domenica 27 luglio 2025

GRECIA - Museo Archeologico di Volo

 

Il Museo Archeologico di Volo, noto anche come Museo Archeologico Athanasakeion di Volo, è un museo che si trova a Volos in Grecia, che espone reperti provenienti da molti scavi realizzati in Tessaglia a partire dall'inizio del XX secolo fino ai giorni nostri. 
L'esposizione include gioielli, utensili domestici e attrezzi agricoli, provenienti dagli insediamenti neolitici di Dimini e Sesklo, oltre a statuette di argilla e un'ampia varietà di oggetti del periodo geometrico, un periodo di grandi eventi mitologici, come la spedizione degli Argonauti e la guerra di Troia.
Sono presenti anche statue, e rare statuette snodabili del periodo classico, rare stele con rilievi del periodo ellenistico, che presentano colori in buono stato di conservazione.
Tra le altre, sono esposte anche tombe trasportate nella loro interezza dai siti archeologici in cui furono scoperte, insieme allo scheletro umano e alle offerte poste attorno ad esso.
Appena fuori dal museo ci sono alcune interessanti ricostruzioni delle case neolitiche di Dimini e Sesklo.

GRECIA - Palazzo di Nestore


Il Palazzo di Nestore era un centro importante in epoca micenea, descritto nell'Iliade e nell'Odissea come il regno di Nestore nella "Pilo sabbiosa".
Il palazzo è apparso nella storia della Guerra di Troia, come Omero fa dire a Telemaco:
Pilo trovammo,
Ed il pastor de’ popoli Nestorre.
Qual padre accoglie con carezze un figlio
Dopo lunga stagion d’altronde giunto,
Tal me in sua reggia, e tra l’illustre prole

Il sito è il meglio conservato della Grecia micenea scoperta. Il palazzo è la struttura principale all'interno di un insediamento di epoca tardo elladica più grande, un tempo probabilmente circondato da un muro fortificato. L'edificio a due piani aveva magazzini, officine, bagni, pozzi di luce, sale di ricevimento e un sistema di fognature.
L'insediamento era stato a lungo occupato con la maggior parte dei reperti scoperti risalenti al 1300 a.C. Il complesso del palazzo fu distrutto da un incendio intorno al 1200 a.C.
Nel giugno 2016 il sito è stato riaperto al pubblico dopo che il tetto è stato sostituito da una struttura moderna con passerelle rialzate per i visitatori.
Il sito si trova sulla collina di Epanò Englianos, situato vicino alla strada 4 chilometri a sud di Chora e 17 chilometri a nord di Pilo, a 150 metri sul livello del mare e in una zona di 170 metri per 90 metri.
Nel 1912 e nel 1926 furono scavate due tombe tholos a nord della baia di Navarino. Una conteneva tre barattoli decorati e l'altro una collezione di vasi del primo Miceneo e del Medio Ellanico.
Una spedizione congiunta greca-americana fu formata con il Servizio archeologico greco e l'Università di Cincinnati e il 4 aprile 1939 iniziarono gli scavi di prova di Epano Englianos. Fin dal primo giorno muri in pietra, frammenti di affreschi, ceramiche micenee e tavolette iscritte furono trovate.


Durante lo scavo nel 1939 furono rinvenuti circa 1.000 tavolette in lineare B che, dopo la traduzione, dimostrarono che costituivano parte dell'archivio reale.
Uno scavo sistematico fu impossibile durante la seconda guerra mondiale e gli scavi ripresero nel 1952. Dal 1952 al 1966 il palazzo fu scoperto e furono esplorate ulteriormente le aree intorno all'acropoli.
Nel 2015 l'Università di Cincinnati ha scoperto un reperto straordinariamente ricco non lontano dal palazzo. Questa indisturbata sepoltura di un guerriero miceneo, chiamato il "guerriero del Grifone" dalla squadra di recupero, ha al suo interno anelli d'oro, armi di bronzo e molti altri manufatti. L'iconografia dei manufatti mostra una miscela di cultura minoica e micenea.
La domenica del 12 giugno 2016 è stato riaperto il sito archeologico (dopo la riqualificazione), e inaugurato con una nuova copertura protettiva che si estende sopra un'area monumentale di 3.185 m², che ha reso possibile visitar il palazzo su vestiboli sospesi.
Le tavolette d'argilla in lineare B confermano che il palazzo fu il centro amministrativo, politico e finanziario della Messenia micenea.


GRECIA - Maroulas


Maroulas è un sito archeologico sull'isola di Citno. È un insediamento mesolitico situato a Loutrà e datato tra il 8.800 e il 8.600 a.C. Secondo gli archeologi impegnati nello scavo il sito fu utilizzato per alcuni secoli dall'inizio del IX secolo a.C. L'insediamento si attesta come il più antico della area insulare dell'Egeo.
Il sito nel 1975 era stato classificato come insediamento preneolitico. Una tesi questa fortemente contestata fino al primo sopralluogo del sito avvenuto nel 1995. Le ricerche sugli scavi si sono protratte per tutto il periodo dal 2001 al 2005 a cura dell'Università dell'Egeo e della Soprintendenza dei Beni Archeologici delle Cicladi. L'attività di scavo ha portato alla luce strutture architettoniche, sepolture, depositi di cremazione, utensili in pietra e resti di cibo animale e vegetale. Tutt'oggi si stanno compiendo notevoli sforzi per restaurare, proteggere e utilizzare l'insediamento come sito archeologico.
Maroulas è l'unico insediamento mesolitico esistente in un'area aperta di cui sono conservati elementi architettonici. È importante ricordare che il livello del mare nel periodo mesolitico in quell'area era più basso di circa 40-60 m. Oggi l'insediamento è vicino al mare e una parte significativa risulta distrutta. Sembra essere l'unico insediamento mesolitico dell'Egeo in parte salvato dall'innalzamento del livello del mare. Ciò è dovuto al fatto che all'epoca non era situato sulla costa.
Sulla base dei dati di emersi dallo scavo, gli edifici di Maroulas erano di forma circolare con un diametro variabile dai 3 a 4 m. La loro pavimentazione era ricoperta di pietre e alcune di esse si evince siano state riutilizzate più volte ai fini costruttivi. Le costruzioni in alcune parti del sito sono più concentrate, come nell'area dell'insediamento centrale, in altre meno. Di questi manufatti se ne contano da 15 a 31. Il numero maggiore delle abitazioni, anche se più danneggiate, si trovano sul lato orientale dell'insediamento, adiacente al mare. Il tipo di abitazioni circolari rinvenute a Maroulas era abitato da gruppi di cacciatori-raccoglitori con un grado di stanzialità non ancora certo, anche se alcuni studi in corso indicherebbero un uso abitativo di lunga permanenza. Simili tipologie di edifici del periodo mesolitico non si trovano in nessun'altra area dell'Europa sudorientale.
A Maroulas si osserva una grande diversità di costruzioni dei luoghi di sepoltura. La presenza di ossa lunghe (femori) e di una mascella sotto il pavimento di due case, come anche la concentrazione di ossa sul pavimento di un'altra struttura e l'assenza di teschi su alcuni scheletri, portano alla conclusione che si tratti di sepolture secondarie da riferirsi a pratiche funerarie della fase natufiana. Mentre il posizionamento della lastra sepolcrale sopra il defunto, ricorda i corrispondenti esempi di Ain Mallaha e El Wad. Le 26 sepolture di Maroulas (6 bambini, 19 adulti, 8 uomini, 2 donne) vanno ad aggiungersi a un insieme, numericamente limitato, di sepolture del periodo mesolitico dell'area greca. Da allora pratiche di sepoltura simili sono state osservate solo nelle grotte di Phragthi Argolide e Theopetra Trikala.
Gli strumenti in pietra di Maroulas erano realizzati principalmente in quarzo locale e in quantità minore in ossidiana di Milo e selce. La tipologia degli utensili consisteva in scaglie di piccola dimensione di quarzo e ossidiana, dentellature, raschietti, punteruoli e micro lame. La natura di questi strumenti induce a pensare che i gruppi cercassero di adattarsi all'utilizzo di materie prime disponibili in zona come il quarzo. Maroulas mostra somiglianze con altri siti mesolitici in Grecia, come quello di Fraghti, principalmente in termini di produzione di scaglie e per la minor presenza di strumenti microlitici. L'uso dell'ossidiana indica l'attività di navigazione nell'Egeo finalizzata alla fornitura di materie prime o strumenti già pronti provenienti dall'isola di Milo.
Resti di suini, lepri, volpi, furetti e uccelli sono stati rinvenuti nell'area dell'insediamento come pure è evidente che i gruppi si cibassero anche di pesce, ostriche marine e molluschi terrestri. I resti di cotture carbonizzate e tracce di ossa di maiale testimoniano l'utilizzo di specifiche specie di animali nel contesto delle diete alimentari.
Gli esami sulle ossa dei maiali, al fine di indagare sulla questione dell'addomesticamento degli animali, non hanno condotto a risultati significativi, trattandosi di un campione troppo piccolo. Poiché le popolazioni di maiali non sembrano essere originarie dell'isola di Citno, è verosimile che questi animali siano stati portati nell'insediamento dai residenti di Maroulas per essere utilizzati in attività venatorie.
I resti archeo-botanici sono limitati a campioni di semi di piante della steppa. Tuttavia, in un certo senso, il rilevamento di macine indica la presenza di popolazioni dedite alla coltura di cereali, sebbene tale tesi non sia stata confermata. Dopo aver analizzato i risultati degli studi sui resti di maiali e pesci, in base alla stagionalità delle nascite e al periodo della pesca, è possibile dimostrare che l'insediamento era utilizzato almeno dalla metà dell'inverno fino alla fine della primavera.


