giovedì 8 maggio 2025

Campania - Antiquarium di Boscoreale e Villa Regina

 

L'Antiquarium di Boscoreale è un museo di tipo archeologico ed è sito a Boscoreale: al suo interno sono custoditi reperti provenienti dagli scavi di Pompei, Ercolano, Oplonti, Stabiae e Boscoreale  ed offre uno spaccato sugli usi e costumi della vita romana, nonché della natura durante tale periodo.
L'Antiquarium è stato inaugurato nel 1991 ad opera della Soprintendenza archeologica di Pompei per offrire ai visitatori la possibilità di conoscere il territorio vesuviano durante l'epoca antecedente l'eruzione del Vesuvio del 79, con reperti della flora e fauna del luogo, della vita agricola e degli usi quotidiani degli abitanti della zona. Il percorso museale si sviluppa in un corridoio, nel quale sono esposte alcune illustrazioni che raffigurano l'evoluzione nel corso degli anni del bosco e della palude formata dal fiume Sarno, e in due sale: la prima dedicata alla flora e alla fauna, alla cosmesi, all'allevamento, all'agricoltura e alla medicina, mentre la seconda raccoglie reperti provenienti per la maggior parte dalle ville di Boscoreale ma anche da altri siti vesuviani.
Nella prima sala si trovano reperti come zappe, ami, resti vegetali di pini e pigne, anfore vinarie, il calco di una foglia di una villa stabiana e calchi di animale come quello di un cane con ancora indosso il collare e quello di un maiale. Nella seconda sala sono conservati reperti provenienti da Villa Regina, come un'ermetta marmorea, una tazza in ceramica e delle lucerne, da Villa della Pisanella, come un frantoio in pietra lavica, dei sigilli in bronzo ed un plastico della villa che riproduce la grande cella vinaria con ben 84 dolia infossati; sono inoltre presenti reperti provenienti dalla villa di Marcus Livius Marcellus, di Numerius Popidius Florus e di altre ville parzialmente scavate nel territorio di Boscoreale.
Accanto all'Antiquarium, i resti dell'unica villa romana della zona interamente scavata e ricostruita, chiamata Villa Regina: si tratta di una villa agricola, di modeste dimensioni, dedicata alla produzione del vino, così come testimoniato dalla vasca di pigiatura dell'uva, dal torchio vinario ligneo, di cui oggi rimane il calco e dalla cella vinaria con gli orci posti sotto terra per la conservazione del vino.

(da Wikipedia, l'enciclopedia libera)

Campania - Tempio e teatro di San Nicola

 


Il Tempio e teatro di San Nicola è un antico teatro romano situato nel comune di Pietravairano, in Campania. Il teatro fu inaugurato in età repubblicana su uno degli speroni del Monte San Nicola, nel casertano.
Rimasto dimenticato anche in età moderna, fu riscoperto per caso il 4 febbraio 2000 da Nicolino Lombardi, studioso e storico della stessa zona, durante una sessione di parapendio e deltaplano.
Negli anni immediatamente successivi (dal 2002) si è proceduto a restaurare il sito archeologico, al fine di tutelarlo e poterlo utilizzare a livello turistico. Il tempio-teatro si caratterizza per due peculiarità: il trovarsi su una punta di un monte (a circa 520 m s.l.m.) e per avere, per l'appunto, un tempio religioso e un teatro antico fusi assieme in un'unica struttura.
Del tempio rimane solo la base e la sagoma della planimetria interna, mentre il teatro risultava ancora in buono stato già al momento della riscoperta (specie la cavea semicircolare). Si presume che il teatro avesse una capacità di circa 2000 posti.


Campania - Parco archeologico-ambientale di Posillipo

 

Il parco archeologico-ambientale di Posillipo o del Pausilypon è un'area archeologica nel quartiere Posillipo in Napoli aperta nel 2009. L'accesso al Parco ai visitatori è da discesa Coroglio 36, attraverso l'imponente Grotta di Seiano.
Dopo la battaglia di Azio (31 a.C.), l'equite e liberto Publio Vedio Pollione decise di trascorrere gli ultimi suoi giorni in quello splendido scorcio situato tra la Gaiola e la baia di Trentaremi, Pausilypon cioè “sollievo dal dolore”. Accanto alla villa, fece costruire anche un teatro di 2000 posti, un odeon per piccoli spettacoli, un ninfeo e un complesso termale.
Le strutture dell'imponente Villa si estendono fin sotto la superficie del mare e sono dal 2002 tutelate dall'istituzione della limitrofa Area marina protetta Parco Sommerso di Gaiola che interessa tutto lo specchio acqueo ai piedi del promontorio di Trentaremi ed intorno alle Isole della Gaiola.
I resti di altre domus romane si possono scorgere a Marechiaro, lungo la spiaggia, oppure alla Calata Ponticello, risalendo il borgo, dove si possono scorgere una colonna a base ionica ed una nicchia in laterizio. Sulla scogliera, invece, andando verso la Gaiola si può ammirare ciò che rimane della "Villa degli spiriti" anche detta “Villarosa”. Proseguendo lungo la costa, verso occidente, è possibile notare il perimetro della “Scuola di Virgilio” dove si riteneva che il "vate" praticasse arti magiche.
Il parco è stato riaperto al pubblico dopo i lavori di restauro nel 2009 per la kermesse Maggio dei monumenti grazie anche alla collaborazione del "Centro Studi Interdisciplinari Gaiola". Oggi il parco sta venendo pian piano riscoperto dai cittadini napoletani ma anche dai turisti stranieri grazie alla strutturazione di diversi itinerari di visite guidate ed ai laboratori didattici per le scuole curati dal CSI Gaiola onlus. Nel 2010 l'amministrazione municipale annunciò l'intenzione di recuperare l'impianto funiviario dismesso negli anni sessanta che rappresenta la soluzione ideale per superare gli ostacoli di accesso al parco.
Il parco offre numerose testimonianze archeologiche nonché naturalistiche e paesaggistiche trovandosi in uno dei luoghi più belli della città, ovvero lungo la costa di Posillipo.
Tra i reperti più importanti vi sono la grotta di Seiano, il parco sommerso di Gaiola, la villa imperiale di Pausilypon, il teatro dell'Odeon ed il palazzo degli Spiriti.
La grotta di Seiano

