del Pittore di Pothos. Verso il 380-370 a.C. alcuni ceramografi della scuola siceliota si spostarono in Campania e a Paestum. Il periodo seguente è scarsamente conosciuto, ma dal 340 a.C. le testimonianze della produzione locale siceliota aumentano e la scuola assume una fisionomia chiara, divisa in differenti laboratori nella zona centrale e orientale della Sicilia, fino alla fine del secolo; la datazione in questo periodo è basata su quella delle monete contemporanee.
Lo stile, molto uniforme, mostra influenze provenienti dalla scuola campana e la conoscenza della scuola apula, ma si sviluppa in modo indipendente con una tecnica policroma propria, dove al bianco e al giallo tradizionali si aggiungono gradazioni di rosso, blu, fino al verde e al malva; questa policromia particolarmente evidente nel Pittore di Lipari si ritroverà nello stile di Centuripe del III secolo a.C. Le composizioni sono semplici, i soggetti più frequenti sono figure e teste femminili, un tema presente anche nelle altre scuole italiote, alcune scene dionisiache e alcune scene fliaciche. Le forme più comuni sono il cratere a calice, la pyxis e la bottiglia. Gli esemplari ceramici raccolti sono stati inizialmente divisi, in base alla zona del ritrovamento, in tre gruppi principali: il Gruppo Lentini-Manfria, il Gruppo dell'Etna e il gruppo di Lipari. All'interno dei gruppi principali sono stati individuati ulteriori sottogruppi e singole personalità.


(nella foto in alto: Pisside skyphoide siceliota a figure rosse, Gruppo di Lentini-Manfra. Casa d'aste Pandolfini, venduto a 1.375 Euro - lato A: erote androgino, nudo e gradiente a destra, con grandi ali semiaperte, sakkos nei capelli, collane al collo e di traverso sul torace, armille ai polsi e alle caviglie, con uno specchio nella mano destra. 350-325 a.C.)
(nella foto nel testo: Cratere a calice siceliota, gruppo Manfria, Eracle reso euforico dal vinto tenta di violentare Auge, sacerdoessa di Atena. Tema farsesco. 360-340 a.C. - foto di Davide Mauro)


KERAMOS - Ceramica della Magna Grecia e della Sicilia

 
La ceramica della Magna Grecia e della Sicilia è la ceramica prodotta localmente dalle popolazioni italiote e siceliote a partire dal tardo VIII secolo a.C. fino ai primi anni del III secolo a.C. La denominazione, come quelle delle suddivisioni regionali, non comprende le produzioni indigene geometriche e subgeometriche.
Il predominio commerciale, e quindi stilistico, corinzio e attico esisteva ad ovest del mondo greco come altrove; costituiscono eccezioni scarsamente rilevanti gli influssi dal subgeometrico cretese e dalla ceramica greco-orientale a Gela, Catania, Siracusa, Selinunte e soprattutto Agrigento, la ceramica laconica piuttosto diffusa nel VI secolo a.C. e naturalmente la ceramica calcidese.
Protocorinzio di imitazione, databile a partire dal tardo VIII secolo a.C., è presente a Pithecusa e Cuma, le prime e più distanti colonie greche in Italia. La produzione di imitazione si distingue da quella importata grazie all'argilla differente e, talvolta, per la presenza di un ingubbio che imita l'argilla dei prodotti originali.
Gli scavi di Megara Hyblaea hanno restituito vasi con decorazione figurata policroma (con l'aggiunta del marrone chiaro al bianco e al rosso), di grandi dimensioni e in stile orientalizzante, che è stato possibile classificare come di produzione locale e datare intorno al 650 a.C. Si trattò tuttavia di un esperimento che lasciò presto il posto all'imitazione dello stile animalistico di Corinto. I crateri della necropoli del Fusco, a Siracusa, suggeriscono l'esistenza di un simile fenomeno di produzione locale, forse opera di vasai argivi immigrati, che può essere datato al secondo quarto del VII secolo a.C.
Produzioni di ceramica a figure nere sono attestate nel sud Italia e soprattutto in Campania nel tardo VI e all'inizio del V secolo a.C., dove si caratterizzano per un uso più libero del bianco aggiunto, ma a parte la ceramica calcidese (VI secolo a.C.), nessuna scuola locale mise radici fino alla metà del V secolo a.C.
Dopo 300 anni di importazione più o meno regolare, prima da Corinto e poi da Atene, alcuni artigiani presumibilmente immigrati e già formatisi ad Atene durante l'età di Pericle, giunti in Italia con la fondazione di Thurii nel 443 a.C., diedero inizio ad una produzione di ceramica a figure rosse, che viene genericamente definita italiota: le officine siceliote vennero riconosciute e distinte in un momento successivo allo stabilirsi del termine, che continuò quindi ad essere impiegato in letteratura in modo onnicomprensivo. 
L'ulteriore suddivisione in scuole regionali è basata sui luoghi di ritrovamento (apula, lucana, campana, pestana, siceliota), ma le differenze tra le diverse scuole non sono sempre evidenti; solo la scuola apula, la più grande e influente, è dotata di una maggiore unità stilistica che si può riassumere in una tendenza al monumentale e alle grandi composizioni, suddivise su diversi registri.
Tra le produzioni più antiche, ma priva di sviluppi, è quella del Gruppo del pilastro con civetta (Owl pillar group), sorto apparentemente in Campania ad imitazione dello stile attico nel secondo e terzo quarto del V secolo a.C. I due centri di produzione che si svilupparono sulla costa meridionale italiana, convenzionalmente indicati come "Gruppo A" e "Gruppo B", diedero invece luogo rispettivamente alla scuola lucana e alla scuola apula. La prima sorse a ovest di Taras intorno al 440 a.C., al tempo della fondazione di Thurii; la seconda comparve a Taras subito dopo, intorno al 430 a.C. La scuola siceliota ebbe inizio nell'ultimo decennio del V secolo a.C. La scuola lucana fu influenzata da quella apula mentre tutte tendevano col tempo a divergere dall'originario e comune stile di appartenenza, derivato dalla ceramica prodotta ad Atene nelle botteghe del Pittore di Achille e di Polignoto, anche in conseguenza di una diminuzione delle importazioni da Atene durante e dopo la guerra del Peloponneso. 
Questa prima fase di sviluppo della ceramica italiota ebbe termine verso il 380-370 a.C. quando, a partire dalle prime scuole regionali si formarono nuovi laboratori in Sicilia, in Campania e a Paestum.
La terracotta della ceramica italiota varia nel colore e nella consistenza, andando da un giallo pallido che può essere scambiato per corinzio, al marrone scuro di alcuni esempi campani. Una ingubbiatura rossastra è presente negli esemplari che più si allontanano dal colore tipicamente aranciato della terracotta attica.
Le forme dipendono inizialmente dal repertorio attico, ma il loro sviluppo è spesso indipendente. Il cratere a campana, l'oinochoe e l'hydria sono le forme più comuni. I crateri a colonnette e a volute sono diffusi particolarmente nelle scuole apula e lucana, così come la pelike. I grandi crateri apuli a volute avevano destinazione funeraria, un uso ormai decaduto in Grecia, e potevano giungere al metro e mezzo di altezza. L'anfora a collo distinto si sviluppa in Campania in una forma tipica che reca un manico ad arco sopra l'imboccatura (bail amphora). Il piatto da pesce diviene una tipologia tipica dalla metà del IV secolo a.C. Le forme piccole, esclusa la coppa, sono frequenti nel IV secolo a.C.: askos, lekythos e kantharos. In generale col tempo le forme tendono ad allungarsi, ad assumere forme più spigolose e ad accrescere la propria ornamentazione.
I soggetti erano prevalentemente dionisiaci con un gusto particolare per la teatralità tragica o per le farse fliaciche, presenti soprattutto a Paestum; queste ultime si svilupparono a partire dal 400 a.C. sulla scia di simili e rari esperimenti fatti ad Atene qualche tempo prima.
Nel secondo quarto del IV secolo a.C. una nuova tecnica, non presente in Attica, si sviluppa a partire dalla scuola apula; è detta ceramica di Gnathia dal nome del luogo dei primi ritrovamenti e consiste in una decorazione a colori sovrapposti ad un fondo nero, similmente alla tecnica di Six.
La ceramica del sud Italia veniva prodotta principalmente per uso locale, ma alcune esportazioni sono attestate lungo le coste della Francia e della Spagna, in Dalmazia e in Albania. Esemplari sicelioti sono stati rinvenuti a Cartagine, esemplari apuli a Sidone. Un certo influsso stilistico da parte della produzione campana e apula del IV secolo a.C. si ebbe sulla produzione etrusca e iberica.