GRECIA - Kamares

 
Kamares è la località di un sito archeologico di una grotta sacra minoica che si trova nella parte centro-meridionale dell'isola di Creta, in Grecia. La grotta sacra a Kamares è leggermente decentrata rispetto a un passo di montagna dei Monti Psiloriti, virtualmente allineata con la località della vicina Festo.
Alcuni dei migliori esempi di ceramica del Medio Minoico sono stati scoperti nella grotta di Kamares. La ceramica di Kamares datata al MM (periodo protopalaziale) ha preso il suo nome proprio dal sito. Questa ceramica è policroma con colori disposti chiaro su scuro, e con forme comprendenti giare e tazze. Le ceramiche dello stile “Kamares”, eseguite con l'utilizzo del tornio girevole, sono state denominate “a guscio d'uovo” per il loro esile spessore.

GRECIA - Grotta di Petralona

 

La Grotta di Petralona (in greco : Σπήλαιο Πετραλώνων ), detta anche Grotta delle pietre rosse (in greco : Σπήλαιο "Κόκκινες Πέτρες" ), è una formazione carsica che si trova a 300 m sul livello occidentale del monte Katsika, a poco più di 1 km dal villaggio di Petralona, circa 35 km a sud-est della città di Salonicco, sulla penisola Calcidica.
La grotta fu scoperta casualmente nel 1959 da Fillipos Chatzaridis, un pastore locale che cercava una sorgente. Nel suo tentativo di trovare una fonte d'acqua, trovò una piccola fenditura sulle pendici del Monte Katsika. Due uomini scesero nella cavità e in seguito descrissero un gran numero di camere e corridoi, per un totale di 8-10 metri di altezza con formazioni ricche e belle di speleotemi (stalattiti e stalagmiti).
Il sito divenne di dominio pubblico quando nel 1960 fu trovato un teschio di ominide fossilizzato, catalogato come Petralona 1. Nella grotta sono presenti imponenti formazioni di stalattiti e stalagmiti e con una grande quantità di fossili, la grotta attirò presto geologi e paleontologi. Dopo decenni di scavi la grotta è stata aperta al pubblico e il lavoro scientifico è documentato e presentato in un museo archeologico adiacente.
Il cranio umano è l'esemplare fossile più importante ritrovato nella caverna, da allora noto tra i paleoantropologi come il "Teschio di Petralona".
La grotta si è sviluppata durante il periodo mesozoico (giurassico), i suoi sedimenti sono divisi in diversi livelli stratigrafici. Le formazioni rocciose assomigliano a cactus giganti, perle rosa, robuste colonne o tende delicate, e in diversi punti gli stagni d'acqua sono alimentati da materiale di stalattite. Coprono un'area di 10.400 m2, la lunghezza dei corridoi è di circa 2.000 m e la temperatura durante tutto l'anno rimane stabile a 17 °C (± 1 °C). La prima ricerca del 1959 fu intrapresa dallo speleologo greco Ioannis Petrocheilos. Ha trovato numerose ossa di animali, molte delle quali ricoperte di corallo grotta.
Il Museo antropologico di Petralona espone una selezione degli oggetti che sono stati trovati nella grotta.


Petralona 1 è il fossile di un cranio di un ominide scoperto nella grotta di Petralona in Grecia nel 1960 da Christos Sariannidis.
Il fossile è stato trovato inglobato nella parete di una piccola rientranza della grotta, chiamata "Strato 10", a circa 30 cm sopra il suolo. Il teschio, mancante della mascella inferiore, era incrostato di calcite marrone formatasi subito dopo la morte dell'individuo.
Il cranio ha una capacità cranica di circa 1230 cc.
Ancora dibattuta è la datazione del fossile, che per un'ipotesi risale a 700.000-620.000 anni fa, mentre per un'altra ad un periodo compreso tra 400.000-300.000 anni fa.
Anche la classificazione dell'ominide è dibattuta, tra chi lo ritiene un esemplare dell'homo heidelbergensis, o dell'Homo erectus o dell'Homo neanderthalensis.



GRECIA - Grotta di Psychro

 