La grotta di Seiano è un traforo lungo 770 m, scavato in epoca romana nella pietra tufacea della collina di Posillipo, che congiunge la piana di Bagnoli (via Coroglio) con il vallone della Gaiola, passando per la baia di Trentaremi.
Deve il nome a Lucio Elio Seiano, prefetto di Tiberio, che secondo la tradizione nel I secolo d.C ne commissionò l'allargamento e la sistemazione; il primo traforo era stato realizzato una cinquantina di anni prima dall'architetto Lucio Cocceio Aucto per volere di Marco Vipsanio Agrippa, per collegare la villa di Publio Vedio Pollione e le altre ville patrizie di Pausilypon ai porti di Puteoli e Cumae. La galleria, orientata in direzione est-ovest, si estende per circa 770 metri, con un tracciato rettilineo ma una sezione variabile sia in altezza che in larghezza; dalla parete sud si dipartono tre cunicoli secondari, terminanti con aperture a strapiombo sulla baia, che forniscono luce ed aerazione.
Caduta in disuso e dimenticata nel corso dei secoli, fu rinvenuta casualmente durante i lavori per una nuova strada nel 1841 e subito riportata alla luce e resa percorribile per volontà di Ferdinando II di Borbone, diventando meta di turisti. Nel corso della Seconda guerra mondiale fu utilizzata come rifugio antiaereo per gli abitanti di Bagnoli; gli eventi bellici ed alcune frane nel corso degli anni cinquanta la riportarono in uno stato di abbandono.
La villa imperiale di Pausilypon, il teatro e l'Odeion

Attraverso l'imponente grotta di Seiano si accede al complesso archeologico-ambientale che racchiude parte delle antiche vestigia della villa del Pausilypon.
Qui, nell'incanto di uno dei paesaggi più affascinanti del Golfo, è possibile ammirare i resti dell'imponente teatro capace di 2000 posti, dell'Odeion e di alcune sale di rappresentanza della villa (visibili ancora tracce dei decori murali), le cui strutture marittime fanno oggi parte del limitrofo Parco sommerso di Gaiola, su cui si affacciano i belvedere a picco sul mare del Pausilypon. La Villa Imperiale, detta anche Villa di Pollione, fu fatta erigere nel I secolo a.C. dal cavaliere romano Publio Vedio Pollione e alla sua morte, avvenuta nel 15 a.C., la villa, grazie alla sua posizione molto ambita (a metà sul mare e panoramica con vista sulla parte restante di Napoli, sulla penisola sorrentina, sul Vesuvio e Capri) divenne dunque residenza imperiale di Augusto, e di tutti i suoi successori. Molto interessanti, in vari punti delle vestigia, sono le presenze delle condutture dell'acquedotto (rivestite in malta idraulica), segno di ulteriore opulenza di chi vi soggiornava.
L'ultimo ad abitarla fu Publio Elio Traiano Adriano.
Il palazzo degli Spiriti

Il palazzo degli Spiriti (o villa degli Spiriti) è un complesso archeologico che insiste lungo la costa di Posillipo, nei pressi di Marechiaro. Fu costruito nel I secolo a.C. ed era appartenuto ad un ninfeo alle dipendenze della villa del ricco liberto romano Publio Vedio Pollione (ovvero la villa imperiale di Pausilypon).
Per alcuni, si tratta dei resti di un "murenaio", cioè una struttura adibita all'allevamento di murene, serpenti marini considerati prelibati, che ancora a fine anni 80 del secolo scorso erano presenti. Le vasche sono sommerse perché il livello del mare nei secoli si è alzato, ma è possibile vederle ancora oggi chiaramente.
Il palazzo degli spiriti veniva e viene ancora oggi usato quotidianamente dagli "scugnizzi" per i loro tuffi in mare saltando dalle finestre o nelle suddette vasche anche lanciandosi dal secondo livello della struttura.








Campania - Bacoli, Terme Stufe di Nerone



«Le terme, alimentate da vapori caldi, sono più salubri di qualsiasi bagno riscaldato artificialmente, poiché la Natura eccelle di gran lunga l'umano ingegno ...»
(Cassiodoro, Variae, IX, 6, 6)

Le Terme Stufe di Nerone sono un antico centro termale romano che si trova tra Bacoli e Pozzuoli nella città metropolitana di Napoli. Nascono principalmente per le cure termali utilizzando le acque termali ed i fanghi provenienti dalle sorgenti e dai laghetti.
Sul luogo, ai tempi dei romani, sorgevano le cosiddette Terme Silvane dedicate a Rea Silvia (madre di Romolo e Remo).
Dalle stampe del Morghen (1769) si evince una precisa visione dei resti di epoca romana che furono realizzati lungo le pendici della collina di Punta Epitaffio: insediamenti di ville disposte sui terrazzamenti con vista sul lago di Lucrino, impianti termali privati e pubblici. Infatti durante l'età imperiale, la zona fu molto apprezzata dagli aristocratici romani che solevano trascorrere il loro tempo libero nelle loro lussuose ville.
Il Sudatorio di Tritoli, detto Stufe di Nerone, aveva l'accesso dalla strada che conduce alla vicina cittadina di Baia (frazione di Bacoli). Era costituito da stanze rettangolari con letti completamente scavati nel tufo. In queste stanze veniva convogliato il vapore caldo tramite cunicoli che avevano origine nel cuore caldo della collina dove si trovava una sorgente termale molto attiva.
All'interno delle attuali Stufe è visibile ancora oggi un pezzo di esedra in opera cementizia, con resti di intonaco. Terminante in origine ai lati con due paramenti laterizi, cui si aggiunsero due prolungamenti decorati a conchiglie e tessere mosaicali, la struttura, databile intorno al II secolo, era un ninfeo tutto aperto verso il lago Lucrino e appartenente al complesso esteso sulla collina, del quale tutt'oggi si vede in alto, un muro in opera reticolata.
Sempre a questo complesso, appartiene un lungo cunicolo ad andamento semicircolare, cui si accede dalla sauna posta in basso dell'esedra. Questa area fu utilizzata ancora nel Medioevo e fino al XVIII secolo grazie alla costante presenta di sorgenti termominerali. Queste Stufe sono citate da Vitruvio (II 6.2) e Celso (de Medicina II 17.1).
A poca distanza da queste, ai piedi della collina, sorgeva il Balneum Silvianae e coincide, benché ristrutturato con le Terme Stufe di Nerone. Strutture medievali rinvenute anni fa, voltate a botte e poste alla quota di quelle inferiori romane, sono individuabili invece come sudatorio.