Nelle foto, tutte di ceramiche appartenenti al Museo d'Antichità JJ Winckelmann, Sala delle collezioni dalla Magna Grecia, dall'alto:

Cratere a campana a figure rosse
Lato A: menade con tirso, tra due satiri in corteo danzante
Lato B: tre giovani ammantati
Pittore di Pisticci (440-420 a.C.)
Altezza cm 33

Anfora campana a figure nere
Lato A: satiro nudo in marcia
Lato B: efebo nudo in marcia
Pittore di Milano (525-500 a.C.)
Altezza cm 23,5

Brocca Altezza cm 19,5; diam. massimo 16,7 IV sec. a.C. Collezione Grecia 324 (RA 21363); da Rudiae, acquisto Ostrogovich 1871  

Cratere a colonnette a figure rosse Lato A: partenza di guerrieri, donna stante con offerte, guerriero seduto con spada e lancia, donna stante offerente, guerriero con scudo e lancia Lato B: satiro tra due menadi con rhyton Pittore di Tarporley (370-360 a.C.) Altezza cm 46, diam. 32 Inv. S.394; legato Sartorio 1910

Anfora panatenaica a figure rosse, con particolari in bianco e giallo Sul collo, spalla e basso piede: fasce a fiori, onde marine, serti d’edera e meandri Lato A: defunto eroicizzato: all’interno di un’edicola, un giovane nudo seduto, con lancia e patera, situla e serto; a sinistra, donna vestita di chitone con phiale e uva; a destra, giovane nudo con situla e phiale Lato B: scena di offerta: cippo con acroteri, ai lati due donne vestite di chitone con uva e phiale Pittore della Patera (340-320 a.C.) (già Gruppo delle Anfore) Altezza cm 76,5; diam. 22,7 Inv. S.381; legato Sartorio 1910  

KERAMOS - Ceramica di Centuripe (Sicilia)

 