La grotta di Psychro, conosciuta anche come grotta di Zeus, è un'antica grotta sacra minoica situata nel distretto di Lasithi, nella parte orientale di Creta. Essa viene associata alla grotta Dittea, quella che si dice essere stata il luogo di nascita di Zeus. Secondo Esiodo, Rea diede alla luce Zeus in una grotta del monte Egeo, nei pressi di Litto. Dalla fine del XIX secolo, la grotta che sovrasta l'attuale villaggio di Psychro è stata identificata con questa. Un'altra grotta tradizionalmente legata alla nascita di Zeus è quella sul monte Ida.
Psychro si trova a 1025 metri sul livello del mare, nel territorio della prefettura di Lasithi.
La grotta Dittea è famosa nella mitologia greca per essere il luogo in cui la capra Amaltea nutrì il neonato Zeus col suo latte. Gli scavi archeologici hanno dimostrato un lungo utilizzo del sito come luogo di culto religioso. La nutrice di Zeus, che Rea incaricò di allevare qui in segreto per nasconderlo al padre Crono (Krónos), viene chiamata anche Adrastea in alcuni contesti. La grotta Dittea si trova sul monte Ditte.
La grotta fu scavata la prima volta nel 1886 da Joseph Hatzidakis, presidente del Syllogos di Candia, e da F. Halbherr. Nel 1896, Arthur Evans studiò il sito. Nel 1899 J. Demargne e David George Hogarth della British School ad Atene effettuarono ulteriori studi. Il breve resoconto di Hogarth del 1900 fornisce una descrizione della distruzione operata da primitivi metodi archeologici: immensi blocchi caduti dal soffitto della grotta furono fatti saltare prima di essere rimossi; la preziosa terra nera era stata portata via. L'altare stuccato della grotta superiore fu scoperto nel 1900, circondato da strati di cenere, ceramiche e "altri rifiuti", tra cui vi erano offerte votive in bronzo, terracotta, ferro e osso, con frammenti di trenta vasi per libagioni e innumerevoli ciotole coniche in ceramica per le offerte di cibo. Le ossa ritrovate tra la cenere dimostrano l'esistenza di sacrifici di tori, pecore, capre, cervi e cinghiali.
Lo strato inferiore della caverna superiore rappresenta la transizione tra la ceramica di stile Kamares del Tardo Minoico e i primi livelli micenei, fino ad alcuni reperti di stile geometrico del IX secolo a.C. Scavi più recenti fanno risalire l'uso della grotta fino al Minoico Antico, e gli oggetti votivi dimostrano che si trattava del più frequentato santuario del Minoico Medio (MM IIIA).
La grotta inferiore scende rapidamente grazie a una scala scavata nella roccia fino a un lago, accanto al quale vi sono stalattiti e stalagmiti. "Molta terra è stata buttata di sotto da chi scavò la grotta superiore", disse Hogarth, "e in essa furono rinvenuti numerosi piccoli oggetti in bronzo". Nelle fessure verticali delle stalattiti più basse la squadra di Hogarth trovò modellini di "bipenni, lame di coltelli, aghi e altri oggetti in bronzo, posti qui come oggetti votivi. Anche il fango posto accanto al lago sotterraneo era ricco di oggetti simili, di statuette maschili e femminili e di pietre intagliate".
Nel 1961 John Boardman pubblicò una descrizione dei reperti trovati in questi e altri scavi.
Nonostante le statuette umane in argilla siano comuni nei santuari montani, la grotta di Psychro e quella del Monte Ida sono le sole a contenerne. Psychro è anche nota per il ritrovamento di una gamba di bronzo, unico oggetto votivo rappresentante una parte del corpo mai trovato in un santuario di grotta. Tra i più comuni reperti della grotta sacra di Psychro vi sono lampade in pietra e in ceramica.
Psychro ha fornito numerose pietre semi-preziose, tra cui corniola, steatite, ametista, diaspro ed ematite.
I reperti recuperati a Psychro sono in mostra presso il museo di Candia, l'Ashmolean Museum, il Louvre e il British Museum.


GRECIA - Creta, Malia

 

Malia (in greco Μάλια) è un ex comune della Grecia nella periferia di Creta (unità periferica di Candia) con 6 212 abitanti secondo i dati del censimento 2001.
È stato soppresso a seguito della riforma amministrativa, detta Programma Callicrate, in vigore dal gennaio 2011 ed è ora compreso nel comune di Chersonissos.
Il territorio del comune si estende dalle falde dei monti Dikti e Selena a sud, fino alle coste del mare di Creta a nord. Il territorio è montuoso eccetto una breve striscia costiera dove sorge la cittadina di Malia. Vi si trovano numerose sorgenti termali alle falde dei monti Selena. L'economia si basa prevalentemente sul turismo. Gli oliveti danno un'abbondante produzione di olio d'oliva. Sono presenti stabilimenti per l'imbottigliamento di acqua minerale. L'accesso al comune è garantito dalla superstrada Heraklion - Agios Nikolaos.
A Malia si trova un importante palazzo minoico strutturato come gli altri a Creta e di cui condivise la sorte.
La presenza umana a Malia risale al periodo del Neolitico (6000-3000 a.C.) attestata da resti di mandrie, da grotte lungo la costa e da case del periodo prepalaziale (2500 a.C.-2000 a.C.) trovate sotto le fondazioni del palazzo. Il primo palazzo di Malia fu costruito tra il 2000 a.C. e il 1900 a.C. Questo fu distrutto nel 1700 a.C. e ricostruito nel 1650 a.C. nello stesso luogo del precedente e seguendone fedelmente il piano. Nel 1450 a.C. anche il nuovo palazzo fu distrutto insieme agli altri centri minoici di Creta. Il sito fu occupato per un breve periodo nel XIII secolo a.C. Bisognò quindi aspettare il periodo romano perché il luogo venisse nuovamente ripopolato. Malia e il suo palazzo vennero ricostruiti. La città venne anche ampliata tra cui la costruzione di una basilica ben conservata del VI secolo. Malia venne definitivamente abbandonata durante il medioevo.
Gli scavi furono intrapresi dall'archeologo Chatzidakis nel 1915 sulla collina Azymo ed ebbero il merito di portare alla luce l'ala occidentale del palazzo e tombe lungo la costa. Più tardi fu la scuola archeologica francese di Atene ad iniziare ricerche accentrate nella zona del palazzo, del villaggio circostante e nelle necropoli della costa. I reperti sono esposti al museo archeologico di Iraklio ma una piccola parte di essi si trova al museo archeologico di Agios Nikolaos. Le rovine del Nuovo palazzo, cui si accede attraverso una strada pavimentata intersecata da numerosi sentieri, le cosiddette vie processionali, sono oggi le meglio conservate.
Ogni fianco del palazzo aveva un'entrata. Il cortile centrale del palazzo aveva un altare al centro e portici ai lati. L'ala occidentale del palazzo era dedicata al culto e vi si trovavano gli appartamenti dei dignitari e i magazzini. Il cortile era dominato da una loggia. A fianco al Kernos, tavola in pietra circolare con 34 cavità probabilmente utilizzata per offerte votive stava un'altra gradinata che forse costituiva l'area del teatro.
A sud e a sud ovest si trovavano i diversi ambienti del tesoro reale.
Ad est le cucine e i magazzini dove venivano riposte le giare dell'olio e del vino.
Al lato nord che era quello più corto del cortile c'era la sala ipostila, a due file di tre colonne, preceduta da un'anticamera. Sopra vi era una sala di uguali dimensioni che forse era adibita a banchetti. Ad est vi era un corridoio che connetteva il cortile centrale con quello nord circondato da laboratori e magazzini.
Il cimitero del palazzo era dislocato in grotte della costa a nord est. La più importante di queste grotte era quella di Chrysolakko che ha restituito il famoso gioiello delle api sulla goccia di miele, oggi esposto al museo archeologico di Iraklio.



GRECIA - Rachmani

 
Rachmani è un sito archeologco preistorico vicino Volos, in Tessaglia (Grecia). Il sito fu scavato nel 1910 da Wace e Thompson, due archeologi inglesi, ed hanno evidenziato come sia stato abitato lungo un periodo che si eestende, almeno, dal neolitico all'età del bronzo. Il sito è una delle poche testimonianze materiali del passaggio dal neolitico al bronzo in Grecia. Gli scavi hanno dato alla luce resti di abitazioni, un'unica sepoltura, e diversi oggetti in ceramica. Sono stati indagati resti di case, costruite in mattoni crudi o pietre, di forma circolare o semicircolare. I ritrovamenti ceramici presentano caratteristiche riferibili a diversi facie culturali, temporalmente contigue, e presenti in alcuni siti archeologici vicini; ritrovamenti riferibili alla cultura di Sesklo, a quella di Dimini, ed altri caratteristici di una produzione locale.
Sulla base dell'evoluzione delle tecniche decorative delle ceramiche, si ipotizza tra le culture preistoriche europee che utilizzavano decorazioni dipinte, quella di Sesklo sarebbe la più semplice (bicolore), e quindi la più antica, seguita da quella di Dimini (tricromica), e quindi da quella della fase finale di Rachmani (la più recente), caratterizzata da decorazioni incrostate o verniciate.


