Il
relitto di Mahdia è
un sito archeologico subacqueo situato circa 5 km
al largo della città tunisina di Mahdia, a metà
strada tra le antiche città di Tapsus e di Sullecthum.
Il sito ha restituito i resti di un'antica nave
mercantile greca naufragata nel I secolo a.C.,
che trasportava opere d'arte ed elementi architettonici. Lo studio
del carico della nave è stato importante per comprendere meglio i
gusti dei committenti e la circolazione delle opere.
Il sito fu
scoperto casualmente agli inizi del XX secolo e fu scavato
sistematicamente in diverse campagne dall'archeologo francese Alfred
Merlin fino al 1913, quando gli scavi si arrestarono per
mancanza di fondi. Insieme allo scavo del relitto di Anticitera,
scoperto nell'anno 1900, ha costituito l'inizio della disciplina
dell'archeologia subacquea.
La maggior
parte delle opere d'arte rinvenute sono custodite presso il Museo
nazionale del Bardo di Tunisi e solo poche sono
custodite presso il locale Museo di Mahdia.
Il relitto era situato a 4,8 km al
largo del capo Africa, a una profondità di 39–40 m, su un
fondale piatto e sabbioso.
Fu scoperto
casualmente nel 1907 da pescatori di spugne greci che
lavoravano per un armatore di Sfax. Il tentativo compiuto dagli
scopritori di vendere alcuni oggetti sottratti al relitto, attirò
l'attenzione della Direzione delle antichità (poi l'Istitut national
du patrimoine della Tunisia) e dell'archeologo francese Alfred
Merlin che ne era a capo, il quale il 21 giugno informò della
scoperta, per mezzo di un telegramma, l'Académie des inscriptions et
belles-lettres.
L'Académie
finanziò, con il supporto dei governi francese e tunisino e della
fondazione Piot, sei campagne di scavo
archeologico subacqueo (1907, 1908, 1909, 1910, 1911 e
1913), i cui resoconti furono pubblicati sulla rivista
dell'Académie,
Comptes rendus des séances de l'Académie des
inscriptions et belles-lettres. Le operazioni furono condotte con
il supporto del Ministero della marina, che mise a disposizione una
nave dalla squadra di stanza a Bizerta. Le operazioni si svolsero con
difficoltà, sia per ritrovare il relitto in base alle notizie
fornite, sia per la profondità a cui erano costretti a lavorare
i palombari con le attrezzature tecniche disponibili
all'epoca. Gli scavi permettono di recuperare gran parte dei
materiali, ad eccezione dei fusti di colonna, troppo pesanti. Alfred
Merlin si preoccupa inoltre di raccogliere i dati relativi ai resti
della nave. Louis Poinssot redige una pianta della disposizione dei
materiali in base alle informazioni fornite dai palombari.
Negli anni 1930 era stata
realizzata una presentazione dei materiali recuperati dal relitto
nelle sale del Museo del Bardo.
Gli scavi furono ripresi solo
nel 1948 dall'archeologo Antoine Poidebard, dal
capitano Philippe Tailliez e dall'oceanografo Jacques-Yves
Cousteau del "Gruppo di ricerca sottomarina"
della Marine nationale francese, con l'appoggio della
Direzione delle antichità, guidata dall'archeologo Gilbert
Charles-Picard. La nuova spedizione poté avvalersi di
nuove attrezzature per immersioni. Nonostante la difficoltà nel
ritrovare il sito sommerso, fu possibile recuperare una quarantina di
fusti di colonna. Della spedizione fu prodotto il documentario Carnet
de plongèe, di Jacques-Yves Cousteau e Marcel Ichac, che fu
presentato all'edizione del 1951 del Festival di Cannes.
Nel 1953-1954 fu condotta una
nuova spedizione, guidata dall'ingegnere Guy de Frondeville del
servizio delle miniere presso la Direzione generale dei lavori
pubblici, che permise di recuperare gli altri fusti di colonna che
ingombravano ancora il ponte della nave, in modo da poter accedere
alle zone ancora non esplorate del carico. Nonostante le difficoltà
furono recuperati altri fusti di colonna, capitelli e un tratto di
circa 26 m di lunghezza della chiglia della nave, divisa in
tre parti e portata al Museo nazionale del Bardo, grazie alla quale
fu possibile proporre una ricostruzione della nave. La chiglia della
nave tuttavia si è danneggiata per essere stata collocata dopo il
recupero nel cortile del Museo senza adeguata protezione.
