domenica 27 aprile 2025

KERAMOS - Ceramica di Gnathia

 

La ceramica di Gnathia o ceramica di Egnazia è una sottoclasse della ceramica apula, che si sviluppa dalla decorazione secondaria dello stile ornato ed è datata dal 375-370 a.C. alla fine del III secolo a.C. Numerosi esemplari decorati in questa tecnica policroma rinvennero con gli scavi condotti a Egnazia nel 1848 così che il nome dell'antica città rimase a designare la classe ceramica e la tecnica che la caratterizza; benché non si conosca esattamente il centro di produzione originario si ritiene che potesse essere Taras; numerosi esemplari sono stati prodotti e trovati Paestum e in Campania; ne esiste una varietà siceliota (come quella di Lipari), che si distingue per l'uso del blu, datata all'ultimo quarto del IV secolo a.C. e al primo quarto del III.
La superficie dei vasi è ricoperta con una vernice nera sulla quale scene figurate e ornamentali sono dipinte in bianco, spesso con tocchi di giallo e di rosso paonazzo. Questi ultimi colori, applicati al nero già esistente sono fissati da una seconda cottura del vaso.
All'inizio della produzione potevano essere presenti incisioni. Di epoca più recente sono gli esemplari sui quali, ad imitazione dei vasi metallici, venivano praticate baccellature verticali, o quelli privi di decorazione figurata e decorati unicamente con ornamenti fitomorfi, talvolta dipinti su fasce a vernice nera che interrompono la baccellatura verticale. Le forme tipiche sono le stesse presenti nella ceramica apula a figure rosse, ma tendono ad una maggiore eleganza.
Tra i più antichi autori individuati si ricorda il Pittore delle rose da cui discendono tre gruppi che operano alla fine IV secolo a.C. Il caposcuola del primo gruppo è il Pittore di Lecce 1075 e alla sua bottega appartiene il Pittore della bottiglia del Louvre a cui si deve l'introduzione della baccellatura verticale. Il secondo gruppo è chiamato Gruppo di Dunedin e il terzo comprende il Gruppo del ramoscello di alloro e il Gruppo di Knudsen. Ne fa parte anche il Pittore di Lipari.



Nelle foto, dall'alto:
- Gruppo del ramoscello di alloro, cratere a campana. Londra, British Museum F547.
- Oinochoe, da Nola. Parigi, Museo del Louvre K596.

KERAMOS - Ceramica minia

 
La ceramica minia è un esteso termine archeologico che descrive le varietà di un particolare stile di ceramica egea associata con il periodo del Medio Elladico.
Nella storia dell'archeologia preistorica egea, Heinrich Schliemann fu la prima persona a coniare il termine "minia" dopo aver scoperto una caratteristica varietà di ceramica lucidata scura ad Orcomeno (la mitica patria del re Minia). Alcuni dei suoi contemporanei la riferiscono come "ceramica di Orcomeno". Tuttavia, la definizione di "ceramica minia" alla fine prevalse poiché essa richiamava romanticamente i gloriosi (ma la cui realtà è dubbia) Mini della mitologia greca.
Di primo acchito, Alan Wace e Carl Blegen non associano ancora la ceramica minia con l'"avvento dei greci". Entrambi gli archeologi consideravano l'improvvisa apparizione della ceramica minia come una delle due interruzioni nell'incessante evoluzione della ceramica greca dal neolitico fino al periodo miceneo. Infine, essi conclusero che la "ceramica minia" indichi l'introduzione di una nuova tensione culturale".
Prima del 1960, la ceramica minia venne spesso associata agli invasori nordici che distrussero la cultura dell'Antico Elladico (1900 a.C.), introducendo la cultura del Medio Elladico nella penisola greca. Tuttavia, John L. Caskey condusse scavi in Grecia (cioè a Lerna) e definitivamente confermò che la ceramica minia fosse infatti la diretta discendente della raffinata ceramica grigia lucidata della cultura di Tirinto dell'Antico Elladico. Caskey trovò anche che la varietà nera o argiva della ceramica minia fosse una versione evoluta della classe di ceramica dell'Antico Elladico III così definita "scura scivolosa e lucidata". Dunque, la ceramica minia era presente in Grecia fin dal 2200 al 2150 a.C. Stranamente, non c'è niente di particolarmente "nordico" per quanto riguarda i progenitori della ceramica minia. L'eccezione, tuttavia, comporta la diffusione della ceramica minia dalla Grecia centrale al Peloponneso nord-orientale, che può essere vista come "arrivata dal nord" rispetto al Peloponneso. Attualmente, c'è incertezza sul come la ceramica minia arrivasse in Grecia o come essa si fosse sviluppata in modo indigeno.
La ceramica minia è una forma di ceramica monocroma lucidata prodotta con argilla estremamente o moderatamente fine. Le varietà di ceramica minia comprendono la gialla, rossa, grigia e nera (o argiva). Le forme aperte, come calici e kantharoi, sono quelle più comuni in tutti i tipi di ceramica minia. Calici e kantharoi sono tecnicamente versioni evolute delle tazze basse e kantharos della cultura di Tirinto nell'Antico Elladico.
La ceramica minia grigia, specificamente ha forme angolari che possono riflettere le copie dei prototipi metallici. Tuttavia, una tale teoria è difficile da provare considerato il fatto che gli oggetti metallici del Medio Elladico sono rari e i vasi in metallo sono quasi inesistenti. Inoltre, le forme angolari di questo particolare stile di ceramica possono infatti derivare dall'uso comune del veloce tornio da vasaio. Gli "steli ad anello" (o i piedi del piedistallo fortemente rigati) sono una caratteristica importante della ceramica minia grigia del Medio Elladico II e Medio Elladico III nella Grecia centrale. Naturalmente, questa caratteristica è anche presente nei calici della ceramica minia gialla del Medio Elladico IIIl provenienti da Corinto e dall'Argolide. Durante la fase finale del Medio Elladico, anelli incisi in modo meno profondo più o meno rimpiazzarono le basi dei calici e gli "steli ad anello" nel Peloponneso nord-orientale.
La ceramica minia del Medio Elladico I è decorata con forme di scanalature sul bordo superiore di kantharoi e tazze. Durante il Medio Elladico II, i cerchi concentrici stampati e i "festoni" (o semicerchi paralleli) diventano una comune caratteristica della decorazione specialmente nella ceramica minia nera (o argiva).
La ceramica minia si trova maggiormente nella Grecia centrale, ma è anche comune nel Peloponneso durante i periodi del Medio Elladico I e Medio Elladico II. La ceramica minia nera (o argiva) è comune nel Pelopponeso settentrionale ed è soprattutto ornata con decorazioni stampate e incise. La ceramica minia rossa è comunemente trovata nell'isola di Egina, in Attica, nelle Cicladi settentrionali e in Beozia. La ceramica minia gialla per prima appare durante i periodi del Medio Elladico II e Medio Elladico III. Per il suo colore di superficie chiaro, questa particolare varietà di ceramica è decorata con colore opaco scuro. Ciò ha condotto gli archeologi a considerare la ceramica minia gialla come "dipinta opaca" invece che "minia".