GRECIA - Sesklo

 

Sesklo (in greco Σέσκλο) è un villaggio della Grecia appartenente al comune di Aisonia (periferia della Tessaglia). A seguito della riforma amministrativa detta Programma Callicrate in vigore dal gennaio 2011 è ora compreso nel comune di Volos. Conserva i resti di un abitato neolitico, scoperto alla fine del XIX secolo dall'archeologo greco Christos Tsountas; gli scavi hanno riportato alla luce almeno tre diversi strati abitativi, la cui esistenza si sono succeduti nel periodo tra il VII millenio fino al 4.400 a.C., quando l'abitato cessò di esistere, probabilmente, a seguito di un incendio.
Il villaggio di Sesklo ha dato il nome ad una civiltà, cultura di Sesklo, che precede immediatamente quella di Dimini, largamente diffusa in Tessaglia e nella Grecia centrale. Caratteristica di questa facies culturale è una ceramica ben cotta, a superficie rossa, dipinta in bianco o a sfondo chiaro con decorazione in rosso. I motivi ornamentali più frequenti sono quelli a fiamma, a scaletta e a scacchiera. Fra gli utensili e le armi in pietra si notano asce, mazze, coltelli, braccialetti di conchiglie o di perline in pietra. Molto diffusi sono anche gli idoletti in ceramica o in pietra, raffiguranti la dea della fecondità, nuda, in atto di sostenersi i seni. Le abitazioni più antiche, rettangolari e rotonde, consistevano di uno zoccolo di pietra, su cui poggiava l'alzato di frasche e fango. Le suppellettili domestiche più frequenti sono macine e pestelli, e i resti di ossa di animali mostrano che l'economia di queste genti era agricola con coltivazione di cereali e allevamento di ovini e suini, mentre il ritrovamento di rocchetti e fusaiole attesta che era già largamente praticata la tessitura.
I reperti ritrovati durante gli scavi sono oggi esposti al Museo archeologico di Volo.

GRECIA - Corinto, Fontana di Pirene

 


La Fontana di Pirene o Fontana inferiore di Pirene (in greco Πειρήνη?) è il nome di una fontana o una sorgente della mitologia greca, situata a Corinto precisamente all'interno del sito dell'Antica Corinto.
Si diceva che fosse l'abbeveratoio preferito del cavallo Pegaso, nonché luogo sacro alle Muse. I poeti viaggiavano lì per bere e ricevere ispirazione.
Nel II secolo, il viaggiatore Pausania descrive il mito di Pirene, amante di Poseidone, la quale si dissolse in fonte a causa delle morte del fratello ucciso da Artemide. Egli racconta così:
«Lasciando il mercato lungo la strada per Lecheum, si giunge a una porta d'accesso, sulla quale si trovano due carri dorati, uno che porta Fetonte il figlio di Elio, l'altro Elio stesso. Un po' più lontano dalla porta, a destra mentre entri, c'è un bronzo di Ercole. Dopo di che ci è l'ingresso alla fonte di Pirene. La leggenda su Pirene narra che lei fosse una donna che divenne una fonte a causa delle lacrime versate per suo figlio Cencria, che fu involontariamente ucciso da Artemide. La sorgente è ornata di marmo bianco, e sono state costruite delle camere come delle grotte, dalle quali l'acqua scorre in un pozzo all'aperto. È piacevole da bere, e dicono che il bronzo Corinzio, quando è rovente, è temperato da quest'acqua, finché il bronzo dei Corinzi sia forte. Inoltre vicino a Pirene c'è un'immagine e un recinto sacro ad Apollo; su quest'ultimo vi è un dipinto della vendetta di Ulisse contro i pretendenti
Esiste anche un'altra versione, secondo cui la fontana fu creata dallo zoccolo di Pegaso che colpiva il suolo. Ad ogni modo, la leggenda di Pausania è molto più diffusa.
La sorgente superiore di Pirene, legata al racconto eziologico di Pausania, si trova sull'Acrocorinto, acropoli di Corinto. Si ritiene che il primo re di Corinto Sisifo, cercando di risolvere il problema della scarsità d'acqua in città, si ritrovò nei pressi della rocca, dove vide Zeus con una bella ninfa di nome Egina che era figlia del dio fluviale Asopo, rapita dallo stesso Zeus. Il dio Asopo si presentò allora a Sisifo nelle sembianze di un vecchio e gli chiese notizie di sua figlia. Sisifo disse di averla vista, senza però rivelare subito chi l'aveva rapita preferendo chiedere una fonte d'acqua per la sua città in cambio dell'informazione. Asopo promise che gli avrebbe dato la fonte e Sisifo mantenedo il patto rivelò che la ninfa era stata rapita da Zeus. Soddisfatto, Asopo fece dono al re della sorgente perenne detta Pirene.
In questo abbeveratoio, Bellerofonte riuscì a domare il cavallo Pegaso grazie a una briglia d'oro donata da Atena, permettendogli poi di compiere l'impresa della chimera.
Le prime pietre della costruzione risalgono al periodo arcaico (VII secolo a.C. o, più probabilmente, al VI secolo), costituendo in virtù dell'epoca storica una delle prime costruzioni di Corinto, assieme al tempio di Afrodite sull'Acrocorinto e alle mura settentrionali. La fontana ha subito non meno di nove trasformazioni nella sua storia. L'attuale forma della fontana risale al restauro operato da Erode Attico (vissuto nel 101-177 d.C.) in epoca imperiale romana, ma vi sono anche ulteriori modificazioni realizzate nel periodo bizantino.


sabato 26 luglio 2025

EGITTO - Labirinto di Meride

 


Il Labirinto di Meride, costruito in Egitto ad Hawara presso il lago di Meride nel Fayyum, è una costruzione labirintica parte integrante del tempio funerario di Amenemhet III (1842 a.C.-1797 a.C.), come cita Manetone: «...egli costruì il Labirinto nel nomo di Arsinoe, come tomba per sé» ed è simile a quello di Cnosso.
L'area nella quale fu costruito, a sud della piramide di Amenenhat III, doveva aggirarsi intorno ai 70000 m² su questi furono edificate 3.000 stanze in due piani, uno dei quali sotterraneo, e dodici cortili. Sembra che il suo scopo principale fosse di tipo religioso.
Storici antichi hanno descritto il Labirinto, quali Diodoro Siculo, Strabone ed Erodoto, di cui purtroppo ci sono pervenuti solo pochi frammenti.
A Karanis, oggi Kôm Aushin, è stata rinvenuto un tempio dedicato a Petesuchos Pnepheros presunto architetto del Labirinto secondo Plinio.
Il Labirinto fu scoperto nel 1888 da Flinders Petrie che lo esplorò prima e durante il 1911 e dove rinvenne i nomi di Amenemhet III e della figlia Sebeknofru. Nel complesso sono stati ritrovati frammenti di due colossali statue del sovrano assiso, delle quali però rimangono solo i piedistalli. Queste enormi basamenti (nella foto) sono detti i Colossi di Biahmu, dal nome del sito e non devono essere confusi con i Colossi di Memnone.
Del Tempio funerario sono rimasti solo poche rovine e frammenti di colonne in granito,  essendo stato utilizzato come cava di pietra fin dal tempo dei Romani.  Inoltre, i suoi blocchi sono stati riutilizzati fin dal 1888 per le costruzioni del Fayyum. Scavi archeologici recenti stanno ricostruendo la complessa e complicata planimetria dell'edificio.