Le sale del Museo del Bardo che
ospitavano gli oggetti rinvenuti nel relitto vennero chiuse dal 1984
in seguito ad un principio di incendio. Una campagna di restauro
venne iniziata nel 1987 grazie alla collaborazione del Rheinisches
Landesmuseum Bonn. Nel 1993 tunisini dell'l'Institut
national du patrimoine e tedeschi del Rheinisches Landesmuseum Bonn e
della Deutsche Gesellschaft zur Förderung der Unterwasserarchäologie
collaborarono a due nuove campagne di scavo in maggio e in settembre,
che hanno permesso di fotografare e rilevare il relitto e a rimontare
dei campioni di legno con alcune parti dello scafo. I risultati
del restauro e dei nuovi studi hanno permesso di esporre gli oggetti
recuperati dal relitto in una grande mostra a Bonn (8 settembre 1994
- 29 gennaio 1995), dopo la quale sono ritornati al Museo del Bardo
in un nuovo allestimento.
Il carico comprendeva sia elementi
architettonici provenienti da cava e destinati ad un edificio in
costruzione, sia sculture in marmo, prevalentemente marmo pario,
e in bronzo, elementi di arredo in marmo per giardini e mobili
in legno rivestiti di bronzo. Le sculture sono di natura eclettica e
alcune opere hanno traccia di usi precedenti.
Gli oggetti in marmo sono stati molto
danneggiati dai datteri di mare nella parte che non era
stata ricoperta dai sedimenti, mentre gli oggetti in bronzo, la cui
superficie era protetta da un accumulo di concrezioni, erano in
migliore stato di conservazione.
Le sculture in marmo sono opera di
officine neoattiche che hanno mescolato influssi di diversa
provenienza, ed elementi tradizionali con caratteristiche più
innovative. Alcune delle statue erano state realizzate
dall'assemblaggio di diversi frammenti di marmo, sia per ragioni di
economia, che per facilitare il trasporto. Alcune delle sculture non
erano completamente finite.
Diversi frammenti che inizialmente
erano stati considerati come parti di statue, sono in seguito stati
riconosciuti come busti da inserire entro clipei o tondi, per la
presenza di tenoni sul retro della testa e per la lavorazione della
parte inferiore. Queste sculture erano destinate ad essere fissate
sulle pareti di un santuario o di una casa privata. Uno di questi
busti, doveva raffigurare Afrodite o Arianna e
costituisce forse una copia da un originale in bronzo di
scuola prassitelica, eseguita tra l'ultimo terzo del II secolo
a.C. e la seconda metà del I secolo a.C.
Tra le altre
sculture in marmo si possono citare una testa del dio Pan,
appartenente ad un busto o a un'applique, un gruppo con i Niobidi,
di cui si conservano le teste della madre e di due dei suoi figli,
che forse reinterpretava con variazioni il gruppo degli Uffizi[8],
una statua di Artemide cacciatrice, che trae ispirazione da
un modello del IV secolo a.C. reinterpretato in forme
ellenistiche. Quattro piccole statue di fanciulli seduti dovevano
essere destinati, in coppie dalla posa contrapposta, alla decorazione
di una fontana.
Sculture
in bronzo[modifica | modifica wikitesto]
Le sculture in bronzo erano
state realizzate con la tecnica a cera persa: in un'unica colata
per le statuette più piccole e in pezzi separati poi riassemblati
per le sculture di maggiori dimensioni. Per ottenere una particolare
patina di colore nero simile allo smalto erano state utilizzate leghe
particolari.
Un'erma con
la testa di Dioniso in bronzo, datato al II secolo
a.C. porta la firma del bronzista Boeto di Calcedonia, nome
di diversi artisti discendenti probabilmente da quello ricordato
da Plinio come autore del gruppo con il Fanciullo che
strozza l'oca, noto da numerose repliche. La firma venne incisa
sul modello in cera prima della colata. La testa raffinatamente
arcaistica contrasta con la resa realistica della stoffa del
copricapo. Nella parte bassa del pilastrino era stato collocato del
piombo per rendere l'opera più stabile.