Campania - Bacoli, Piscina Mirabilis


La Piscina Mirabilis è un sito archeologico romano che si trova nel comune di Bacoli, nell'area dei Campi Flegrei. Costruita in età augustea a Miseno, sul lato nord-ovest del Golfo di Napoli, originariamente era una cisterna di acqua potabile. Si tratta della seconda più grande cisterna nota mai costruita dagli antichi romani dopo la Cisterna Basilica di Istanbul e aveva la funzione di approvvigionare di acqua le numerose navi appartenenti alla Classis Misenensis della Marina militare romana, poi divenuta Classis Praetoria Misenensis Pia Vindex, che trovava ormeggio e ricovero nel porto di Miseno. Il nome attuale le fu attribuito nel tardo Seicento.
La cisterna venne interamente scavata nel tufo della collina prospiciente il porto, ad 8 metri sul livello del mare. A pianta rettangolare, è alta 15 metri, lunga 70 e larga 25, con una capacità di oltre 12.000 metri cubi. È sormontata da un soffitto con volte a botte, sorretto da 48 pilastri a sezione cruciforme, disposti su quattro file da 12.
L'acqua veniva prelevata attraverso i pozzetti realizzati sulla terrazza che sovrasta le volte con macchine idrauliche, e da qui canalizzata verso il porto. La struttura muraria è realizzata in opus reticulatum e, così come i pilastri, è rivestita di materiale impermeabilizzante. Una serie di finestre lungo la sommità delle pareti laterali e gli stessi pozzetti superiori provvedevano all'illuminazione e all'aerazione dell'ambiente. Sul fondo, nella navata centrale, si trova una piscina limaria di 20 metri per 5, profonda 1,10 metri, che veniva utilizzata come vasca di decantazione e di scarico per la pulizia e lo svuotamento periodico della cisterna.
La piscina mirabilis costituiva il serbatoio terminale di uno dei principali acquedotti romani, l'acquedotto augusteo, che portava l'acqua dalle sorgenti di Serino, a 100 chilometri di distanza, fino a Napoli e ai Campi Flegrei. Parte dell'antica cisterna è aperta ai visitatori.

Campania - Bacoli, Complesso archeologico di Baia

 

Il complesso archeologico di Baia è un'area archeologica situata a Baia, frazione di Bacoli, nell'area dei Campi Flegrei. Rimane oggi soltanto quella che allora era la parte collinare della città, trovandosi la rimanente sotto il livello del mare, sprofondata a causa di fenomeni bradisismici.
Gli importanti resti archeologici, sottoposti a intense campagne di scavo dal 1941, rivelarono una stratificazione di costruzioni, ville e complessi termali, appartenenti ad un periodo storico che interessa la tarda età repubblicana e le età augustea, adrianea e severa.


L'abbassamento del suolo al di sotto del livello del mare, a causa del bradisismo, pare essersi verificato in due fasi: tra il III ed il V secolo d.C., ancora in epoca tardo imperiale, che fu seguita da una più consistente invasione marina qualche secolo dopo. Baia fu in gran parte sommersa dal mare verso il VII - VIII secolo d.C..
Tra i resti più significativi sono da segnalare alcune strutture voltate a cupola come il grande Tempio di Diana, il Tempio di Mercurio e quello di Venere (si tratta in ogni caso di strutture termali e non di luoghi di culto, per i quali però è sopravvissuta la denominazione popolare).


Tempio di Diana

Ciò che in origine definiva un grande ambiente dove venivano raccolti i vapori provenienti proprio dal terreno sottostante, era caratterizzato da una colossale cupola ogivale, oggi crollata per metà. L'edificio, visibile già dalla stazione cumana, era adibito ad usi termali ed era decorato da fregi marmorei che raffiguravano scene di caccia.


Tempio di Mercurio

Detto anche “truglio” dalla sua forma circolare, l'edificio era un frigidarium cioè adibito a bagni freddi. Dalle descrizioni che se ne fecero nel Settecento risultava essere composto da sei nicchie di cui quattro semicircolari. La volta circolare, dotata di un lumen centrale, fu realizzata «con grosse scaglie di tufo ridotte a forma di cuneo».


Tempio di Venere

Altro edificio termale, a pianta ottagonale, infossato nel terreno per circa 3 metri, dotato di otto finestroni ad arco ribassato all'interno dei quali correva un ballatoio che affacciava sulla piscina[2]. Scoperto dal Sovrintendente agli scavi Michele Arditi, deve il nome a Scipione Mazzella che affermò di averne ritrovato la statua con le sembianze della dea.


Adagiata scenograficamente verso il mare è la “Villa dell'ambulatio” dotata di una serie di terrazze collegate tra loro da un complesso di scale delle quali l'ultima conduce al “settore di Mercurio”.