EGITTO - Tempio funerario di Mentuhotep II

 

Il Tempio funerario di Mentuhotep II rappresenta uno dei primi esempi architettonici del Medio Regno a Tebe ovest, di fronte all'altra riva dove è costruito il Grande tempio di Amon, presso Deir el-Bahari. Come sfondo al monumento vi è la falesia tebana che costituisce lo scenario per numerosi templi funerari, compreso quello di Hatshepsut.
Il tempio di Mentuhotep identifica una forma di transizione fra il complesso classico-piramidale dell'Antico Regno e il concetto di tempio funerario, denominato Tempio di Milioni di Anni, con tomba ipogea che si affermerà nel Nuovo Regno.
Il sovrano dispose le diverse parti del tempio su un sistema di terrazze, unendo le caratteristiche delle tombe a saff con le mastabe e il tutto venne sormontato dal tumulo primevo tipico della II dinastia.
Tra il 1859-69 e in missioni successive, Lord Frederik Dufferin individuò alcune strutture  che furono attribuite ad una necropoli. Nel 1899 Howard Carter scoprì il cenotafio e nel 1901 pubblicò il resoconto della scoperta. Il tempio è piccolo e non così ben conservato come quello di Hatshepsut.
Dal tempio a valle parte una rampa processionale lunga 960 m e limitata da due muri laterali alti fino a 3 m che porta alla parte anteriore ed esterna del tempio funerario.
Questa parte è costituita da un portico con due file di pilastri interrotte al centro da una rampa che porta al piano superiore, costituito sempre da un portico con due file di colonne, di cui rimane solo la base quadrata, su tre lati.
Questi colonnati ai limiti delle terrazze si ispirano alle tombe a portico dei re dell'XI dinastia, gli Antef.
La parte centrale del monumento è costituita da una struttura quadrata di blocchi di pietra eretti su un podio e circondati da colonne che venne interpretata da R. Stadelmann come il "tumulo primevo" ricoperto di vegetazione.
Sul lato posteriore tramite una porta si entra in una corte aperta con al centro un corridoio sotterraneo che portava alla camera sepolcrale incompiuta del re: una galleria scavata nella roccia con soffitto con blocchi intagliati ad arco portava ad una stanza posta 150 m sotto la falesia dove Howard Carter trovò un sarcofago vuoto e una statua del sovrano distesa sul fianco e avvolta nel lino (per questi ritrovamenti si suppone che la tomba avesse un valore simbolico, forse un cenotafio, con sepoltura rituale all'interno).
Alla corte aperta segue una sala ipostila costituita da 80 colonne ottagonali che costituiscono la prima sala ipostila in pietra dell'architettura egizia (un precursore della sala ipostila si può trovare nel tempio funerario di Raneferef ed era composta da 4 file di 5 colonne lignee su base di calcare).
All'estremità ovest della sala ipostila si trova una statua del faraone in una nicchia scavata nella roccia. Di fronte era posto un altare alla sommità di una scala che saliva per metà dell'altezza della sala ipostila. Dietro all'altare si trovava la statua di Mentuhotep che, posta sull'asse centrale del tempio, costituiva un punto focale della costruzione.
I moltissimi rilievi trovati sulle pareti del tempio terrazzato contengono temi già incontrati nell'Antico Regno (sono soprattutto scene atte ad esaltare la figura del re, come ad esempio il faraone sotto forma di sfinge che sconfigge i nemici o mentre va a caccia).


EGITTO - Deir el-Shelwit

 

Deir el-Shelwit  è un antico tempio egizio dedicato ad Iside nel periodo greco-romano.
Si erge sulla riva occidentale del Nilo a Luxor, a 1 km da Malkata e circa 4 km a sud di Medinet Habu.
Quel che resta oggi del tempio è il suo piccolo edificio principale e le rovine del propileo, oltre alle mura in mattoni ed al pozzo. L'intera area del tempio è di 74×51 metri, anche se il tempio in senso stretto è molto più piccolo, 13×16 m. La sua entrata è rivolta verso sud. Le mura esterne non sono molto decorate, ma all'interno i bassorilievi si sono ben conservati. Il santuario è circondato da un corridoio dal quale si aprono cappelle laterali ed un wabet aperto (luogo di lavaggio). Sempre a partire da questo corridoio, alcune scale portavano al tetto. Sul lato meridionale del muro esterno si trovano alcuni blocchi di pietra che sono stati riutilizzati prendendoli da edifici precedenti e, a giudicare dai bassorilievi, molti di loro sembrano provenire dal tempio di Medinet Habu.
Il propileo si trova 60 metri ad est del tempio, ed è riccamente decorato su ogni lato.
L'importanza del tempio di Iside di Deir el-Shelwit deriva dalla rarità degli edifici religiosi di epoca greco-romana in questa zona, e dal fatto che si tratta dell'unico non associato alla triade tebana, ma a Iside.
Secondo le iscrizioni presenti sul propileo, la costruzione del tempio di Iside iniziò attorno all'inizio del I secolo. Non si conoscono edifici precedenti sorti nello stesso posto.[2] Secondo una teoria, la costruzione del tempio ebbe inizio durante il regno di Nectanebo II, e fu completata in epoca greco-romana.
Il tempio fu esaminato la prima volta da Karl Richard Lepsius a metà del XIX secolo, anche se non ne fece una descrizione dettagliata. Una spedizione francese guidata da Christine Zivie studiò le iscrizioni del propileo e pubblicò i risultati nel 1992. Tra il 1971 ed il 1979 gli archeologi della Waseda University del Giappone lavoraro nel sito, pulendo le mura esterne e l'area interna dai detriti, e scavando il pozzo del tempio che si era nel frattempo riempito di frammenti di ceramica. Nel pozzo furono catalogati trentadue strati di detriti, fino a 4 metri di profondità, punto in cui l'acqua ha reso impossibili gli scavi. I resti trovati nel pozzo dimostrano che il pozzo (e quindi il tempio stesso) era già stato abbandonato e trasformato in discarica in epoca copta.
I bassorilievi del tempio risalgono all'era greco-romana, e sono simili a quelli di Dendera e File. Sulle mura del tempio e sul propileo si trovano i cartigli di Adriano, Antonino Pio, Galba, Otone, Vespasiano e Giulio Cesare. Sui blocchi riutilizzati delle mura esterne del tempio si trovano bassorilievi che risalgono al Nuovo Regno.

EGITTO - Catacombe di Kom el-Suqafa

 

Le catacombe di Kom el-Suqafa (trad. "collina di rottami") si trovano nella città di Alessandria d'Egitto, tra i quartieri di Karmus e Mini el-Basal.
La memoria storica del sito si è persa durante il regno di Mehmet Ali, quando le catacombe furono utilizzate come cave di pietra e talvolta come magazzino per le munizioni. Il sito è stato riscoperto per caso a metà del '900. Il nome del sito fa riferimento alle migliaia di resti ceramici trovati nell'area, probabilmente riconducibili ai corredi funerari delle catacombe.
Situata nei pressi della colonna di Pompeo, Kom el-Shoqafa è la necropoli greco-romana più grande dell'Egitto. Arriva ad una profondità di oltre 30 m e si articola in tre livelli. L'accesso è possibile grazie a una scala che scende a spirale intorno al pozzo centrale nel quale venivano calati i corpi mummificati dei defunti. Dal pozzo si accede alle tombe, che sono disposte su tre livelli sovrapposti, completamente scavati nella roccia. L'ultimo livello è attualmente allagato. Le tombe più lussuose avevano nicchie con i sarcofaghi, decorate con bassorilievi e pitture di gusto sincretistico.