Nelle foto, dall'alto in basso:
Anfora minia da Micene, 1700-1600 a.C.
Anfora minia dalla Tomba Y, periodo Medio Elladico III
Amphoriskos dall'acropoli di Midea, XVI sec. a.C.


KERAMOS - Ceramica bilingue

 
vasi bilingui sono prodotti della ceramica greca antica decorati utilizzando sia la tecnica a figure nere sia la tecnica a figure rosse. Il termine si riferisce anche al periodo di transizione in cui le figure nere gradualmente venivano sostituite dalle figure rosse come tecnica decorativa dominante, ovvero l'ultimo quarto del VI secolo a.C. e l'inizio del V. L'iniziale incertezza del mercato nell'apprezzamento della nuova tecnica può essere stata la causa della comparsa di questi vasi. Le forme prevalenti per questo tipo di decorazione erano l'anfora a profilo continuo di tipo B e le coppe a occhioni. In alcuni casi entrambi i lati dell'anfora venivano decorati con la rappresentazione dello stesso soggetto, una a figure nere e l'altra a figure rosse (e.g. l'anfora a profilo continuo Monaco 2301 del Pittore di Andocide). Le coppe a occhioni erano solitamente decorate con una immagine a figure nere nella parte interiore e con una decorazione a figure rosse sulle pareti esterne. Una eccezione a questa regola è la kylix del Pittore di Andocide conservata al Museo archeologico regionale Antonio Salinas di
Palermo (n. inv. V650), l'esterno della quale è dipinto per metà a figure nere e metà a figure rosse. Oltre al Pittore di Andocide vasi bilingui sono stati dipinti da Psiax (soprattutto anfore a profilo continuo), da Epitteto e da Oltos (coppe a occhioni). Generalmente entrambe le scene (in entrambi gli stili) su uno stesso vaso erano dipinte da uno stesso artista, esistono tuttavia attribuzioni controverse come nel caso delle figure nere sui vasi del Pittore di Andocide che alcuni studiosi assegnano al Pittore di Lisippide.






Nelle foto, Anfora bilingue del Pittore di Andocine, Staatliche Antikensammlunger, Monaco di Baviera; nella prima foto lato B a figure nere, nella seconda foto lato A a figure rosse


KERAMOS - Ceramica di Hadra

 
La denominazione ceramica di Hadra indicava due distinte classi ceramiche di età ellenistica rinvenute nella necropoli di Hadra, ad ovest di Alessandria d'Egitto, costituite principalmente da hydriai, ma anche da crateri, oinochoai e coppe, utilizzate come urne cinerarie. La tipologia caratterizzata da una più comune decorazione di colore bruno sul fondo chiaro dell'argilla, ha mantenuto la denominazione ceramica di Hadra; le hydriai che si distinguono per la decorazione policroma (rosso, blu, giallo, verde) su fondo bianco prendono il nome di hydriai alessandrine.
Il centro produttivo originario della ceramica di Hadra era Creta; qui la produzione di ceramica delle pendici occidentali condivide con la ceramica di Hadra numerose particolarità tecniche e stilistiche. La classe viene datata a partire dal secondo quarto del III secolo a.C.; alcune hydriai, trovate ad Alessandria, recano, dipinte o incise,
iscrizioni con il nome del defunto e la data del seppellimento; se ne conoscono esemplari con datazioni che giungono sino all'inizio del II secolo a.C., il che non consente tuttavia di escludere un'ulteriore continuità nella produzione la quale, in base alla comparazione dei motivi ornamentali, sembra giungere al I secolo a.C.
Le hydriai sono alte circa 40 cm e hanno spalle arrotondate. La decorazione della ceramica di Hadra è semplice e copre la parte superiore del corpo, talvolta il piede si presenta dipinto di nero. La sintassi decorativa è costituita da punti, pendagli, fettucce e altre decorazioni fitomorfe o astratte. Vi si trova talvolta una decorazione figurata a silhouette con dettagli incisi e sovradipinture in bianco: delfini, uccelli a collo lungo, altri animali reali o fantastici o, più ambiziosamente, eroti e nikai.
Le hydriai sono state trovate, oltre che ad Alessandria, ad Atene, Eretria, Rodi, Cipro, ma è possibile che in alcuni casi si tratti di imitazioni locali.
Gli esemplari con ingubbio bianco e decorazione policroma sono meno numerosi e sono prodotti ad Alessandria, come dimostra l'argilla impiegata per la loro fabbricazione. Sono
datati al III secolo e all'inizio del II secolo a.C. L'unica forma conosciuta in tale ambito è l'hydria; la decorazione, benché simile ai prodotti cretesi, si presenta più complessa e comprende armi e altri oggetti relativi alla vita del defunto. La delicatezza e friabilità della decorazione non agevolava le esportazioni, ma si conosce una simile produzione locale a Rodi.




Nelle foto:
- Ceramica di Hadra, hydria funeraria, Baltimora, Walters Art Museum 481916
- Ceramica di Hadra, hydria da Alessandria d'Egitto dipinta in Grecia, Metropolitan Museum, NY
- Ceramica di Hadra, hydria egizia, III secolo a.C., Altes Museum Berlin



KERAMOS - Ceramica pestana

 


La ceramica pestana è la ceramica a figure rosse prodotta a Paestum dal 370 a.C. circa alla fine del IV secolo a.C. All'origine della ceramica pestana vi è l'opera degli artigiani sicelioti di seconda generazione dalla quale dovette svilupparsi, attraverso una serie di personalità intermedie tra le quali si ricorda il Pittore del Louvre Κ 240, l'officina entro la quale lavorano i fondatori della ceramica pestana propriamente detta, Assteas e Python, ancora influenzati dallo stile del Pittore di Dirce.
La scuola pestana è di piccole dimensioni se paragonata alle altre fabbriche di ceramica a figure rosse italiote, ed è particolarmente omogenea nello stile. Il prodotto tipico della ceramica pestana è il cratere a campana caratterizzato da pareti perpendicolari che danno a questa forma un aspetto cilindrico; frequenti sono anche la lekythos ariballica, l'anfora a collo distinto, l'hydria e il piatto da pesce. I soggetti più popolari sono mitologici, dionisiaci e fliacichi. Le scene sono costituite da due o tre figure su ciascun lato del vaso, quello posteriore frequentemente decorato con due figure maschili vestite di himation con bordo decorato da una tipica fascia continua o, in seguito, a puntini. I vasi più piccoli possono recare una singola figura o una testa femminile. La decorazione dei vasi pestani è semplice, non esiste uno stile definibile come ornato, anche se gli esemplari più elaborati sono riccamente colorati. Un elemento distintivo della ceramografia pestana è la palmetta verticale che incornicia le scene.
La produzione dell'ultimo periodo, compreso entro l'ultimo quarto del IV secolo a.C. è riunita all'interno di tre gruppi principali, quelli del Pittore di Napoli 1778, del Pittore di Napoli e 2585 ed il Gruppo apulizzante.