 

Delimitato da due scale parallele si trova il “Tempio di Sosandra” dal nome dell'omonima statua rinvenuta nel 1953, oggi situata nel Museo Nazionale di Napoli, dove è possibile ammirare le pitture paretali “figure femminili” e “satiro col tirso”. 


Completamente sommerso dalle acque è invece il ninfeo dell'imperatore Claudio, le cui opere scultoree sono state però trasferite nel Museo archeologico dei Campi Flegrei allestito nel Castello Aragonese.

Campania - La Starza, Ariano Irpino

 

La Starza è un'area archeologica dell'Italia meridionale ubicata su un'altura gessosa (sfruttata anche come cava e pertanto denominata Monte Gesso) a 410 m s.l.m., nei pressi di una fonte sorgiva perenne della valle del Miscano, in territorio di Ariano Irpino. Sorge a breve distanza dalla sella di Ariano, il principale valico dell'Appennino campano.
Nel sito furono rinvenuti, nel corso del XX secolo, i resti di un insediamento preistorico risalente al neolitico inferiore (VI millennio a.C.), sicuramente il più antico in Campania e tra i principali del Mezzogiorno, come attestato dalla precoce diffusione locale della cultura della ceramica impressa e graffita propagatasi dalla Penisola balcanica al Tavoliere pugliese e da lì verso gli Appennini. Oltre a tali primitive testimonianze, il sito mostra anche tutto il lungo evolversi della cultura appenninica, dai suoi primordi fino alla sua progressiva cessazione.
I reperti rinvenuti testimoniano un'occupazione lunghissima (pluri-millenaria) e pressoché ininterrotta durante tutto il neolitico e l'età del bronzo fino all'abbandono del sito avvenuto a ridosso dell'età del ferro (900 a.C.) e preceduto dalla fortificazione dell'insediamento mediante l'erezione di una cinta muraria.
I resti più antichi sono riferibili a un villaggio di capanne risalente alla fase antica del neolitico (V millennio a.C.), mentre più cospicui ed elaborati sono i rinvenimenti dell'età dei metalli (cuspidi di frecce, asce, lame ecc.), dai quali si evince la presenza di un quartiere artigianale specializzato nelle lavorazioni metallurgiche. Assai numerosi sono anche i reperti in ceramica locale risalenti principalmente all'età del bronzo medio (XVI-XIV secolo a.C.), dapprima non ornati e successivamente incisi ed intagliati; la ceramica era prevalentemente grossolana, ma una certa quota era rappresentata ceramica fine, più elaborata e decorata.
Molti erano anche gli strumenti in osso e quelli in selce; quest'ultimo materiale era in parte di origine locale e in parte di provenienza garganica. Tuttavia i numerosi e vari resti vegetali e animali rinvenuti suggeriscono che l'economia era essenzialmente di tipo agro-pastorale, con forme e metodi ancora assai primitivi. In generale l'allevamento ovi-caprino prevaleva su quello suino e su quello bovino, mentre tra gli animali selvatici comparivano la lepre, il capriolo e la gru (quest'ultima ricercata forse per le piume); non mancavano inoltre i cani, utilizzati anche a scopo alimentare.
Il villaggio di capanne fu più volte ricostruito sullo stesso sito, specialmente dopo l'eruzione vesuviana delle pomici di Avellino (II millennio a.C.), che comunque fece relativamente pochi danni in zona. Le capanne, di forma rettangolare, avevano peraltro dimensioni medio-piccole, ma erano comunque dotate di tetto a doppio spiovente e di focolari interni (e talvolta anche esterni); i forni erano invece sempre esterni alle abitazioni.
Decisamente tardiva fu invece l'erezione della cinta muraria, databile forse agli inizi dell'età del ferro a giudicare dai frammenti di ceramica geometrica iapigia (di probabile provenienza dauna) rinvenuta tra gli interstizi delle mura stesse; ciò permette anche di ipotizzare che il sito de La Starza doveva trovarsi lungo una delle principali direttrici che dalla Daunia conducevano in Campania, ove notevoli quantitativi di ceramica iapigia iniziavano a essere smerciati proprio a partire da quel periodo. Alla prima età del ferro sembrano risalire anche le ultime sepolture a fossa, caratterizzate peraltro da corredi assai modesti (un solo vaso e pochi oggetti personali).
Gli scavi sono stati avviati dalla Scuola Britannica di Roma tra il 1957 ed il 1962 e poi proseguiti fra il 1988 al 2000 dalla locale Soprintendenza archeologica sotto la direzione dell'archeologa Claude Albore Livadie. Molti dei reperti portati alla luce sono custoditi nel Museo archeologico di Ariano Irpino.
A non molta distanza, sull'altipiano di Camporeale all'altezza della sella di Ariano, sono inoltre venuti alla luce resti sporadici dell'età del bronzo nell'ambito di un recinto adibito a necropoli.

Campania - Abellinum

 