EGITTO - Tempio di Kom Ombo



Il Tempio di Kom Ombo è un antico luogo di culto costruito durante il dominio della dinastia tolemaica, collocato nei pressi dell'omonima cittadina in Egitto.
Sorge su un modesto promontorio roccioso (infatti Kom Ombo significa la collina di Ombos) che domina l'ansa del Nilo, sul sito di un precedente luogo di culto. Il suo antico nome in lingua egizia era Pa-Sobek ovvero "Il possedimento di Sobek".
La particolarità del tempio è costituita dalla dedicazione del culto a due diverse triadi di divinità. La prima la più antica e primordiale della regione era costituita dal dio coccodrillo Sobek, Hathor e Khonsu. La seconda, di epoca più tarda, era costituita da Haroeris cioè Horo il Vecchio, manifestazione solare del dio falco, Tasenet-nofret sorella di Horus e Panebtani, il signore dei due paesi.
Il tempio fu inizialmente edificato da Tolomeo VI all'inizio del suo regno, ed ampliato in seguito dai suoi successori; particolarmente Tolomeo XIII costruì le sale ipostile esterne e interne.
La struttura del tempio è costituita da due corpi di fabbrica perfettamente simmetrici l'uno con l'altro rispetto all'asse principale: vi si ergono così due ingressi rispetto al muro esterno, due passaggi rispetto ogni camera e la successiva. Il santuario di sinistra è dedicato al dio Horo, mentre quello di destra al dio Sobek; i bassorilievi che decorano i due santuari riservano la stessa importanza a entrambe le due divinità.


Il primo pilone d'ingresso è completamente scomparso distrutto dalle inondazioni e dalle asportazioni compiute dall'uomo. Il primo cortile, di epoca romana, è stato anch'esso smantellato con il tempo e sussistono soltanto le basi delle colonne che si dipanano sui tre lati esterni.
L'ingresso, sul lato est, è ornato da tre colonne papiriformi che delimitano due differenti ingressi entrambi decorati con il disco solare alato. In ossequio alla duplice natura del santuario uno al tempio di Sobek e l'altro a quello di Horus. Sul portale è posta un'iscrizione dedicatoria a Tolomeo XII.
Dall'ingresso si accede direttamente all'atrio ipostilo.
L'atrio ipostilo è composto da dieci colonne più piccole rispetto a quelle più maestose all'ingresso, ma ugualmente decorate. Anche le pareti sono decorate con bassorilievi, tra cui ne due spiccano due particolarmente raffinati e compositi. Entrambi celebrativi del faraone Tolomeo XII e posti ciascuno nell'area dedicata a Sobek e a Horus. Il bassorilievo della sala ipostila, posto nell'area consacrata a Sobek, raffigura il faraone Tolomeo XII mentre viene incoronato da due donne con le corone dell'Alto Egitto e del Basso Egitto. Il tutto avviene alla presenza del dio Sobek e della sua compagna. La divinità di Sobek e della compagna è sancita dal possesso dell'Ankh sacro.
Il bassorilievo della sala ipostila, posto nell'area consacrata a Horus, raffigura sempre il faraone Tolomeo XII riceve dalle altre divinità l'Ankh sacro che ne sancisce la parità con esse. Il tutto avviene alla presenza del dio Horus.
Tre vestiboli, in cattivo stato di conservazione precedono il doppio santuario di Horus e Sobek. Dei due santuari rimangono solamente i basamenti utilizzati per deporre le barche sacre delle due divinità.
Un doppio muro di cinta ingloba l'intera edificio creando un cortile.
Nel cortile eterno le decorazioni riprendono gli elementi tipici del periodo tolemaico con scene di culto e cerimonie sacerdotali; solamente nelle cappelle tergali in perfetto stato di conservazione si trovano i bassorilievi più antichi.
Uno dei bassorilievi più interessanti rappresenta vari strumenti chirurgici, segno che nel tempio si praticava l'arte medica, anche se gli studiosi non sono tutti concordi. Nello stesso bassorilievo sono rappresentate due donne incinte sedute sopra una sedia gestatoria. Infatti il tempio era meta di molti fedeli che venivano chiedere l'intercessione divina contro le infermità.
Sempre nel cortile esterno è raffigurata una Falsa porta posta sul retro in precisa coincidenza con il punto di intersezione tra le due ali del tempio.
Gran parte del tempio è stato distrutto dal Nilo, dai terremoti e da successivi costruttori che utilizzarono l'edificio come cava edile. Alcuni dei rilievi interni vennero deturpati quando il tempio venne trasformato in una chiesa copta ortodossa. Alcune delle trecento mummie di coccodrilli scoperte nei dintorni sono esibite dentro il tempio.

EGITTO - Tempio di Dendera

 

Dendera in antico egizio Ta-neṯeret ovvero «la città della dea» è una località dell'Egitto, posta sulla riva occidentale del Nilo a circa 4 km a nord di Qena e a 615 km dal Cairo, importante per la presenza di un tempio dell'epoca greco-romana dedicato alla dea Hathor.
L'antica città egizia, nota con il nome di Iunet ta-neṯeret, fu capitale del 6º nomos (distretto) dell'Alto Egitto. Iunet fu un'importante sede del culto di Hathor, divinità femminile associata poi alla greca Afrodite durante il periodo ellenistico.
In epoca romana fu un importante centro della provincia d'Egitto e poi della provincia Tebaide dopo la riforma di Diocleziano.
Con l'avvento del Cristianesimo le notizie sulla città si fanno più scarse al punto che dopo i nomi di due vescovi, Pachymius e Serapion, le fonti tacciono del tutto.


Il Tempio di Dendera, situato a circa 2,5 km a sud-est della località di Dendera (Iunet in antico egizio), è uno dei templi meglio conservati di tutto l'Egitto.
La città di Iunet Tantere fu il capoluogo del 6º distretto dell'Alto Egitto.
Nei pressi del tempio è stata anche rinvenuta una necropoli composta di tombe a mastaba databili tra il periodo arcaico ed il primo periodo intermedio.
L'intero complesso copre un'area di circa 40.000 m² ed è interamente circondato da un muro di mattoni a secco. Il complesso ospita cappelle, santuari ed un lago sacro oltre a una chiesa cristiana ed a due mammisi ovvero i luoghi della rinascita


Benché le attuali strutture risalgano al periodo tolemaico-romano vi sono prove dell'utilizzo del sito fin dal periodo detto Antico Regno. Le più antiche strutture potrebbero risalire al regno di Pepi I (circa 2250 a.C. mentre sono evidenti i resti di un tempio eretto durante la XVIII dinastia.
L'inizio della costruzione del tempio attuale risale invece al regno di Nectanebo II (360 a.C. - 343 a.C.), ultimo sovrano di origine egizia ad aver regnato sulle Due Terre ed il suo completamento avvenne durante la dominazione di Roma anche se, con ogni probabilità le strutture erette vennero del tutto modificate durante il regno di Tolomeo XII.
Infatti un'iscrizione, scoperta nel 1975, celebra la cerimononia del "Rito del tendere la corda", ossia di tracciare le fondamenta di un nuovo edificio, nel ventisettesimo anno di regno del sovrano, anno che dovrebbe corrispondere al 54 a.C.; la stessa iscrizione ricorda il completamento del tempio nel nono anno dell'imperatore Augusto, 21 a.C.
L'area templare comprende:
  1. Portale nord (epoca romana)
  2. Mammisi di epoca romana
  3. Chiesa cristiana
  4. Mammisi attribuito a Nectanebo II
  5. Sanitarium
  6. Tempio dedicato alla dea Hathor (tempio principale)
  7. Pozzo
  8. Lago sacro
  9. Tempio di Iside (Dendera)
  10. Tempio di Hathor