L'Agone o Eros è una
scultura ricomposta da più frammenti che rappresenta un adolescente
alato che sta collocandosi una corona sulla testa. È datato al 125
a.C. circa e proviene forse dalla medesima officina di Boeto di
Calcedonia dell'erma di Dioniso.
Tra le altre sculture in bronzo si
possono citare una statuetta di Eros citaredo, destinata ad
essere appesa come ornamento, una statuetta di satiro in corsa,
probabilmente creazione ellenistica databile all'ultimo quarto del II
secolo a.C. e appartenente forse a una coppia in posa contrapposta,
una statuetta di Hermes oratore con clamide e ali sulle
caviglie, due statuette di Ermafrodito e di Eros
androgino che potevano essere utilizzate come lampade ad olio e
databili intorno al 100 a.C., due volti di Dioniso e Arianna, con
occhi inseriti a parte in altri materiali, che dovevano ornare la
prua di una nave o di una fontana, forse collocate in un luogo di
culto del Pireo e datata al 120 a.C. circa.
Facevano parte del carico della nave
anche delle statuette burlesche raffiguranti nani, un buffone e
due danzatrici, alte tra i 30 e i 32 cm., e numerose piccole
sculture in bronzo appartenenti alla decorazione di mobili o oggetti
di arredo (attori, Eros, levrieri accucciati, busto di Nike e busto
di Atena con elmo, e ancora pantere, grifoni, maschere teatrali,
satiri, protomi di animali).
Sono stati ricostruiti mobili con
armatura in bronzo reinserendo gli elementi in legno scomparsi: sulla
nave erano presenti circa 20 letti tricliniari, probabilmente
realizzati a Delo, con cifre greche incise come indicazioni
all'interno dei pezzi da montare. La nave trasportava anche treppiedi
e bracieri, uno dei quali con piedi dotati di ruote, specchi e
lampade. La nave trasportava anche candelabri in bronzo, rinvenuti in
frammenti, che permettono di ricostruire la presenza di almeno cinque
esemplari, destinati a sorreggere lampade. Sono probabilmente
databili alla fine del II secolo a.C.
Sono stati individuati inoltre
cinque candelabri marmorei con fusti scanalati, alti circa
2 m., composti da frammenti in tre diverse qualità di marmo. Erano
costituiti da una base triangolare con protomi di grifone agli
angoli, un fusto a quattro sezioni e una coppa superiore sul quale
era collocato un bruciaprofumi. Erano destinati ad essere dipinti con
colori e dorature. Provengono da un'officina ateniese che produceva
questi elementi di arredo in serie, tra la fine del II e gli inizi
del I secolo a.C.
Una serie di altri elementi di arredo
erano forse destinati alla decorazione di un giardino, ricostruito
nel Museo nazionale del Bardo: tre crateri monumentali in
marmo, decorati con un tiaso donisiaco e molto simili
al vaso Borghese del Museo del Louvre, hanno potuto
essere ricostruiti, ma la nave ne trasportava dodici esemplari. Sono
stati datati tra gli inizi del I secolo a.C.
Sono anche stati rinvenuti diversi
frammenti in osso che rivestivano un cofanetto.
Tra gli elementi architettonici sono
stati rinvenuti circa 70 fusti di colonna monolitici in
marmo. Non erano state ancora scanalate e i fusti, di altezze
diverse, sono solo sbozzati e dovevano essere rifiniti sul luogo di
impiego. I fusti erano disposti nella stiva della nave su sette file
diseguali, per una lunghezza di circa 24 m. La maggior parte dei
fusti è stata lasciata nel relitto, due sono conservati nel Museo di
Mahdia e alcuni altri sono esposti nel Museo nazionale del Bardo.