Abellinum è un'antica città dell'Italia meridionale che sorgeva nel territorio dell'odierna Atripalda, a pochi chilometri da Avellino.
Fondata sul pianoro della collina della Civita (a ridosso dell'attuale centro di Atripalda), nasce inizialmente come insediamento sannita dell'antica popolazione italica degli Hirpini. Dopo alcune insurrezioni e resistenze della popolazione locale durante le Guerre sannitiche, viene definitivamente assoggettata a Roma in seguito alla Guerra civile tra Mario e Silla durante la quale gli Irpini sostennero Gaio Mario.
La vittoria di Silla segna una svolta nella storia di Abellinum: il generale, infatti, decide di radere al suolo il vecchio sito e nell'82 a.C. fonda la colonia Veneria Abellinatium, sulla riva sinistra del fiume Sabato. La nuova città viene cinta da un poderoso sistema di mura con un assetto urbano rispecchiante un impianto regolare segnato da assi viari ortogonali a delimitare i vari quartieri. Nel 7 d.C. Ottaviano Augusto la include nella Regio II Apulia et Calabria per i traffici che si effettuavano lungo la via Appia e le cambia denominazione: diviene Livia Augusta in onore della moglie dell'imperatore, Livia Drusilla a cui spettavano i territori tra Abellinum ed Aeclanum. Nel III secolo l'imperatore Alessandro Severo ampliò consistentemente la colonia sotto il titolo di Livia Augusta Alexandrina con una massiccia immigrazione di elementi orientali. Ciò contribuì a diffondere in questi territori antichi culti levantini come il Sol Invictus.
Crisi economiche (III e IV secolo), violenti terremoti (346), disastrose eruzioni vulcaniche (472), invasioni di territori nel corso della guerra tra Bizantini e Goti (535-555) e la penetrazione sull'intero territorio della Penisola dei Longobardi a partire dalla Pasqua del 568 spinsero fuori dalla mura di Abellinum la colonia romana che si trasferì laddove oggi sorge la città di Avellino.
Il parco archeologico, di circa 25 ettari, è circondato dalle mura di cinta di Abellinum, lunghe circa 2 km. Si notano le numerose mura romane, costruite con la tecnica dell'opus reticulatum, e i resti di due imponenti torri circolari. All'interno del perimetro murario si riconoscono alcuni spazi tipici delle città romane:
- il forum, la piazza dell'antica città su cui si affacciano alcuni templi da cui provengono molti reperti conservati nel Museo Irpino (tra cui un'ara di marmo del I secolo dedicata a Tiberio);
- una struttura termale con calidarium detta Torre degli Orefici;
- una sezione dell'acquedotto romano del Serino;
- una domus gentilizia di 2500 m² nella quale è ancora possibile individuare gli spazi e gli ambienti tipici delle case romane come il cubicolo ornato con motivi vegetali su rosso pompeiano, e il peristilio.
Nella città antica erano presenti anche un anfiteatro, di cui è rimasto solo qualche pezzo di struttura, e un lupanare, la cui presenza si evince dal ritrovamento di alcune monete con raffigurazioni erotiche.
Il 17 maggio 2011, a seguito di una lunga controversia giudiziaria con i proprietari del fondo, temporaneamente conclusa con una sentenza del Tar di Salerno, l'area del Parco archeologico già scavata ed aperta alle visite è stata restituita alla famiglia Dello Iacono; pertanto, non fu possibile accedervi per diversi anni.



Campania - Aequum Tuticum

 