Tempio di Hathor
La struttura attualmente visibile risale al termine del periodo tolemaico (I secolo a.C.) anche se sono ancora riscontrabili i resti del tempio eretto durante il Medio Regno.
Alcune decorazioni, come lo Zodiaco, copia dell'originale trasferito nel 1821 in Francia ed ora esposto al Museo del Louvre di Parigi, situato sul soffitto della Grande sala ipostila, sono di epoca romana; sempre della stessa epoca è l'iscrizione greca che dedica il tempio ad Afrodite.
Sul muro d'ingresso è anche riprodotto il nome, scritto in geroglifico, dell'imperatore Traiano.
Al di sotto del tempio sono state rinvenute una serie di 12 camere, che un'iscrizione permette di attribuire al regno di Tolomeo XII.
Tali camere sotterranee erano utilizzate per la conservazione di offerte e di immagini divine. In una di esse è stato rinvenuto un frammento rappresentante il sovrano Pepi II (VI dinastia).
  1. Grande sala ipostila
  2. Piccola sala ipostila
  3. Laboratorio
  4. Magazzino
  5. Ingresso delle offerte
  6. Tesoro
  7. Uscita verso il pozzo
  8. Accesso alla scala del pozzo
  9. Sala delle offerte
  10. Sala dell'Enneade
  11. Santuario principale
  12. Cappella del distretto di Dendera
  13. Cappella di Iside
  14. Cappella di Sokar
  15. Cappella di Harsomtus
  16. Cappella del sistro di Hathor
  17. Cappella degli dei del Basso Egitto
  18. Cappella di Hathor
  19. Cappella del trono di Ra
  20. Cappella di Ra
  21. Cappella del collare Menat
  22. Cappella di Ihi
  23. Luogo puro
  24. Corte della Prima Festa
  25. Passaggio
Raffigurazioni di Cleopatra VI, che si trovano sulle pareti del tempio sono buoni esempi di arte tolemaica egiziana. Uno raffigura Cleopatra, nella stessa posa della dea Iside; mentre l'altro, sul retro degli esterni del tempio, presenta un intaglio di Cleopatra VII Filometore e suo figlio, Tolomeo XV Filopatore Filometore Cesare, che la regina ebbe da Gaio Giulio Cesare.


EGITTO - Stele della carestia

 

La stele della carestia è un'epigrafe scritta in geroglifico situata sull'isola di Sehel nel Nilo, nei pressi di Assuan, in Egitto, che parla di un periodo di sette anni di siccità. Questa carestia occorse durante il regno del faraone Djoser della III dinastia. Si pensa che la stele sia stata incisa nel periodo tolemaico, ovvero tra il 332 ed il 31 a.C.
La stele della carestia è incisa su un blocco rettangolare di granito, estratto da una parete di granito naturale. L'iscrizione è in geroglifico e contiene 42 colonne. La parte superiore della stele raffigura tre divinità egizie: Khnum, Satet e Anuqet. Davanti a loro è mostrato Djoser, nell'atto di portare offerte. Una larga fessura, già presente quando la stele fu realizzata, attraversa il centro della roccia. Alcune parti della stele sono danneggiate, il che rende illeggibili alcuni passaggi del testo.
La storia raccontata sulla stele è ambientata nel diciottesimo anno del regno di Djoser. Il testo descrive come il re sia sconvolto e preoccupato dal fatto che le terre d'Egitto stessero subendo una siccità e la conseguente carestia da sette anni, dato che in questo periodo il Nilo non era mai esondato fertilizzando le coltivazioni. Il testo descrive anche come il popolo egizio soffriva a causa della siccità, e quanto erano disperati tanto da infrangere le leggi del paese. Djoser chiede aiuto agli uomini del sacerdote, guidati dall'alto sacerdote Imhotep. Il re voleva sapere dove fosse nato Hapy (una divinità dei fiumi identificato direttamente col Nilo) e che dio abitava quel luogo.
Imhotep decise di analizzare gli archivi del tempio di Hut-Ibety (“Casa delle reti”), situato a Ermopoli e dedicato al dio Thot. Informò il re del fatto che l'alluvione del Nilo era controllata dal dio Khnum ad Elefantina da una sacra sorgente situata sull'isola, dove il dio abitava. Imhotep si recò immediatamente nel luogo chiamato Jebu. Nel tempio di Khnum, chiamato “Gioia di Vita”, Imhotep si purifica, chiede aiuto a Khnum e gli offre “tutte le cose buone”. Improvvisamente cade nel sonno, e nel suo sogno Imhotep viene accolto dal gentile Khnum. Il dio si presenta ad Imhotep spiegando chi e cosa è, per poi descrivere i propri poteri divini. Alla fine del sogno Khnum promette di far esondare di nuovo il Nilo. Imhotep si sveglia e scrive tutto quello che era successo nel sogno. Torna quindi da Djoser per raccontare al re l'accaduto.
Il re è felice delle novità, ed emette un decreto nel quale ordina a sacerdoti, scribi ed operai di restaurare il tempio di Khnum e di ricominciare a fare regolari offerte al dio. Inoltre Djoser, con un altro decreto, concede al tempio di Khnum ad Elefantina, la regione compresa tra Assuan e Takompso con tutte le sue ricchezze, oltre ad una quota di quanto importato dalla Nubia.
A partire dalla prima traduzione e dal primo studio effettuato dall'egittologo francese Pascal Barguet nel 1950, la stele della carestia è stata di grande interesse per storici ed egittologi. Lingua ed aspetto utilizzati nell'inscrizione fanno pensare che l'opera potrebbe risalire al periodo tolemaico, forse durante il regno di re Tolomeo V (205 – 180 a.C.). Egittologi quali Miriam Lichtheim e Werner Vycichl ipotizzano che i sacerdoti locali di Khnum siano coloro che hanno scritto il testo. I vari gruppi religiosi dell'Egitto in epoca tolemaica erano in lotta per ottenere più potere ed influenza. Per questo motivo la storia della stele della carestia potrebbe essere stata utilizzata come modo per legittimare il potere dei sacerdoti di Khnum sulla regione di Elefantina.
Al tempo della prima traduzione della stele, si pensava che la storia della carestia settennale fosse legata a quella biblica citata nella Genesi al capitolo 41, dove si parla di una carestia della stessa durata. Indagini più recenti hanno mostrato che la carestia settennale era un mito comune a quasi tutte le culture del Vicino Oriente. Anche una leggenda mesopotamica parla di una carestia settennale, e nell'opera Gilgamesh il dio An enuncia una profezia circa una carestia di sette anni. Un'altra storia simile a quella delle stele della carestia appare nel cosiddetto “Libro del Tempio”, tradotto dal demotico tedesco Joachim Friedrich Quack. L'antico testo parla di re Neferkaseker (alla fine della II dinastia), il quale si trova ad affrontare una carestia settennale.
La stele della carestia è una delle sole tre inscrizioni conosciute che collegano il nome del cartiglio di Djeser (“nobile”) al nome Serekht Netjerikhet (“corpo divino”) di re Djoser in un'unica parola. Fornisce quindi un'utile prova per egittologi e storici coinvolti nella ricostruzione della cronologia reale dell'Antico Regno.