La ceramica di Centuripe, o ceramica policroma della Sicilia orientale, o il vaso della classe Centuripe, è una classe di manufatti in ceramica decorati, dopo la cottura, mediante pittura policroma; la produzione si colloca tra il secondo quarto del III e il II secolo a.C.
Le prime menzioni delle rovine importanti del territorio di Centuripe si possono ascrivere alla metà del XVI secolo ad opera di Tommaso Fazello. Nel 1778 giunse a Centuripe Jean Houel che disegnò, oltre a numerosi ritratti delle rovine anche la prima carta archeologica del sito. Notizia delle importanti vestigia del passato si ebbero a cura dell'erudito locale Filippo Ansaldi. Bisogna giungere tuttavia al XIX secolo perché Désiré-Raoul Rochette e Reinhard Kekule von Stradoniz menzionino nelle loro opere i vasi policromi e le terrecotte ellenistiche centuripine facendoli conoscere a livello internazionale. Sino al XX secolo tuttavia nessuna campagna ufficiale di scavi, ma nel contempo un continuo saccheggio di tombe e siti come denunciò amaramente Paolo Orsi tra 1901 e 1902 nel corso di una limitata campagna di ricerca. Ulteriori lavori di scavo organizzati avvennero tra 1906 e 1912 nella necropoli di contrada Casino.
Il genere di vasellame detto "di Centuripe" prende nome dalla località principale di ritrovamento e produzione di Centuripe.
La definizione, ceramica centuripina, usata nella letteratura archeologica definisce in maniera specifica un manufatto artistico artigianale la cui datazione è attribuita al III-II secolo a.C.; i manufatti son caratterizzati da una decorazione policroma a cui si aggiunge, spesso, l'applicazione di decorazioni plastiche, a rilievo. I soggetti e le iconografie privilegiano l'universo femminile e dionisiaco, denotando la produzione come di carattere funerario e nuziale. Alcune tipologie decorative hanno a che fare con la commedia.
È poco frequente che siano dipinti altri tipi di vasi oltre a pissidi, lebeti nuziali e lekanides. I colori maggiormente riscontrati sono il bianco, il rosa, il nero, il giallo, il rosso e l'oro; meno frequentemente si riscontrano il blu o il verde. I motivi decorativi accessori prevalenti sono l'acanto, il viticcio, le teste e i busti.
Anche la ritrattistica (clipeo, imago clipeata) assunse livelli di pregio stilistico e realizzativo; scrive il Pace:«I ritratti di Centuripe in quanto monumenti genuini della pittura ellenica, se ragionevolmente non possono rappresentare se non un particolare momento dell'arte, un ambiente e più precisamente determinate e non trascurabili personalità pittoriche, permettono anche di trarre elementi di più generica conoscenza della pittura classica.» (Biagio Pace)
A partire dal III secolo a.C. la coroplastica espresse una ricchissima produzione di statuette fittili tipicamente definite tanagrine, perché simili a quelle già note rinvenute nella necropoli di Tanagra, in Beozia, e di una qualità artistica tale da meritare alla città l'epiteto di Tanagra di Sicilia. Si tratta di arte a chiara destinazione funeraria che raggiunge elevati livelli di esecuzione con leggiadre figurine di fanciulle o donne danzanti, di divinità (predomina Afrodite), di genere idilliaco, caricature e figure comiche pervase dal gusto locale e ancora Eroti volanti, Psychài e fauni danzanti, vecchi e personaggi esotici o caricature femminili dai volti animaleschi. Le tematiche mostrano un'inesauribile fantasia creativa anche se vengono prodotte in serie. Completano il tutto statuine di animali molto realistiche.
La produzione ceramica di Centuripe risalta e si esprime principalmente nelle forme vascolari delle pissidi, dei lebeti e delle lekanides. La produzione centuripina sembrerebbe aver influenzato quella di altri centri siciliani; i motivi richiamano il repertorio greco e magnogreco di età ellenistica.
La caratteristica decorazione è policroma con rilievo floreale e architettonico. I bordi sono spesso sottolineati da kymatia, triglifi, file di maschere leonine o eroti. Piuttosto chiara è la derivazione, per gli elementi plastici, da prototipi metallici e dalla contemporanea oreficeria; la pittura, invece, è legata agli affreschi coevi. La decorazione pittorica è realizzata a tempera (dopo la cottura del vaso: questa caratteristica tecnica implica una particolare fragilità della pittura, aggiungendo quindi un ulteriore ragione per ritenere questa produzione pressoché esclusivamente di natura funeraria). Le scene spesso richiamano il culto dionisiaco oppure soggetti femminili, tra cui, per esempio, scene di toeletta, preparazione allo sposalizio, grandi teste o busti umani il cui viso è colorato di una tinta rossastra con ombreggiature. Il Libertini cataloga ben 39 modelli differenti.
La produzione di Centuripe conta anche maschere teatrali in gran numero, seconda solo a Lipari. Ma mentre la produzione di Lipari termina con la distruzione della città nel 252-251 a.C. da parte dei romani, nello stesso periodo inizia a Centuripe. Le maschere comiche in particolare appartengono alla commedia nuova, a noi nota attraverso le commedie di Menandro.
Le maschere centuripine sono di dimensioni maggiori rispetto a quelle di Lipari o di Siracusa.
L'area archeologica centuripina e quelle circostanti, come quelle di Morgantina, Agira, Adrano, Paternò sono state oggetto di un vero e proprio saccheggio negli ultimi secoli e solo negli ultimi decenni si è operato in maniera sistematica e scientifica; ciò è stato causa di danni incalcolabili ai fini della catalogazione scientifica non permettendo di risalire ai contesti e ai siti di ritrovamento, alle posizioni, ai corredi funerari o nuziali di cui facevano parte.
I primi scavi sistematici furono tentati da Paolo Orsi agli inizi del Novecento ma vani furono i tentativi di dare organicità alle operazioni di ritrovamento. Lo stesso Orsi in molti casi dovette competere con gli scavatori abusivi acquistando da loro ciò che poteva di pregevole. Già nel 1901 l'Orsi deplorava il depredamento incontrollato del suolo centuripino definito da lui "archeologicamente ricchissimo"[9]. da cui: «sono usciti tesori di superbe terrecotte, di vasi, di bronzi e di gemme del secolo IV e seguenti dispersi ovunque e in minima parte assicurati ai musei nazionali dell'Isola; ed è con vero rammarico che io ho dovuto sin qui trascurare quel ragguardevole centro archeologico della decadente civiltà ellenica causa l'angustia dei nostri bilanci...» (Paolo Orsi, 15 agosto 1901)

Gli scavi e il traffico, spesso illegale, hanno fatto sì che i reperti si disperdessero per tutto il mondo, tra musei e collezioni private.
Ceramiche di Centuripe nel mondo
Sono presenti reperti di Centuripe in:
Italia.
  • Palermo, Museo Antonio Salinas: Vasi, tripode
  • Trapani, Museo Pepoli: statuine fittili
  • Legnano, Museo civico Guido Sutermeister: Lekanis
  • Siracusa, Museo Paolo Orsi: Vario materiale
  • Roma, Museo Etrusco di Villa Giulia
  • Centuripe, Museo archeologico regionale di Centuripe
  • Catania, Museo civico al Castello Ursino: tre crateri, oggetti vari.