Nelle foto:
- Pittore di Afrodite, Collo di anfora greca, Museo archeologico nazionale di Paestum
- Pittore del Louvre, Cratere, Getty Museum


KERAMOS - Ceramica di Vroulia

 

La ceramica di Vroulia è una classe di vasi greco-orientali, di epoca arcaica, costituita prevalentemente da coppe, inizialmente trovate nella località dalla quale prendono il nome e situata sull'isola di Rodi (il nome è moderno e quello antico è sconosciuto). Sono datate dall'inizio al terzo quarto del VI secolo a.C. e caratterizzate da una tipica decorazione su fondo nero, costituita da incisioni, tecnica a risparmio e sovradipinture in porpora.
Oltre a Vroulia abbondante materiale appartenente a questa classe è stato trovato a Kameiros, Ialiso e Lindos, sempre a Rodi, e l'analisi dell'argilla sembra confermarne l'isola quale luogo di origine. Altri frammenti provengono da Naucrati e Tell Defenneh.
Il fondo nero ebbe una certa popolarità nella Grecia orientale di epoca arcaica, lo si trova ad esempio nelle parti interne dei calici chioti o in alcuni vasi del tardo stile delle capre selvatiche. Sulle coppe di Vroulia l'intera superficie è coperta da una vernice nera tendente al marrone; talvolta una fascia viene risparmiata tra le anse e decorata con ornamenti geometrici e astratti che si trovano anche sul labbro; in caso contrario la zona è sovradipinta con decorazioni ad intreccio. La zona sottostante, quella principale, è decorata con ornamenti floreali come palmette, fiori di loto, boccioli e rosette, gli stessi che si trovano nella decorazione della parete interna. Raggi e linguette ornano la zona presso il piede. La forma discende dalla coppa tardo-geometrica con labbro basso e svasato e piede stretto e conico. Le pareti sono sottili, il diametro varia tra i 10 e i 30 cm. L'argilla è fine, di un marrone che dopo la cottura varia dal giallo al rosso, la pittura è nera e lucente.
Appartengono alla stessa classe e allo stesso sistema decorativo alcune anfore e stamnoi, con il corpo suddiviso in due o tre fasce a risparmio, simili alla tipica decorazione secondaria delle situle greco-orientali.

Nelle foto:
- Coppa di Vroulia, Museo del Louvre A331, Parigi
- Coppa di Vroulia, Museo del Louvre, Parigi




KERAMOS - Ceramica apula

 

La ceramica apula è la ceramica a figure rosse prodotta dalla scuola di ceramografi insediatasi a Taras (Taranto) intorno al 430 a.C. e formatasi ad Atene in ambito polignoteo. Sono escluse dalla denominazione le ceramiche indigene messapiche (o, più genericamente, iapigie).
Arthur Dale Trendall e Alexander Cambitoglu hanno distinto la ceramica apula in tre fasi: apulo antico (430-370), apulo medio (370-340), apulo tardo (340-300). La scuola apula termina forse verso i primi anni del III secolo a.C. Esemplari apuli sono stati esportati in altre parti del sud Italia, in Sicilia e sulle coste della Dalmazia; ebbe grande influenza sulla ceramica lucana, campana e pestana. La ceramica di Canosa sembra essere derivata dall'apulo tardo tramite il Pittore di Baltimora.
Dopo una prima fase di stile atticizzante la scuola formò uno stile proprio. Pionieri furono il Pittore della Danzatrice di Berlino e il Pittore di Sisifo. I loro seguaci svilupparono espressioni diverse e coesistenti nell'opera dei maestri dando luogo a due stili distinti: lo stile ornato entro il quale la figura più significativa è stata riconosciuta nel Pittore di Dario, e lo stile semplice che ha il proprio capostipite nel Pittore di Tarporley.
Stile semplice

I soggetti dello stile semplice sono gruppi dionisiaci, giovani e fanciulle; la rappresentazione è sobria e ripetitiva e non comprende più di quattro figure; si svolge su crateri, anfore, pelikai e soprattutto su piccoli vasi. Alla metà del IV secolo a.C. lo stile semplice, attraverso l'opera del Pittore di Atene 1714, acquisisce i colori e l'ornamentazione complessa dello stile ornato. Il Pittore di Atene 1714 si pone anche all'origine della tradizione floreale della scuola apula, forse ispirata alle decorazioni del greco Pausia.
Stile ornato
Lo stile ornato è presente su vasi di più grandi dimensioni, crateri a volute, anfore e loutrophoroi e raggiunge il massimo della floridezza a metà del IV secolo a.C. Gli esemplari più ambiziosi recano soggetti tratti dalla mitologia greca, soggetti tragici e funerari; le scene si dispiegano su più livelli e possono comprendere più di venti figure attorno ad un elemento centrale. Gli spazi vuoti sono riempiti da decorazioni floreali particolarmente studiate ed elaborate, con viste di scorcio e meandri ombreggiati. Nel pieno stile ornato il bianco, il giallo e il porpora sono usati ampiamente.
Il Pittore dell'Ilioupersis, che prediligeva lo stile ornato, fu l'iniziatore, nel secondo quarto del IV secolo a.C., della decorazione con edicola centrale sul lato anteriore e stele su quello posteriore per i grandi vasi funerari.

KERAMOS - Ceramica laconica

 

La ceramica laconica descrive una classe della ceramica greca prodotta nella regione della Laconia a partire dal X secolo a.C.
Dopo i periodi protogeometrico e geometrico gli artigiani laconici si rivelarono poco ricettivi alle influenze orientali, dirette o indirette. La migliore ceramica laconica, il cui apice si pone nel secondo quarto del VI secolo a.C., venne prodotta dopo l'introduzione verso il 620 a.C. della tecnica a figure nere, che i ceramografi laconici seppero interpretare e adattare alle proprie predisposizioni e tramite la quale furono capaci di competere con la ceramica ateniese sui mercati orientali e occidentali.
La terracotta laconica ha un colore che varia dal rosa al marrone chiaro; l'ingubbiatura, quando presente, è color crema e la pittura è di un seppia profondo che si avvicina al nero intorno alla metà del VI secolo a.C. per imitazione di quella attica. I forti contrasti tra i colori rendono questi vasi particolarmente vivaci benché eseguiti con la tecnica a figure nere.
Laconico di transizione e Laconico I