Aequum Tuticum
 fu un vicus romano, le cui vestigia emergono dal pianoro di Sant'Eleuterio, nel settore settentrionale dell'odierno territorio comunale di Ariano Irpino. Situato a un'altitudine di 575 m s.l.m., il vicus sorgeva in posizione rilevata rispetto alla circostante valle del Miscano.
L'insediamento sorse in una fase iniziale della dominazione romana quando era ancora diffuso il bilinguismo (o comunque la diglossia), come attestato dallo stesso toponimo in parte latino (aequum, ossia "pianura", "campo aperto") e in parte osco (tuticum, ovvero "pubblico", "appartenente al popolo", dalla stessa radice di touto); una tale denominazione sembrerebbe peraltro sottintendere che lo stesso sito, talvolta identificato con la leggendaria Touxion, avesse avuto notevole rilevanza sociopolitica per le popolazioni sannitiche (e in particolare per la tribù degli Irpini). I pochi affioramenti di epoca preromana (rinvenuti esclusivamente lungo il margine settentrionale dell'area) non sembrano però riferibili a un luogo abitato, sebbene non sia da escludere l'eventuale presenza di un santuario; l'antichità del toponimo è comunque fuori discussione, risalendo con ogni probabilità a una fase antecedente alle guerre sannitiche.
Ad ogni modo il vicus propriamente detto prese a svilupparsi in stretta correlazione ad alcune antiche strade consolari romane: la via Aemilia (avente una direttrice sud-nord), la via Minucia (con direttrice ovest-est, o sudovest-nordest) e verosimilmente anche una "terza via" (di cui si ignora il nome) orientata in senso nordovest-sudest. La via Aemilia è ben indicata da due cippi miliari del II secolo a.C. (rinvenuti nelle non lontane località Manna-Torre Amando e Camporeale-Santa Lucia) riportanti l'iscrizione Marcus Æmilius Lepidus; la via Minucia è attestata espressamente da autori classici del I secolo a.C. e doveva essere pressoché parallela alla via Appia, rispetto alla quale si presentava più disagevole ma anche più diretta (non si esclude che la via Minucia percorresse l'angusta valle del Cervaro, o più probabilmente la vallata del Sannoro, un affluente di sinistra del Cervaro). In quanto alla probabile "terza via", essa doveva provenire dal Sannio pentro (forse seguendo la direttrice dell'antico tratturo), benché se ne ignori, oltre al nome, anche la fase storica in cui fu costruita.
La fondazione del vicus, forse contestuale all'edificazione del forum Aemilii nella vicina valle Ufita, sembrerebbe ricollegarsi alle vaste assegnazioni graccane e ai connessi programmi di insediamento rurale conseguenti alla promulgazione della Lex agraria (133 a.C.), benché gli strati archeologici riferibili al II-I secolo a.C. siano comunque molto scarsi. Ad ogni modo Aequum Tuticum è citato per la prima volta (sia pur nella forma atipica Equus Tuticus) da Cicerone che, in una lettera indirizzata all'amico Attico del 50 a.C., lo descrisse come una stazione intermedia nel tragitto verso l'Apulia, segno che già nel I secolo a.C. il vicus doveva rappresentare un crocevia piuttosto rilevante.
In età adrianea, quando era possesso della gens Seppia, Aequum Tuticum costituì poi uno snodo stradale di primaria importanza, definito cardo viarum da Theodor Mommsen, in quanto il vicus divenne anche il punto d'incrocio fra la via Traiana (parzialmente sovrappostasi alla primitiva via Minucia) e la via Herculia; quest'ultima, percorrente l'Appennino in senso longitudinale, doveva invece ricalcare almeno in parte il tracciato della già citata "terza via".
Alcune iscrizioni attestano che già dal I secolo d.C. l'area di Aequum Tuticum era stata amministrativamente aggregata alla colonia romana di Beneventum, la quale a sua volta era parte della Regio II Apulia et Calabria. A partire dal IV secolo Beneventum passò però alla Campania, e probabilmente Aequum Tuticum dovette seguirne le sorti poiché nella versione aggiornata dell'Itinerarium Antonini il vicus è citato quale termine di tale territorio ("ubi Campania limitem habet"); ciò sarebbe comprovato anche dall'itinerarium burdigalense, nel quale la mansio di Aequum Magnum è posta nel settore campano del tragitto. Tuttavia è anche possibile che il lemma "Campania" avesse in tali contesti un significato puramente geografico (ossia con riferimento al versante tirrenico dell'Appennino meridionale) e dunque privo di implicazioni amministrative.
Nelle immediate vicinanze del sito, riportato anche nella Tabula peutingeriana, sono state individuate due aree sepolcrali oltre a un tratto della via Traiana. La fotografia aerea ha permesso inoltre di individuare il tracciato della via Herculia in uscita da Aequum Tuticum con direzione sud-est, mentre alcuni cippi miliari della stessa strada (reperiti in prossimità delle masserie Intonti di Ariano e San Cesareo di Zungoli) hanno consentito di confermare l'avvenuta completa latinizzazione del toponimo, che nel tardo impero era effettivamente denominato Aequum Magnum o anche semplicemente Aequum.
Gli scavi, compiuti fra il 1990 e il 2000, hanno riportato in superficie strutture murarie e altre testimonianze di epoca romana quali ceramiche, iscrizioni, steli funerarie e monete. Il complesso più antico risulta essere una struttura termale risalente al I secolo. Il vano centrale, il frigidarium, presenta un mosaico in tessere bianche e nere. Vi si aggiungono poi una serie di ambienti disposti a schiera del II secolo (probabilmente locali adibiti a magazzino o a bottega). L'insediamento subì i danni di due eventi sismici intorno alla metà del IV secolo ma, subito dopo, una villa dotata di un ambiente decorato da un vasto mosaico policromo fu edificata al di sopra degli antichi ruderi.
Il sito fu poi del tutto abbandonato entro il VI secolo, presumibilmente in concomitanza con le invasioni barbariche. Sembrerebbe infatti che nel X secolo l'unico elemento superstite dell'antico vicus fosse rappresentato da un arco, come si apprende da un documento notarile del 988 riportante l'indicazione ab arcu Sancti Lauteri, ossia "dall'arco di Sant'Eleuterio" (l'origine di tale agiotoponimo, di chiara origine greco-bizantina, potrebbe risalire alla fine del IX secolo allorquando le truppe di Bisanzio si erano sospinte dal territorio pugliese fino a Benevento).
In epoca tardo-medievale (a partire dal XII secolo) gli stessi luoghi furono però nuovamente occupati, tanto che i ruderi delle antiche strutture romane furono inglobati nelle fondamenta di un nuovo nucleo abitato denominato proprio Sant'Eleuterio (da non confondersi con la moderna masseria Sant'Eleuterio ubicata nei pressi). Tale insediamento è espressamente nominato nel Catalogus baronum del 1152, nonché in uno scritto (datato 1191) del re di Francia Filippo Augusto; questi, in marcia da Otranto verso Roma, cita infatti le varie località attraversate tra cui Sant'Eleuterio, detta Sanctus Luctredus e definita come luogo di passaggio dalla Puglia alla Terra di Lavoro, ma non è del tutto chiaro se il sovrano intendesse riferirsi agli effettivi confini feudali (nell'ambito del regno di Sicilia) o piuttosto ai due versanti idrografici (adriatico e tirrenico) della penisola italiana. Nella seconda metà del XIII secolo alcune micidiali incursioni, compiute dai Saraceni di Lucera, determinarono comunque la rapida decadenza della Sant'Eleuterio tardo-medievale, divenuta poi parte integrante del territorio della città di Ariano.
Una collezione di reperti provenienti da Aequum Tuticum e dalla circostante valle del Miscano è custodita nel museo archeologico di Ariano Irpino, mentre alcune decine di iscrizioni ed elementi architettonici sono esposti in un lapidario all'interno della Villa comunale.


Campania - Aeclanum

 


Aeclanum o Aeculanum era una città romana situata presso l'attuale frazione Passo (comunemente detta Passo di Mirabella) del comune italiano di Mirabella Eclano, in provincia di Avellino. Gli scavi archeologici condotti nel corso del XX secolo hanno permesso di rinvenire, oltre a copiosi resti della città romana, anche tracce di una frequentazione sannitica del sito antecedente alla colonizzazione romana.
Fondata alla fine del III sec a.C., l'antica Aeclanum fu uno degli insediamenti romani più importanti dell'Irpinia, posto tra le valli dei fiumi Calore ed Ufita, in località Passo di Mirabella. Situata su di un pianoro di forma triangolare, l'antica città era accessibile solo dalla via Appia, che attraversava l'abitato da ovest a est.
Saccheggiata da Silla nell'89 a.C., subito dopo divenne un municipium romano con diritto di voto. Nel 120 d.C., sotto l'imperatore Adriano, assunse lo stato di colonia: Aelia Augusta Aeclanum. Notevoli sono i resti della città romana: le terme pubbliche, situate su una piccola altura, la piazza del mercato coperto (macellum), alcune abitazioni e botteghe. Sono visibili anche i resti delle mura, alte circa 10 metri con almeno tre porte e torri di diversa grandezza. All'età tardo-antica risale la costruzione di una basilica paleocristiana con, al suo esterno, un fonte battesimale con pianta a croce greca e scalini per il rito ad immersione.
Il nome dell'antica città è riportato in entrambe le forme Aeculanum ed Aeclanum. I suoi abitanti erano invece chiamati Aeculanenses, Aeclanenses o anche Aeculani.
L'etimologia è incerta, ma la prima sillaba ("Aec-") sembrerebbe ricollegarsi ad altri toponimi consimili di area osco-umbra (principalmente Aecae in Apulia, ma anche Aequum Tuticum nell'Irpinia settentrionale); possibile ma non del tutto sicura la correlazione con il latino aequum (=pianeggiante). È comunque verosimile che il nome originario fosse "Aeculum", mentre "Aec(u)lanum" doveva costituire piuttosto una forma aggettivale.