Stati Uniti d'America.
  • New York, Metropolitan Museum of Art: quattro pregevoli esemplari di ceramica centuripina sono esposti dal 1929.
  • Bloomington, Indiana, Indiana University Art Museum: clipeo di 29,5 cm di diametro denominata "Centuripe Placque" raffigurante un busto di giovane donna dipinto nei colori, definiti tipici della ceramica centuripina, in varie tonalità con sfondo rossastro, tendente al rosa più cupo.
  • Colorado, Erie, Artemis Gallery: statuina di Cadmo che uccide il serpente
  • Texas, Austin, Blanton museum of art: lebes gamikos policromo, altezza cm 81,5.
  • Carolina del Nord, Raleigh, North Caroline Museum: lebes funerario, altezza 90,2 cm, statuina di Venere e Nettuno, decor. policrome
  • Michigan, Lansing, Kresge Art Museum: cratere, decorazioni policrome.
  • Ohio, Toledo, Toledo Museum of art: cratere, altezza 63,5 cm
  • New Jersey, Princeton, University art museum: vaso, dec. policrome.
  • Texas, San Antonio, Museum of art: lekanise, cratere.
  • Wisconsin, Madison, Chazen Museum: vaso policromo
  • Massachusetts, Boston, Fine arts museum: vasi e statuette.
  • California, Los Angeles, Getty Villa collection, busto di donna.
Gran Bretagna.
  • Londra: Una collezione di circa 90 reperti ceramici, askos, lekanis, crateri, statuette, placche, maschere teatrali e oggetti vari è esposta al British Museum.
  • Glasgow, Collezione Burrel: due teste, di Demetra e di Kore.
Paesi Bassi.
  • Amsterdam, Allard Pierson Museum: pixis e terrecotte varie.
  • Leida, Rjiksmuseum: vasellame policromo
Francia
  • Parigi, Louvre: vasi, crateri, statuine
Germania
  • Karlsruhe, Karlsruherer Museum: askos con scritta siculo, figurine, placche e statuine
  • Düsseldorf, Hetjens-Museum: lekanis
  • Kassel, Staatliche Kunstsammlung Kassel Antikenabteilung Schloss Wilhelmshöhe: gruppo di vasi e terrecotte
Giappone.

  • Okayama, Kurashiki Ninagawa Museum: figurina femminile danzante.
Nelle foto, dall'alto:
- Maschere centuripine
- Stamnos centuripino del VI secolo a.C., Metropolitan Museum of Art, New York
- Figura di danzatrice, arte magnogreca da Centuripe, II secolo a.C., British Museum, Londra
- Maschera, produzione centuripina
- Lekanis centuripina, Hetjens-Museum, Dusseldorf
-Vaso da tomba di Centuripe, III-II secolo a.C., alto 39,4 cm, Metropolitan Museum of Art, NY
- Lekanis centuripina con decorazioni plastiche e dipinte, III secolo a.C., Museo Sutermeister, Legnano
- Pisside con coperchio a èresa scomponibile,  centuripino, Museo dell'Università, Catania




KERAMOS - Ceramica egizia

 
La ceramica egizia è l'insieme di oggetti antichi in ceramica (in gran parte vasi) che sono stati trovati in Egitto. Splendidi oggetti risalenti al periodo della sua più antica civilizzazione e nei dipinti delle camere sepolcrali sono state scoperte rappresentazioni dell'arte ceramica, con vasi modellati al tornio, che risalgono almeno alla IV dinastia (da uno a duemila ottocento anni avanti Cristo).
I vasi smaltati con lacca erano in uso già dalla XII dinastia (uno duemila anni a.C.) e prima, nei magazzini sotterranei della Piramide di Djoser (intorno al 2650 a. C.) si impiegarono parimenti piastrelle smaltate per rivestimento interno dei muri. Le figure chiamate "rispondenti" (Ushabti) e vari amuleti di maiolica (fango cotto e smaltato di colore azzurro/verde) abbondano nelle tombe del Nuovo Regno.
Le forme di vasi funerari più usati, a giudicare dai ritrovamenti dovevano essere i vasi canopi (semiconici od ovoidali con coperchio, rifinito con testa di divinità) e la coppa a forma di fior di loto aperto, semplici decorazioni e qualche geroglifico inciso o dipinto. Tuttavia la ceramica egizia non raggiunse mai la perfezione ed eleganza di quella greca, senza dubbio poiché i vasi di lusso in Egitto erano d'oro e alabastro.
Una delle più importanti collezioni di ceramica egizia è la collezione di tredici vasi egizi, antichi di seimila anni, conservati nel Museo della natura e dell'uomo di Santa Cruz de Tenerife (Isole Canarie, Spagna). Uno di questi vasi corrisponde al periodo Naqada ed considerato il reperto più antico di questa cultura in un museo spagnolo.





Nelle foto:
Vaso egizio antropomorfo, Museo del Louvre, Parigi.  
Vaso con collo rivestito di tessuto e dipinto, tra il 1425 e il 1353 a.C. Nuovo Regno, dalla Tomba di Kha e Merit, Necropoli di Tebe, Luxor. Museo Egizio, Torino.  