Dopo un periodo chiamato “di transizione” (690-650 a.C. circa) iniziò ad emergere un'autonoma scuola locale (laconico I, 650-620 a.C. circa) che si distinse, nei vasi di maggior pregio, per una decorazione caratteristica formata da una fascia a quadri alternati tra due fasce a punti, che circondava la bocca del vaso. Erano rare le figure, umane o animali, e scarsa era l'ornamentazione di riempimento. Questi decenni videro la compresenza di una pittura sperimentale applicata ai grandi vasi e di una scuola pittorica tecnicamente eccellente ma di tipo conservativo che si limitava ai vasi piccoli, dove applicava schemi lineari e astratti, accettando il fregio animale solo alla fine del periodo.
Prime figure nere (laconico II, 620-580 a.C. circa)
La grande diffusione e il grande successo della ceramica corinzia comportò l'introduzione della tecnica a figure nere ad Atene come in Laconia, dove si sviluppò uno stile autonomo a partire dall'inizio del VI secolo a.C.
La decorazione era caratterizzata da figure nere con dettagli incisi e ritocchi color porpora; frequenti erano le modanature e la decorazione a rilievo. Iniziò in questo periodo una modesta esportazione e la forma più comune e diffusa era la coppa. Le figure umane continuarono ad essere rare e per lo più limitate ai gorgoneia all'interno delle coppe, disegnati principalmente a linea di contorno. Nei fregi animali, contrariamente all'uso corinzio, si preferivano le file di una stessa specie con pochissima ornamentazione di riempimento. Tra i migliori esemplari di questa ceramica vi sono le coppe conservate al Museo archeologico nazionale di Taranto (Pittore dei pesci di Taranto, n. inv. 4804-06) decorate internamente con un girotondo di pesci attorno ad una rosetta centrale riservata all'interno di un cerchio scuro. All'esterno si trovano tipici uccelli a silhouette con il porpora aggiunto sulle code abbassate. La maggior parte dei vasi del laconico II tuttavia era più semplicemente decorata con fasce geometriche e colorate e con sobrio ornamento vegetale, sempre tendente in questa regione alla stilizzazione. La fila di quadrati tra due file di punti rimase comune per la zona intorno al labbro, ma il motivo decorativo che caratterizzò il laconico a partire dal VII secolo a.C. fu la fila di melagrane a volte intrecciate e alternate ai fiori di loto.
Laconico III e IV
, 580-500 a.C. Circa
È questo il periodo in cui, forse per un vuoto di mercato lasciato da Corinto e Atene in una fase di passaggio per entrambi i centri produttivi, la ceramica laconica riuscì ad inserirsi con una produzione che resta per questa regione quella maggiormente conosciuta e all'interno della quale sono state individuate singole personalità. L'importazione di opere corinzie è stato un fattore essenziale per il nuovo corso della ceramica laconica, la quale tuttavia riuscì a competere rimanendo indipendente e lontana da imitazioni non veramente comprese, sviluppando uno stile proprio, sobrio e vivace allo stesso tempo.
La coppa laconica era la forma principale e quella più popolare sul mercato. La ciotola era divenuta meno profonda, lo stelo si era allungato e terminava in alto in una modanatura tonda. La ricchezza della decorazione era paragonabile alle contemporanee coppe di Siana attiche. Il labbro, divenuto più evidente, era frequentemente coperto da una rete di melagrane che presero il posto dei precedenti riquadri. Il fregio all'altezza delle anse presentava, tra le palmette orizzontali derivate da modelli metallici, una banda ornamentale vegetale entro la quale il fiore di loto mostrava una stilizzazione tipicamente laconica. Il color porpora continuava ad essere liberamente aggiunto per aumentare il contrasto con la vernice scura e l'ingubbiatura gialla. Lo stelo e il piede erano scuri, con l'eccezione della modanatura in alto e del profilo del piede, riservati e privi di ingubbiatura.
Nella coppa laconica la parte che ne rivelava maggiormente lo stile nativo era la parete interna della ciotola con lo spazio interamente decorato; anche a Corinto si sfruttava tutto lo spazio, ma separato in zone concentriche. I pittori laconici dipingevano l'interno delle ciotole come dipingessero in grande scala, in piena opposizione rispetto ai tondi delle coppe ateniesi (almeno finché, alla metà del secolo, l'influenza di queste ultime non introdusse anche a Sparta il tondo piccolo). La scena principale veniva posizionata sopra una linea di base orizzontale; la soluzione più frequentemente adottata per la decorazione dell'esergo, oltre ad altri curiosi esperimenti compositivi (si veda ad esempio la kylix del Museo archeologico di Rodi 10711, con la linea di esergo che divide il campo in due parti uguali), consisteva nel riempire la zona con un fiore di loto o con animali, spesso pesci o uccelli.
A fianco di queste coppe elaborate ne venivano prodotte altre, più piccole e più semplici, nelle quali il labbro e la ciotola erano poco differenziati, lo stelo non aveva modanature e gli esemplari più economici erano decorati internamente solo con un piccolo medaglione.
Le prime personalità individuate all'interno di questa classe di ceramiche hanno iniziato a lavorare intorno al 580 a.C. e sono chiamate Pittore dei Boreadi e Pittore di Naukratis. Il primo era il maestro che aveva stabilito il nuovo sistema di decorazione delle coppe con il proprio stile accurato e sobrio nei dettagli incisi; le sue coppe sono state trovate a Samo, Olimpia e Naucrati ma non a Sparta. Il secondo, meno austero, influenzerà gli autori a lui successivi. Il Pittore di Arkesilas deve il proprio nome alla coppa conservata al Cabinet des médailles di Parigi (De Ridder 189) che presenta all'interno una scena vivace realizzata in modo da includere nella narrazione anche l'esergo. Il Pittore della caccia è conosciuto per i caratteristici tondi a oblò con le figure tagliate fuori dalla scena; fu il più dotato degli allievi del Pittore di Arkesilas, miglior disegnatore rispetto a quest'ultimo e capace di dare alla pittura laconica un grado maggiore di realismo.
I soggetti erano tratti dal mito come dalla vita quotidiana. Alcuni temi sono unici, come i miti di Prometeo e Atlante (Pittore di Arkesilas, coppa a figure nere, 550 a.C. al Museo gregoriano etrusco 16592), la costruzione di un tempio, i soldati che riportano a casa i propri morti (Pittore della caccia, coppa a figure nere, 550-540 a.C. circa, Musei statali di Berlino 3404). Scarsissimo era l'uso del bianco fra i pittori laconici, che non usavano neppure differenziare attraverso il colore il genere delle figure, o usavano semplicemente la linea di contorno per le carni femminili. La decorazione a figure umane veniva eseguita oltre che sulle coppe, sulle hydriai, sui crateri a volute e sui dinoi. In diversi casi è possibile notare la derivazione di forme e decorazioni ceramiche da originali in metallo. Nei vasi grandi la decorazione si svolgeva generalmente in strette bande dall'imboccatura al piede e tendeva a sottolineare la forma del vaso. Generalmente vasaio e pittore erano una stessa persona; gli autori che lavoravano nella tecnica a figure nere producevano anche, in misura più elevata, vasi interamente dipinti in nero o con semplici decorazioni geometriche, ad esempio sulla riservata parete esterna del labbro nei crateri a colonnette, molto apprezzati per la qualità della forma.
La produzione degli artisti individuati era finalizzata soprattutto all'esportazione sul mercato estero, mentre il mercato locale era fornito di prodotti ceramici di minore o diversa qualità, come già era accaduto per la produzione policroma della ceramica protocorinzia. Intorno al 550 a.C. la competizione con la ceramica attica divenne ingestibile e il commercio della ceramica laconica diminuì drasticamente. La nuova chiusura e la prevalente produzione per il commercio locale diviene evidente già nelle ultime opere del Pittore della caccia e in quelle dei suoi seguaci. La produzione propriamente laconica non andrà oltre il VI secolo a.C.