I primi lavori di scavi sono stati condotti a partire dalla prima metà del Novecento; in quegli anni, infatti, gli esperti portarono alla luce i resti delle terme, del macellum e anche delle prime, originarie, abitazioni in cui vivevano gli Irpini. Tra il 1970 e il 1980, poi, ulteriori lavori di scavi hanno portato alla luce importanti reperti. Tra i vari, l'esistenza di un'antica domus romana che gli abitanti della fortificazione, probabilmente, utilizzavano come magazzino. All'interno di questa, infatti, sono stati ritrovati vari e recipienti in terracotta che dovevano servire alla conservazione delle scorte alimentari. Sempre nei lavori degli anni '80, poi, sono stati scavati resti di una basilica paleocristiana. Le origini di questa basilica risalgono ai tempi di Giustiniano. Si tratta di una costruzione particolarmente imponente che si caratterizza per la presenza di tre navate, un fonte battesimale e i tradizionali scalini per i riti religiosi.
Aeculanum non è mai citata durante le guerre sannitiche,ma in seguito divenne uno dei principali centri del Sannio irpino. L'archeologo Italo Sgobbo rinvenne, negli anni 30 del XX secolo, quattro monumenti epigrafici oschi: uno riportava il nome Mamers (nome osco del dio Marte), un altro rappresentava un'ara di tufo dedicata alla dea Mefite (esposta nel museo archeologico nazionale di Napoli) e facente parte di un luogo sacro collocato fuori dalle mura cittadine e sulla via Appia, un terzo indicante una non meglio identificata costruzione ordinata da Magio Falcio e un quarto pertinente al culto del dio Fauno.
La città di Aeclanum, in età romana, aveva la forma di un corimbo ed un'estensione di 18 ettari, era difesa da una cinta muraria lunga 1820 m e costruita in opus reticulatum a prismi di travertino e di arenarie compatte. Le mura si ergevano per oltre 10 m ed erano interrotte da almeno tre porte delimitate ai lati da torri quadrate (turres), di oltre 5 m per lato, mentre ogni 20 m erano presenti torri più piccole (hemiturres), di 2,5 m per lato, che non superavano in altezza, come le più grandi, le cortine murali (perciò definite turres aequae qum moiro, cioè "torri alte quanto il muro. Lo spessore delle fortificazioni è compreso, nei vari punti, fra 2,12 - 2,40 m. Attraverso la porta occidentale entrava in Aeclanum la via Appia proveniente da Benevento, e ne usciva attraverso la porta orientale.
Al tempo della guerra sociale (89 a.C.), Aeclanum era protetta soltanto da una cinta di legno, incendiata poi da Silla quando, resosi conto che gli eclanesi aspettavano aiuto dai Lucani, ordinò di accatastare intorno alle mura fascine di sarmenti, bruciate dopo che trascorse il tempo concesso dal dittatore per arrendersi. Aeclanum infatti fu saccheggiata e occupata perché non si era arresa spontaneamente ai Romani ma anche per convincere le altre città irpine ancora insorte a deporre le armi. Dopo la guerra sociale, circa nell'87 a.C., la città divenne municipio con diritto di voto e iscritta alla tribù Cornelia. Più tardi, all'epoca dell'imperatore Adriano (all'incirca nel 120 d.C.), assunse lo stato di colonia con la denominazione di "Aelia Augusta Aeclanum".


Altre strade, oltre l'Appia, interessavano il territorio di Aeclanum: la via Aemilia in Hirpinis che la collegava a Aequum Tuticum e la via Aurelia Aeclanensis che procedeva in direzione di Herdonia. Al periodo romano, per lo più imperiale, risalgono la costruzione e il rifacimento di opere pubbliche come le terme, il macellum, il gimnasium, il foro, l'anfiteatro, il teatro e il "forum pecuarium" (mercato del bestiame da pascolo). Molte delle strutture sono state individuate tramite le iscrizioni lapidee superstiti, oppure ne sono state individuate le tracce o ne rimangono degli ampi avanzi che si prestano agli usi ipotizzati dagli archeologi. L'anfiteatro, di cui si conosce l'esatta posizione, presentava al tempo dello storico Raimondo Guarini la "pedatura"; lo stesso scrisse nelle sue "Ricerche sull'antica città di Eclano" (1814) che il luogo ove la struttura si trovava "chiamavasi ... Colisèo" in alcuni documenti risalenti "di più di due secoli" e che "da persone degne" raccolse la testimonianza di "varie cave destinate al ricovero di bestie feroci". Il macellum (mercato coperto), posto probabilmente nelle vicinanze del foro, presenta attualmente una piazzetta centrale rotonda ed una vasca che forse era adornata da un zampillo; la tholus macelli è costituita da alcuni pilastri in opus vittatum e la pavimentazione arricchita dal marmo. Le terme sono il monumento di maggior rilievo degli scavi: la tecnica di costruzione è in opus mixtum e sono rintracciabili gli ambienti del tepidarium, del calidarium e del frigidarium. Nell'area delle terme fu rinvenuta una statua marmorea raffigurante Niobide, poi collocata in una sala del museo irpino di Avellino, ove sono esposti numerosi reperti provenienti da Aeclanum. In un'altra occasione fu raccolta un frammento di statua di Arpocrate, datata al II secolo d.C. e che rappresenta il dio fanciullo con il corno dell'abbondanza. Tra le abitazioni private ben visibile è una domus di tipo pompeiano, che in epoca tarda è stata convertita ad officina per la lavorazione del vetro. Di rilievo sono, inoltre, i resti di una basilica paleocristiana con fonte battesimale (baptisterium) a forma di croce greca, con tre scalini sui quattro lati e rivestita in origine da marmo (un altro battistero simile a quello di Aeclanum è di pertinenza della città di Venosa). La basilica era a tre navate e, forse, con un portico sul davanti (nartece). Ad un livello inferiore rispetto all'edificio religioso fu scoperto un ambiente con quattro otrii giganti (dolii), adoperati per la conservazione delle derrate alimentari.