KERAMOS - Ceramica cicladica

 


La ceramica cicladica descrive la produzione vascolare e ceramica delle isole Cicladi nell'età del bronzo e nell'età del ferro.
La produzione delle officine cicladiche era destinata prevalentemente ad uso locale; numerosi reperti sono stati ritrovati nell'isola sacra di Delo che raccoglieva le offerte dalle isole vicine, molti altri nella vicina isola di Rheneia, o Grande Delo, dove furono portati i materiali provenienti dalle tombe della Piccola Delo in seguito alla purificazione ordinata dagli Ateniesi nel 426-425 a.C. (Tucidide I, 8; III, 104); il racconto dello storico greco è stato confermato dagli scavi del 1898-99. 
La fase orientalizzante del VII secolo a.C. è subito recepita nelle isole mischiandosi al subgeometrico, non vi fu invece alcuna accoglienza per la tecnica a figure nere; gli ottimi ma isolati artigiani cicladici non riuscirono a fondare una scuola che fosse autonoma e allo stesso tempo aperta agli stimoli provenienti dagli altri centri di produzione, l'unica eccezione fu la "scuola melia" che tra VII e VI secolo a.C. riuscì a trarre ispirazione dalle maggiori scuole contemporanee. La "ceramica melia" a differenza degli altri gruppi della ceramica cicladica, è stata regolarmente esportata.
L'argilla cicladica è generalmente tendente al rosa ed è ricoperta da un ingubbio color crema; le figure sono dipinte con una vernice marrone scura. Tipiche e note sono le anfore cicladiche caratterizzate da un aspetto slanciato con corpo ovoidale e ampio collo cilindrico, dalle quali si differenziano le anfore a corpo globulare prodotte a Paro.
Dopo un periodo di influenza cretese (1600-1200 a.C.) la civiltà cicladica subì una fase piuttosto lunga di decadenza e di arresto. Durante la fase protogeometrica le influenze attiche si unirono alla ceramica locale submicenea dando vita a vasi di piccole dimensioni le cui forme più diffuse sono l'oinochoe, la lekythos, lo skyphos e l'anfora con anse sul ventre; la decorazione astratta era costituita da triangoli reticolati, cerchi concentrici, semicerchi e strisce ondulate che a volte si presentano a rilievo insieme a punti a pressione e a tratti incisi. La preminenza dell'influenza attica continuò nel periodo geometrico quando la tipologia più importante divenne l'anfora con anse orizzontali e decorazioni a pannelli e a cerchi concentrici o iscritti con croci (Milo e Nasso). A partire dalla seconda metà dell'VIII secolo a.C. (tardo geometrico) l'introduzione di nuovi elementi decorativi fu conseguenza di una suddivisione degli spazi indipendente dai modelli attici che favorì il differenziarsi di quattro scuole principali localizzate a Nasso, a Paro, Milo e Thera. Tipici di Nasso sono gli skyphoi a tre metope con al centro la clessidra quadrettata, o il quadrifoglio, e con uccelli ai lati.
Thera

La ceramica geometrica di Thera (750-650 circa a. C.), rinvenuta quasi esclusivamente nella necropoli dell'isola, è decorata con motivi lineari che ricoprono interamente il collo e la spalla, mentre nella parte inferiore del corpo le linee orizzontali si diradano. I motivi astratti sono costituiti da meandri, false spirali, zig-zag e cerchi con disegno iscritto (rosette o stelle); il motivo figurato tipico è costituito da una serie di uccelli simili a gru. Appartengono alla fase orientalizzante i rinvenimenti della classe Linear Island con cavalli al pascolo, leoni ed esseri fantastici come sfingi, sirene e grifi.
Paro .
Linear Island
La classe ceramica che Humfry Payne nel 1926 ha chiamato Linear Island corrisponde a quella che Ernst Buschor nel 1929 ha localizzato a Paro e di cui ormai si sostiene la provenienza da Nasso. L'origine resta discussa; quasi tutti i ritrovamenti importanti sono stati fatti a Thera, dove si differenziano sostanzialmente dal contemporaneo subgeometrico del luogo. Si tratta principalmente di anfore a collo separato e con corpo ovoide alte circa mezzo metro. Alla fine dell'VIII sec. a.C. la spalla viene divisa in tre pannelli allungati in senso orizzontale riempiti inizialmente da motivi geometrici e in seguito orientalizzanti sia vegetali sia animali, questi ultimi privati di una struttura corporea per adattarli al pannello. Questo tipo di decorazione, dallo stile elegante e semplice, si trova anche su alcuni crateri. Anche la fase finale del Linear Island è discussa; vi si attribuiscono tre anfore conservate a Leida, Stoccolma (Medelhavsmuseet, con la figura di cervo pascente disegnata a silhouette e a linea di contorno)[ e Parigi (Cabinet des médailles), datate tra il 675 e il 625 a.C. e caratterizzate dalla decorazione con un unico animale sulla spalla.
Ad Group