Nelle foto, dall'alto:
Pittore di Arkesilas, coppa a figure nere, 560 a.C. circa, Parigi, Biblioteca nazionale, Cabinet des médailles 189.
Pittore della caccia, coppa laconica a figure nere, 555 a.C. circa, Museo del Louvre E670.
Pittore dei cavalieri, coppa a figure nere, tra il 550 e il 530 a.C., Londra, British Museum 1842,0407.7.
Cratere laconico a vernice nera, Staatliche_Antikensammlungen
Lakaina a smalto nero gruppo E, periodo alto arcaico, circa 580-570, probabile provenienza Etruria, collezione Castellani, Museo nazionale etrusco di Villa Giulia, Roma
Coppa laconiana a figure nere con Goegone, Cabinet des médailles de la BnF (Paris)
Ariballo globulare laconiano, circa 575-550 a.C., da Kameiros, Rodi – Museo del Louvre, Parigi

KERAMOS - Ceramica campana

 

La ceramica campana è la ceramica a figure rosse prodotta in Campania, a partire dal 380 a.C. circa, per influenza di artigiani sicelioti di seconda generazione, seguaci del Pittore di Dirce. Durante questa prima fase la scuola campana guarda alla produzione attica dell'ultimo quarto del V secolo a.C.; dal 360 a.C. si divide in due gruppi differenti, localizzati a Capua e a Cuma, che non sopravvivono al volgere del secolo.
I soggetti più frequentemente rappresentati sono mitologici, dionisiaci e funerari; una particolarità campana consiste nei guerrieri con armatura indigena; rare sono le scene fliaciche mentre frequenti sono le teste femminili. Le pelli femminili sono solitamente indicate con una sovradipitura bianca, al contrario di quanto avviene nella ceramica apula. Le forme più diffuse nella ceramica campana sono, oltre alla indigena bail amphora, talvolta chiamata situla, il cratere a campana, l'hydria, il kotyle e la lekythos ariballica.
Il gruppo di Capua comprende inizialmente il Pittore di Cassandra e i suoi seguaci (Capua I). Ad un periodo successivo (Capua II) appartengono il Pittore di Capua con il suo gruppo e il Gruppo AV. Malgrado la vicinanza nei luoghi di ritrovamento questa seconda fabbrica si differenzia molto nello stile da quella precedente; all'interno dei gruppi principali si distinguono sottogruppi e singole personalità. Nel Gruppo AV dove si distingue il Pittore delle Danaidi, sono prevalenti i vasi di minore dimensione.
La produzione più antica di Cuma è rappresentata dal Pittore CA e dal suo gruppo; è costituita da vasi di grandi dimensioni, dipinti con uno stile che guarda alle opere attiche del IV secolo a.C., e caratterizzato da una ornamentazione floreale molto sviluppata oltre che da un'accesa policromia. 
Alla stessa officina, ma ad un periodo successivo appartiene l'opera del Pittore APZ e dei suoi seguaci, caratterizzati da una più forte influenza della ceramica apula.






Nelle foto:
- Giovane africano, aryballos plastica a vernice nera
- Oinochoe, ceramica campana a vernice nera 400-300 a.C., de Sousa Museum, Braga
- Piatto con pesci, terracotta a figure rosse, 299-200 a.C., Portland Art Museum, Oregon

KERAMOS - Ceramica lucana

 
La ceramica lucana è la ceramica a figure rosse prodotta dalla scuola di ceramografi insediatasi originariamente ad ovest di Taras intorno al 440 a.C. e formatasi ad Atene in ambito polignoteo. È probabile che i primi laboratori si trovassero sulla costa, a Thurii o Eraclea, nei pressi di Metaponto; più tardi, stando ai ritrovamenti, le officine dovettero spostarsi verso l'interno, ad Armento o Anzi. Per la fase più antica alcune rare esportazioni sono attestate in Apulia, ma dal 380 a.C. in poi la produzione divenne ad uso esclusivamente locale e subì un declino dovuto in parte all'isolamento rispetto alle officine più evolute apule e campane. Ebbe termine nell'ultimo quarto del IV secolo a.C.
I pionieri della scuola lucana sono il Pittore di Pisticci e il più giovane Pittore di Amykos la cui attività si svolge nell'ultimo quarto del V secolo a.C. Ad una generazione successiva appartengono il Pittore di Palermo, il Pittore delle Carnee e il Pittore di Policoro. Dal 390 a.C. al 365 a.C. circa si data la bottega in cui lavorano il Pittore di Creusa e il Pittore di Dolone, attiva ancora nei pressi di Metaponto e probabilmente legata alla tradizione del gruppo del Pittore di Pisticci e di Amikos.
All'ultima fase della ceramica lucana a figure rosse, che vede lo spostamento delle officine verso l'interno della regione, appartengono il Pittore delle Coefore, il Pittore di Roccanova e il Pittore del Primato; gli ultimi due recanti, forse per formazione, influssi rispettivamente dello stile apulo ornato e apulo semplice.
Le forme più comuni sono i crateri a campana e a volute, l'anfora di forma panatenaica, l'hydria e l'indigena trozzella. La decorazione appare generalmente meno colorata rispetto alle altre scuole italiote, la rappresentazione figurata è spesso standardizzata nella formula delle tre figure femminili sul lato principale e del gruppo di due o tre figure di giovani ammantati sul lato posteriore; i soggetti sono mitologici, funerari o tratti dalla vita quotidiana.




Nelle foto:
- Oreste, Elettra e Hermes sulla tomba di Agamennone, lato A di pelike lucana a figure rosse, ca. 380-370 a,C.
- Lekythos con Papposileno su una capra, Campania. 350 a.C., Cincinnati Art Museum

sabato 26 aprile 2025

KERAMOS - Ceramica sigillata

 

