La
ceramica sigillata è un
tipo di ceramica romana fine da mensa (ovvero destinata ad essere
utilizzata come servizio da tavola) diffusa nell'antichità romana.
La sua caratteristica principale è una
vernice rossa, più o meno chiara e la decorazione a rilievo,
modellata, impressa o applicata. Alcuni esemplari portano impressi
dei bolli ceramici o "sigilli", dai quali la tipologia
deriva il suo nome, che riportano il nome del fabbricante.
Dalla metà del I secolo
a.C. le ceramiche a vernice nera sparirono
gradualmente nella produzione dei paesi mediterranei, sostituite da
questa nuova classe di vasellame fine da mensa, la cosiddetta terra
sigillata, che ebbe origine nel Medio Oriente e si diffuse poi in
Italia, dove il centro della migliore produzione
fu Arezzo ("aretina").
La cosiddetta "vernice" si
realizza attraverso la decantazione dell'argilla in acqua a cui viene
aggiunto un elemento deflocculante che facilita la
precipitazione del calcare sul fondo e la sospensione delle
particelle di feldspato, che costituiscono l'elemento
"vetrificante" dell'argilla. Il colore del vaso finito
dipende oltre che dal colore della vernice, anche dalle tecniche di
cottura che possono essere con buona ossigenazione, favorendo quindi
una colorazione rossa, oppure a riduzione di ossigeno, regolando il
flusso dell'aria che viene introdotta nel forno e realizzando un nero
dai riflessi metallici.
A partire dall'età augustea fu
quindi largamente diffusa. La sfumatura rossa di questi pezzi varia
da fabbrica a fabbrica e la produzione fu di serie, standardizzata su
non troppe forme (soprattutto coppe, crateri e tazze), ispirata nella
decorazione alla coeva produzione di vasi argentei, in maniera più o
meno diretta.
I frammenti di ceramica sigillata,
facilmente riconoscibili e databili, costituiscono utilissimi
"fossili guida" per la datazione
delle stratigrafie negli scavi archeologici. L'ampia
diffusione di questa ceramica e la sua produzione per l'esportazione
organizzata da veri e propri imprenditori, e la possibilità di
conoscerne i nomi e la posizione sociale per mezzo dei bolli impressi
sui vasi, hanno avuto grande importanza per la conoscenza
dell'economia antica.
Lo studio di firme stampigliate e
scarichi di formace ha permesso di classificare con notevole
precisione almeno una ventina di fabbricanti, ciascuno dei quali
aveva vari servi o liberti addetti alla produzione.
Tra le scene figurate spiccano quelle
di vendemmia, di thiasos dionisiache, di scene
erotiche, mitologiche e di allusioni a fatti contemporanei. Spesso
poi la figura umana, come nella coeva toreutica e glittica,
è solo un pretesto per comporre raffinati motivi decorativi, dove un
elemento figurato è ripetuto intervallandolo con racemi filiformi ed
elementi vegetali classicisti.
La massima fioritura della produzione
aretina va dalla metà del I secolo a.C. alla metà del I secolo d.C.
In seguito le fabbriche di Arezzo vennero soppiantate da quelle
concorrenti e imitatrici della val Padana e
della Gallia (terra sigillata tardo-italica e sud-gallica).
Nel II secolo poi, a partire dall'età flavia, esse vennero a loro
volta superate dalle fabbriche nordafricane (terra sigillata chiare
o africana), di colore rosso-arancio o rosso-bruno, prive delle
decorazioni con stampi a matrice. La produzione africana durò fino
al VII secolo.
Vicino
e Medio OrienteUna ceramica a vernice rossa, ricoperta
di un'ingubbiatura era diffusa nel II secolo a.C. nel Vicino
Oriente ellenistico (eastern sigillata A), parallelamente
alla decorazione in rilievo o "alla barbotine".
Produzione italica e sigillata aretinaLa moda fu in seguito introdotta
in Italia dai numerosi commercianti italici e
dai legionari che avevano vissuto nelle regioni orientali.
La prima produzione di ceramica sigillata propriamente detta comparve
in Italia nel I secolo a.C. e il maggiore centro di
produzione fu Aretium (oggi Arezzo) in Etruria,
dal quale la produzione prende anche il nome di "ceramica
aretina". Un altro importante centro di produzione si collocava
presso il porto di Puteoli (oggi Pozzuoli).
Questa produzione si sviluppò tra
il 50 e il 30 a.C., soppiantando con nuove tecniche,
sia di cottura, sia di decorazione, la tradizionale ceramica a
vernice nera ("ceramica campana" A, B e C), prodotta
in Italia in grandi quantità grazie all'utilizzo di manodopera
servile e ampiamente esportata. L'apogeo si ebbe nell'età augustea,
quando le produzioni della penisola italiana avevano un quasi totale
monopolio sulla ceramica fine da mensa di tutto l'occidente
mediterraneo ed ebbero una rilevante presenza anche nelle regioni
orientali.