Il gruppo denominato Ad è contemporaneo del precedente, ma è più contrastato nei toni della decorazione e ha uno stile meno evoluto. L'anfora dal collo separato è di tipo globulare; la decorazione, comprendente cavalli o altri animali, si estende lungo tutta la superficie del collo e della spalla mentre nella parte inferiore del vaso si trovano fasce ornamentali e raggi presso il piede. La decorazione di riempimento, costituita da losanghe e zig zag, riempie gli spazi anche nei pannelli figurati. Oltre all'anfora il gruppo Ad comprende l'hydria, il cratere, l'oinochoe, lo skyphos. Questa classe è stata trovata a Rheneia, Sifno e Paro, ma non a Thera. I dettagli decorativi sono simili allo stile geometrico di Paro e anche l'argilla è simile. È un gruppo compatto in cui molti pezzi sono riconducibili ad una stessa mano. Gli animali hanno affinità con il protoattico e per questa ragione il gruppo è stato datato intorno al primo quarto del VII secolo a.C.
Nasso
The Heraldic group
A Nasso, per una somiglianza con il tardo geometrico del luogo e per le caratteristiche dell'argilla bruno-rossastra, è stato attribuito uno dei gruppi più caratteristici dell'influsso orientale nella ceramica cicladica durante il VII secolo a.C.: il gruppo delle "anfore araldiche" così chiamate per la coppia di animali in posizione araldica dipinta sul collo. La parte inferiore del vaso è decorata a fasce e il retro riporta solo motivi decorativi semplici. 4
Le parti frontali del collo e della spalla ricevono la decorazione principale costituita da un pannello diviso in tre campi da strisce ornamentali. All'interno dei campi figurati si trovano leoni, cavalli, sfingi, spesso protomi, in stile orientalizzante e con figure a risparmio. L'attenzione maggiore più che alle figure è dedicata all'effetto generale del disegno all'interno del pannello. Molti dei vasi che appartengono al gruppo sono riconducibili ad una stessa mano e sono stati trovati prevalentemente nel deposito di Rheneia. Con l'attribuzione a Nasso del gruppo Linear Island, la produzione vascolare dell'isola risulterebbe divisa in due gruppi stilisticamente differenti che coesistono evolvendosi in modo indipendente l'uno dall'altro. La presenza di alcune scene narrative sembra invece derivare dall'influenza delle "anfore melie".
The Protome Group
Il gruppo è formato da un piccolo numero di anfore a collo separato, di hydriai e da una coppa. Il pannello sul collo delle anfore è decorato solitamente con protomi di cavallo o con la parte anteriore di un leone ed è affiancato da pannelli più stretti con decorazioni semplici. Lo stesso tipo di decorazione ricorre sulla spalla, mentre sulla metà inferiore del vaso si trovano bande di vernice nera e porpora alternate; una fascia di raggi decora la zona presso il piede. Il gruppo è di una sofisticata semplicità nell'alternanza delle zone chiare e scure della decorazione e nell'interesse rivolto allo sviluppo della linea che traccia le figure, più che alle figure stesse. Appartiene alla metà del VII secolo a.C. ed è stato assegnato a Nasso come a Paro; i reperti provengono esclusivamente dal deposito di purificazione di Rheneia.
Milo

La massima fioritura dell'orientalizzante cicladico si ha con le "anfore melie". Il gruppo è stato individuato a partire da alcune grandi anfore trovate a Milo e pubblicate nel 1862. Le anfore o i crateri di questa serie raggiungono il metro d'altezza e la decorazione copre l'intero vaso; quella figurata, che può avere soggetto mitologico, si trova sul collo insieme ad una decorazione a doppie volute, e sul lato principale del corpo, mentre il lato posteriore è riservato a cavalli o altre figure di minore importanza. Il motivo fondamentale della decorazione ornamentale è la grande spirale che forma svariate combinazioni; l'ornamento di riempimento è costituito da rosette, svastiche e fiori stilizzati. Esistono versioni più piccole e più semplicemente decorate di questo tipo di anfora e lo stesso tipo di decorazione è applicato alle hydriai e ai crateri, alle anfore a profilo continuo e ai piatti. Nei vasi più antichi del gruppo i cavalli sono stilisticamente individuabili come cicladici, mentre in quelli successivi si avvicinano allo stile delle capre selvatiche. Le figure sono generalmente a risparmio, con parti a linea di contorno; solo nelle anfore più recenti del gruppo compare l'incisione, usata nelle figure animali di derivazione corinzia in sostituzione dei ritocchi bianchi. Il marrone chiaro è usato per le carni maschili e il porpora è usato liberamente. L'analisi dell'argilla dei "vasi melî" trovati a Delo e a Taso ha rivelato l'assenza delle componenti vulcaniche escludendo Milo dalle isole candidate come luogo di origine, mentre i numerosi ritrovamenti e le imitazioni riscontrate a Taso, colonia di Paro, hanno condotto a ritenere quest'ultima il vero luogo di provenienza, insieme ad alcune similitudini riscontrate con il gruppo Ad. Opinioni discordi riguardano la datazione del gruppo: l'inizio dello stile viene posto al secondo quarto del VII secolo a.C. come alla seconda metà.
Negli ultimi "vasi melî" corintizzanti (datati a partire dall'ultimo quarto del VII secolo a.C.) si nota il decadere dello stile, l'unico forse ancora attivo nelle Cicladi in quest'epoca, ormai sopraffatto dall'esportazione corinzia.

KERAMOS - Ceramica protoattica

 