Insieme ai
fusti il carico comprendeva inoltre numerosi capitelli,
sia dorici, sia ionici sia figurati con teste
di grifoni, di produzione attica ad opera di due gruppi di
artigiani e di misure maggiori di quelle di solito impiegate per
questo tipo. Tutti i capitelli sono databili tra il 150 e il 50 a.C.
Sono anche state rinvenute basi di tipo attico e alcuni
elementi di cornici.
Nel carico erano comprese quattro
grandi lastre di marmo con iscrizioni della seconda metà IV
secolo a.C.. Due iscrizioni sono decreti che erano collocati nel
santuario del Paralion al Pireo, una delle quali anteriore
al 322-321 a.C., un'altra riguarda dei doni offerti al dio Ammone
dagli Ateniesi e un quarto è un'iscrizione funebre di un personaggio
di un demo ateniese. Alla stessa serie appartengono anche
dei piccoli rilievi votivi che raffigurano divinità, uno dei quali
precisamente datato da un'iscrizione al 363-362 a.C.
La prua della nave (modellino
ricostruito) nel Museo del Bardoa costruita in legno di olmo e
aveva una lunghezza di 40,6 m per una larghezza di 13,8 m. Il suo
carico al momento dell'affondamento era di circa 200 tonnellate.
Il ponte della nave aveva
circa 20 cm di spessore; ponte e scafo erano ricoperti
di piombo e il fasciame era fissato con un gran numero
di chiodi in bronzo. La stiva era suddivisa
in più compartimenti da divisori verticali, i cui resti furono visti
al momento delle prime campagne di scavo del 1907-1913.
La nave trasportava una pompa di
sentina e cinque grandi ancore per un peso totale di
13 tonnellate, rinvenute in corrispondenza della prua, del tipo
in uso nella metà del I secolo a.C..
Era dotata inoltre di due catapulte e
di una Balestra (arma), che potevano tuttavia essere anche
trasportate per reimpiegarne il metallo. Delle pietre grezze e
frammenti di ceramica erano state caricate come zavorra e
questa funzione potevano avere anche delle macine. La nave
trasportava anche lingotti di piombo proveniente dalla
Spagna
Il carico comprendeva delle anfore, di
origine punica o iberica o italiche del secondo o
terzo decennio del I secolo a.C. per i vettovagliamenti, alcune
chiuse da sigilli in piombo, e della ceramica d'uso, tra cui ceramica
a vernice nera. Delle ossa di animali hanno permesso di ipotizzare
che la carne fresca per l'equipaggio fosse assicurata da animali
vivi.
Dopo il naufragio lo scafo si è aperto
per il peso dei fusti di colonna e il carico della stiva si è
disteso, venendo in parte coperto dai sedimenti del piano di
marea.
L'allestimento del Museo nazionale del
Bardo ospita un modellino della nave ricostruita.
Nel 1909 il naufragio era stato datato
da parte degli scopritori dopo la fine del II secolo a.C., sulla base
principalmente del rinvenimento di una lucerna di un tipo
prodotto solo in quest'epoca, nella quale si conservava ancora lo
stoppino carbonizzato.
Secondo l'ipotesi maggiormente accettata il naufragio sarebbe
avvenuto tra l'80 e il 70 a.C. Le opere d'arte trasportate
sarebbero state realizzate tra il 150 e il cambio d'era.
La nave proveniva certamente
dall'Attica e la sua destinazione doveva essere probabilmente l'elite
senatoria romana: non è chiaro se si trattasse di un insieme di
oggetti di varia provenienza da rivendere sul mercato, oppure degli
oggetti acquistati da un unico per uno scopo preciso. In quest'epoca
l'aristocrazia romana raccoglieva avidamente opere d'arte e di alto
artigianato provenienti dalla Grecia, utilizzate per ornare gli
edifici pubblici come manifestazione della propria potenza e
ricchezza, o destinate a decorare giardini e spazi privati.
È stato ipotizzato che la nave potesse
essere stata una di quelle che trasportavano a Roma il
bottino saccheggiato da Silla dopo la presa
di Atene dell'86 a.C.. La nave avrebbe deviato dalla
propria rotta a seguito di una tempesta, che ne avrebbe causato
inoltre l'affondamento, anche a causa delle difficoltà di manovra
dovute al grande peso trasportato.