EGITTO - Serapeo di Saqqara

 

Il Serapeo di Saqqara, un'importante necropoli egizia situata presso Menfi, sorse sul complesso sepolcrale dei tori Api, ritenuti la manifestazione vivente del dio Ptah. Le più antiche sepolture dei tori sacri, imbalsamati e chiusi nei sarcofaghi, risalgono al regno di Amenofi III.
Nel XIII secolo a.C. Khaemuaset, figlio di Ramesse II, fece scavare nella montagna una galleria, sui cui lati vennero ricavate delle nicchie dove vennero alloggiati i sarcofaghi dei tori. Una seconda galleria, lunga 350 m, alta 5 m e larga 3 m, fu fatta costruire da Psammetico I e in seguito utilizzata dai Tolomei.
Il viale delle 600 sfingi che collegava il sito alla città fu probabilmente opera di Nectanebo I.
La scoperta del Serapeo è dovuta a Auguste Mariette che scavò la maggior parte del complesso. Ma le sue note di scavo sono andate perdute e questo ha limitato l'utilità delle sepolture per stabilire una cronologia della storia egizia. Il problema consiste nella circostanza che dal regno di Ramesse XI al 23º anno di regno di Osorkon II, un periodo valutato in circa 250 anni, si conoscono solamente nove sepolture di tori, numero questo che include anche tre sepolture attualmente non note ma attestate da Mariette che disse di averle rilevate in una sala sotterranea troppo instabile per poter essere scavata. Gli egittologi ritengono che avrebbero dovuto esservi un maggior numero di sepolture di tori, nel periodo considerato, in quanto la vita media di un toro era di 25-28 anni, se non moriva prima, e quattro sepolture attribuite da Mariette al regno dei Ranmesse XI sono state retrodatate. Questa ha creato un vuoto di circa 130 anni che gli studiosi hanno cercato di colmare in vari modi. Secondo alcuni si deve rivedere tutta la cronologia della XX dinastia con uno spostamento in avanti delle date secondo altri studiosi esistono ulteriori sepolture di tori Api che non sono ancora state scoperte.

EGITTO - Nabta Playa

 

Nabta Playa
 è una depressione situata a circa 800 km dalla città de Il Cairo, in Egitto, o a 100 km dalla famosa località di Abu Simbel. L'area è caratterizzata dalla presenza di numerosi siti archeologici.
Un grande complesso megalitico risalente al V millennio a.C. appare orientato secondo i punti del sorgere e del tramontare del Sole in determinati periodi dell'anno.
Nabta Playa venne scoperta nel 1974 da Fred Wendorf e nel 1977 McKim Malville ne decifrò il significato astronomico.
Nabta Playa prende il nome dalla montagna che sorge nelle vicinanze della depressione dove, durante il neolitico sahariano, vi era uno dei tanti bacini lacustri.
Il lago si prosciugava durante la stagione secca ed aumentava di livello in estate durante le piogge recate dal monsone, che in quell'epoca era molto più a nord.
Per questo motivo, il sito archeologico di Nabta era popolato solo periodicamente e gli insediamenti più antichi risalgono ad oltre 10580 anni fa come attestano le datazioni al Carbonio-14 sui carboni di legna e resti vegetali.
Reperti così antichi non sono stati rinvenuti nella Valle del Nilo e ciò avvalora l'ipotesi che fu la popolazione del Sahara la prima civiltà del mondo e la prima cultura africana da cui sarebbe derivata in epoca successiva la civiltà egizia.
Verso il 7500, dopo lunghi periodi di siccità e con il ritorno delle piogge monsoniche, tornarono a Nabta Playa le popolazioni nomadi e seminomadi che iniziarono un'evoluzione caratterizzata da numerosi reperti e strutture.
La popolazione di Nabta Playa all'inizio del neolitico sahariano dipendeva dalla caccia, non praticava l'agricoltura e non produceva manufatti in ceramica. Viveva in capanne ovali o circolari in gruppi, ma non era stanziale.
Sono stati rinvenuti graminacee, semi e tuberi dovuti alla raccolta di piante selvatiche mentre l'industria litica ha restituito prevalentemente lame, raschietti e macine.


Solo verso la fine del neolitico comparvero numerosi manufatti in selce, punte in osso, conchiglie e la ceramica. Questa, che era comparsa inizialmente con piccole ciotole dalla decorazione impressa a rete oppure ondulata, si evolve con manufatti bruniti.
Iniziava l'allevamento del bestiame, particolarmente dei bovini dalle grandi corna lunate, la cui importanza è rivelata dalle numerose sepolture di animali sacrificati come la sepoltura del toro (o del vitello).
L'agricoltura ebbe inizio alla fine del Neolitico con la coltivazione di cereali quali miglio e sorgo.
Verso il 3400 a.C. aumentava la desertificazione ed i nomadi sahariani di Nabta si spostarono in cerca di acqua per gli allevamenti sulle rive del Nilo, si amalgamarono con i popoli della Valle, divennero stanziali ed iniziarono la lunga evoluzione della civiltà egizia.
Le strutture ritrovate a Nabta sono 30 costruzioni in pietra con pozzi per l'acqua, pozzetti per la conservazione di granaglie o per la cottura di cibi, focolari, pavimenti.
Comparvero varie costruzioni megalitiche circolari o lineari, monoliti e numerosi tumuli circolari. La più nota, detta "Circolo calendariale", è formata da megaliti detti menhir, disposti in un circolo centrale detto cromlech e con allineamenti di tipo radiale.
Nel circolo centrale erano poste due coppie di monoliti di cui una in direzione Nord-Est, cioè orientata al sorgere del sole nel solstizio di circa seimila anni fa.
Era quindi una struttura per misurare il tempo, l'inizio dell'estate e delle grandi piogge in cui il sole era allo zenit del Tropico del Cancro.
Il complesso anticipa di oltre mille anni quello di Stonehenge ed è nel suo genere il più antico del mondo.
Per edificare costruzioni megalitiche il popolo di Nabta Playa era organizzato socialmente, con conoscenze matematiche ed astronomiche, poiché recenti ricerche ipotizzano un collegamento con il movimento della costellazione di Orione e la precessione degli equinozi, mentre McKim Malville ipotizza anche una connessione con l'Orsa Maggiore.
Sostanzialmente i megaliti sono orientati a Nord, punto importante per gli Egizi dell'Antico Regno, che credevano che il defunto entrasse nella Duat proprio da nord dove, come recitano i Testi delle piramidi, "le stelle non tramontano mai". Solo dopo alcuni secoli l'ingresso alla Duat verrà spostato ad Ovest.
Per proteggre il sito archeologico, ancora solo parzialmente studiato, il circolo del calendario è stato spostato e ricostruito presso il Museo nubiano di Assuan.
L'antico popolo di Nabta Playa aveva una divinità femminile dall'aspetto di vacca, simbolo di fertilità, e della quale è stato ritrovato, su un monolito, il graffito, che anticipava il culto di Hathor.
Vi era anche il culto del bestiame bovino in genere, testimoniato con sacrifici di animali in riti celebrati soprattutto in occasione del solstizio e testimoniato dalla presenza di sepolture di animali.
Secondo Wendorf e Schild il sito sarebbe stato anche un luogo destinato al culto dell'acqua.