La ceramica protoattica è una classe di vasi attici la cui produzione è compresa tra il 700 e il 610 a.C. circa, tra lo stile geometrico e le figure nere attiche. Se lo stile geometrico si era distinto per un forte senso dell'ordine, le generazioni successive, attive durante il periodo orientalizzante, mostrano la stessa tendenza alla sperimentazione che pervade l'intero mondo greco del VII secolo a.C. e una decisa continuità nella predisposizione attica verso la narrazione e il "fare grande". 
Compaiono, prevalentemente importati da Corinto, gli animali reali e fantastici di origine orientale, ma la generale tendenza sperimentale del VII secolo a.C. viene applicata in Attica a grandi anfore funerarie, ereditate dal periodo geometrico, che sfuggono alla pura decorazione vascolare. Si trovano in modo del tutto nuovo sui vasi protoattici i miti di Ulisse, di Perseo, di Menelao, l'uccisione di Egisto, Chirone e Achille, la lotta di Ercole e Nesso e di Bellerofonte con la Chimera. L'epoca orientalizzante è per Atene un periodo di relativa chiusura e provincialità, raramente sono state trovate testimonianze protoattiche al di fuori dall'Attica o dell'isola di Egina; la produzione del periodo risponde alle richieste del fabbisogno locale restando lontana da esigenze esterne dovute ad una grande richiesta da parte del mercato, come sarebbe accaduto a Corinto.
La ceramica protoattica è stata individuata stilisticamente da J. Böhlau nel 1887; a partire dalla fine dell'Ottocento altri ritrovamenti a Egina, dove è stata trovata la Brocca degli arieti, hanno permesso di proseguire e approfondire gli studi. Non è ancora stata chiarita l'occasione del ritrovamento del gruppo di ceramiche indicate come di provenienza eginetica ora conservato ai Musei statali di Berlino, dove è giunto nel 1936. La stessa incertezza, per quanto riguarda la provenienza, investe altre opere protoattiche, come la loutrophoros attribuita al Pittore di Analato e acquistata negli stessi anni dal Museo del Louvre. Gli studi sulla ceramica protoattica si basano sul fondamentale lavoro di J. M. Cook (del 1935), in seguito aggiornato anche ad opera di altri studiosi, con nuovi ritrovamenti ad Atene, nel Ceramico e nell'Agora, e nella necropoli di Eleusi che ha restituito la celebre Anfora di Polifemo.
Le ceramiche protocorinzie vengono esportate in tutta la Grecia ed arrivano ad Atene dove si sviluppa uno stile dall'influenza orientale meno marcata. Maggiore importanza rispetto all'influsso orientalizzante può aver avuto sulla formazione dello stile protoattico il ritrovamento delle antichità micenee come testimoniato da forme e motivi decorativi già presenti sui vasi attici tardo geometrici.
Nell'ultimo quarto dell'VIII secolo a.C. le figure sui vasi attici geometrici progressivamente si arrotondano, si fanno più grandi e corpose, assumono posizioni stabili e movimenti più audaci, proporzioni più corrette. La tendenza al cambiamento nei vasi attici tardo geometrici è osservabile ad esempio sul calderone frammentario al Museo archeologico di Atene. Gli elementi curvilinei nell'ornamentazione sono un segno della fase evolutiva insieme ad un tratto più energico e meno controllato, visibile nella marcia delle donne e nella figura audace del cavallo che si impenna durante l'allevamento. In un vaso conservato a Oxford (Ashmolean Museum), sotto la tradizionale processione di carri, si trova l'orientalizzante fregio continuo con animali che si rincorrono. Rispetto alle precedenti anfore geometriche si riscontra un contrasto maggiore, un minore impiego di ornamentazione di riempimento e la scena principale è più grande in proporzione al vaso. L'auriga è accolto all'interno della biga e non più precariamente posato sopra di essa; nelle figure dei cavalli si notano i primi esempi di sovrapposizione.
Le forme vascolari più diffuse sono l'hydria, l'anfora, il cratere e soprattutto le forme adatte ai prevalenti scopi funerari come l'anfora a collo distinto in versione monumentale e la sottile loutrophoros, ma anche calderoni e grandi ciotole con coperchio. Dal 650 a.C. si incontra il cratere a skyphos, fornito di coperchio e alto piede, caratteristica quest'ultima presente anche in tazze o piatti e da ricondurre al rito funerario caratterizzato dall'esposizione delle offerte.
Protoattico antico (700-675 a.C. Circa)
Le figure durante il primo periodo protoattico si fanno più grandi e maggiormente strutturate, la composizione abbandona la precedente simmetria e diventa più libera. Gli ornamenti caratteristici sono le foglie puntinate, le palmette e le coppie di spirali in forma di cuore. Gli uncini, già presenti nel tardo geometrico, si fanno più grandi e vengono usati come nella ceramica protocorinzia si usano i triangoli a raggiera. I soggetti preferiti sono le processioni, le parate di carri e cavalli, gli animali reali e fantastici in fila o affrontati. Le tecniche utilizzate sono la silhouette e il disegno a contorno, ottenuti con una pittura leggera, quasi color pastello. Un esempio del primo protoattico è l'anfora attribuita al Pittore di Analato (Parigi, Louvre CA2985), dove tra motivi geometrici e novità orientalizzanti viene introdotta la tecnica a incisione sulla criniera dei cavalli. Il Pittore di Mesogeia è un contemporaneo minore del Pittore di Analato con il quale condivide la preferenza per il pennello fine e per gli ornamenti a rete, ma il Pittore di Mesogeia nel confronto risulta più rigido.
Medio protoattico
(675-650 a.C. circa)
Il passaggio dal primo al medio protoattico è caratterizzato da due tendenze opposte e contemporanee: uno stile minuto e delicato, realizzato con tecnica a contorno, e uno stile esuberante che fa uso di abbondante vernice bianca e talvolta rossa. Gli esponenti di quest'ultimo mostrano un tratto corsivo che viene loro dall'essersi liberati dalla disciplina geometrica. Questa modalità è stata definita stile bianco e nero, per una preponderante alternanza di questi due colori. Un esempio di questo stile è la celebre Anfora di Eleusi del Pittore di Polifemo, poco più piccola del Vaso del Dipylon (Atene 804), le cui raffigurazioni sul corpo sono le più grandi decorazioni vascolari giunte sino a noi e rappresentano il mito di Perseo: il corpo senza testa di Medusa, le Gorgoni che inseguono Perseo e una rigida e sottile Atena, forse uno xoanon, a simbolizzare il favore divino. Sul collo si trova la scena dell'accecamento di Polifemo, convenzionalmente usata per indicare l'anonimo autore. Dello stesso periodo o immediatamente successiva è l'attività del Pittore della Brocca degli arieti. Se il Pittore di Polifemo si distingue per una straordinaria immaginazione grafica, il più pacato Pittore della Brocca degli arieti acquisisce negli ultimi anni una inconfondibile capacità nella rappresentazione dei volti. La tecnica adottata da questi artisti non è prettamente ceramografica, il Pittore di Polifemo, in particolare, usa l'intero vaso come campo figurato, una modalità più adatta alla pittura murale.
Esempi di ceramica protoattica in stile bianco e nero sono stati trovati ad Egina, rari ritrovamenti sono stati effettuati anche in Beozia, a Megara, Perachora e presso l'Heraion di Argo.
Progredisce la struttura corporea delle figure, ma si accompagna a dettagli interni dotati di valenza decorativa. L'incisione viene usata in modo subordinato rispetto al vivace impiego del colore e del disegno a contorno. La scarsa ornamentazione di riempimento viene adattata al gusto attico con una crescita incontrollata degli elementi fitomorfi e l'alternanza in bianco e nero degli elementi ornamentali più comuni. L'hydria diviene meno popolare e si diffonde maggiormente il cratere.
Protoattico recente (650-610 a.C. circa)
Con il Pittore di Polifemo e il Pittore della Brocca degli arieti si chiude il periodo migliore della ceramica protoattica. Il periodo definito "protoattico recente" si sovrappone in parte alle "prime figure nere" e la trattazione del primo o delle seconde dipende dalla posizione assunta dall'osservatore. 
È il periodo che va dal Pittore di Kynosarges al Pittore di Nesso, quest'ultimo escluso essendo egli ormai in possesso di una tecnica consolidata e di uno stile costante che indicano l'avvento delle figure nere attiche e la chiusura della sperimentazione protoattica. Durante il protoattico recente il disegno si fa generalmente più controllato e l'ornamento di riempimento più invadente, un maggiore senso dell'ordine sembra essere un primo sintomo della ricezione dello stile preciso protocorinzio che sarà tipico delle prime figure nere attiche. L'uso diffuso del colore rosso, che diventa da questo momento una componente regolare del regime decorativo, e una incisione particolarmente precisa e netta sono altri elementi presi dal protocorinzio recente. Di derivazione cicladica è invece l'uso della protome equina o muliebre nel pannello figurato sul collo del vaso, già presenti nel periodo medio, ma che presentano una nuova specializzazione nell'impiego delle tecniche: i cavalli sono solitamente eseguiti a figure nere, le donne a linea di contorno.