Le officine rinvenute ad Arezzo, tutte
concentrate nella medesima zona della città, e i dati ricavabili dai
bolli ceramici, rivelano un'organizzazione di tipo pre-industriale
con una numerosa manodopera specializzata. Le tecniche di produzione
si andarono progressivamente standardizzando, per consentire la
crescita delle quantità prodotte, tali da coprire la richiesta di
esportazione.
Sigillata
gallicaA partire da circa il 50 d.C
i centri di produzione si spostarono verso le province. Il sito
di La Graufesenque,
presso Millau (nell'attuale dipartimento dell'Aveyron,
in Francia), che costituiva il quartiere industriale della
piccola città di Condatomagus, esportò i suoi prodotti fino
a Pompei, prima dell'eruzione del Vesuvio nel 79,
provando che i flussi commerciali avevano invertito la propria
direzione. La crescita delle province era dovuta alla loro
rapida romanizzazione, che aveva aperto nuovi mercati e indotto
i produttori italici ad aprire delle filiali delle loro officine,
dalle quali si erano quindi sviluppate nuove officine di produttori
locali. Inizialmente le officine della "ceramica sudgallica"
produssero imitazioni della ceramica aretina, per sviluppare in
seguito un proprio repertorio di forme e di decorazioni.
Officine aretine avevano impiantato le
proprie succursali a Lugdunum (Lione) già intorno al 15
a.C., ma in seguito si svilupparono maggiormente altri centri di
produzione.
Le officine di La Graufensenque ebbero
una eccezionale diffusione dei propri prodotti, che raggiunsero tutto
l'occidente romano, la Germania, la Grecia, la Siria,
l'Egitto e le coste del Mar Nero. La produzione, iniziata
intorno al 20 d.C., vide rapidamente la creazione di nuove
forme vascolari e raggiunse la massima qualità intorno al 40,
mentre intorno al 60-80 la quantità della ceramica
fabbricata aumentò a scapito della qualità. Fu il sito di
produzione più importante per tutto il I secolo e cessò
la produzione intorno al 120.
Altri centri di produzione furono,
a Montans (Tarn), a Banassac (Lozère),
a Lezoux (Puy-de-Dôme) e nella Gallia orientale, che
ebbero il loro apogeo in momenti diversi nel corso del II
secolo e in alcuni casi continuarono la produzione fino al IV
secolo.
Sigillata
africanaLe ceramiche sigillate italiche e
galliche si erano diffuse nelle province africane nel corso
del I secolo e una produzione locale si sviluppò a partire
dal 50 d.C. circa, inizialmente su imitazione dei modelli
importati e in seguito, a partire dall'età flavia, con una
propria autonomia sia stilistica che tecnica.
Le produzioni sono caratterizzate dal
colore più chiaro della vernice e si diffusero su tutte le coste
del Mediterraneo tra il II e l'VIII secolo. In
particolare tra la fine del II e gli inizi del III secolo le
produzioni africane soppiantarono quelle galliche come ceramiche da
mensa più diffuse.
Si distinguono durante il lungo periodo
di produzione diverse tipologie: il tipo C, diffuso a partire
dal 230 fu in particolare prodotto nella Bizacena ed
esportato spesso parallelamente alle anfore di produzione
locali. Alla fine del III secolo anche Cartagine sviluppò
una propria produzione, favorita dalla concentrazione delle officine
presso il porto da cui partivano le esportazioni.
In Asia Minore la produzione
inizialmente prosegue quella di epoca ellenistica e si
sviluppa nel corso del I secolo per rimpiazzare le
importazioni italiche nel corso del II e III secolo,
fino ad esportare a loro volta i propri prodotti fino in Italia e
verso l'Oriente. I centri di produzione non sono sempre identificati
con certezza ed ebbero diverse epoche di fioritura.
Le officine si impiantarono in località
dove esistevano depositi di argilla e boschi da sfruttare
per la legna usata come combustibile dei forni. La
vicinanza con un importante itinerario commerciale spingeva ad
aumentare la produzione per l'esportazione.
La decorazione dei vasi era ottenuta
con diversi metodi. I motivi decorativi a rilievo erano realizzati "a
matrice" (il vaso veniva modellato al tornio direttamente nella
matrice, nella quale erano stati ricavati motivi decorativi incavati,
che comparivano quindi a rilievo sulle pareti del vaso) o
"alla barbotine" (i motivi decorativi a forte rilievo
erano applicati sul corpo liscio del vaso, realizzato al tornio, per
mezzo di un'argilla molto liquida che fungeva da collante). Dopo una
prima essiccatura veniva aggiunto il piede e quindi il vaso era
inviato alla cottura. Altre decorazioni incise potevano essere
aggiunte con rotelline o punzoni. Infine il bollo del fabbricante era
stampigliato sul fondo del vaso, per lo più al suo interno.