La ceramica sigillata è un tipo di ceramica romana fine da mensa (ovvero destinata ad essere utilizzata come servizio da tavola) diffusa nell'antichità romana.
La sua caratteristica principale è una vernice rossa, più o meno chiara e la decorazione a rilievo, modellata, impressa o applicata. Alcuni esemplari portano impressi dei bolli ceramici o "sigilli", dai quali la tipologia deriva il suo nome, che riportano il nome del fabbricante.
Dalla metà del I secolo a.C. le ceramiche a vernice nera sparirono gradualmente nella produzione dei paesi mediterranei, sostituite da questa nuova classe di vasellame fine da mensa, la cosiddetta terra sigillata, che ebbe origine nel Medio Oriente e si diffuse poi in Italia, dove il centro della migliore produzione fu Arezzo ("aretina").
La cosiddetta "vernice" si realizza attraverso la decantazione dell'argilla in acqua a cui viene aggiunto un elemento deflocculante che facilita la precipitazione del calcare sul fondo e la sospensione delle particelle di feldspato, che costituiscono l'elemento "vetrificante" dell'argilla. Il colore del vaso finito dipende oltre che dal colore della vernice, anche dalle tecniche di cottura che possono essere con buona ossigenazione, favorendo quindi una colorazione rossa, oppure a riduzione di ossigeno, regolando il flusso dell'aria che viene introdotta nel forno e realizzando un nero dai riflessi metallici.
A partire dall'età augustea fu quindi largamente diffusa. La sfumatura rossa di questi pezzi varia da fabbrica a fabbrica e la produzione fu di serie, standardizzata su non troppe forme (soprattutto coppe, crateri e tazze), ispirata nella decorazione alla coeva produzione di vasi argentei, in maniera più o meno diretta.
I frammenti di ceramica sigillata, facilmente riconoscibili e databili, costituiscono utilissimi "fossili guida" per la datazione delle stratigrafie negli scavi archeologici. L'ampia diffusione di questa ceramica e la sua produzione per l'esportazione organizzata da veri e propri imprenditori, e la possibilità di conoscerne i nomi e la posizione sociale per mezzo dei bolli impressi sui vasi, hanno avuto grande importanza per la conoscenza dell'economia antica.
Lo studio di firme stampigliate e scarichi di formace ha permesso di classificare con notevole precisione almeno una ventina di fabbricanti, ciascuno dei quali aveva vari servi o liberti addetti alla produzione.
Tra le scene figurate spiccano quelle di vendemmia, di thiasos dionisiache, di scene erotiche, mitologiche e di allusioni a fatti contemporanei. Spesso poi la figura umana, come nella coeva toreutica e glittica, è solo un pretesto per comporre raffinati motivi decorativi, dove un elemento figurato è ripetuto intervallandolo con racemi filiformi ed elementi vegetali classicisti.
La massima fioritura della produzione aretina va dalla metà del I secolo a.C. alla metà del I secolo d.C. In seguito le fabbriche di Arezzo vennero soppiantate da quelle concorrenti e imitatrici della val Padana e della Gallia (terra sigillata tardo-italica e sud-gallica). Nel II secolo poi, a partire dall'età flavia, esse vennero a loro volta superate dalle fabbriche nordafricane (terra sigillata chiare o africana), di colore rosso-arancio o rosso-bruno, prive delle decorazioni con stampi a matrice. La produzione africana durò fino al VII secolo.
Vicino e Medio Oriente
Una ceramica a vernice rossa, ricoperta di un'ingubbiatura era diffusa nel II secolo a.C. nel Vicino Oriente ellenistico (eastern sigillata A), parallelamente alla decorazione in rilievo o "alla barbotine".
Produzione italica e sigillata aretina

La moda fu in seguito introdotta in Italia dai numerosi commercianti italici e dai legionari che avevano vissuto nelle regioni orientali. La prima produzione di ceramica sigillata propriamente detta comparve in Italia nel I secolo a.C. e il maggiore centro di produzione fu Aretium (oggi Arezzo) in Etruria, dal quale la produzione prende anche il nome di "ceramica aretina". Un altro importante centro di produzione si collocava presso il porto di Puteoli (oggi Pozzuoli).
Questa produzione si sviluppò tra il 50 e il 30 a.C., soppiantando con nuove tecniche, sia di cottura, sia di decorazione, la tradizionale ceramica a vernice nera ("ceramica campana" A, B e C), prodotta in Italia in grandi quantità grazie all'utilizzo di manodopera servile e ampiamente esportata. L'apogeo si ebbe nell'età augustea, quando le produzioni della penisola italiana avevano un quasi totale monopolio sulla ceramica fine da mensa di tutto l'occidente mediterraneo ed ebbero una rilevante presenza anche nelle regioni orientali.
Le officine rinvenute ad Arezzo, tutte concentrate nella medesima zona della città, e i dati ricavabili dai bolli ceramici, rivelano un'organizzazione di tipo pre-industriale con una numerosa manodopera specializzata. Le tecniche di produzione si andarono progressivamente standardizzando, per consentire la crescita delle quantità prodotte, tali da coprire la richiesta di esportazione.
Sigillata gallica

A partire da circa il 50 d.C i centri di produzione si spostarono verso le province. Il sito di La Graufesenque, presso Millau (nell'attuale dipartimento dell'Aveyron, in Francia), che costituiva il quartiere industriale della piccola città di Condatomagus, esportò i suoi prodotti fino a Pompei, prima dell'eruzione del Vesuvio nel 79, provando che i flussi commerciali avevano invertito la propria direzione. La crescita delle province era dovuta alla loro rapida romanizzazione, che aveva aperto nuovi mercati e indotto i produttori italici ad aprire delle filiali delle loro officine, dalle quali si erano quindi sviluppate nuove officine di produttori locali. Inizialmente le officine della "ceramica sudgallica" produssero imitazioni della ceramica aretina, per sviluppare in seguito un proprio repertorio di forme e di decorazioni.
Officine aretine avevano impiantato le proprie succursali a Lugdunum (Lione) già intorno al 15 a.C., ma in seguito si svilupparono maggiormente altri centri di produzione.
Le officine di La Graufensenque ebbero una eccezionale diffusione dei propri prodotti, che raggiunsero tutto l'occidente romano, la Germania, la Grecia, la Siria, l'Egitto e le coste del Mar Nero. La produzione, iniziata intorno al 20 d.C., vide rapidamente la creazione di nuove forme vascolari e raggiunse la massima qualità intorno al 40, mentre intorno al 60-80 la quantità della ceramica fabbricata aumentò a scapito della qualità. Fu il sito di produzione più importante per tutto il I secolo e cessò la produzione intorno al 120.
Altri centri di produzione furono, a Montans (Tarn), a Banassac (Lozère), a Lezoux (Puy-de-Dôme) e nella Gallia orientale, che ebbero il loro apogeo in momenti diversi nel corso del II secolo e in alcuni casi continuarono la produzione fino al IV secolo.
Sigillata africana

Le ceramiche sigillate italiche e galliche si erano diffuse nelle province africane nel corso del I secolo e una produzione locale si sviluppò a partire dal 50 d.C. circa, inizialmente su imitazione dei modelli importati e in seguito, a partire dall'età flavia, con una propria autonomia sia stilistica che tecnica.
Le produzioni sono caratterizzate dal colore più chiaro della vernice e si diffusero su tutte le coste del Mediterraneo tra il II e l'VIII secolo. In particolare tra la fine del II e gli inizi del III secolo le produzioni africane soppiantarono quelle galliche come ceramiche da mensa più diffuse.
Si distinguono durante il lungo periodo di produzione diverse tipologie: il tipo C, diffuso a partire dal 230 fu in particolare prodotto nella Bizacena ed esportato spesso parallelamente alle anfore di produzione locali. Alla fine del III secolo anche Cartagine sviluppò una propria produzione, favorita dalla concentrazione delle officine presso il porto da cui partivano le esportazioni.
In Asia Minore la produzione inizialmente prosegue quella di epoca ellenistica e si sviluppa nel corso del I secolo per rimpiazzare le importazioni italiche nel corso del II e III secolo, fino ad esportare a loro volta i propri prodotti fino in Italia e verso l'Oriente. I centri di produzione non sono sempre identificati con certezza ed ebbero diverse epoche di fioritura.
Le officine si impiantarono in località dove esistevano depositi di argilla e boschi da sfruttare per la legna usata come combustibile dei forni. La vicinanza con un importante itinerario commerciale spingeva ad aumentare la produzione per l'esportazione.
La decorazione dei vasi era ottenuta con diversi metodi. I motivi decorativi a rilievo erano realizzati "a matrice" (il vaso veniva modellato al tornio direttamente nella matrice, nella quale erano stati ricavati motivi decorativi incavati, che comparivano quindi a rilievo sulle pareti del vaso) o "alla barbotine" (i motivi decorativi a forte rilievo erano applicati sul corpo liscio del vaso, realizzato al tornio, per mezzo di un'argilla molto liquida che fungeva da collante). Dopo una prima essiccatura veniva aggiunto il piede e quindi il vaso era inviato alla cottura. Altre decorazioni incise potevano essere aggiunte con rotelline o punzoni. Infine il bollo del fabbricante era stampigliato sul fondo del vaso, per lo più al suo interno.