KERAMOS - Ceramica delle pendici occidentali

 

La ceramica delle pendici occidentali (West Slope Style) è una classe della ceramica greca prodotta in età ellenistica nei territori ad est dell'Adriatico e prende il nome dalle pendici occidentali dell'acropoli di Atene dove apparve intorno alla fine del IV secolo a.C. (non è presente a Olinto, distrutta nel 346 a.C.) e dove è stata per la prima volta ritrovata e studiata.
Fu diffusamente imitata altrove e con produzioni locali caratterizzate da particolarità che permettono la distinzione tra i centri di produzione: Corinto, Pergamo (dove alla metà del II secolo a.C. confluisce nella ceramica sigillata), Creta. Lo stile sopravvisse, con alcune variazioni locali, fino al terzo quarto del I secolo a.C.
La decorazione tipica, costituita da pittura bianca e argilla diluita su fondo nero, deriva probabilmente dalla decorazione ornamentale della ceramica a figure rosse del tardo V secolo a.C. che assume in questa classe un'importanza primaria, o più direttamente dalla ceramica di Saint-Valentin. La decorazione si limita in genere alla parte superiore del vaso, è di tipo naturalistico o astratto e raramente figurativo (a parte i tipici delfini); tipiche sono le corone, le ghirlande, le collane. I vasi aperti possono avere una rosetta o una ruota a stella nel tondo centrale. Alcuni esemplari più antichi presentano iscrizioni con nomi di divinità dipinte sul collo. La decorazione a rilievo è costituita da teste plastiche aggiunte o modanature. 
Gli esemplari più recenti presentano un maggiore impiego delle incisioni, mentre le decorazioni geometriche aumentano a detrimento di quelle vegetali; parallelamente diminuisce l'uso del bianco e l'argilla viene sostituita da pigmento giallo.
Le forme includono l'anfora a collo distinto, il kantharos, piatti, piccole coppe, crateri e oinochoai.






Nelle foto, dall'alto:
- Kantharos con decorazione del tipo detto 'West Slope', 300-330 a.C., Museo archeologico del Ceramico, Atene (sala 11)
- Kantharos con decorazione del tipo detto 'West Slope', Museo dell'antica agorà, Atene
- Pisside con decorazione del tipo detto 'West Slope', 300-330 a.C., Museo archeologico del Ceramico, Atene (sala 11) (foto di Giovanni Dall'Orto)



KERAMOS - Ceramica pseudocalcidese

 
Con il termine pseudocalcidese si indicano due gruppi ceramici a figure nere della seconda metà del VI secolo a.C. che Andreas Rumpf ha distinto dalla ceramica "calcidese" propriamente detta, dalla quale sono tuttavia fortemente influenzati; l'analisi delle argille ha confermato l'affinità tra i due gruppi e la loro distinzione da quest'ultima. Si tratta del Gruppo dell'anfora di Memnon (l'anfora eponima di questo gruppo era scomparsa per un lungo periodo ed è riapparsa sul mercato antiquario - nella foto a sinistra) e del Gruppo dell'anfora di Polifemo. Come per la ceramica "calcidese" il luogo di produzione è sconosciuto; esemplari di questi gruppi sono stati trovati in Etruria e più raramente nel sud Italia e in Sicilia; è stato proposto che siano opera di ceramisti di origine ionica insulare attivi in Etruria e impegnati nella concorrenza alla più diffusa produzione "calcidese", riunendo elementi stilistici di differente provenienza (Fulvio Canciani), ma più di recente è stato proposto (Mario Iozzo) che i due gruppi - che per concezione generale, per stile e in definitiva persino per la tecnica non possono essere troppo distinti dai vasi "calcidesi" - siano semplicemente il prodotto di un'altra bottega, attiva nel medesimo ambiente culturale, ma che attingeva a banchi di argilla non molto distanti da quelli che rifornivano la prima.
Il Gruppo di Polifemo è il più numeroso, con circa 60 vasi attribuiti (uno di essi è nella foto a destra), e il più antico, datato al momento centrale della produzione "calcidese", tra il 540 a.C. e il 520 a.C.; il Gruppo di Memnon comprende dodici esemplari o poco più, è databile agli anni 530-520 a.C. e presenta, sull'anfora eponima, iscrizioni in alfabeto ionico. Alcuni elementi stilistici di entrambi i gruppi richiamano la bottega del pittore Lydos.

ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...