Nel 369 d.C. un violento sisma colpì Aeclanum con conseguenze disastrose: in un'epigrafe Umbonio Mannachio, di rango senatorio, è definito "fabbricatore ex maxima parte etiam civitatis nostrae". Più tardi, nel 410 d.C., il passaggio di Alarico e dei Visigoti dalla Campania all'Apulia arrecò ingenti danni alla città. Fu coinvolta nelle guerre tra i Goti e i Bizantini nel VI secolo d.C., finché l'arrivo dei Longobardi (570 d.C.) ed il transito dell'imperatore Costante II di Bisanzio, diretto all'assedio della longobarda Benevento, soffocarono sotto un velo di distruzione le ultime tracce del passato romano. Al di fuori del circuito cittadino di Aeclanum, si notano i resti di un edificio pubblico (dall'ignota funzione) con mura in reticolato e laterizio nel sito della chiesa di Santa Maria di Pompei crollata dopo il sisma del 1980. È visibile inoltre parte di una necropoli orientale (III-IV secolo d.C.) con monumenti e recinti funerari, posta ai lati della via Appia e nelle vicinanze della odierna strada statale 90 delle Puglie.
La basilica paleocristiana
All'età tardo-antica risale la costruzione di una basilica paleocristiana i cui resti ancora in vista risalgono all'età dell'imperatore Giustiniano. La basilica è articola in tre navate e presenta un pavimento a mosaico; al suo interno c'è una fonte battesimale con pianta a croce greca e scalini per il rito ad immersione.
Il macellum
Il macellum, o mercato alimentare, è una struttura di cui è visibile solo la costruzione centrale a pianta circolare (tholos), ed è situato nella zona a nord. Probabilmente era circondato da uno spazio porticato e da tabernae. Appare di dimensioni molto modeste rispetto a quelli di altri “mercati” trovati in Campania, anche se non mancano elementi decorativi sui pavimenti.
Il complesso termale

Il complesso sorge nel settore nord-ovest della città, su una breve altura. Probabilmente la sua creazione deve essere messa in relazione con la creazione della colonia di Aeclanum da parte dell'imperatore Adriano nel II secolo. Le strutture sono preservate per altezze notevoli, in qualche caso fino all'attaccatura delle volte. Trattasi di una struttura articolata su due livelli. Il primo, che ospita ambienti destinati esclusivamente ai bagni, il secondo dove venivano praticate altre attività come i massaggi, la musica ecc. Il complesso è scavato in massima parte e sono individuabili gli ambienti caldi che al momento dello scavo avevano il pavimento realizzato su delle suspensurae, e gli ambienti freddi. Probabilmente il lato nord doveva essere situato in uno spazio aperto, mentre il lato sud si affacciava su un belvedere, che dava sul fiume Calore. All'interno del complesso furono rinvenute numerose statue e dei decori, che attestano l'importanza del luogo.
Domus romana
Ad un livello inferiore rispetto all'edificio religioso si conservano i resti di una domus di età imperiale romana, con un ambiente adibito a magazzino in cui restano quattro dolia interrati, poi adoperati per la conservazione delle derrate alimentari.
Lingua osca
In base ad alcune iscrizioni in lingua osca (lingua parlata anche dagli Irpini) ritrovate ad Aeclanum si era ipotizzato che l'origine della città risalisse al IV-III secolo a.C. Tuttavia reperti in lingua osca si rinvengono anche nel vicino insediamento romano di Forum Aemilii (fondato in valle Ufita nel II secolo a.C.), il che attesta che tale lingua risultasse ancora in uso almeno fino al termine della guerra sociale.

Museo Irpino di Avellino

Nella sala II e III del museo - sono esposti i reperti provenienti dalla Necropoli di Madonna delle Grazie, presso Mirabella Eclano, che si sviluppa nello stesso periodo della civiltà de La Starza (Ariano Irpino).
Nelle sale VI e VII del museo - è presentata la documentazione dell'antico centro di Aeclanum. La sala VI è dedicata al Sacerdote Raimondo Guarino, illustre studioso vissuto a Mirabella tra la fine del 1700 e la prima metà del 1800, che si occupò delle vicende storiche e archeologiche di Aeclanum.
Tra le sculture in marmo nel museo vanno ricordate: la testa di Arpocrate (nella foto), nome grecizzato del dio egiziano 'Oro, il fanciullo', rappresentato con forme paffute, chiome inanellate e lunghe ed il corno dell'abbondanza sulla fronte; la statua di un Niobide (foto più in alto), copia romana dell'originale greco del III secolo a.C. (Entrambe le sculture provengono da Aeclanum).
Inoltre nel museo sono conservati 85 denari, per lo più in buono stato di conservazione, che coprono un periodo che va dal 137-134 a.C. al 45 a.C. ed un grande capitello corinzio del primo periodo imperiale ritrovate nei pressi di Aeclanum.


ARGENTINA - Cueva de las Manos

  La  Cueva de las Manos  (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 ...