Nelle foto, dall'alto in basso:
- Ciotole in ceramica sigillata nell'Archäologisches Landesmusuem di Costanza (Germania)
- Altri esempi di terra sigillata dal forte romano di Saalburg, lungo il limes germanico-retico.
- Calice firmto dal ceramista Xanthis, ceramica sigillata che rappresenta due giovani fanciulle che giocano sgli astragali, scoperta nel campo legionario di Vindonissa (Argovie, Svizzera), Museo Vindonissa di Brugg
- Coppa di terra sigillata aretina, dal museo archeologico di Arezzo
- Ciotola di terra sigillata, con motivi vegetali, La Graufesenque, 50-85 A.D., trovata a Tongres (Belgio) Museo gallo-romano Tongres
- Coppa con pescatori, ceramica sigillata romana trovata nel Nord Africa, 400 a.C. Circa, Getty Museum
- Piatto in terracotta sigillata, arte romana, produzione Africa del Nord, III secolo a.C.

KERAMOS - Ceramica geometrica: I, ceramica geometrica attica

 
La ceramica geometrica è la produzione vascolare della civiltà greca a partire dalla fine del Medioevo ellenico, approssimativamente tra il 900 a.C. e il 700 a.C., il cui stile e la cui denominazione si è estesa ad indicare l'insieme delle testimonianze materiali del periodo. Si sviluppò ad Atene e si diffuse grazie ai commerci marittimi in varie città della zona egea.
Nella ceramica geometrica attica rispetto ai secoli precedenti il repertorio delle tipologie vascolari aumenta e le forme dei vasi si fanno sempre più articolate e slanciate. Anfore e crateri di grandi dimensioni vengono utilizzati come segnacoli per le tombe. Particolarmente ricchi sono i reperti provenienti dal cimitero ateniese del Dipylon. Si pensa che in origine le anfore fossero dedicate alle donne, poiché loro compito era raccogliere l'acqua, mentre i crateri agli uomini, che mescevano il vino.
Nella decorazione si sviluppano coerentemente le premesse elaborate nella ceramica protogeometrica attica. Il meandro riempito a tratteggio diventa il motivo decorativo più tipico, accompagnandosi a triangoli, rombi, motivi a zig zag, denti di lupo, scacchiere, reticoli. Nei riquadri si inseriscono svastiche e rosette geometriche a quattro foglie. Le fasce orizzontali decorate si fanno sempre più numerose e fitte, fino a ricoprire l'intera superficie del vaso, mentre vanno riducendosi fino a scomparire le superfici monocromatiche a vernice nera.
I motivi decorativi si arricchiscono di elementi figurati, in particolare figure umane e cavalli. I soggetti figurati sono rappresentati da scene funerarie (il compianto con l'esposizione del corpo del defunto, o pròthesis, e il trasporto del defunto sul carro funebre, o ekphorà), ma anche scene di duelli o battaglie in mare e sulla terra ferma. Le figure umane, dipinte a silhouette nera, sono allineate, a volte in file sovrapposte, mentre tutti gli spazi vuoti sono riempiti con ornati geometrici. Il torso è raffigurato di prospetto, a forma di triangolo e con braccia filiformi variamente disposte nei gesti; le gambe sono rese invece di profilo e progressivamente assumono forme più realistiche e articolate; la testa è rappresentata da una macchia nera con sporgenze per il naso o il mento. Gli scudi (noti appunto come "scudi Dipylon") sono raffigurati con due mezzelune unite da un sottile tratto, riprendendo in forma astrattamente geometrica la forma del grande scudo miceneo bilobato, che in seguito scompare a favore dello scudo rotondo. Oltre ai cavalli compaiono uccelli o cervi e capri, tutti ridotti a forme essenziali e schematiche, disposti in lunghe file, come semplici ornati.
Nell'evoluzione dello stile geometrico si distinguono diverse fasi.
Primo stile geometrico
(prima metà del IX secolo a.C.). Persiste la tendenza del tardo protogeometrico a bagnare i vasi in una vernice nera e lucida; l'alternanza di fasce decorate e zone a vernice nera scandisce le parti del vaso; il punto di massima espansione del corpo del vaso, dove si impostano le anse, è sottolineato da una fascia decorativa più ampia, con riquadri; la preoccupazione del vasaio protogeometrico, ovvero l'analisi della forma attraverso il disegno della superficie, rimane la stessa, ciò che cambia è la natura dello strumento principale dell'analisi. Il semicerchio concentrico svanisce e la spalla del vaso è nel primo stile geometrico (900-850) ignorata. Quello che conta ora sono i due elementi principali del vaso, il collo e il corpo; la loro separata ma uguale contribuzione all'architettura del vaso viene messa in evidenza attraverso fregi ornamentali o pannelli al loro centro. Geometrico e protogeometrico sono basati sulla stessa idea del vaso come somma delle sue parti, ma il pittore del vaso geometrico respinge l'identificazione protogeometrica del volume con la linea curva e inventa nuovi motivi: la merlatura e il meandro, motivi tettonici, angoli retti, che contemporaneamente riflettono i campi orizzontali che occupano e la costruzione verticale del vaso, e che continuamente tornano su sé stessi.
Medio stile geometrico
(dalla metà del IX alla metà dell'VIII secolo a.C.)
Le forme ceramiche raggiungono dimensioni considerevoli, in particolare le anfore (80 cm di altezza) e i crateri (50 cm di altezza). Le fasce decorative ricoprono una maggiore superficie e compaiono sporadiche figure umane e animali. La spalla è di nuovo riconosciuta come una terza parte principale del vaso e il suo contorno è stabilizzato con svastiche, meandri, o altri modelli rettilinei. Anche se i motivi più grandi e più elaborati sono sempre riservati a collo, spalla, e pancia - i tre centri di gravità del geometrismo - pannelli decorativi e fasce si espandono in gran parte della superficie e entro la fine del medioevo ellenico il vaso sembra avvolto in un intricato arazzo astratto.
Medio geometrico
I (850-800 a.C.)
Le figure non trovano il loro naturale inserimento; il cavallo è l'unica creatura conosciuta sulla ceramica attica dipinta prima dell'800 a.C.: le continue linee curve del cavallo protogeometrico sono raddrizzate (il corpo è orizzontale) e segmentate (le gambe acquisiscono articolazioni). L'unica eccezione è la prefica sul Cratere 1254 del Museo del Ceramico ad Atene, datato intorno all'850-825 a.C. Il cratere (il genere di vaso usato per mischiare acqua e vino alle feste aristocratiche) veniva posto sopra la tomba degli aristocratici nella necropoli del Ceramico, era un segnacolo e insieme uno status symbol. Ciò che resta di questo cratere è densamente ricoperto con l'intera gamma di disegni del medio geometrico. Vi si trova anche il cerchio concentrico, anche se a differenza della versione protogeometrica è chiuso in una forma rettangolare e circoscrive una croce: dotato di un asse orizzontale ed uno verticale il cerchio concentrico diviene un motivo tettonico. In un'area irregolare in cui niente di regolarmente geometrico poteva ordinatamente stare, nello spazio sotto la maniglia, il pittore ha inserito un cavallo e sopra il manico, in un angolo appena fuori dai confini della terra astratta, ha disegnato la silhouette di una donna nuda che piegando le braccia sopra la testa si strappa i capelli in segno di pianto. Il cavallo e la donna non hanno niente a che fare l'uno con l'altro, sono separati dalla maniglia e guardano in opposte direzioni, non sembra trattarsi di una scena, ma di due simboli discreti, anche se non del tutto indipendenti, uno di rango, l'altro di dolore. 
Medio geometrico II
(800-760)
Quando gli esseri umani iniziano ad apparire sulle ceramiche iniziano subito ad essere rappresentati in gruppo; il Medio geometrico II è il periodo in cui dalla fase della sineddoche i ceramografi attici passano alla descrizione completa delle scene, con la rappresentazione dei rapporti e delle relazioni tra le figure. Il Cratere 34.11.2 del Metropolitan Museum di New York pone fine al medioevo ellenico, appartiene al 770 a.C. ca. e celebra la memoria del defunto (forse anche l'occasione della sua morte) con la raffigurazione di una battaglia che percorre la fascia all'altezza del ventre. Sulla fascia decorativa superiore, in un riquadro in mezzo alla zona dell'impugnatura, vi è la rappresentazione gravemente danneggiata di una prothesis, la prima che si conosca delle centinaia che seguiranno. Una figura piangente si inginocchia sul letto funebre ai piedi del morto, sotto la bara è una fila di uccelli e ancora più in basso, cinque persone piangenti. Queste figure discendono dalla prefica del Cratere 1254 del Museo del Ceramico ma la figura umana è ormai passata al centro del vaso come al centro dell'arte greca.


Tardo stile geometrico (seconda metà dell'VIII secolo a.C.)
Emerge in questo periodo una chiara evoluzione nelle proporzioni generali dei vasi che vengono prodotti in proporzioni particolarmente equilibrate divenute immediatamente standard. È il periodo del Maestro del Dipylon, prima personalità emergente nell'arte greca, che segna con la sua produzione un momento di stacco rispetto alla normale evoluzione della produzione vascolare. I vasi tendono a raggiungere un rapporto tra altezza e diametro massimo o, nel caso delle forme aperte, tra diametro massimo e altezza, che si avvicina alla "sezione aurea" (i. e. la parte più piccola sta alla più grande come la più grande sta alla somma delle due). In ambito pittorico le fasce decorative ricoprono l'intera superficie del vaso, perdendo la funzione di marcare l'articolazione delle sue parti e si moltiplicano le scene figurate, in alcuni casi anche scene mitologiche, e i motivi decorativi sono più ricchi e variati. Si distinguono alcune officine e alcune personalità.
Tardo geometrico I
(760-735 a.C.)
Lo "stile del Dipylon", che prende il nome dalla principale necropoli ateniese raggiunge la sua massima espressione nei grandi vasi della metà dell'VIII secolo a.C. prodotti dal Maestro del Dipylon il quale, nel momento in cui le scene figurate entravano a far parte della decorazione vascolare scelse di rinunciare alle implicazioni pittoriche e di ridurre e uniformare ogni elemento allo schematismo geometrico. Durante il tardo geometrico cominciano a distinguersi anche altre personalità o gruppi di prodotti provenienti da una stessa bottega. Ad uno dei rivali del Maestro del Dipylon, chiamato convenzionalmente Pittore di Hirschfeld (dall'archeologo Gustav Hirschfeld che ha descritto nel 1872 per la prima volta una sua opera), è attribuito un cratere (tardo geometrico I, Atene, Museo archeologico nazionale 990) con scene animate e densamente popolate che acquisiscono maggiore importanza rispetto ai moduli geometrici, ormai privi di funzioni strutturali. Alcune botteghe sono riconoscibili tramite figure ricorrenti e stilisticamente identificabili, come il leone accovacciato con corpo a clessidra del "Pittore del Leone" o il cigno con corpo striato del "Pittore del Cigno", o ancora le file di uccelli acquatici unite da tratti obliqui a puntini (officina del "Seme degli uccelli"). Appartenenti probabilmente ad una stessa bottega sono anche le oinochoai sulle quali sono raffigurati dei cervi pascenti, o i vasi con fascia a file di rombi riempiti con scacchiere o rombi più piccoli, detti "Tapestry Hand" ("Mano a tappeto"). Lo stile del maestro del Dipylon finisce intorno al 735 a.C. quando anche l'ultimo dei suoi più stretti collaboratori smette di dipingere.
Tardo geometrico II (735-700 a.C.)
Il seguente Tardo geometrico II è un momento di reazione; le anfore sono tendenzialmente più piccole e le zone figurate sono proporzionalmente più grandi e slegate dalla struttura del vaso; le zone astratte sono casuali, frettolose o mancanti. Ma le imprecisioni del periodo non sono tanto indice di degrado quanto di volontà di allontanamento dal precedente geometrismo esasperato: non è un caso se è in questo periodo che si sviluppa il fenomeno della protonarrazione la quale si spiega con il processo di autodefinizione della società e dell'aristocrazia nel tardo VIII secolo a.C.



Nelle foto, dall'alto in basso:
- Cratere, Medio geometrico II, h 99.1 cm, d 94 cm. New York, Metropolitan Museum 34.11.2
- Pittore di Hirschfeld Cratere Tardo geometrico I, h 123 cm. Atene, Museo archeologico nazionale NM990
- Cratere funerario tardo geometrico attico, Bottega del Pittore di Hirschfeld (attr.), 750-735 a.C., h 108.3 cm. New York, Metropolitan Museum of Art 14.130.14
- Pisside attica medio geometrica (760-750 a.C.) nel Museo del Louvre (inv.GR 1910.11-21.1)
- Brocca attica medio geometrica nel Museo del Louvre (inv. CA 1814)
- Oinochoe con corpo striato e cervo pascente sul collo (circa 750 a.C.) dello Staatliche Antikensammlungen di Monaco di Baviera (inv.8400)  
- Brocca attica, 740 a.C., Staatliche Antikensammlungen di Monaco di Baviera